CAPITOLO III-‐ L’IMPORTANZA DELLA BIODIVERSITA’ PER LA VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI DI QUALITA’.
SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. L’olivo come baluardo della diversità – 2.1 Biodiversità e paesaggio – 2.2 Biodiversità e olio – 3.
L’educazione del consumatore a sostegno della qualità –
1. Nell’indagare sul rapporto che lega il concetto di qualità dei prodotti agroalimentari al territorio d’origine degli stessi, in particolar modo in un’ottica di valorizzazione, e più che mai nel particolare scenario dell’olivicoltura, non si può non far riferimento all’importanza del concetto di biodiversità.
La Convenzione sulla diversità biologica
1(e successive modificazioni) conclusa a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, definisce
1 Nel corso del 2010, dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “Anno Internazionale della Biodiversità”, si è tenuta a Nagoya, in Giappone, la decima Conferenza delle Parti della Convenzione per la Diversità Biologica, nel corso della quale è stato adottato un Protocollo sull’Accesso alle Risorse Genetiche e la Giusta ed Equa Condivisione dei Benefici derivanti dal loro utilizzo (Protocollo ABS), è stato rivisto il Piano Strategico per il periodo 2011-‐2020 che adotta una nuova visione per la Biodiversità della CBD da conseguire entro il 2050, ed individua una nuova missione per il 2020, con 5 obiettivi strategici e 20 obiettivi operativi. In tale contesto internazionale, si noti che, l’Italia si è dotata di uno strumento di fondamentale importanza per garantire una reale integrazione fra gli obiettivi di sviluppo del Paese e la tutela del suo inimitabile patrimonio di biodiversità, ossia la Strategia Nazionale per la Biodiversità approvata in seguito ad una proficua concertazione tra il Ministero dell’ambiente e le Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, con l’intesa espressa dalla Conferenza Permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome nella seduta del 7 ottobre 2010.La missione prevede di avviare azioni urgenti ed efficaci per fermare la perdita di Biodiversità in modo da assicurare, entro il 2020, che gli ecosistemi abbiano capacità di recupero e continuino a fornire i servizi essenziali, in modo di assicurare la varietà della vita sul pianeta e da contribuire al benessere umano e all’eradicazione della povertà. Perché ciò
la biodiversità
2come variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi tra l’altro gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito della specie, e tra le specie degli ecosistemi.
La graduale riduzione della biodiversità del mondo vegetale, a seguito del fenomeno denominato “erosione genetica”, è una questione di grande attualità oltre che di rilevanza internazionale, la cui soluzione necessariamente riguarda tanto le iniziative di carattere scientifico, quanto quelle politiche e dei comportamenti privati. Per ognuna delle specie di appartenenza, infatti, occorre individuare, e mettere a punto, la miglior strategia di conservazione in situ ed ex situ e di reintroduzione sul territorio in caso di rischio di estinzione. La biodiversità agraria, o agro-‐biodiversità, si
avvenga, occorre ridurre le pressioni sulla Biodiversità, ripristinare i servizi ecosistemici, utilizzare le risorse biologiche in modo sostenibile e fare in modo che i benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse genetiche siano condivisi in modo giusto ed equo; è altresì doveroso procurare adeguate risorse finanziarie, attuare politiche adeguate e basare l’attività decisionale su solide basi scientifiche e sul principio di precauzione. La Strategia si pone dunque, come strumento d’integrazione della esigenze della biodiversità nelle politiche nazionali di settore, riconoscendo la necessità di mantenerne e rafforzarne la conservazione e l’uso sostenibile per il suo valore intrinseco e in quanto elemento essenziale per il benessere umano, rispondendo appieno alla sfida 2011-‐2020 per la Biodiversità. http://www.minambiente.it/pagina/biodiversita
2 Il termine biodiversità fu coniato, come BioDiversity, da W. D. Rosen nel 1985 che fuse in un’unica parola l’espressione Biological Diversity. Dopo la Conferenza di Rio de Janeiro (1992), tale termine è entrato di prepotenza nel lessico italiano. Tra i punti inclusi nella Convenzione viene riconosciuto il valore economico e di ‘scambio’ della diversità biologica, insostituibile fonte di materia prima biologica per l’agricoltura. Tale valore non può, comunque, essere reso disponibile a chiunque, affermando semplicemente che la diversità biologica costituisce un’eredità comune dell’umanità, ma va riconosciuta una ‘sovranità nazionale’ sulle risorse biologiche.
presenta come sottoinsieme della biodiversità naturale, ed è costituita dall’insieme delle varietà di piante e di razze animali presenti in natura e selezionate nei secoli dall’uomo, utilizzate a scopi alimentari o ornamentali. In particolare, la tutela dell’agro-‐
biodiversità nel settore agricolo risponde all’esigenza di conciliare un’agricoltura produttiva con la tutela degli ecosistemi, mantenendo la complessità e la ricchezza genetica delle specie agricole, sia coltivate sia selvatiche.
