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SAN GIOVANNI DELLA CROCE

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Academic year: 2022

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SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Una luce antica

per la spiritualità contemporanea

MARIA TONDO

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A san Giovanni della Croce per il dono della sua presenza come mio compagno di viaggio

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Prefazione

di Sabino Chialà

Giovanni de Yepes era nato nel 1542. Abbracciando la vita religiosa, prese il nome di Giovanni di San Mattia. Ma, pur nella sua non lunghissima vita terrena – morì infatti nel 1591 a quarantanove anni – cambiò nome una seconda volta, assu- mendo quello di Giovanni della Croce.

Per un religioso il nome non è un semplice codice di iden- tificazione, ma ha a che fare con la sua vocazione. A quello di battesimo, testimone dell’immersione nella morte e nella resurrezione di Cristo, Giovanni accostò per l’ultimo e deci- sivo tratto del suo itinerario la memoria della croce.

Per il riformatore dell’Ordine carmelitano quel segno salvifico avrebbe avuto una pregnanza particolare. Non solo per i travagli del nuovo inizio di cui fu collaboratore; e sap- piamo che, come ogni ricominciamento, anche quello intra- preso da Giovanni, insieme a Teresa, fu costellato di prove e sofferenze. Ma soprattutto per la particolare esperienza spiri- tuale che gli fu dato di vivere. Egli è infatti il teologo ferito dall’amore di Dio, che seppe fare del Cantico dei cantici, narrazione di desideri che si rincorrono senza mai giungere alla pienezza di una pacificazione, il canovaccio della propria sequela Christi.

Parla anche di unione con il Dio trinitario, cioè con la comunione insita nel Dio unico, cui gli ha aperto l’accesso la carne di Cristo, e dunque ancora la croce. Ma si tratta di una

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comunione goduta nella notte, mescolata alle tante notti che Giovanni dovette assaporare prima di attraversarle.

In tutto questo gli furono maestre le Scritture, che seppe tenere con sé come mappa con cui orientarsi nel cammino spesso impervio e soprattutto solitario. Da esse apprese, oltre che dalla sua personale esperienza, il tesoro delle parole che i suoi scritti ci consegnano.

Questi scritti, o meglio la sua esperienza di Dio lì attestata, gli valsero quasi un secolo fa, nel 1926, la proclamazione a dottore della Chiesa universale, titolo riservato ai grandi teo- logi della tradizione cristiana.

Proprio lui, riconosciuto e apprezzato come mistico, diventa uno dei massimi teologi, nonostante l’indebita ma affermata distinzione, e spesso contrapposizione, tra teologia, da una parte, e spiritualità mistica, dall’altra.

Giovanni si presenta infatti come un teologo atipico, tra quelli che per parlare di Dio preferiscono ricorrere al linguag- gio della poesia, piuttosto che a quello della definizione dog- matica, riallacciandosi così a un’antichissima tradizione che vede in Efrem il Siro uno dei migliori esempi, non a caso dichiarato dottore della Chiesa universale poco prima di Gio- vanni, nel 1920. Due teologi che prediligono l’immagine, il paradosso, la metafora, come peraltro il loro Maestro che, cat- turato dalle realtà più semplici e quotidiane, ne faceva para- bole del Regno.

Maria Tondo, nelle appassionate pagine che seguono, entra in dialogo con questo gigante del passato, non per vol- gersi indietro, ma quasi per invitarlo a dialogare con il nostro mondo, con le sue sfide e le sue opportunità. Intessendo così un dialogo di riconoscenza, in cui l’autrice dice di voler ren- dere conto di un incontro avvenuto tanti anni or sono, ma ancora vivo e fecondo.

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Dialogare col Santo: ecco la sfida di questo libro. Met- tersi davanti al suo volto, per esserne rimandati a un altro Volto, quello che anche lui cercava, e poi al proprio volto, e a quello del nostro mondo, fatto di uomini e donne, e di creato che attende di essere visto e amato. La vera contemplazione, infatti, non fugge la realtà, ma si concentra per vedere tutto, in primo luogo ciò che è prossimo e infinitamente piccolo.

Lo sguardo ha una grande importanza nell’insegnamento di Giovanni. Quello con cui è possibile andare al cuore delle cose, anche le più piccole, per scorgervi la grandezza del segno che esse contengono. Uno sguardo attento che accende il cam- mino, altro tema particolarmente presente in questo libro.

