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FORUMN.A. FORUM DELLA NON AUTOSUFFICIENZA E DELL AUTONOMIA POSSIBILE

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LA GENESI DELLA RESIDENZIALITÀ COLLETTIVA PER GLI ANZIANI

Carla Costanzi

SESSIONE

GM01 – “LE RSA E LA LEZIONE DELLA PANDEMIA”

Giovedì 25 novembre

FORUM DELLA NON AUTOSUFFICIENZA E DELL’AUTONOMIA POSSIBILE

FORUMN.A.

XIII EDIZIONE

BOLOGNA | 24-25 novembre 2021

Centro Congressi Savoia Hotel

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Workshop GM01 “Le RSA e la lezione della pandemia”

La genesi della residenzialità collettiva per gli anziani (Carla Costanzi)

Tra le tante considerazioni che hanno connotato le narrazioni sulla pandemia, una particolarmente ricorrente è stata la raccomandazione, l’auspicio, il proposito di considerare questa drammatica esperienza anche come una lezione da non sprecare, da non cancellare senza averne tratto qualche insegnamento.

Il nostro libro si colloca proprio in questa scia, volendo essere una riflessione da più punti di vista su come si potrebbero migliorare alcuni aspetti della situazione precedente l’esplosione del contagio. Ci siamo pertanto concentrati in primo luogo sull’imputato principale di questa tragedia: le RSA, descrivendo quanto è successo in questi mesi e provando a riflettere sul loro imminente futuro, a partire dalle considerazioni sulle ragioni della loro sopravvivenza, messe in dubbio da alcuni e invece supportate da molti dati nelle ipotesi da noi condivise. Resta però il fatto che molte cose debbano cambiare, sia nella struttura organizzativa che nell’assetto strutturale, dalle dimensioni (numero ospiti) alla destinazione d’uso degli spazi …..

E’però da chiarire l’avvio di queste riflessioni, essendo il primo capitolo intitolato “La genesi della residenzialità collettiva per gli anziani”: potrà infatti sembrare strano che un libro pensato e scritto per proporre una riflessione sul presente, sulle criticità emerse negli ultimi mesi a causa del Coronavirus e tuttora non del tutto concluse, riflessione che intende proiettare nel futuro le lezioni che la pandemia ci ha presentato, un libro cioè ancorato nel presente per prefigurare il futuro si apra con un capitolo retrospettivo, addirittura di secoli.

Ripercorrendo la storia della vecchiaia nei Paesi occidentali, troviamo esempi molto lontani nel tempo di soluzioni alloggiative di tipo collettivo: le prime testimonianze risalgono infatti alla fine del Medioevo. Se ne descrivono nel testo le realizzazioni più interessanti e originali per concentrarsi poi sui secoli XVII e seguenti e in particolare su quanto realizzato in Inghilterra.

Iniziamo quindi illustrando le motivazioni di questo excursus storico. In primo luogo ripercorrendo l’evoluzione delle differenti soluzioni adottate dalla fine del Medioevo ad oggi per ospitare gli anziani in strutture di residenzialità collettiva si evidenzia il perdurare di un pesante stigma sociale nei confronti dei reclusori, discredito che è particolarmente accentuato nell’Inghilterra del XVII, XVIII e particolarmente nel XIX secolo (età vittoriana): oggetto di paura e ripugnanza assimilabile alle descrizioni di Dickens della crudeltà verso i bambini in analoghe situazioni (Oliver Twist). Le misere condizioni di vita della maggior parte della popolazione in quegli anni, la necessità di lavorare sino a quando le forze non si esaurivano del tutto impedendo di procurarsi un seppur precario sostentamento, la mancanza di una qualche forma di assistenza sanitaria non erano sufficienti a far desiderare la soluzione istituzionalizzante. Questo diffuso sentimento di ripugnanza, nonostante la gravosa alternativa rappresentata dalla vita in libertà, fece definire le workhouses inglesi come “house of terror”.

Tale percezione pesantemente negativa perdurante nei secoli nonostante alcune trasformazioni via via realizzate a livello locale, ma senza scalfire i tratti organizzativi di base ( lavoro a volte anche duro e comunque tedioso, regole rigide ed oppressive, cibo limitato, separazione dei componenti della famiglia anche se ospitati nella stessa struttura …) contribuisce a spiegare la difficoltà odierna a smantellare convinzioni consolidatesi nei secoli; inoltre leggere il presente alla luce di quanto accadeva nel passato induce a interrogarci sui progressi fatti, ma anche sulle carenze che purtroppo ancora persistono.