In tale quadro, dunque, assume particolare rilievo il cosiddetto ruolo multifunzionale dell’agricoltura, ormai pienamente riconosciuto dall’ordinamento europeo e nazionale, che grazie anche a una maggiore sensibilità delle istituzioni e dei cittadini in questo senso, consente di costruire interventi e percorsi finalizzati alla tutela delle risorse genetiche locali.
Come evidenziato dal Piano nazionale sulla biodiversità d’interesse agricolo,
3approvato dal MIPAAF nel 2008, “la conservazione delle varietà locali
4non è realizzabile se non nel bioterritorio,
5con le tecniche agronomiche dettate dalla tradizione rurale locale, in un rapporto strettissimo e di dipendenza reciproca tra chi effettua la
3 Per il reperimento e ulteriori approfondimenti
http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/biodiversita/documenti/nazionale/piano-‐nazionale-‐sulla-‐
biodiversita-‐di-‐interesse-‐agricolo
4 “antiche popolazioni costituitesi ed affermatesi in zone specifiche, in seguito alle disponibilità offerte dall’ambiente naturale e dalle tecniche colturali imposte dall’uomo. Tali materiali sono dotati di un notevole adattamento e rappresentano interessanti fonti di geni per caratteristiche di qualità e produttività in ambienti marginali. Tuttavia, al di fuori dell’area di origine, le varietà locali spesso non reggono il confronto con le moderne varietà” si v. Barcaccia G., Falcinelli M., 2005. Genetica e genomica. Liguori Editore. Volume II: 539.
5 inteso come luogo in cui le varietà locali si sono adattate e caratterizzate nel tempo, grazie all’azione degli agricoltori locali.
conservazione “ex situ” (banche del germoplasma), e chi effettua la conservazione “in situ” (coltivatori custodi). La possibilità reale di recupero e di reintroduzione nel bioterritorio o zona tradizionale di coltivazione, inoltre, deve essere necessariamente legata a politiche di valorizzazione delle produzioni dei coltivatori custodi e al sostegno che essi possono ricevere per continuare l’attività di coltivazione delle varietà locali, soprattutto quelle a rischio di estinzione. ”
6A questo scopo occorre dunque definire un sistema generale e condiviso di tutela basato su:
1. la corretta identificazione della risorsa genetica data dal legame con il territorio (ricerca storico-‐documentale) e dalle caratteristiche morfologiche e genetiche;
2. la corretta impostazione dei metodi di conservazione “in situ” e “ex situ” a livello locale sia con i coltivatori custodi o loro comunità, che con le banche del germoplasma;
3. l’impostazione di un processo di valorizzazione delle varietà locali, e la loro reintroduzione quando possibile sul territorio, soprattutto di quelle a rischio di estinzione.
L’importanza che il territorio riveste per le varietà locali, rende, di fatto, impossibile la loro conoscenza conservazione e valorizzazione a prescindere da esso; peraltro si osservi che, molto spesso tali varietà sono coltivate in ambienti marginali, dal punto di vista
6 Queste definizioni vanno integrate da quella date dalle varie leggi regionali italiane, principali depositarie delle competenze in materia agricola, in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone ( razze e le varietà locali), in sintesi definite come le specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni originari del territorio regionale, oppure di origine esterna, purché introdotte da almeno 50 anni in esso, ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e nel suo allevamento; sono oggetto di tutela anche le varietà locali attualmente scomparse dal territorio regionale, ma conservate presso orti botanici, allevamenti o centri di ricerca presenti in altre Regioni o paesi.
territoriale (prevalentemente zone di collina e montagna), dove possono avere una maggiore stabilità e persino essere più produttive di molte varietà moderne, e dove svolgono anche un importantissimo ruolo di presidio del territorio.
In considerazione di questo, ben si comprende l’importanza del ruolo delle Regioni e Province Autonome
7che, proprio in virtù della loro maggior vicinanza alle realtà locali, rappresentano i soggetti maggiormente a conoscenza del territorio. Tutte le iniziative di recupero, caratterizzazione, conservazione e valorizzazione, dunque, è necessario che siano intraprese solo ed esclusivamente in accordo o su proposta di soggetti locali, pubblici o privati, residenti e operanti sul territorio interessato.
