• Non ci sono risultati.

Perché Ferrara è veramente metafisica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Perché Ferrara è veramente metafisica"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

1

“Perché Ferrara è veramente metafisica”

Motivazione:

Testo abbastanza organico che segue un percorso con una sua evoluzione coerente, senza rinunciare ad una pluralità di approcci - storico, psicologico, biografico - valorizzando con competenza spigolature scelte da scritti interessanti dei

protagonisti delle sue pagine e di quella cultura– detta appunto “metafisica” nel suo riconfigurarsi in differenti espressioni, riproponendo alcuni scritti significativi dei fratelli Giorgio e Alberto de Chirico, Filippo de Pisis, Carlo Carrà e Mario Pozzati testimoni dei filoni narrativo, artistico, ideologico. L’autore rende accessibili le sue pagine anche a lettori in scarsa familiarità con certa saggistica, facendo leva sul topos della follia dei ferraresi oggetto nell’ ‘800 di spiegazioni pseudoscientifiche non esenti però da un certo fascino.

Ferrara è una città quanto mai metafisica”. Da molti decenni questa affermazione di de Chirico è stata ripresa pigramente da innumerevoli amministratori, guide turistiche e cittadini ferraresi. L’aggettivo metafisico, però, viene utilizzato da loro in senso generale, equivalente a misterioso (in particolare il ghetto) e armonioso (in particolare il quartiere rinascimentale dell’Addizione Erculea). Se così fosse, tutte le città italiane con secoli di storia alle spalle dovrebbero essere definite metafisiche; il che sarebbe assurdo. E’ necessario, perciò, fare chiarezza. Ferrara è veramente Metafisica solo perché vi hanno vissuto e lavorato i Metafisici, in particolare cinque artisti-soldati nel triennio della Grande Guerra: i fratelli Giorgio e Alberto de Chirico, Filippo de Pisis, Carlo Carrà e Mario Pozzati.

La Metafisica ferrarese, in particolare, è formata da due pratiche artistiche che si sono fecondate vicendevolmente: da una parte la letteratura metafisica1 e dall’altra la

1 I testi più importanti della neonata letteratura metafisica sono: Les Chants de la mi- mort, scene drammatiche e composizione musicale scritte da Savinio nel 1914; Savinio, Hermaphrodito, Firenze, Libreria della Voce, 1918; De Pisis, Mercoledì 14 novembre 1917.Tip. Paolo Neri, Bologna 1918; De Pisis, Il signor Luigi B., Facchi, Milano 1919; De Pisis, La città dalle 100 meraviglie, prima edizione pubblicata a Roma dalla casa d'Arte Bragaglia 1920-1923; de Chirico, “Frammenti” tra il 1916 e il 1918, in Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, 1985, pp. 42-78; Carlo Carrà, Tutti gli scritti, a cura di Massimo Carrà e Vittorio Fagone, Feltrinelli, Milano pp. 59-242

(2)

2

pratica della pittura. Rileggendo attentamente la letteratura dei Metafisici, più ricca di semanticità rispetto ai quadri, si potrà comprendere meglio l’atmosfera e le basi ideologiche/liriche/emotive della loro poetica; è questo il modo migliore per entrare nel cuore vero di “Ferrara Metafisica”.

Dalla stazione di Ferrara alla caserma Pestrini. A maggio del 1915 l’Italia era entrata nella Grande Guerra e i fratelli de Chirico2 avevano dovuto lasciare malvolentieri Parigi per raggiungere il Distretto militare di Firenze; da lì, furono destinati al deposito del XXVII reggimento di Fanteria, Brigata Pavia, caserma Pestrini-Cavour di Ferrara. Poco distante abitava il poeta Corrado Govoni3, che poi conosceranno e frequenteranno. Fin dal primo giorno la caserma si era presentata ai de Chirico come una maleodorante bolgia dantesca, caratterizzata da “puzzo misto di acido fenico, di caffè tostato e di creolina”. L’impatto con la vita militare causa una reazione psicosomatica al soldato de Chirico, che ri-comincerà a soffrire di malinconia e colon irritabile, come già era accaduto in analoghe circostanze stressanti del passato. De Chirico è amareggiato per la noiosa vita di caserma, ma ci ironizza sopra: la Fanteria,

“regina delle battaglie”, era “il luogo più adatto per ricevere tutti i relitti della

