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IL COLLEGIO DI ROMA. [Estensore]

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Academic year: 2022

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IL COLLEGIO DI ROMA

composto dai signori:

Dott. Giuseppe Marziale ………..…………... Presidente

Avv. Bruno De Carolis……. Membro designato dalla Banca d'Italia [Estensore]

Prof. Avv. Giuliana Scognamiglio………….. Membro designato dalla Banca d'Italia

Prof. Avv. Saverio Ruperto……. … Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario – per le controversie in cui sia parte un consumatore

Dott.ssa Daniela Primicerio………… Membro designato dal C.N.C.U.

nella seduta del 10.09.2010 dopo aver esaminato x il ricorso e la documentazione allegata;

x le controdeduzioni dell'intermediario e la relativa documentazione;

x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,

Fatto

Il ricorrente, tramite avvocato, espone quanto segue. In data 16.09.09 veniva contattato dal responsabile dell’agenzia della banca convenuta, della quale è correntista, in quanto una certa persona aveva tentato l’incasso di due assegni a valere sul suo conto corrente per complessivi € 80.000 (precisamente: ass. n.

731197359 di € 30.000 e ass. n. 73119758 di € 50.000). Il ricorrente faceva presente di non conoscere il soggetto intestatario apparente degli assegni e pertanto la banca aveva bloccato l’assegno n. 73119758 di € 50.000 non ancora

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Successivamente, il ricorrente effettuava una verifica on-line sul proprio conto accorgendosi che - con valuta 28.8.2009 - gli era stato addebitato l’importo dell’assegno n. 731197359-09 pari a € 30.000. Tale assegno era da ritenersi sicuramente contraffatto in quanto il titolo “originale” si trovava in possesso del ricorrente all’interno di un carnet di assegni “debitamente custodito”. In data 17.09.2009 su richiesta del ricorrente la banca aveva dato corso all’annullamento degli assegni in bianco ancora in suo possesso;

In data 21.09.2009 presentava un reclamo all’intermediario per ottenere la restituzione della somma di € 30.000 indebitamente pagata”; presentava in pari data anche una querela/denuncia di truffa contro ignoti alla sede della Polizia in Latina. Con lettera del 24.11.2009 reiterava il reclamo non avendo ancora ricevuto soddisfacenti chiarimenti dall’intermediario. Fa inoltre presente che, con nota del 10.03.2010, la banca forniva riscontro comunicando di non poter accogliere la richiesta di rimborso in quanto:

x le verifiche formali e materiali eseguite sull’assegno di € 30.000 - presentato in forma cartacea per l’incasso il 3.9.2010 - non avevano rilevato “a vista”alcuna alterazione e/o abrasione a differenza di quanto era stato riscontrato sull’assegno di € 50.000 successivamente pervenuto che presentava una diversa immagine grafica” ;

x la firma di traenza sull’assegno contestato risulta “del tutto corrispondente allo specimen” depositato.

Tutto ciò premesso, il ricorrente chiede all’ABF di condannare l’intermediario a rifondere la somma di € 30.000 relativa all’assegno addebitatogli con valuta 28.8.2009, di cui disconosce la firma di traenza dichiarando che la stessa è

“chiaramente difforme dallo specimen rilasciato” ed evidenziando “la evidente responsabilità in capo alla banca” in relazione alla mancata “diligenza professionale” nell’esecuzione del servizio di cassa.

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Nelle sue controdeduzioni, la banca, dopo ulteriori “accurate” verifiche dell’assegno contestato ribadisce che “a vista” il titolo non presenta alcuna alterazione e/o abrasione, né mancanza di discontinuità cromatiche ” e che la firma di traenza risulta “del tutto corrispondente allo specimen” depositato.

Sottolinea altresì che la correttezza del proprio operato sarebbe anche dimostrata dal fatto che l’assegno di € 50.000 contraddistinto con il numero 731193758, presentato pochi giorni dopo, “era stato respinto nonostante la firma di traenza fosse compatibile con lo “specimen” depositato dal correntista, per il semplice fatto che il supporto cartaceo del titolo presentava una differente immagine grafica”.

Ciò posto, ha specificato che non corrisponde a verità l’affermazione dell’avvocato del ricorrente sul contenuto della telefonata effettuata dal responsabile della filiale il 16.9.2010 che - secondo il ricorrente - avrebbe asserito ”che vi era stato un tentativo” da parte del beneficiario apparente “di incassare gli assegni n. 731197358 per € 50.000 e n. 731197359 di € 30.000”. In realtà la telefonata riguardava unicamente l’assegno di € 50.000 presentato il 15.9.2010 e non l’assegno di € 30.000, che invece risultava già pagato il giorno 3.9.2010 in quanto ritenuto formalmente regolare.

In conclusione la banca chiede che il ricorso sia respinto, richiamando in proposito la sentenza della Corte di Cassazione n. 15066 del 15.7.2005 nella quale si afferma che la responsabilità del pagamento è riconducibile al banchiere solo nel caso in cui l’alterazione della firma risulti visibile “ictu oculi”; presenta inoltre, a supporto delle considerazioni sulla regolarità apparente della firma di traenza, copia dello specimen depositato, dell’assegno contestato e di un altro assegno regolarmente emesso “negoziato dal ricorrente qualche giorno prima” .