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Le Poor Law inglesi

Già dal XVI secolo le comunità inglesi sostenevano, seppur in forme molto contenute, le principali necessità degli anziani più poveri attraverso le Poor Laws1 (emanate tra il 1597 e il 1601 da Elisabetta I prevedevano l’erogazione di assistenza ai poveri tramite le parrocchie che gestivano i fondi provenienti dalle tasse pagate dalla comunità locale). Si tratta di una sorta di legge quadro , rimasta in vigore seppur con molte modifiche e integrazioni sino alla fine della seconda guerra mondiale, che organizza il sistema di assistenza ai poveri (e tra questi col passare degli anni gli anziani divennero sempre più la quota prevalente) dal momento che prevede oltre alla collocazione in residenze collettive, anche aiuti economici e in beni di prima necessità, nonché la sistemazione in alloggi (le Almshouses) a loro dedicati. Va sottolineato il carattere globale di questi interventi, condizione decisamente all’avanguardia per i tempi nei quali furono regolamentati; inoltre la fonte delle risorse necessarie al mantenimento del sistema non era, come nel resto d’Europa, la beneficenza di qualche benestante o di un re, tratto che metteva a forte rischio la sopravvivenza dell’istituzione dato il carattere episodico della donazione. In Inghilterra i fondi provenivano dalle tasse pagate dalla comunità di riferimento, caratteristica estremamente rilevante sulla quale si tornerà più avanti. Qui sottolineo appunto la continuità che questo tipo di erogazione garantiva.

Un sistema quindi che, nonostante le innegabili criticità rilevate da alcuni studiosi contemporanei, come ad esempio l’ammontare molto contenuto degli aiuti in denaro erogati in alcuni periodi, è stato decisamente all’avanguardia rispetto al resto d’Europa. A queste leggi si somma il principio socialmente condiviso che una comunità è tenuta a fornire un aiuto economico a coloro che sono vecchi, poveri e impossibilitati a mantenersi: secondo Richard Smith (1998,pp.70 e seguenti2) in Inghilterra alla fine del XVII secolo, quando la percentuale di ultra sessantenni era quasi del 10% 3 (proporzione mai più raggiunta sino agli anni trenta del XX secolo), era diffusa l’aspettativa che fosse la comunità a fornire un sostegno economico ai lavoratori ultrasettantenni;

il sostegno familiare, laddove possibile, era comunque considerato accessorio piuttosto che sostitutivo dell’intervento della comunità, qui rappresentato dalle parrocchie civili (le parish erano nel mondo anglosassone il livello più basso dell’amministrazione locale). Solo i figli, infatti, avevano l’obbligo di provvedere ai loro genitori anziani, ma, si noti, solo se questi erano assolutamente indigenti, ovvero non era la scarsità di risorse (povertà) bensì l’assoluta mancanza di mezzi (indigenza) a comportare questa imposizione; agli altri parenti (fratelli, sorelle, nipoti) non era richiesto alcun intervento. L’aiuto consisteva prevalentemente in contributi economici, senza tuttavia che fosse previsto alcun obbligo di ospitare nella propria dimora l’anziano genitore.

Laddove dunque la famiglia non interveniva in soccorso dei propri anziani, era spesso la comunità a farsene carico. Il sistema inglese instaurato dalle Poor Laws prevedeva che l’assistenza destinata ai poveri ed in particolare agli anziani fosse finanziata – come si diceva - dalle risorse provenienti dalle tasse pagate a livello locale, ovvero dalla comunità di appartenenza. Era pertanto la comunità a prendersi cura dei suoi componenti più fragili e questo tratto ha plasmato ( qui la

1 Questi strumenti giuridici, rimasti in funzione sino alla fine della seconda guerra mondiale, codificavano in modo definitivo il sistema assistenziale nato nel tardo medioevo.

2 Smith R. M. (1998), Aging and Well-being in Early Modern England. In Johnson and Thane, Old Age from Antiquity to Post-Modernity, London and New York, Routledge.

3 Questa particolare struttura demografica era dovuta non solo alla bassa natalità del periodo, ma anche alle consistenti quote di giovani adulti emigrati verso il Nord America, Caraibi e Irlanda; come conseguenza si stima che più del 33 % degli ultrasessantenni non avessero figli viventi nelle vicinanze. Si veda in proposito Wrigley E.A. and Schofield R.S. (1981), pp.215-219.

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deduzione è solo di mia responsabilità) una peculiare caratteristica della mentalità anglosassone:

pilastro centrale del sistema delle Poor Law era costituito dall’assunzione di responsabilità assistenziale da parte della comunità (ciò mentre nell’Europa continentale , come si é detto precedentemente, questa tipologia di interventi scaturiva da singole donazioni o era a carico di istituzioni caritatevoli di matrice religiosa).