2 Giorgio de Chirico (1888-1978) e Alberto de Chirico (in arte Savinio: 1891-1952) erano nati in Grecia da famiglia di cittadinanza e cultura italiana. Predisposti per le arti, i genitori avevano indirizzato Giorgio verso il Politecnico e Alberto verso il Conservatorio. Dal 1911 al 1914 i due artisti, soprannominati i Dioscuri, erano domiciliati a Parigi, dove avevano iniziato a frequentare Guillaume Apollinaire, critico d’arte favorevole alle avanguardie. E’ in questo primo soggiorno parigino che il pittore e il fratello musicista elaborano e producono le loro prime opere definibili metafisiche. Allo scoppio della Grande Guerra, i de Chirico vengono valutati non abili al servizio militare attivo ed inviati a Ferrara nelle retrovie.

3 Corrado Govoni (1884-1965), nato a Tamara di Copparo. Era l’intellettuale leader della locale casa editrice Taddei; all’inizio del secolo il poeta si era riconosciuto nell’orientamento crepuscolare, poi nel 1911 aveva aderito al futurismo e nel 1915 continuava a far riferimento a questo movimento, in un’ottica, però, molto moderata.

La nicchia culturale ferrarese, infatti, non era favorevole alle sperimentazioni troppo avanguardistiche; al suo interno era dominante un guazzabuglio tardo-simbolista, crepuscolare, dannunziano e pascoliano. Alla fine del 1916 i giovani intellettuali/poeti della Ferrara govoniana conosceranno, attraverso Filippo de Pisis, i fratelli de Chirico e successivamente Carrà; con i de Chirico fa capolino a Ferrara e in Italia la corrente artistica detta Metafisica, caratterizzata da precisi riferimenti alla cultura europea.

(3)

3

società, compresi i peggiori degenerati ed i più palesi deficienti”. Carrà4, nelle sue lettere, si lamenterà spesso con gli amici della sua esperienza nelle camerate:

“Carissimo Ardengo, tu che …. conosci la vita promiscua delle camerate (quasi tutti contadini toscani e lombardi, i quali ti scoreggiano sulla faccia con una noncuranza naturale che ha del meraviglioso). Essi che sono bruti autentici, non fanno alcuna fatica ad esserlo anche con te.”.5

Gli artisti/soldati vivono un forte disagio in mezzo alla truppa; intrappolati nella Grande Storia, debbono sopravvivere anche ad una frustrante guerra quotidiana.

Avevano solo due modi per farlo: imboscarsi, utilizzando le raccomandazioni del

“potente” di turno, e/o attaccarsi al loro mestiere, sublimando in gruppo le tante frustrazioni.

Effluvi del Worbas, della canapa e della morìa. Per comprendere veramente la Metafisica iniziamo da un motto ricorrente negli scritti di questi artisti: “Frara la città del Worbas”6. Ma chi o che cosa è questo Worbas? Per de Pisis Worbas sarebbe solo “una parola di origine alemanna, che un antico principe adottò per suo motto e sembra significare Sempre avanti”. Tuttora questo motto guerriero è inciso nel bassorilievo posto alla sommità della torre dei Leoni del castello. Per Savinio, invece, il Worbas sarebbe lo “spiritello” di un animale chimerico (corpo di lince, coda di pesce e ali di drago) che, dall’alto della torre, si diffonderebbe nella mente e nel corpo dei suoi abitanti, inducendo stranissime metamorfosi. Per questo motivo i ferraresi diventano “ornitoantropi, con una mostruosa sporgenza del pomo di Adamo”;

le loro donne diventano “una terribile turma femminile … Han gli occhi fatti a guisa di quelli dell’astace: piccoli globuli lucidi, simili a pillole purgative, sporgenti

4 Carlo Carrà (1881-1966), nato a Quargnento (Alessandria): nel 1906 aveva studiato all'Accademia di Brera, dove si era avvicinato al divisionismo; nel 1909, dopo aver letto il Manifesto del futurismo, aveva cominciato a militare in questo movimento; nel 1915-1916 non si riconosce più nelle direttive di Marinetti, per cui va alla ricerca di nuove strade artistiche: sente il fascino primitivo e la spiritualità dei pittori italiani, Giotto e Paolo Uccello; riflette sulla filosofia platonica, su misticismo e teosofia, arrivando ad una visione metafisica molto personale, compatibile però con quella dei de Chirico. All’inizio del 1917 è militare a Pieve di Cento, Ferrara, la città di Ariosto, di Govoni ed anche dei due de Chirico, con i quali entrerà in collaborazione- competizione artistica.