Diritto

La questione sollevata nel ricorso riguarda il pagamento di un assegno di euro 30.000 che il ricorrente non ha mai emesso ed il tentativo di negoziazione di altro assegno di euro 50.000 che invece la banca ha bloccato, dandone avviso al

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documentazione prodotta e dalla narrativa delle parti interessate, presenta alcune particolarità. La prima, è che l’autore dell’illecito non ha utilizzato moduli di assegno smarriti dal ricorrente, avendo quest’ultimo dimostrato il possesso dei corrispondenti moduli di assegni in bianco, recanti gli stessi numeri identificativi di quelli utilizzati per le operazioni indebite di cui sopra. Quindi, sotto questo profilo, non sussiste una mancata diligenza di parte attrice nella custodia del carnet di assegni. La seconda particolarità sta nel fatto che detti assegni sono stati presentati per l’incasso presso due distinti uffici postali e recano sul retro l’indicazione di un documento di identificazione del prenditore; pertanto, sembrerebbero negoziati per cassa e non versati su un conto corrente, nonostante il loro considerevole ammontare.

Ma su questi aspetti nessuna della parti ha formulato osservazioni.

Ciò posto, si osserva che il tema oggetto del ricorso riguarda la responsabilità della banca per la negoziazione di assegni falsificati. Va precisato che il ricorrente concentra le sue doglianze sulla difformità della firma apposta sull’assegno negoziato rispetto a quella depositata. Tale difformità sarebbe, a suo avviso, del tutto evidente, mentre la banca, al contrario, afferma che non è riscontrabile alcuna difformità tra la firma apposta sull’assegno e quella risultante nello

“specimen” di firma.

Fatte queste premesse, va rilevato che il pagamento dell’assegno bancario da parte della banca trattaria si configura come esecuzione di una disposizione impartita dal traente e cioè come esecuzione di un incarico ricevuto dal correntista, che in quanto tale è soggetta, in base al disposto dell’art. 1856 c.c., all’applicazione delle regole del mandato (artt. 1710 e segg. c.c.) e dunque, innanzitutto, all’obbligo del mandatario di agire con diligenza. La diligenza che la banca è tenuta ad osservare nel controllo della genuinità dell’assegno deve naturalmente essere valutata con riferimento alla natura dell’attività esercitata (art.

1176, secondo comma, c.c.) e va quindi commisurata a quella “particolarmente qualificata” dell'accorto banchiere (cfr. sent. Cass. n.13777 del 12 giugno 2007 e n. 3389 del 7 marzo 2003), vale a dire (non di un generico soggetto di media

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diligenza, ma) di un professionista dedito a quel particolare ramo di affari e quindi dotato, in quel settore, di una specifica esperienza e competenza.

Peraltro, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, superando il primitivo orientamento propenso ad accollare la responsabilità alla banca trattaria, inquadrandola nel rischio inerente all’attività di impresa (salvo prova della colpa del traente), si è successivamente attestata su un diverso indirizzo, per cui la responsabilità della banca per negligenza nel pagamento di un assegno falso sussiste solo se, ad un esame attento del titolo, la difformità delle sottoscrizioni sia rilevabile “ictu oculi”, in quanto la banca non è tenuta ad utilizzare particolari attrezzature, quali strumenti meccanici o chimici, al fine di evidenziare le falsità o le eventuali alterazioni (v. da ultimo: Cass., Sez. I civ, 2 aprile 2010, n.8127).

Nella fattispecie, la banca, nelle sue controdeduzioni, ha fatto presente che, ad un attento esame, la firma risultava apparentemente conforme a quella depositata dal cliente ed inoltre veniva accertata “l’assenza di alterazioni e/o abrasioni, nonché mancanza di discontinuità cromatiche” o di altre apparenti alterazioni materiali che potessero rilevarsi controluce. Ha fatto presente, altresì, che diverso è stato il risultato dell’esame del secondo assegno di euro 50.000, apparentemente tratto a favore dello stesso nominativo: quest’ultimo assegno è stato, in effetti, respinto a causa di una rilevata difformità dell’”immagine grafica”, benché la firma apparisse regolare. Ha ulteriormente evidenziato come la verifica della firma sia stata effettuata attraverso un confronto sia con lo “specimen”

depositato, sia con la firma apposta dal cliente su un altro assegno di euro 100.000 (centomila), da lui emesso e regolarmente negoziato qualche giorno prima (che la banca ha prodotto in fotocopia).

Date queste premesse, il Collegio osserva che la firma apposta sull’assegno negoziato di euro 30.000, confrontata con quella dello specimen, non presenta difformità evidenti tanto da configurare un falso grossolano facilmente rilevabile;

pertanto, considerata la contestazione della banca circa la non rilevabilità con l’ordinaria diligenza della falsità della firma, spetta al ricorrente l’onere di dimostrare il contrario. Ma non risulta che il ricorrente abbia fornito specifiche

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potuto insospettire la banca circa la possibile irregolarità del titolo nella sua materialità, come, ad esempio, eventuali differenze grafiche rispetto ai moduli di assegni normalmente in uso.

Pertanto, sulla base degli orientamenti giurisprudenziali sopra enunciati, deve ritenersi che non sussistono elementi di prova per affermare la responsabilità della banca per negligenza negli accertamenti compiuti, dovendosi al contrario rilevare che la stessa ha agito con la necessaria attenzione, avendo impedito la negoziazione del secondo assegno, di importo ancor più rilevante (euro 50.000), accorgendosi di alcune irregolarità nella grafica dell’assegno, benché la firma di traenza risultasse apparentemente conforme a quella depositata. Va altresì considerato che non poteva destare particolare sospetto l’emissione di assegni di elevato ammontare, posto che il ricorrente, come già osservato, aveva emesso proprio in quei giorni un altro assegno di euro 100.000, negoziato regolarmente.

In conclusione, si ritiene che non sussistano i presupposti per l’accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

Il Collegio respinge il ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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