Un cammino in compagnia di chi attesta di essere rima- sto fino alla fine semplicemente per via, attraversando luoghi impervi e notti oscure. Che come ciascuno di noi ha avuto paura e ha imparato a confidare. Dice infatti molto bene l’au- trice: il suo pensiero e la sua dottrina sono stati snaturati fino a farne un eroe e un superuomo che a furia di ascesi giunse al dominio delle passioni.

Egli, invece, parla di un sapere pieno d’ignoranza che nel cammino mistico porta ad una ignoranza piena di sapienza. È un cammino di conversione e di alleggerimento dei pesi gra- vosi dei peccati, ma anche dei fardelli delle nostre vacue idee su Dio, che ce ne allontanano anziché rendercelo intimo.

Un cammino di conversione in cui alleggerirsi anche per diventare ospitali, nei confronti di un mondo che ha molto da offrire oltre che da chiedere, spesso attraverso quei volti che meno ne riteniamo capaci.

E qui è ancora questione di sguardo, di capacità di vedere, per cui è necessario quel percorso di purificazione di cui Gio- vanni parla ripetutamente.

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Siamo dunque grati a Maria Tondo che, a molti anni da quel suo primo incontro con questo grande cercatore di Dio, ha avvertito la gioia e il desiderio di farne parte a noi che viviamo giorni di pena e di speranza, di fragilità e di forza nel Signore.

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Abbreviazioni opere e documenti

CA Cantico Spirituale A CB Cantico Spirituale B FA Fiamma viva d’amore A FB Fiamma viva d’amore B N Notte oscura

S Salita al Monte Carmelo V Vita di santa Teresa d’Avila AD Attesa di Dio di S. Weil EG Evangelii gaudium EN Evangelii nuntiandi ES Ecclesiam suam EV Evangelium vitae GE Gaudete et exsultate GS Gaudium et spes LF Lumen fidei MC Marialis cultus

NMI Novo millennio ineunte VC Vita Consecrata

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Introduzione

«La fede per sua natura è un invito ad aprirsi verso la fonte della luce, rispettando il mistero proprio di un Volto che intende rivelarsi»

(LF 1,13)

Ciò che mi appassiona e che amo è la vita coi suoi inesauribili significati. Per questo, spesso, mi fermo col desiderio di esplo- rare in lontananza il senso nascosto di momenti e fatti acca- duti. Qualcosa m’interpella oggi come un volto che è vivo in me. Fu un contatto di sguardi tra me e Giovanni della Croce come tra lettore e interlocutore che continuano a dialogare nel tempo.

Fin d’allora capii che la conoscenza del mondo interno non può fare a meno di alcuni volti e sguardi che dopo il primo incontro s’imprimono nella memoria. A volte, basta poco:

la lettura di un racconto, l’ammirazione di un’opera d’arte, l’ascolto di un brano musicale, la visione estatica di un pae- saggio per fare uscire dall’oblio un’immagine che si trasforma in parola nuova piena di vita poiché pone ancora domande importanti e ineludibili.

Basta un volto che si racconta con la bellezza della sua poesia e c’immergiamo in quell’altro mondo che per incanto diventa nostro per sempre. All’improvviso la freschezza del reale ci pervade. Con queste parole rendo un omaggio di gra- titudine al teologo e mistico, poeta e artista: “uomo celestiale e divino”.

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La sua capacità di dialogo con la storia di ogni tempo diceva la naturale disposizione a comunicare cuore a cuore attraverso la Parola. Fin dal primo momento accadde anche a me nel rapporto con lui che mi proponeva un mondo non teorico, ma basato sull’esperienza e sulla conoscenza di sé per giungere all’unione con Dio.

Da appassionato osservatore dei segni dei tempi, incontrava gli uomini col desiderio di condividere e non d’insegnare. E, ora, esploro un fatto depositato nell’archivio della mia memo- ria dopo l’inizio di un viaggio che continua. Ricordo di aver ritrovato me stessa come persona capace di uscire dall’autosuf- ficienza per nascere a vita nuova. Era accaduto anche ai disce- poli, addormentati per l’incapacità di guardare la Croce.

Gesù attende ancora la conversione dello sguardo di ogni creatura. Secondo Charles de Foucauld, colui che ama e si trova di fronte all’Amato non può che amare fissando lo sguardo su di Lui.

Oggi, sembra che basti correre, travolti dal frenetico ritmo della vita che nega il tempo per il contatto degli sguardi.

Eppure, senza il tempo per guardare, le relazioni si svuotano di contatto coi sentimenti. Così, il viaggio della vita travolto dalla realtà virtuale si disincarna, poiché esclude la fisicità dell’esperienza con l’atto del fermarsi e del guardarsi. E resta vuota la nostalgia di toccarci con gli occhi.