5 La Metafisica. Museo documentario. Ferrara, Palazzo Massari. Comitato scientifico:

Maurizio Calvesi, Ester Coen, Giovanna dalla Chiesa. Grafis Industrie grafiche, Casalecchio di Reno (Bo), 1981, pag.116.

6SavinioAlberto, Frara, la città del Worbas, In Hermaphrodito, Einaudi, 1974

(4)

4

dall’estremità d’un’antenna cornea, per cui esse posseggono non soltanto la vista dritta, ma pure quella laterale, e persino quella posteriore.”7

Anche de Chirico utilizzerà il motto “Frara, città del Worbas”, ancorandolo a riferimenti pseudo-scientifici: ad esempio, la stranezza e la follia dei ferraresi sarebbe da imputare non al terribile Worbas, bensì alle esalazioni delle infiorescenze della canapa, come gli aveva assicurato il prof. Ruggero Tambroni, Direttore del Manicomio.

… i ferraresi sono anche terribilmente libidinosi, ci sono giorni, specialmente nell’alta primavera, in cui la libidine che incombe su Ferrara diventa una forza tale, che se ne sente quasi il rumore, come di acqua scrosciante o di fuoco divampante. Il prof.

Tambroni, insigne frenologo, che allora dirigeva il manicomio di Ferrara e che io conobbi, mi spiegò che questo stato anormale dei ferraresi è dovuto alle esalazioni della canapa ed alla continua umidità; infatti tutta la città è costrutta su antichi maceri …”8

Per de Pisis9 la Ferrara del Worbas“ sembra fatta apposta per la speculazione dei metafisici …. Città che predispone alla pazzia”. E’ sicuramente l’anima di Erasmo da Rotterdam che vaga per le strade e porta con sé la “morìa”, una misteriosa pestilenza che induce i ferraresi ad una esuberanza dionisiaca:

“… Nelle sere di neve, o di vento, o di eclisse…[..]. La moria della città pentagona esplodeva infrenata! Un desiderio feroce di palpare carni molli o sode, di ficcare la mano sotto un letto tepido o nel pertugio di una sottana o di un corsetto … In un veglione un giovane, camuffato da ciociara, rese pazzo d’amore un noto viveur…”10 Come avrete compreso leggendo questi veloci lacerti letterari, non è proprio facile districarsi nei meandri visionari depositati negli scritti dei Metafisici. E’ in questo magma di soggettività che si svilupperà progressivamente il binomio Ferrara e Metafisica.

Ogni tre tabaccherie, un bordello. La Ferrara della Grande Guerra era una città militarizzata. Dove c’è un esercito in armi ci sono anche i postriboli11. Si diceva che a

7SavinioAlberto, Frara, la città del Worbas, In Hermaphrodito, Op. cit. pag. 50 8Giorgio de Chirico, Memorie della mia vita, Rizzoli, 1962, pag 88

9 Filippo de Pisis (1896-1956) era nato a Ferrara; nel 1916 avviene l’incontro con i fratelli de Chirico, dai quali apprenderà la poetica Metafisica.

10 De Pisis, Della moria, in La città dalle cento meraviglie, Abscondita, Milano, 2009, pag 29-32.

11 Sema Antonio, Soldati e prostitute. Il caso della terza armata, Gino Rossato editore, Vicenza,1999.

(5)

5

Ferrara ogni tre tabaccherie esistesse un bordello! La Prefettura di Bologna nel 1915 aveva distribuito migliaia di volantini per convincere i soldati a non intrattenersi con le prostitute di strada e, se proprio necessario, usufruire dei servizi del bordello con donne visitate settimanalmente dal medico specialista. Si trattava, insomma, del male minore. E’ impossibile che il gruppetto dei Metafisici non fosse attratto dal fenomeno della prostituzione, che probabilmente era uno degli argomenti più trattati quotidianamente dai fanti nelle camerate. Nel mare magnum degli scritti metafisici si possono rintracciare molte immagini riferite alle stradine dei bordelli e a desideri erotici/pornografici. Per Mario Pozzati12, ad esempio, Ferrara non è solo “lussuria geometrica”, ma diventa anche una lussuriosa allucinazione, dove “ le colonne sembrano cosce aperte e le porte delle case vulve spalancate”. Nel notturno quartiere a luci rosse, attorno a via delle Volte, l’artista racconta: “Improvvisamente dal nero quadro d’una porta semichiusa una voce untuosa di donna cancellata dall’oscurità ti dà un tuffo al cuore: Signorino vuole godere un poco? Umidità grassa e vischiosa.”13