Le banche dei geni a oggi esistenti hanno svolto, e continuano a svolgere, un ruolo molto importante nella collezione e conservazione delle risorse genetiche vegetali, ma è altrettanto vero che la sola conservazione “ex situ”, come evidenziato sia in occasione della CBD sia in occasione del Trattato FAO 2001, non garantisce la reale conservazione della risorsa, tanto meno l’uso durevole della stessa. Di conseguenza occorrerà sperimentare nuovi metodi di conservazione e di collezione delle risorse genetiche
7 Negli ultimi anni infatti numerose sono state le azioni promosse dalle regioni in difesa della biodiversità agraria: programmi mirati che vanno dalle iniziative di ricerca all’emanazione di specifiche leggi in materia di risorse genetiche. In estrema sintesi, i sistemi di tutela istituiti dalle varie leggi regionali, sono basati essenzialmente su quattro punti principali: l’individuazione della risorsa genetica e la sua caratterizzazione; l’iscrizione a un apposito repertorio o registro regionale; la conservazione in situ (sul territorio) ed ex situ (in laboratorio); la valorizzazione.
Per ottenere le finalità appena citate sono stati istituiti alcuni strumenti normativi collegati sinergicamente tra loro: i registri regionali; la banca regionale del germoplasma; i coltivatori custodi;
la rete di conservazione e sicurezza.
vegetali, che prevedano un rapporto stabile con il territorio di provenienza della risorsa che sappia monitorarne la presenza e l’evoluzione. Tale rapporto non può che instaurarsi attraverso le Regioni e Province Autonome
8che, per la loro vicinanza al territorio, potranno meglio identificare le comunità o i gruppi di agricoltori locali (coltivatori custodi) in grado di attuare una corretta conservazione “in situ”. Inoltre, si rende assolutamente prioritario definire le soglie di rischio oltre le quali la varietà sono da considerare a rischio di estinzione e, pertanto, oggetto specifico di tutela. Tali soglie dovranno essere condivise e riconosciute da tutti i soggetti scientifici e non, operanti nel settore. La tutela di una risorsa genetica a rischio di estinzione deve essere garantita da un soggetto, principalmente pubblico che se ne faccia carico, sostenuto anche dalla legislazione nazionale.
9Vanno pertanto definiti, attraverso linee guida, i migliori strumenti di sostegno alla conservazione “in situ” e “ex situ” e di valorizzazione sul territorio di coltivazione tradizionale.
Le varietà locali, in ragione della larga base genetica che le contraddistingue, rappresentano il principale materiale genetico di base per la costituzione di nuove varietà o per il miglioramento delle esistenti, rappresentando dunque una fonte eccellente di geni utili. Proprio per tali motivi, è necessario che siano correttamente identificate attraverso una caratterizzazione basata su una ricerca storico-‐documentale, tendente a dimostrare il legame con il territorio di provenienza, le caratteristiche varietali che questo ha
8 Art. 3 L 101/2004 -‐ “Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, con Appendici, adottato dalla trentunesima riunione della Conferenza della FAO a Roma il 3 novembre 2001”.
9 L. 6-‐4-‐2004 n. 101 per il reperimento della norma http://www.normattiva.it/uri-‐
res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2004;101
favorito nel tempo, una caratterizzazione morfologica e quando possibile, anche molecolare o genetica. L’attività di tutela della biodiversità agraria ha visto solo in tempi relativamente recenti, una maggiore attenzione da parte delle istituzioni pubbliche, ed è prevalentemente svolta da parte dei soggetti scientifici presenti sul territorio nazionale e regionale (CRA, CNR, Università, e altri Istituti di ricerca).
10L’auspicio è che gli interventi nazionali e regionali siano sempre più trasversali e coordinati, nella valorizzazione della tipicità locale avuto riguardo di tutti i compositi aspetti che essa coinvolge.
10 Ultimamente si sono aggiunte numerose collezioni di varietà locali gestite da enti come Regioni e Province Autonome, Province, Comunità Montane o da soggetti privati singoli o associati.
2. L’olivo e l’olio, come esposto in precedenza, hanno caratterizzato nel corso dei secoli il paesaggio l’alimentazione e la cultura dell’intero bacino del Mediterraneo diventando insieme simbolo e risorsa più rappresentativa di tale area. La specificità italiana, come si è avuto più volte occasione di ricordare in precedenza, è legata essenzialmente alla presenza del più vasto patrimonio varietale (biodiversità) al mondo, il quale annovera oltre 350 cultivar censite e catalogate.
11Le diverse regioni italiane, nel corso del tempo, hanno, infatti, conservato nei loro territori diversi genotipi di olivo legati alla storia, alla tradizione e all’economia regionale circostanza che, come detto in precedenza, lega in maniera inscindibile la realtà produttiva alla dimensione locale.
La motivazione principale di tale ricchezza di biodiversità olivicola, è senza dubbio da attribuire alla longevità e “quasi immortalità”
tipica di questa specie, sulla quale, a differenza di moltissime altre specie da frutto, non si è verificata una pressione selettiva tale da ridurne drasticamente il numero di varietà, permettendo dunque un’ampia conservazione di genotipi di olivo nel mondo, nel corso della storia.
