La Settimana Santa tra Liturgia e pietà popolare
Nella cultura popolare del nostro sud, la Settimana Santa, ha sempre occupato un posto fondamentale. Proprio in questi giorni, infatti si
rinnovano tradizioni antiche che sono espressione della profonda fede che anima il popolo. Tradizioni che coinvolgono l'intero paese, che partecipa attivamente alla Passione e Morte di Gesù Cristo. Anche la Chiesa investita in prima persona, viene ad assumere una funzione analoga a quella che nel lutto privato svolge la casa (il tabernacolo viene sostituito dal sepolcro, le campane smettono di suonare ecc.).Ma ripercorriamo brevemente le tappe di questa settimana santa vissuta tra la liturgia e pietà popolare. Essa come ben sappiamo viene introdotta dalla domenica delle Palme, che ricorda l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Lo attesta infatti lo sventolio dei rami della palma che è simbolo di vittoria e di trionfo, ma anche di pace e di benedizione.
MERCOLEDI' SANTO
Di mattina le donne si recano in chiesa, portando vasi o piatti di grano ingiallito (sostanza dell'eucaristia) messo a germogliare al buio per
quaranta giorni, a partire dal mercoledì delle ceneri (atto a rappresentare i quaranta giorni di Gesù Cristo nel deserto).
GIOVEDI' SANTO
La devozione popolare vuole che al termine della Messa si pone il
Santissimo Sacramento nell'urna e si mette il crocifisso a terra, dove viene adorato e baciato dai fedeli. Segue poi la visita ai sepolcri, il cosiddetto
"struscio". I sepolcri sono adorni di drappi e vasi contenenti piante di grano e vino. Il grano sta ad indicare il pane, e il vino il sangue di Cristo. Sette, poi, e il numero dei sepolcri che il fedele deve obbligatoriamente visitare durante lo struscio, per guadagnarsi protezione divina. Ma ciò che la liturgia vuole sottolineare in questo giovedì santo è che il sepolcro non va visto come luogo della deposizione di Gesù, bensì come il luogo in cui Gesù é riposto, quindi vivo e presente per essere adorato, non nell'urna ma nel tabernacolo. Inoltre la Chiesa celebra la Cena del Signore. E' la celebrazione che riunisce tutta la comunità, il clima celebrativo è particolarmente
solenne. Vari elementi possono contribuire a sottolineare questo clima e cioè un' ambiente intimo e festoso, il colore bianco degli abiti liturgici, il
suono festoso delle campane durante l'intonarsi del "Gloria". L'insieme della liturgia risulta caratterizzata dalla celebrazione memoriale dell'ultima cena durante la quale Gesù istituisce 1' Eucarestia e quindi il sacerdozio
ministeriale, dal segno della lavanda dei piedi, memoria viva del
comandamento del Signore sull'amore fraterno e sul servizio, e inoltre del prolungamento di questi misteri nel segno dell'adorazione del S.S.
Eucarestia.
VENERDI' SANTO
Si ricordano le ormai note processioni chiamate "croci", in quanto si portano delle croci di legno che vogliono indicare il rinnovamento spirituale. Questo rito affonda le radici in epoca appena posteriore alla morte di Cristo quando gli apostoli solevano percorrere con frequenza la via dolorosa, seguiti dalla folla di Gerusalemme. La via Crucis fino al XIV sec. non veniva effettuata fuori dalla città di Gerusalemme furono i francescani che dopo il 1342 introdussero nei loro conventi riproduzioni della via Crucis. Questa pratica da allora non ha più conosciuto limiti. Si tratta in effetti di processioni costituite da fedeli che attraversano il paese incappucciati e che sono chiamati "paputi". Il rito di questo giorno è fondato tutto sul simbolismo della croce, attraverso cui avverrà la purificazione e l'ascesa del paputo che rappresenta l'uomo comune, l'uomo quotidiano che proprio attraverso
questo cammino di purificazione raggiunge la salvezza. La croce pertanto è il simbolo del Cristo morente e del Cristo risorto e per analogia del
credente-paputo che muore e risorge a nuova vita. La liturgia del venerdì santo celebra la Passione del Signore: il mistero di questo giorno è
dominato dalla croce che apre soprattutto al silenzio, alla contemplazione, alla supplica I momenti che caratterizzano questa contemplazione sono la liturgia della parola incentrata nel racconto della Passione, in particolare, e l'adorazione della S. Croce. Questo e l1unico giorno in cui la Chiesa non celebra l'Eucarestia.
SABATO SANTO
La comunità veglia in contemplazione presso il sepolcro del Signore
meditando la sua passione e morte fino alla solenne veglia. Nella notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Resurrezione all'interno della Veglia
Pasquale madre di tutte le veglie, come ci ricorda S. Agostino, la Chiesa contempla il memoriale della Pasqua celebrando la Resurrezione del
Signore. Tutto ciò è preceduto dalla benedizione del fuoco segno del forte amore di Dio per l'uomo nel dono del suo figlio Gesù, la benedizione dell'acqua lustrale, segno di lavacro, purificazione e rinascita, e avendo proclamato Cristo Signore come l'inizio della nostra storia di resurrezione, di salvezza.