E per Savinio? Apprendiamo che tre sono le sue consolazioni: leggere gli articoli dell’amico Papini; godere del permesso giornaliero; uscire, infine, dalla caserma Pestrini per incontrare in viale Cavour “la passeggiatrice polacca Sonia, la fanciulla dal passo elastico; palpitante di ritmo nel suo tailleur blumare, nella spiritosa jupetranchée. Ella passa, come un’antilope tra canti di scioffàr … Sonia passa e Io penso all’America “…14

Chissà chi era questa Venere vagante, così seducente! Savinio è anche influenzato dalla lettura di Weininger, il filosofo che aveva sostenuto come tutte le donne (madri, sorelle e puttane) fossero sempre schiave della loro sessualità ed allontanassero la coscienza maschile dalla creatività, unico fine degno di essere perseguito. Senza alcuna vergogna per la sua misoginia, così scriveva sulle ferraresi: “… Le donne giovani sono soprannominate dagli indigeni Bellone… io riscontro in esse un che di terribilmente equino. Passate per via delle Volte! Al confronto, le veneri ultraviolette

12 Mario Pozzati (1888-1947), nato a Comacchio. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, si avvicina al movimento futurista; come cartellonista pubblicitario, diventa famoso nel 1914 per la serie di manifesti dedicati all’attore Ettore Petrolini. Nel 1917 lo troviamo per pochi mesi a Ferrara, come militare ricoverato nel Centro neuro- psichiatrico di Villa del Seminario, assieme a De Chirico e Carrà. Diagnosi di comodo per tutti e tre: “nevrastenia”.

13Pozzati Mario, Saettate, Book editore, Bologna,1994, pag. 27 14Savinio. Epoca Risorgimento,in Hermaprodito, Op. cit.,pag 40

(6)

6

del Boulevard Montmartre, sono una schiera di educande pigliate da entro qualche convitto di Orsoline..”.15

Entriamo ora nella stanza mentale di de Pisis. Le vicissitudini della pulsione sessuale erano un po’ più complesse per il “marchesino”, incerto se essere attratto dal genere femminile oppure da quello maschile. I luoghi sordidi di Ferrara, da lui frequentati, non vengono abbelliti, ma sbattuti in faccia al lettore.

“Dall’orinatorio nero (odore di olio e d’etere )… mi colpì la scritta, in porporina sul cartello di legno, nero come una barca , allungato semplice. Avrei voluto ( e ne sentii l’impulso profondo) vomitare il fiele, l’amaro e la bile secernita dalle mie glandole tenebrose, in questi giorni, ma nel più bello però non ci riuscii e naturalmente ne fui umiliato. Mi avviai semplicemente in fretta a casa. Se la ragazza del casino dei signori, lì presso, mi avesse invitato e pressato, avrei risposto con forzata civetteria:” Ti dico di no.. oh bella!.. Ci avrò le mie buone ragioni!..16

La Ferrara della Grande Guerra e i ferraresi erano veramente così libidinosi come de Chirico, Savinio, Pozzati e de Pisis sostenevano, oppure libidinosi erano loro, i giovani artisti-soldato, che proiettavano fantasie erotiche sulla città e i suoi abitanti?

Torre Panfilia del Castello: 13 e 14 febbraio 1916. La curiosità dei Metafisici, lo abbiamo visto, parte dalle infime stradine medioevali, dalle case chiuse e dagli orinatori, per poi arrivare in alto, fino alle torri del Castello. E’ soprattutto la torre Panfilia di nord-ovest che li attira. Qui era stato allestito l’osservatorio meteorologico del prof. Giuseppe Bongiovanni17, dotato di un telescopio con cui scrutare il cielo in escursione verticale, attraverso una stretta finestra aperta sul tetto. I de Chirico, soprannominati i Dioscuri, frequentavano l’osservatorio e venivano informati sugli eventi celesti, come si deduce dalla seguente prosa poetica:

15Savinio Alberto, Frara città del Worbas, in Hermaphrodito, Op. cit., pag. 52-53 16Filippo de Pisis, Mercoledì 14 novembre 1917, Tip. Paolo Neri Bologna, 1918, pag.19 17Il prof. Giuseppe Bongiovanni, astronomo e Preside della facoltà di fisica e matematica della Università di Ferrara, aveva molti interessi culturali, frequentava le stanze metafisiche di de Pisis e conosceva i fratelli de Chirico.