12(Morrone, Rotondi, & Magli) Ma, è bene ricordare, però, che in tale opera di conservazione ruolo rilevante è stato svolto dai cosiddetti “agricoltori custodi”, i quali hanno saputo mantenere e valorizzare tale straordinario patrimonio con lavoro paziente e continuo, seppur nelle differenti tradizioni colturali dei diversi areali, trasformandolo, di fatto, da paesaggio “naturale” a paesaggio “storico” caratterizzante, e dando luogo a differenti pratiche colturali, il cui valore non necessariamente appartiene alla sola produttività economica in senso stretto.
11 La Grecia in questa speciale classifica sulla biodiversità olivicola occupa il secondo posto ma con
“sole” 50 varietà di olive classificate.
12 (Morrone, Rotondi, & Magli)
Questa grande varietà rappresenta una ricchezza e un capitale inestimabile per l’olio di oliva italiano, che se ben valorizzato e stimolato, sarebbe in grado di far compiere un deciso passo in avanti all’intero comparto nella competizione con gli altri Paesi produttori, passo da ormai troppo tempo necessario.
Non solo, si consideri che, l’olivicoltura è uno di quei particolari settori nei quali la multifunzionalità si manifesta in modo più evidente essendo chiamata a svolgere contemporaneamente più funzioni con un diverso accento tra di esse in funzione delle condizioni in cui si colloca: funzione economico-‐produttiva di fornire reddito e occupazione per gli operatori della filiera, quella di contribuire alla conservazione delle buone condizioni ambientali, e quella di contribuire all’identità del territorio e del suo paesaggio.
In questo senso, dunque, ben si comprende come le scelte pubbliche e private relative all’attività produttiva si leghino e interagiscano indissolubilmente con le scelte di governo del territorio, proprio in considerazione delle molteplici valenze produttive, paesaggistiche e ambientali che tale comparto è in grado di esprimere.
13(Zorini &
Polidori, 2010, p. 17-48)
In effetti, in un quadro dove gli attori della filiera olivicola si trovano a operare in uno scenario di mercato caratterizzato da crescenti livelli di competitività e contemporanea riduzione dei livelli di redditività, correlato al divieto di espianto e abbattimento degli ulivi,
14(che impedisce agli olivicoltori di sostituire impianti
13 Zorini, L. O., & Polidori, R. (2010, Febbraio 11). Aspetti economici e ambientali dell'attuale olivicoltura Toscana. PROBLEMI E PROSPETTIVE DELL'OLIVICOLTURA (II), p. 17-‐48.
14 La Corte di Cassazione con sentenza della III° Sezione Civile n. 12473 del 10/11/1991 ha ampliato il concetto di abbattimento anche all'espianto realizzato nella forma di cavatura con zolla, si ritiene opportuno innanzitutto informare che il divieto previsto dal Decreto Lgs Lgt. 27/07/1945 n. 475 come modificato dal D.P.R 10/06/55 n. 987 è stato inserito fra gli obblighi a carico degli olivicoltori
antichi con altri più giovani e quindi più produttivi, o direttamente con altre colture più redditizie), il rischio è che si assista a un progressivo abbandono dell’olivicoltura, in primo luogo di quella marginale, ma per estendersi poi man mano a tutte quelle piccole realtà aziendali (che si ricordi sono in prevalenza) che in tale situazione non riescono coprire i livelli minimi di redditività. Le conseguenze di tale situazione, giova ricordare, non sarebbero solo quelle economiche e sociali legate all’uscita dal mercato di una notevole quota di realtà aziendali, ma anche le inevitabili ripercussioni paesaggistico-‐ambientali di erosione del territorio olivicolo, vera e propria catastrofe, tra l’altro, anche in considerazione della forte vocazione turistica del nostro Paese.
È chiaro che allora un’efficace politica di valorizzazione della
“qualità” dell’olio, non possa che passare attraverso efficaci politiche di valorizzazione e sostegno della “qualità”
dell’olivicoltura nazionale
15capace di tenere conto delle specificità che la contraddistinguono, ma anche di tutte le funzioni complementari che la compongono (paesaggistiche ambientali, sociali, culturali).
previsti dal Decreto 15 dicembre 2005 relativo alla Disciplina di condizionalità dei pagamenti della PAC. Inoltre, al di là della casistica rientrante nelle disposizioni del suddetto Decreto Ministeriale 15 dicembre 2005, cui si rinvia anche per la disciplina dei controlli e delle sanzioni, si ritiene che la materia in questione rientri fra quelle di competenza regionale, come previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 18/10/2001 concernente modifiche al titolo V della Costituzione. Pertanto, saranno le Regioni a stabilire eventuali modalità procedurali per l'autorizzazione all'espianto, ivi compreso un possibile coinvolgimento delle Camere di Commercio interessate. www.mipaaf.it 15 La filiera olio nel sistema agroalimentare italiano è per natura e dimensioni di forte impatto economico, sociale e ambientale, considerato anche che circa l’8% della SAU (superficie agricola utilizzata) in Italia è oggi dedicata alla coltivazione dell’ulivo.