Tra le riflessioni che questa comparazione suggerisce può rientrare anche l’ipotesi che riconduce a questo diffuso sentire la differente percezione della responsabilità collettiva, il cosiddetto “senso civico” che, se è concesso generalizzare al massimo, connota ancor oggi I cittadini inglesi rispetto ad esempio alla popolazione italiana.

Ci sono poi altre ragioni che hanno indotto a descrivere la situazione inglese.

La straordinaria mole di informazioni resa disponibile dalle Poor Law

Il fatto che a finanziare l’assistenza nelle workhouses come pure nei confronti degli anziani che rimanevano a domicilio si utilizzassero denari pubblici ha comportato che i responsabili di tali servizi rendicontassero minuziosamente tutto quanto riguardava il loro intervento .

Ciò ha lasciato una straordinaria mole di informazioni spesso molto dettagliate che consente oggi di studiare accuratamente svariati aspetti della vita sociale inglese dei secoli passati, dalla struttura e composizione delle famiglie (v. Peter Laslett) all’organizzazione delle workhouse, dai problemi sociali e sanitari di chi chiedeva aiuto all’andamento e alla consistenza dei beni e servizi forniti (soprattutto generi alimentari, combustibili, indumenti, ma anche pagamento dell’affitto e assistenza sanitaria) tutto ciò nei differenti periodi storici e contesti geografici. Si sottolinea questo aspetto perché getta una luce particolare sul nostro presente:

tutt’oggi non sappiamo con precisione quante sono le RSA in Italia, né quanti sono gli anziani non autosufficienti e potrei continuare a lungo … e ciò nonostante la strumentazione informatica di cui disponiamo, nonché la preparazione professionale degli operatori del settore.

Sebbene il fattore determinante la povertà non fosse il genere, bensì l’età, lo studio degli atti relativi all’applicazione delle Poor Laws evidenzia come le donne ricevessero aiuti economici dalle parrocchie a partire da un’età più bassa rispetto agli uomini: nelle aree studiate da Susannah Ottaway l’età media delle donne al momento dell’accesso a tali contributi si aggirava tra i 65 ed i 66 anni, mentre per gli uomini questa soglia si attestava sui 69 anni4; l’importo di tali contributi, non è irrilevante sottolinearlo, andava aumentando con l’avanzare dell’età.

Per molti poveri avanti con gli anni, ed in particolare per le donne, nelle ultime decadi del XVII secolo l’unica via d’uscita per sopravvivere fu pertanto entrare nelle workhouse, dove trascorrere gli anni finali delle loro vita in ambienti rigidamente organizzati, privati della loro libertà personale. I legami con le comunità di appartenenza venivano così recisi, aprendo la strada alla pervicace convinzione che gli anziani siano un fardello la cui presa in carico comporti la marginalizzazione sociale e la segregazione dalla vita collettiva.

La costrizione al lavoro nei reclusori europei

La diffusione di questa soluzione assistenziale, che offriva sì un rifugio, ma obbligava i più al lavoro, richiede una precisazione.

4 Ottaway S.R. (2004), The decline of life: Old age in eighteenth century England,Cambridge, Cambridge University Press, p.240.

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Va infatti sottolineato che la costrizione al lavoro per i poveri abili connotava tutti gli interventi assistenziali nell’Europa del tempo; peraltro prima dell’introduzione del pensionamento anche chi non viveva recluso doveva lavorare sino a quando le forze lo permettevano, cioè sino al raggiungimento di una totale decrepitudine (a meno che non fosse in grado di mantenersi in altro modo, disponendo di risparmi o investimenti, condizione questa assai rara). In Inghilterra , come sul continente, scopo dei reclusori era principalmente l’allontanamento dei mendicanti dall’abitato per rinchiuderli in luoghi appartati nei quali dovevano essere educati attraverso una ferrea disciplina fondata soprattutto sul lavoro coatto nelle manifatture interne. In Italia, ad esempio, si aprirono in molte città gli Alberghi dei Poveri, la cui popolazione, a differenza di quanto accadeva in diverse workhouse inglesi, era costituita prevalentemente da giovani.

In queste strutture la funzione del lavoro era ambivalente: poteva essere considerato un esercizio religioso, un atto d’obbedienza ai sacri testi (si vedano Genesi e Ai Tessalonicesi) o anche come contributo alle necessità dell’ospedale, provvedendo abiti, scarpe e coperte o mantenendone la pulizia; poteva anche servire come addestramento dei giovani che un giorno avrebbero lasciato l’istituto.