(7)

7

“ All’astronomo Bongivanni … Entro lo stesso telescopio mirava l’uno la costellazione pomeridiana già scorta dall’altro. Oh dolcezza!... Ma venne la sera si fusero i volumi e le forme … E tardava il mattino”18.

Dalla perifrasi, sappiamo come la costellazioni pomeridiana ( già scorta dall’altro) è senz’altro quella dei Gemelli, le cui stelle principali sono Castore e Polluce, ovvero i Dioscuri della Mitologia. Possiamo facilmente ipotizzare, quindi, che i fratelli de Chirico abbiano potuto contemplare il passaggio di queste due stelle lungo il meridiano

“.. a una decina di minuti l’una dall’altra, a circa 75 gradi di altezza sull’orizzonte, vale a dire molto in alto nel cielo, là dove verosimilmente puntava il telescopio del Castello”19.

Sapendo che i de Chirico erano soprannominati i Dioscuri, ovvero Castore e Polluce, comprendiamo il valore auto-biografico di questo evento celeste da loro osservato ed il motivo per cui viene ricordato in questa prosa poetica.

Anche Savinio, interessato come il fratello all’astrologia, descrive un altro evento celeste: la congiunzione di Giove e Venere sopra Ferrara, verificatasi il 13 e il 14 febbraio del 1916.

“… Notte del 13 febbraio 1916… grandi saturnalia di libidine, nella città della vacca, sotto la notte propiziamente placida, al cospetto dell’indecente connubio di Zeus con Aphrodite affiancati … Notte del 14 febbraio 1916. Proseguimento dei saturnalia. ….

Ma che anche il sistema planetario si contamini d’oscenità, sulla città del Worbas?”20 Partendo dall’allineamento dei due pianeti, Savinio proietta su questo evento celeste la sua potente immaginazioni erotica, ricca di effetti pirotecnici strabilianti.

Passeggiate, caffè e teatri dei Metafisici. Nei loro scritti i Metafisici, stravolgendo l’apparenza sensibile della realtà, ci hanno finora raccontato le incredibili metamorfosi indotte dal terribile Worbas, le stramberie dei ferraresi indotte dalla canapa, nonché la loro personale immaginazione erotica. La letteratura metafisica si appoggia su pochi assiomi filosofici, derivati dalle letture di Schopenhauer e Nietzsche: partire da

18 De Chirico, La notte misteriosa (1916), in Il meccanismo del pensiero (1911-1943), Einaudi , 1985, pag. 43

19 Domenicali Enrica, Le muse inquietanti nel telescopio della torre Panfilia. In Il silenzio e la cura, Faust edizioni, Città di Castello, 2015, pag. 224

20Savinio, “Frara” città del Worbas, in Hermaphrodito, Op. cit., pag. 54

(8)

8

eventi quotidiani, valorizzarne i vissuti auto-biografici, raccontati sempre in maniera anti-realista; favorire il percorso del lettore verso i misteri e le stranezze del mondo, in modo da suscitare stupore o disgusto.

Il quartiere del ghetto esercitava sui Metafisici una potente attrazione, in quanto era una città ebrea dentro la città cattolica; questo quartiere medioevale si era loro offerto come un potente contenitore, urbanistico ma soprattutto culturale, in grado di innescare il sacro fuoco della rivelazione artistica. I Metafisici non passeggiavano soltanto nel ghetto, ma amavano ritemprarsi anche nella parte rinascimentale della città; ad esempio, de Chirico e de Pisis amavano andare in Piazza Ariostea oppure, quando avevano un po’ di denaro, nell’elegante Caffè Folchini in Corso Giovecca.