Parte integrante di questo processo, è stato e deve continuare a essere, il rilevante contributo offerto dalla ricerca scientifica.
L’importante opera d’individuazione caratterizzazione e conservazione delle risorse genetiche olivicole, operata dai vari istituti di ricerca, e i programmi volti al miglioramento genetico sono solo una parte dei risvolti pratici a sostegno dell’attività produttiva. Avuto riguardo, ad esempio, delle esigenze di trasparenza e integrità della filiera agroalimentare (esigenze che impongono l’individuazione e lo sviluppo di efficienti sistemi di certificazione e controllo-‐tracciabilità, origine e sicurezza alimentare-‐), del prodotto finale, ma anche dei processi di trasformazione, conservazione, e distribuzione, appare chiaro che un’impostazione tecnico-‐scientifica in grado di allinearsi con gli standard di qualità internazionali, è fondamentale.
Compito dei decisori pubblici ai vari livelli, della ricerca, e degli stessi attori della filiera è quello, dunque, di istituire percorsi di confronto continuo, collaborazione e sinergia, fondamentali nel definire strategie comuni volte a valorizzare l’intero comparto, qualificando non solo la tipicità, salubrità, tradizione e i benefici effetti sulla salute dell’olio, ma anche una maggiore sostenibilità delle produzioni (intesa sia come ridotto impatto ambientale, che come giusta retribuzione agli addetti).
2.1 Particolare attenzione merita in questa sede la questione della tutela e valorizzazione degli alberi di ulivi secolari e plurisecolari presenti in maniera diffusa in molte zone del nostro territorio i quali, costituiscono un patrimonio naturalistico e storico di grande rilievo per il nostro Paese, e vanno pertanto considerati non solo nella loro dimensione produttiva, ma anche come importanti presidi di difesa ecologica e idrogeologica del territorio, nonché elementi peculiari caratterizzanti il paesaggio.
Una vicenda degna di nota in questo senso, sulla quale si vuole fare una riflessione, riguarda l’approvazione nel 2007 da parte della Regione Puglia di una legge unica in Italia, innovativa e dal grande valore socio-‐culturale, ossia la L.R. n. 14 del 4Giugno 2007 sulla
“Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali”, e in particolare sulle recenti modifiche che hanno suscitato numerose critiche.
Come si evince dal testo dell’articolo1 della L.R. n.14 del 4Giugno 2007, scopo di tale legge è la tutela e valorizzazione degli alberi di ulivo secolari e plurisecolari, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale. La portata innovativa di tale atto normativo risiede, nell’aver evidenziato, per la prima volta, il valore culturale degli ulivi, anche dal punto di vista turistico e di averli posti sotto tutela impedendo possibili espianti a vantaggio di nuove strade, case, alberghi o, in generale, cemento e catrame (cosiddette opere di urbanizzazione).
L’articolo8 poi, rubricato “Promozione del paesaggio ulivetato”,
lascia intuire come la Regione abbia voluto sottolineare il valore
culturale delle piante d’ulivo stabilendo, al comma 2, che “in
considerazione dei peculiari aspetti storici, rurali, sociali, ambientali
e paesaggistici che caratterizzano il patrimonio regionale degli ulivi
secolari, l’Assessorato al turismo e industria alberghiera (…) promuove uno specifico progetto di valorizzazione turistica (…)”.
Insomma, in considerazione degli aspetti culturali di cui è intriso l’ulivo anche dal punto di vista simbolico, la legge offre uno strumento idoneo volto a promuovere il patrimonio culturale pugliese, con ciò realizzando il duplice obiettivo di tutela materiale non solo della pianta in sé e per sé ma anche del simbolo, e di una cultura che, in tale simbolo, ha storicamente rintracciato la propria identità.
Punto cruciale della legge risiede in particolare nel suo Titolo IV (divieti e deroghe) e, in particolar modo, negli artt. 10 11 e 12.
L’articolo10, in materia di divieti, stabilisce, infatti, che: “è vietato il danneggiamento, l’abbattimento, l’espianto e il commercio degli ulivi monumentali, inseriti nell’elenco regionale di cui all’art. 5”(cioè l’elenco in cui gli ulivi secolari sono censiti).
Tale norma, fondamentale per una tutela effettiva ed efficace della vita e della sopravvivenza delle piante, prevedeva all’articolo11, deroghe ai suddetti divieti, solo per ragioni di pubblica utilità o per opere le cui procedure autorizzative fossero state ultimate entro la data di entrata in vigore della legge stessa.