Venerdì Santo a Sarno
La giornata è caratterizzata dalle «Croci», che sono delle processioni di gruppi di fedeli incappucciati («paputi»), i quali, intonando canti in tappe stabilite, percorrono tutte le vie della città, L'etimologia del termine «paputo» si ricollega al latino «pappus» che vuol dire sia «vecchio» che «senecione» (la quale è un'erba delle «Composite», riducibile semanticamente e fonicamente a
«senex» = «vecchio»; l'elemento vegetale ritorna spesso in questo rito del Venerdì Santo). Simbolicamente dunque il «paputo» è l'uomo «vecchio» - si ricordi che il rito dell'incappucciarsi va visto come correlativo alla Morte - : il
«paputo», attraverso il rito della Pasqua Passaggio «passa» ad una nuova
«giovinezza», ad una vita rinnovata dall'esperienza del Sacro. Nelle «Croci» di Sarno è pertanto possibile leggere un richiamo all'«iniziazione». In tal caso anche il cappuccio stesso dal latino «caput» = «testa») è determinante: infatti sappiamo come storicamente proprio la testa e i capelli nel rito dell'iniziazione erano oggetto di un trattamento particolare. I capelli venivano bruciati e
nascosti sotto un copricapo speciale, spesso di forma conica: era questa una delle «prove, a cui il fedele e l'iniziando si sottoponevano per conseguire un
«rinnovamento spirituale».
Le cappe che i confratelli indossano sono bianche. Questo colore rinvia alla condizione di «coloro che, pur vedendo, non sono visti» a causa del loro carattere diafano e trasparente, e dunque ai Trapassati. In tal senso
richiamano l'esperienza della «morte al peccato». Altri colori prevalenti sono il celeste (nel cingolo della Croce dell'Immacolata Concezione) che, il colore del cielo, indica la profondità dell'infinito in cui l'uomo si smarrisce e si ritrova al tempo stesso, ed il viola, che, presente nella Croce dei Morti, è il colore della temperanza e dunque dell'equilibrio fra il Cielo e la Terra. Solo i paputi della Confraternita di S. Matteo hanno la caratteristica peculiare del cappuccio rosso, che rimanda alla sofferenza del sangue.
Proprio S. Matteo è il punto più significativo dell'itinerario delle Croci. I paputi ascendono la collina su cui si erge l'artistica Collegiata del Santo, percorrendo un cammino a spirale: ad ogni curva del borgo detto «Terravecchia», si trovano dinanzi a una croce lignea lì sistemata in una sorta di edicole votive: mimano in tal modo l'ascesa di Cristo al Monte Golgota
I canti delle Croci
Da un'analisi dei canti che accompagnano le «Croci» e che vengono tramandati dai gruppi appartenenti alle varie Confraternite (canti
peraltro spesso aulici e talvolta in testo latino) è possibile evidenziare il modo in cui il fedele «vede» la Morte di Cristo e modella il suo destino su quello di Gesù. Innanzitutto è emblematico il modo in cui nei canti sarnesi viene presentato il contesto, in cui si svolge il Dramma della Croce. Un sacro «horror» pervade le cose («Trema commosso il mondo»): tutto è bloccato ed in esso si verifica non una presenza passiva degli esseri viventi, ma (come nei testi di S. Alfonso e dei
«Vangeli Apocrifi») una sospensione del ritmo vitale in attesa di una liberazione e di una glorificazione. Dinanzi agli «occhi» del fedele (il
«veder la Morte» è il Leit-motiv dei riti del Venerdì) si snoda un
«dramma» esemplare: «L'alta impresa è già compiuta / E Gesù con braccio forte / negli abissi la ria morte / vincitor precipitò».
La «descensio ad Inferos» di Cristo può essere considerata un' «alta impresa», paragonata dunque - ad un livello naturalmente più alto e pregnante - al processo di iniziazione di un Eroe, che, superate le «alte»
prove, scende fino alla Morte per sconfiggerla e risalire, con una gloriosa anabasi, fino alla Vita, di cui fa dono al suo popolo fedele. Ciò è
confermato anche dal paragone di Cristo con l'Albero (Egli è definito
«albero verde») e dalla presenza della Croce arborea e lignea, che
rimarcano il ruolo della ierofania vegetale: essa infatti viene, nella storia delle religioni, intesa come «centro del mondo», «ombelico della Terra», punto di incontro fra le regioni ctonie, terrestri e celesti, suscitatrice di energie rivitalizzanti.
Prima del «viaggio», rappresentato dalla processione delle «Croci», il fedele si sente
(«Troppo infermo e lasso / dammi tu coraggio / acciò nel viaggio / non m'abbia a smarrir»); ma durante il «viaggio» stesso sperimenta insieme a Cristo la Morte (in quanto muore l'uomo vecchio e rinasce l'uomo nuovo), vivendo l'avventura dell' «iniziazione» che è naturalmente un momento di rischio («tu mi assisti in quel fiero periglio»). Il
superamento di esso conferisce al devoto una sicurezza che gli consente di affrontare i rischi reali e materiali dell'esistenza, tra cui la morte
stessa. In tal senso il dramma delle «Croci» è la manifestazione del dolore di una comunità (tipica del Sud), segnata dalla «precarietà esistenziale» e dal timore del Negativo e al tempo stesso proiettata verso il proprio Riscatto grazie alla partecipazione collettiva ad un rito sacro di rigenerazione e di protezione.
scritti del Prof. Franco Salerno