Savinio, invece, si sentiva attratto da locali più popolari. Racconta che una sera

“passando per via Saraceno, dal losco caffè “Elena” straripante di reclute grigio vestite e di marinai dirigibilisti” gli era piaciuto ascoltare la musica che usciva da quell’infimo ambiente; la canzone, gracchiata dai soldati avvinazzati, era Tripoli, bel sol d’amore. Da de Pisis, poi, sappiamo che in libera uscita i Metafisici cercavano di frequentare il più possibile gli ambienti teatrali. Abbiamo una nota del marchesino, ottobre 1917, riguardante uno spettacolo molto particolare al Teatro Bonacossi, nel quale tutti i suoi amici artisti vengono citati dall’attore:

“… Una sera vado con Giorgino al Bonacossi a vedere Marbis trasformista, generico, ventriloquo ... In uno dei numeri M. si presenta come pittore, e su un cartone illuminato da riflettore, con pastello impiastriccia in pochi minuti un deserto. Questo non è niente. Ma fa una cicalata nella quale rifulgono ( ferma i tuoi palpiti o mio cuore) come in un lampo questi nomi: Marinetti, Soffici, Carrà, Marbis, de Chirico, Savinio..”21

Metafisica e la rivelazione del ghetto. Nel gergo metafisico la rivelazione è quell’esaltante momento nel quale il velo-di-Maya dell’apparenza scompare e l’artista vede le cose-del-mondo in modo nuovo. Eureka, finalmente! In questo sintetico excursus sulla Metafisica ferrarese sottolineeremo soltanto quegli scritti che descrivono la prima rivelazione, vissuta dagli artisti-soldati nel ghetto22. Ne “Le

21Zanotto Sandro, De Pisis ogni giorno, Neri Pozza, Vicenza, 1996, pag 91.

22 Una seconda rivelazione ferrarese? Si, è una ipotesi possibile. A metà del 1917 de Chirico smette di produrre i quadri degli “interni metafisici” e ne comincia una serie diversa dalla precedente; in essi compaiono strani manichini e statue, collocati all’esterno nelle piazze ferraresi: sono Il Trovatore, Ettore ed Andromaca, Il Grande

(9)

9

Memorie della mia vita” de Chirico, ad esempio, ci offre il racconto della sua rivelazione:

“… Ferrara, una delle città più belle d’Italia, mi aveva colpito; ma quello che mi colpì soprattutto e mi ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora, erano certi aspetti d’interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l’antico ghetto, ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane. A tale periodo appartengono i quadri detti “interni metafisici“

che io poi, con alcune varianti, continuai a dipingere e dipingo tuttora.”23 De Pisis descrive la sua rivelazione in via Vignatagliata, nel cuore del ghetto:

“Ad un tratto ecco quasi inconsciamente ci affacciammo al giallastro portone dell’Asilo Infantile Israelitico. Forse ci richiamò la tinta grigiastra oleosa del portale e le bianche lettere rilevate, dodici attorno all’arco. Come esprimere con le povere parole (dio mio, dio mio!) l’orgasmo che mi prese? Io mi sentii dentro al parallelepipedo solido-vuoto di una camerina tutta bigia, magnetizzato davanti allo specchietto verde..

Un languore profondo (non avevo vegliato la notte in abbracciamenti snervanti) mi prese .… un negozietto vicino: un biscotto, una scatola di fiammiferi, un gomitolo di lana …..”. 24

Leggiamo ora la rivelazione vissuta da Savinio:

“… Nelle vetrine dei pasticcieri s’ergono in immense piramidi i dolci neri e bizzarrissimi, che mai nessun vivente mangiò né mangerà. Tagliati essi rivelano la metafisico e le Muse inquietanti. Evidentemente è terminata l’influenza della prima rivelazione del ghetto; è sicuramente in atto una nuova rivelazione, però l’artista non può esplicitarne il contenuto e tanto meno scriverla nelle Memorie. Gli studi psico- biografici hanno evidenziato come la seconda rivelazione sia strettamente legata all’innamoramento per la giovane Antonia Bolognesi, tenuto segreto per non irritare la propria madre, Gemma Cervetto. Significativa è la seguente lettera, tratta dal loro carteggio: “Carissima [Antonia n.d.a] … penso a te che passi per via Giovecca e poi varchi il fronte del castello. Ma forse ora segui un altro itinerario Mia madre fin’ora non fa commenti per le tue lettere. Abbi sempre grande fiducia in me che ti bacio le belle manine e sono e sarò sempre il tuo Giorgio (Bolognesi Eugenio, Una storia d’amore ferrarese, Maretti editore, 2014, pag. 54 )

23Giorgio de Chirico, Memorie della mia vita, Op. cit., pag. 87

24De Pisis Filippo, Asilo infantile israelitico, in La città dalle cento meraviglie, Op. cit., pag.84.