16L’art. 12, infine,
16 L’articolo 3, richiamando la legge 144 del 14/02/1951 (divieto di abbattimento ed espianto di alberi di ulivo oltre il numero di 5 per ogni biennio in ogni azienda agricola, che può avvenire esclusivamente per morte fisiologica dell’albero o per certificata improduttività), disciplina l’espianto di alberi di ulivo secolari obbligando il proprietario a darne preventiva comunicazione al comune e all’IPA (Ispettorato Provinciale Agricolo) di appartenenza, i quali possono prevedere l’acquisizione dell’albero/i al patrimonio Comunale o Regionale con un indennizzo pari al costo del peso del legname e trasporto ad altra destinazione. La domanda di espianto va inviata all’IPA e quando è previsto il reimpianto in altra sede, la domanda dovrà contenere la richiesta di un documento di trasporto, che indichi la zona di espianto e quella di destinazione (art.4). L’art. 5 regola l’espianto per motivi di pubblica utilità e per le zone destinate all’edificazione, prevedendo una deroga al limite di
imponeva l’obbligo di reimpianto di ulivi eventualmente espiantati, nei casi su indicati.
La modifica legislativa recentemente approvata interviene principalmente sull’articolo11 che, estendendo le deroghe ai divieti ex art. 10 anche per l’attuazione dei piani urbanistici generali, adeguati alla legge regionale urbanistica del 1980 (Tutela e uso del Territorio) che riguardino, ad esempio, aree con destinazioni
“miste” alla residenza (come ad esempio villaggi turistici immersi in
espianto di 5 alberi. Gli ulivi espiantati, se secolari, dovranno essere reimpiantati, entro il termine di 30 giorni, a spese del realizzatore dell’opera, in aree libere degli stessi lotti di intervento o in altre aree di proprietà comunale o limitrofe o in aree pubbliche destinate al reimpianto di ulivi secolari (art.7) individuate dalle amministrazioni comunali, provinciali e dalle comunità montane della Puglia.
Per l’individuazione di tali aree o per la destinazione di quote dei bilanci comunali alla tutela e alla valorizzazione degli ulivi secolari, le amministrazioni comunali usufruiscono di misure di premialità per i finanziamenti regionali e con fondi comunitari per la realizzazione di progetti in campo ambientale. L’art.5 prevede inoltre, che le opere autorizzate dovranno essere realizzate entro 2 anni dall’autorizzazione, pena la decadenza della stessa. Deroga al limite di 5 alberi è prevista anche in caso di opere di miglioramento fondiario (art.6). Chiunque espianti alberi di ulivo senza la necessaria autorizzazione o non ottemperi agli obblighi di reimpianto viene punito con una sanzione amministrativa pari al decuplo del valore commerciale degli alberi. Tale sanzione, per gli esemplari plurisecolari, viene stabilito da euro 30.000 sino a 500.000 per ogni pianta in relazione alla gravità della violazione. Tale sanzione sarà comminata anche, a coloro che trasportano ulivi secolari senza il necessario documento di trasporto o in aree diverse da quelle indicate per l’espianto e il successivo reimpianto (art.8). L’articolo 9 prevede che alla fine di ogni anno solare gli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura elaborino una relazione sulla situazione delle modifiche intervenute nel paesaggio ulivetato del territorio di propria competenza. La Giunta Regionale, entro 120 giorni dall’approvazione della legge approva, con propria deliberazione, la metodologia di rilevazione e una scheda di identificazione degli Ulivi Monumentali della Puglia allo scopo di predisporre il censimento degli ambiti più rappresentativi sotto il profilo paesaggistico, produttivo e storico-‐culturale (art.10).
aree olivetate) e che siano stati approvati prima dell’entrata in vigore della legge, estende così, la possibilità di espianto degli ulivi secolari anche a un periodo precedente l’entrata in vigore della legge stessa.
Infine va segnalato l’articolo2 che intervenendo a modifica dell’art.
12 della L.R. 14/2007, prevede che “E’ obbligatoria la presentazione di apposite garanzie fidejussorie a favore dell’Amministrazione regionale, idonee ad assicurare, in caso di mancato attecchimento della pianta, il risarcimento del danno prodottosi a carico dei profili di interesse generale di cui al comma 1 dell’articolo 1”.