«Vogliamo vedere quegli occhi

che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono

quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare

quando guardano con tenerezza...

Tu sai quanto sia grande, proprio per questo tempo,

il bisogno del tuo sguardo e della tua parola.

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Tu lo sai bene che un tuo sguardo

può stravolgere e mutare le nostre anime».

Giovanni Papini, Storia di Cristo (1921)

Per incontrare san Giovanni della Croce occorre fermarsi.

E io ho deciso di sostare e di guardarlo mentre faccio memo- ria di lui.

È ancora viva in me l’emozione per una lettura che fin dal primo momento divenne mio nutrimento spirituale. Com- presi che nel cammino scopriamo il senso dei fili invisibili dell’esperienza quando volgiamo lo sguardo alla Parola. «È mistico colui o colei che non può fermare il cammino e che, con la certezza di ciò che gli/le manca, sa di ogni luogo e di ogni oggetto che non è questo, che qui non si può risiedere né accontentarsi di quello. Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove»1.

Davvero, la fede non è mai uguale a se stessa nel cammino verso Dio.

Giovanni della Croce si pone accanto e fa luce sul luogo dove Dio c’incontra. Egli è là, ecco, ci guarda e ci chiama. E noi Gli rispondiamo: «Ti seguiamo, Signore». Lo vediamo nei nostri «luoghi di vita»: i villaggi dove siamo intenti alle fatiche quotidiane, le piazze e le strade, le città e le case, le chiese e i luoghi di lavoro dai quali ci sentiamo inviati nel mondo dopo aver osservato non ciò che appare alla vista, ma la realtà nasco- sta dentro a quello che appare.

Il Santo mi donava la luce dello sguardo di Dio che mi sve- lava l’invisibile. E, d’allora, cominciai a fare un viaggio nel mondo della spiritualità incarnata dentro la mia quotidiana esperienza di unione con Dio.

1 S. Petrosino, Michel de Certeau e il respiro della mistica, Vita e Pen- siero, Milano 2015, p. 353.

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«Chi si sforza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avverta, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quelle che sono» (GS 36).

E con «la spiritualità» come ricerca e costruzione di senso dell’individuo e della collettività costruisce un «noi» come casa comune nelle relazioni.

Ora, con la mano timida di una bimba che ha paura di sbagliare, mi accingo a raccontare l’esperienza del Santo che mi ha proposto un viaggio con una lunga e paziente traver- sata, per giungere ad un’umile comunità di Chiesa come espe- rienza con un corpo e una risonanza nel vissuto personale e comunitario.

Dopo la mia prima tappa formativa ero affascinata da que- sta visione che mi proponeva la direttrice del “viaggio spiri- tuale” approdata al Santo. (A volte, un fatto che s’inscrive nella discontinuità ci fa incontrare uno sconosciuto e lo comin- ciamo ad amare da volerne parlare perché con la luce dei suoi occhi vediamo un nuovo centro dell’universo alla distanza che crea lo spazio per accedere a una vera forma di conoscenza).

E io ho trovato il vero centro dov’era la risposta anche a tante mie domande inesplorate.

Il suo dialogo con la storia, adatto anche all’uomo contem- poraneo, ha lasciato un segno in me, che non sono esperta del Santo né di antropologia e non so offrire un panorama di spiritualità o di teologia sanjuanista. Però, continuo a impa- rare da lui da volerne parlare per l’esperienza del nuovo equi- librio tanto impossibile quanto inaspettato che la sua presenza sa creare.

«L’anima acquista gradualmente virtù, forza e perfe- zione, perché la virtù diventa perfetta nella debolezza»

(cf. 2Cor 12,9).

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La dimensione paolina è presente nella sua esperienza di vita. Egli parla di un sapere pieno d’ignoranza che porta ad una ignoranza piena di sapienza.

Allora, la conversione genera il modo di vivere del Signore Gesù con lo stile dello stare accanto. Se esploriamo la bellezza della fede con le nostre risorse, non vediamo nulla. «Ero di spalle alla luce e di fronte agli oggetti illuminati; per questo il mio viso vedeva le cose illuminate, però egli non era illumi- nato» (cf. Sant’Agostino, Le confessioni, IV, 16, 30).

Non si può misurare l’esistenza coi criteri dell’appariscenza poiché occorre «il linguaggio eloquente di una esistenza trasfi- gurata» (VC 20).