Concludo con un’annotazione locale, anch’essa interessante indicazione programmatica da tener presente: nel 1851 Vincenzo Ricci , Deputato all’Albergo dei Poveri di Genova, compì un viaggio europeo di visite a una lunga serie di enti. La finalità di questo “grand tour” era il reperimento di qualche elemento che potesse essere d’aiuto per la gestione dell’Albergo genovese. Ricci visitò più di quaranta istituzioni in Francia, Inghilterra, Belgio, Prussia, Austria e Italia : ospedali, ospizi di carità, ospizi per esposti e anziani, ma anche asili, case per gli invalidi o per gli orfani, scuole, istituti per ciechi, case di correzione e lavoro e addirittura un carcere penitenziario, realtà cioè tra loro piuttosto differenti per poter fare un raffronto con le molteplici assistenze erogate a Genova dall’Albergo.

Al di là di uno sbrigativo auto-assolvimento da parte di questo rappresentante dell’Amministrazione verso il suo stesso operato, emergono dal suo resoconto interessanti annotazioni circa alcuni parametri ritenuti evidentemente di grande importanza per valutare complessivamente il servizio offerto dalle differenti realtà. Ad esempio a Parigi, alla Maison de Bicétre, il vitto giornaliero, oltre a mezzo chilo di pane e venti centilitri di vino, comprendeva una zuppa con legumi a pranzo e una con carne alla sera; in generale l’apporto nutrizionale nelle case di ricovero francesi e inglesi era migliore per la maggiore presenza di carne e formaggio e in generale per un paniere di alimenti maggiormente diversificato. Un ulteriore argomento a favore dei reclusori inglesi sembra fosse la migliore fornitura d’acqua a bagni e latrine e la migliore pulizia della biancheria. Anche i letti francesi e inglesi erano piuttosto confortevoli rispetto a quelli, pessimi, in uso nell’Albergo di Napoli. Quasi sempre era presente un servizio sanitario stabile di più medici. In conclusione l’Albergo genovese, se non risultava una realtà di eccellenza a livello europeo, si situava in una fascia intermedia di servizio non mostrando in molti aspetti del suo funzionamento né gli sfasci dell’assistenza napoletana o viennese, né l’eccellenza di molte realtà parigine o londinesi.

Resta il fatto che l’istituzione genovese prese la decisione di interrogarsi sul proprio ruolo e sulle modalità con cui venivano svolti i compiti conseguenti, mettersi cioè in discussione, comparando il proprio operato con quello di altre analoghe strutture: è una sorta di benchmarking ante litteram che ci offre un ulteriore spunto di riflessione sui percorsi da seguire per innovare e migliorare l’operato di un servizio.

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Workshop GM 01 “Le RSA e la lezione della pandemia”

Progressivi adattamenti delle strutture residenziali:

come modificare gli ambienti

Carla Costanzi

Forum della non autosufficienza e dell’autonomia possibile

Bologna

24-25 novembre 2021

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Correlazione tra affollamento delle strutture e morbilità/mortalità da Covid

• In un indagine statunitense condotta in 9.395 N.H. si è

riscontrato che le strutture con più di 150 ospiti hanno avuto un rapporto infetti/non infetti da Covid 6,5 volte maggiore rispetto a quelle con 50 o meno residenti.

[Abrams HR, Loomer L, Gandhi A, Grabowski DC.(2020)]

• In uno studio condotto in Ontario (Canada) su più di 600

strutture la mortalità nelle N.H. dove erano presenti tre persone per stanza è stata due volte superiore a quella delle strutture che avevano mediamente 1,5 persone per stanza.

[Brown, KA , Jones, A. , Daneman, N. , Chan, AK , Schwartz, KL , Garber,

GE , Costa, AP e Stall, NM (2021)]

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Conseguente ipotesi di riorganizzazione delle strutture

• Progressivo ampliamento del numero di camere singole dotate di servizio igienico

• Spazi per accoglienza parenti ed altri visitatori

• Stanze Soezelen

• Ripensare le modalità dell’ingresso in residenza

• Adattamento degli orari della vita collettiva

• Attenzione al benessere degli operatori

• Comfort e sicurezza per i malati di Alzheimer

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Esempio di servizio igienico debitamente configurato

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Nursing Home a Malmő(Svezia): la cucina per gli operatori

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Il salotto per il personale

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Zona pranzo per il personale

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Comfort e sicurezza

per i malati di Alzheimer:

alcuni esempi

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La presentazione del cibo : errori da evitare

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Uso corretto del colore

Riferimenti

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