In altre parole la Regione Puglia, con l’approvazione di questa norma smantella, di fatto, il concetto di tutela affermato in precedenza, da un lato ammettendo l’esistenza di un valore commerciale e quindi di un mercato delle piante d’ulivo monumentali, e dall’altro rinunciando alla loro tutela fattiva, preferendo affidare l’onere di salvaguardia effettiva tramite un risarcimento ex post,, solo ai privati che eseguono i lavori, anziché attivarsi normativamente e amministrativamente per la tutela ex ante. Inutile dire che circa tali novità, molti sono stati gli enti regionali a tutela dell’ambiente e i movimenti ambientalisti che hanno protestato (si pensi all’ARPA Puglia o Italia Nostra). (D'Elia, 2013)
17Più in generale, è bene segnalare inoltre la vigenza della legge n.10 del 14Gennaio 2013 che, oltre a dettare norme per lo sviluppo in materia di spazi verdi urbani, va a potenziare il preesistente quadro normativo in materia di alberi monumentali fornendo una
17 Si v. sul punto D'Elia, G. (2013, Maggio 10). Regione Puglia, gli ulivi monumentali danno fastidio allo sviluppo. (A. C. Giurdanella, A cura di) Tratto il giorno marzo 10, 2014 da www.leggiOggi.it:
http://www.leggioggi.it/2013/05/10/regione-‐puglia-‐gli-‐ulivi-‐monumentali-‐danno-‐fastidio-‐allo-‐
sviluppo/
definizione giuridica univoca di albero monumentale, il cui recepimento da parte delle Regioni deve avvenire entro un anno dalla pubblicazione della presente legge.
18A norma dell’articolo7, denominato appunto “Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale”, per “albero monumentale” si intende:
a) l'albero ad alto fusto isolato, o facente parte di formazioni boschive naturali o artificiali ovunque ubicate, ovvero l'albero secolare tipico, che possono essere considerati come rari esempi di maestosità e longevità, per età o dimensioni, o di particolare pregio naturalistico, per rarità botanica e peculiarità della specie, ovvero che recano un preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale, documentario o delle tradizioni locali;
b) i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani;
c) gli alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici d’importanza storica e culturale, quali ad esempio ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private.
Sempre a norma di tale articolo, il Corpo forestale dello Stato è incaricato di curare l’elenco degli alberi monumentali d'Italia; Tale elenco, costituito dagli elenchi regionali alimentati dai rilievi e dalla raccolta dei dati operata dai Comuni, deve essere aggiornato periodicamente e reso disponibile alla cittadinanza sui siti delle amministrazioni pubbliche coinvolte. È inoltre previsto che dell'avvenuto inserimento di un albero nell'elenco sia data
18 L'inottemperanza o la persistente inerzia delle regioni comporta, previa diffida ad adempiere entro un determinato termine, l'attivazione dei poteri sostitutivi da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
pubblicità mediante l'albo pretorio, con la specificazione della località nella quale esso sorge affinché chiunque vi abbia interesse possa ricorrere avverso l'inserimento.
Si osservi, infine, che già ai sensi del vigente Codice in materia di tutela dei beni paesaggistici (D. lgs. 42/2004 e successive modifiche) il Patrimonio Culturale nazionale è costituito da Beni culturali e da Beni paesaggistici, e che il D.lgs. 63/2008 ha introdotto, nella categoria delle cose immobili, di cui all'art. 136 lett.
A) del Codice, gli «alberi monumentali».
Gli alberi monumentali, in quanto, “Beni paesaggistici” a tutti gli effetti sono entrati a far parte del patrimonio culturale nazionale e su di essi può, quindi, essere apposto il "vincolo paesaggistico" che ne impedisce l'alterazione o l'abbattimento. Fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell'apparato radicale effettuati per casi motivati e improcrastinabili e previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato, e salvo che il fatto costituisca specifica ipotesi di reato,
19per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000.
19 è applicabile l'articolo 635 del Codice penale che disciplina il reato di danneggiamento (pena dai sei mesi ai tre anni).
2.2 Gli olivi secolari o millenari sopravvissuti nel tempo, oltre al valore paesaggistico che rappresentano, possono essere considerati come indicatori biologici degli ambienti maggiormente vocati alla coltivazione dell’olivo, e utilizzati per studi di vocazionalità climatica. Proprio dallo stretto rapporto di sinergia cultivar/territorio, nasce il cosiddetto “principio di vocazionalità biologico-‐territoriale” osservato dalle diverse regioni italiane strategia che, se non perseguita, potrebbe compromettere in maniera decisiva la qualità della produzione privandola di quelle peculiarità intrinseche che conferiscono il carattere di unicità all’olio extra vergine di oliva locale. Infatti, gli studi scientifici condotti sulle caratteristiche del prodotto, hanno evidenziato che, più che dal confronto tra le diverse tipologie d’impianto e coltivazione (impianti intensivi VS. super-‐intensivi ecc.), le caratteristiche chimiche e sensoriali degli oli, sono maggiormente influenzate dalle interazioni cultivar/ambiente.