(10)

10

complicata anatomia mineralogica delle loro interiora. Sono spezzati di schisti, sono coproliti, sono forse le feci fossilizzate di quegli uccelli disgraziati che morivano passando a volo sul mortifero Lagoscuro. Tutto, nella città, è pervaso dall’ anima del terribile Worbas! Quei dolci metallici … accompagnano le libazioni offerte alle divinità infernali della regione. Il rito mortuario vuole che, quando muore un ferrarese, siano posti accanto al cadavere un pan pepato e un pan di cedro, che faciliteran l’ingresso del morto nel regno sotterraneo.”25

Anche Carrà ricorda le soste presso i caffè del ghetto:

“… Cittadino delle strade subalterne ho colto il ritmo profondo delle plastiche fissità messianiche che ancora traspirano parole semplificate di leggenda ... Nell’ombra occidua di un caffè ebreo facemmo connubio con l’Età Negra dai vasti splendori inattesi..”26

Mario Pozzati, infine, ci offre un impressionistico bozzetto della combriccola metafisica:

“Caffè: solite facce, soliti abitué. Bivacco di maldicenze, orgogli, speranze, desideri, difese, frivolezze, stanchezze. Quattro segni sul tavolino ed ecco risolto il problema della metafisica. Incrociate occhiate di triglia per il miglior offerente, macchinali sorrisi. Sguardi d’intelligenti, sguardi d’idioti intelligenti…” 27

La rivelazione del ghetto, insomma, viene descritta da tutti e cinque gli artisti; la loro, è stata una esperienza emotiva-lirica-cognitiva molto complessa e non sarà mai possibile chiarirla del tutto. Sicuramente, gli argomenti trattati nei loro scritti vanno ben oltre alle semplici caratteristiche architettoniche del ghetto; è con vero stupore, infatti, che scopriamo come nel cuore della rivelazione ferrarese vi sia una matrice ideologica pro-semitica. In particolare é Savinio, ideologo del gruppo28, che si fa paladino di questa istanza culturale:

25 Alberto Savinio, Frara la città del Worbas, in Hermaprodito, Op.cit., pp. 50-51 26 Carlo Carrà, Arcobaleno di latta smaltata, in “Avan-scoperta”, 25 maggio 1917 (dedicato all’amico Savinio), ora in Carrà 1978, pag. 179

27 Pozzati Mario, Saettate, Op. Cit. pag. 34

28 Nel fondo Savinio di Firenze si trovano Note di storia ebraica, scritte tra il 1910 e il 1935. Nella Metafisica i riferimenti alla ebraicità sono piuttosto superficiali; sono una istanza lirica-estetica, più che uno studio meditato. L’esaltazione del sistema israelitico è presente soprattutto in Savinio; riferimenti biblici ci sono anche in de Chirico e Carrà, quasi nulli in de Pisis e Pozzati (Ara H. Merjian, “L’ora ebrea”. Pittura

(11)

11

“In me vedete il filosemitismo proprio di chi non novera bisavoli marciti dentro i ghetti … Non va dimenticato che il sistema israelitico, sparso nel mondo come un seme indocile, costituisce un campo poco sfruttato, di proficuo stimolo per le nostre intelligenze disciplinate al nuovo e ribelli al morbido delle melensaggini neocristiane.

Questo sistema, con la sua rigida struttura e la sua anatomia scheletrica, può divenire, all’occorrenza, fonte di tali ruscellamenti poetici da sbalordire..“29

E poi conclude: “Molto mi sono temprato nella terribile aridità dello spirito ebreo”.30 Dalla biografia sappiamo come i fratelli de Chirico avessero manifestato un grande interesse per tutte le religioni ed i miti dell’area mediterranea, specialmente quelli inerenti alla “ antica razza” ebraica. Per i fratelli de Chirico la Metafisica ferrarese sarebbe mascolina, austera, secca, segnata dalla linea retta, in quanto le sue radici si troverebbero nella cultura biblica; grazie a questo forte legame con la Bibbia, la Metafisica ferrarese si opporrebbe all’arte moderna, specialmente francese, definita effeminata, pederasta, barocca, segnata dall’esaltazione del cerchio e figlia della molle cultura cattolica. Savinio, e con lui gli altri metafisici, proiettano sul ghetto e su Ferrara tutta, la loro personale interpretazione della cultura e del carattere del popolo ebraico: la semplicità, l’aridezza passionale e l’ironia semitica. E’ all’interno di questa visione che la città estense diventa la capitale della “lussuria geometrica semitica”, facente parte del più vasto “sistema culturale israelitico” sparso per il mondo.