E la via proposta dal Santo è l’esperienza di essere affer- rati da Dio secondo una mistica che va al di là della riflessione teologica e filosofica. La fede prende carne nella vita quando diventa esperienza di Qualcuno che entra in noi con lo Spi- rito e ci rivela Dio come mistero da contemplare. «Passando al di sopra di tutto ciò che spiritualmente o naturalmente può sapere o capire, l’anima deve desiderare con ogni desiderio di giungere a ciò che in questa vita non può sapere e [...] desear con todo deseo, giungere a ciò che sorpassa ogni sentimento e gusto»)2.

Mi son chiesta più volte da cosa sia nata la mia partico- lare attenzione alla spiritualità del Santo e ho capito che la sua esperienza è stata nuova luce sulla mia identità di cristiana. «Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto»

(Gb 42,5).

2 Giovanni della Croce, Opere, Postulazione Generale dei Carmeli- tani scalzi, Roma 1985, p. 319, S 4,6.

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Alcuni incontri, a volte, ci segnano per sempre, poiché un volto ci ha toccati fino ad emozionarci per averci istruiti sulla vita in modo nuovo. E da quel momento tutto diventa sorpresa da saper stare nudi davanti a Dio. Certo, ci vuole tempo per mostrarci nella complessità delle nostre contraddi- zioni e occorrono momenti di riposo per vedere con un nuovo sguardo d’amore la nuova luce. È accaduto a me nell’incon- tro con san Giovanni della Croce quando frammenti della sua storia son diventati luce per me.

Quel momento mi ha segnata per sempre poiché aveva toc- cato un desiderio custodito a lungo nello scrigno della mia anima. E gli voglio dire il mio grazie per l’avventura del viag- gio che mi ha proposto e che continua insieme con lui.

L’itinerario del viaggio inizia con lo sguardo al nostro tempo per il quale san Giovanni della Croce resta «una luce antica»

che splende ancora luminosa riuscendo a far vedere ciò che è invisibile e nascosto: scopre l’interiorità della vita che nasconde e celebra il mistero di Dio.

Nella scrittura ho compiuto un viaggio:

– nella parte centrale evidenzio il riferimento alle presenze caratterizzanti della spiritualità carmelitana: Elia, uno dei padri della vita monastica che scopre la voce di Dio nasco- sta in fragili e invisibili segni attraverso la cernita e il vaglio delle prime certezze e intuizioni che lo avevano conse- gnato al mondo dei sogni e delle illusioni. L’essere umano non può crescere senza abbandonare le vecchie compa- gnie interne. Solo quando si distacca da sé, può ascoltare, rispondere e scegliere la via di Dio. «Ecco, il Signore passò e (il profeta) sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?”»

(1 Re 19,13).

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– Altra figura fondamentale è la Vergine Maria, una delle devozioni più antiche e più amate dalla cristianità, legata alla storia e ai valori spirituali dell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (i Carmelitani).

– Poi, attingo la spiritualità di san Giovanni della Croce dalla sua opera conclusiva: Fiamma viva d’amore.

– Alla meta, la Parola erompe nella vita di ognuno e nella sto- ria, e il mistero di Dio illumina il mondo di nuova luce che rischiara nuove dimensioni del vivere. In fondo alle cose, vive una freschezza fiammeggiante, sorgiva.

Abbiamo imparato che dire sì a Dio è accettare di fidarci incondizionatamente della Sua presenza e partecipare agli altri l’esperienza del rapporto d’amore con Lui. Allora, parliamo di Cristo come testimoni delle trasformazioni operate in noi che hanno creato una maggiore libertà interiore. E giungiamo alla scoperta della nostra vera identità. «Al principio della mia esi- stenza sta una iniziativa, un Qualcuno, che ha dato me a me stesso. In ogni caso sono stato dato, e dato come questo indi- viduo determinato»3.

L’uomo sperimenta la lontananza da questa realtà e si dibatte tra la ricerca del suo destino e l’impossibilità di trovare la verità da solo. Poi, è sottratto all’indifferenza e alla distanza e va verso il Signore tra crisi e resistenze col desiderio di con- segnarsi a Lui. Allora, lo sguardo amante di Dio lo fa esistere come persona in relazione. E in un balzo che porta il limite più in là sente accendere in sé la luce della consapevolezza che svela ciò che appare intraducibile in parole.

La natura e la vocazione del nostro essere uomo e donna sono evocati da questo sguardo divino che si fa dialogo nel

3 R. Guardini, Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1992, p. 13.

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cuore umano. In questo viaggio accade attraverso la presenza di Giovanni della Croce che aiuta a vedere persone, accadi- menti e cose come luoghi in cui la Parola si fa carne mettendo tutto insieme dentro e fuori.

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