20(Cimato, Attilio, Feci, & Franchini)
Nonostante, ad esempio, le certificazioni legate agli oli di qualità (DOP, IGP) si prefiggano di offrire al consumatore un prodotto garantito nella sua qualità, origine e provenienza, nella realtà delle proposte di consumo (quantomeno nella grande distribuzione) molto spesso ci si ritrova difronte a una totale omologazione dei prodotti che pone il consumatore in un confronto, come detto tante
20 Cimato, A., Attilio, C., Feci, E., & Franchini, E. (s.d.). Olivo e risorse genetiche: varietà e biodiversità che tracciano i confini del Mediterraneo . Tratto il giorno Marzo 2014 da CNR-‐ IVALSA tree and timber institute:
http://www.ivalsa.cnr.it/fileadmin/ivalsa/files/documenti/pubblicazioni/cimato/Olivo_e_Risorse_ge netiche_-‐_Varieta_e_biodiversita_che_tracciano_i_confini_del_Mediterraneo.pdf
volte, con un’offerta di prodotti discriminati nel prezzo e nel nome, ma non nelle proprietà organolettiche.
La valorizzazione dei differenti profumi e sapori dell’olio può rappresentare, un efficace mezzo, invece, per conquistare credibilità e fiducia presso il consumatore, il quale un volta educato alla capacità critica, sarebbe in grado di stabilire con il prodotto un rapporto basato su un’identità sensoriale specifica e ben definita e perciò, come tale, ripetibile. Certamente il percorso Dop/Igp, così come prescritto dal legislatore nazionale e comunitario, resta un valido strumento di affermazione sul mercato dell'olio di qualità certificata, così come dimostrato peraltro dalle affermazioni svolte in precedenza, ma anche un’efficace differenziazione dell'offerta sulla base dei profili sensoriali, così come conferita dalla cultivar di appartenenza, può rivelarsi strategica, nel tentativo di rinsaldare i rapporti di fiducia e di reciproco interesse con il consumatore.
Infatti, un consumatore sensibilizzato e attento non si accontenterà più di un olio extravergine di oliva generico, dotato esclusivamente dei requisiti minimi per l’appartenenza alla categoria commerciale, ma andrà alla ricerca delle particolari sensazioni olfattivo-‐gustative, che soddisfino il suo gusto personale, la cui provenienza (varietale e/o territoriale) sia garantita, e che offrano particolari e variegate opportunità di abbinamenti con le pietanze.
Punto di partenza di tale impostazione, non può che essere il
riconoscimento ufficiale dell’esame organolettico “Panel Test” sugli
oli d'oliva vergini come parametro di valutazione della qualità,
introdotto nel Regolamento (CE) n. 2568/91 e successive
modifiche. Le norme riguardanti la metodologia da adottare, i
criteri e gli strumenti per la valutazione sensoriale, sono stabilite,
come detto in precedenza, negli allegati del suddetto
Regolamento.
21Tale metodo oggettivo di analisi che ricordiamo, sfrutta gli organi sensoriali umani, (i quali secondo studi certificati
22si comportano come veri e propri strumenti di misura) è rappresentato da un gruppo di persone opportunamente allenate e preparate all’assaggio degli oli vergini di oliva, con il compito di valutare la presenza e l’intensità di specifici attributi positivi e/o negativi relativi a: sapore, odore, aspetto.
La classificazione dell'olio a ciò conseguente, dunque, avviene confrontando il valore della mediana dei difetti e del fruttato con gli
21 La normativa citata fissa i requisiti che devono avere gli assaggiatori per fare parte di un Panel. Il panel di assaggiatori per gli oli di oliva è composto da un capo panel e da otto-‐dodici assaggiatori. Il Panel test si svolge in modo che gli assaggiatori esprimano il loro giudizio sulle caratteristiche sensoriali dell’olio indipendentemente l’uno dall’altro. Alla fine del test di valutazione, ciascun assaggiatore, compila la relativa scheda, esprime un giudizio sulla presenza e sull’intensità dei pregi (fruttato, amaro, piccante) e degli eventuali difetti (rancido, muffa, riscaldo, avvinato, metallico, ecc.).
22 Numerosi studi effettuati in questi anni, hanno stabilito con certezza che gli organi sensoriali umani sono costituiti da cellule specializzate nel riconoscere i singoli tipi di molecole con cui vengono a contatto. Durante questi studi si è capito però che questa percezione sensoriale si è dimostrata differente da individuo ad individuo, quindi non accettabile come parametro di giudizio finale, pertanto si è resa necessaria e obbligatoria la decisione di non utilizzare una sola persona nelle valutazioni delle caratteristiche organolettiche degli alimenti ma di utilizzare un gruppo di persone allenate e preparate approssimativamente all’assaggio di quello specifico alimento “Panel test” (Panel è un termine inglese che significa gruppo di persone che si riuniscono per esprimere un giudizio). Si è giunti alla decisione di utilizzare un gruppo di persone, anziché del singolo individuo, perché le indagini statistiche hanno permesso di accertare che gruppi di 10 persone, scelte a caso, presentano una soglia media di gruppo che è ripetitiva, cioè analoga a quella di un altro gruppo di altre 10 persone della stessa popolazione. La conclusione di queste indagini ha dimostrato che un gruppo di persone può essere utilizzato come uno strumento di misura che dà risultati validi per tutta la popolazione.