Riflessioni aperte. Per rispondere al “Perché Ferrara è Metafisica” abbiamo seguito un percorso di tipo storico-culturale e psico-biografico, riproponendo alcuni scritti significativi di de Chirico, Savinio, Carrà, de Pisis e Pozzati. Questi artisti guardavano Ferrara attraverso la soggettività del “terzo occhio”, oltrepassando l’apparenza sensibile dell’architettura cittadina per raggiungere il mare magnum dei misteri e delle stranezze sottostanti; questi artisti-soldati sono stati i costruttori del mito di Ferrara Metafisica. In sintesi abbiamo visto come la letteratura metafisica, che con loro stava muovendo i primi passi, sia innervata da tre filoni narrativi, intrecciati e non sempre facili da comprendere. Il primo è di tipo letterario, imperniato sullo spirito del Worbas in Savinio, sulle infiorescenze della canapa in de Chirico ed infine sulla “moria”

metafisica e primitivismo semitico, a cura di Baldacci Paolo, Roos Gerd, De Chirico a Ferrara.Metafisica ed avanguardie”, Fondazione Ferrara Arte, 2015, pag. 59) .

29Savinio Alberto, Il politico, In Hermaphrodito, Op. cit. pp. 225-227.

30Savinio Alberto, Dio-ruota libera, Hermaphrodito, Op. cit., pag. 68

(12)

12

in de Pisis. Il secondo filone risponde maggiormente a problemi di teoria-tecnica della pittura e del disegno: per questi artisti, infatti, esisterebbe un collegamento tra la linea retta (e i triangoli, le squadre, i volumi dei solidi presenti nei quadri degli

“interni ferraresi”) e la “lussuria geometrica” di Ferrara, città “quadra” per eccellenza. La terza narrazione, inaspettatamente, è di tipo ideologico ed è stata poco studiata fino ad ora: secondo Savinio, teorico filo-semitico del gruppo, esisterebbe un insanabile conflitto tra la Metafisica, costruita sulla biblica e severa linea retta del

“sistema israelitico”, e le altre avanguardie europee, impiantate sul degenerato cerchio barocco del sistema papalino-cattolico. Nonostante questi concetti ci appaiano oggi come astruserie ideologiche, il risultato pittorico è stato eccellente: i quadri degli “interni ferraresi” (1916-1917) risultano veramente interessanti nella storia dell’arte metafisica. Alla fine, si sa, sono solo gli artisti ad avere l’ultima voce in capitolo.

Con questo breve saggio speriamo di aver contribuito a chiarire un po’ meglio la complessità del concetto di Ferrara Metafisica. Il lavoro ermeneutico nell’arte è sempre caratterizzato da un incerto passaggio di consegne interpretative/narrative tra i ritornanti del passato (i Metafisici), le persone viventi nel presente (i lettori) e quelle non nate, perciò ancora nel futuro:

“… siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita …”

Riferimenti

Documenti correlati

Next, it defines the six core digitisation activities or processes, then presents a framework for implementing a digitisation program, followed by an overview of the

Newsletter Notizie sul tuo sito Pubblicità su Rassegna.it Vecchio sito RSS Mobile Temi Attualità Contratti Esteri Lavoro Magazzino Sicurezza Sindacati Società Speciali

Il questionario è composto da una tabella (Tab. 1) nella quale il paziente: a) registra il numero di volte alla settimana in cui consuma un certo tipo di alimento; b) segna con

Dopo molti anni consacrati allo studio di Aristotele sui testi originali e su quelli della letteratura contem- poranea, l’autrice, recuperando la metodo- logia, la problematicità

Inoltre, il metodo aporetico di Teofrasto è stato variamente interpretato: in un senso, come metodo sistematico volto a sollevare assurdità del pensiero aristotelico

Se da questo Principio dipendono tutti i fatti del cielo e della natura, come lo stesso Aristotele scrive nel libro  della Metafisica allora se ne deduce che la