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Il lavoro svolto in questa tesi consiste in un rilevamento geologico in scala 1:10000 della zona situata ad ovest dell’edificio vulcanico del Monte Amiata, in Toscana Meridionale.

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1. INTRODUZIONE

1.1 SCOPI ED OBIETTIVI DELLA TESI

Il lavoro svolto in questa tesi consiste in un rilevamento geologico in scala 1:10000 della zona situata ad ovest dell’edificio vulcanico del Monte Amiata, in Toscana Meridionale.

Il rilevamento è stato eseguito utilizzando le nuove norme CARG del rilevamento geologico. L’area è compresa nel foglio 320 “Castel del Piano”, e ricade nelle sezioni in scala 1:10000 numero 100, 110, 140 e 150.

Il rilevamento geologico è stato integrato con uno studio particolareggiato dei movimenti gravitativi che interessano l’area rilevata. Particolare attenzione è stata rivolta alla frana che interessa parte del paese di Arcidosso, in prossimità del santuario della Madonna Incoronata; su questa frana è stata condotta una nuova verifica di stabilità che ha permesso di descrivere una nuova geometria del fenomeno franoso.

1.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

L’area rilevata fa parte dell’Appennino Settentrionale ed è situata a Sud dell’Arno a W dell’edificio vulcanico del Monte Amiata; è delimitata dai paesi, in provincia di Grosseto, di Arcidosso (ad E) - Monticello Amiata (a N) – Stribugliano (a W) – Roccalbegna (a S). E’

inoltre a Nord dell’area compresa tra il Fiume Albegna e il fiume Fiora, e tra il bacino di

Cinigiano-Baccinello a W e il bacino Orcia-Paglia ad E. Nella figura 1.1 si può localizzare

l’area studiata.

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Fig 1.1 Cartina geografica della Toscana Meridionale; in evidenza l’area nella quale è stato svolto il rilevamento.

L’area è dominata dai rilievi del Monte Labbro, 1290 m, e del Monte Farleto, 1020 m,

situati nella parte sud-orientale dell’area rilevata, mentre nella zona centro-occidentale spicca

il rilievo del Monte Aquilana, 1103 m. Nell’area centro-meridionale si trova un allineamento,

con direzione nord-sud, di rilievi, a partire dal Monte Buceto, 1161 m, fino a Poggio le

Volturaie di 1053 m di quota.

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Il corso d’acqua principale che solca l’area è il fiume Albegna che scorre nella parte meridionale; è presente poi il torrente Zancona, che attraversa l’area nord-orientale, e molti altri torrenti di entità minore.

Il lavoro svolto in questa tesi riguarda l’area che ricade nelle sezioni al 10.000 n° 100, 110, 140 e 150 appartenenti al foglio n° 320 di Castel del Piano.

Fig 1.2 Carta topografica in dettaglio dell’area rilevata.

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1.3 REVISIONE BIBLIOGRAFICA

In questo paragrafo faremo una revisione bibliografica dei lavori che hanno permesso di arrivare alle attuali conoscenze sull’Appennino. Nella prima parte saranno riportati i testi della letteratura riguardanti l’Appennino settentrionale, nella seconda parte riporteremo i lavori più significativi sulla Toscana Meridionale.

Le teorie faldiste sull’evoluzione della catena appenninica si affermano a partire dalla prima metà del novecento, grazie all’impulso derivante dal rilevamento eseguito per la redazione della “Carta Geologica d’Italia” al 100.000 tra il 1900 e il 1949. Queste teorie si contrappongono alla scuola autoctonista, della quale Zaccagna, Lotti e De Stefani sono i principali esponenti. Lotti e Zaccagna hanno contribuito alla “Carta Geologica d’Italia” al 100.000 rilevando 14 fogli nel periodo compreso tra il 1879 ed il 1910. Tra gli altri rilevatori che contribuirono a tale carta ricordiamo Sacco (rilevamento svolto tra il 1890 e il 1899, con revisioni posteriori) e Principi (rilevamento svolto tra il 1928 e il 1937). Le teorie di Lotti e Zaccagna sono sostenute, oltre che nella carta al 100.000, anche in “Toscana” (Lotti, 1910) e in “Alpi Apuane” (Zaccagna, 1932). De Stefani non partecipò in prima persona al rilevamento dei fogli al 100.000, ma le sue teorie, in pieno accordo con quelle sostenute da Zaccagna e Lotti, sono consultabili nelle opere del 1892 e seguenti.

Zaccagna, Lotti e De Stefani ritengono che la regione crustale appenninica abbia subito

un notevole raccorciamento mediante piegamento armonico, con il mantenimento perciò

dell’assetto stratigrafico originario e con esclusione di ogni fenomeno di sovrascorrimento

importante; ciò avrebbe dato luogo alle anticlinali appenniniche con assi NW-SE. Anche

Sacco (1890-1899) e Fucini (1924-1927), appartenenti alla scuola autoctonista, condividono

le teorie proposte da Lotti, Zaccagna e De Stefani.

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In contrasto con queste teorie agli inizi del novecento, De Launay (1907), Steimann (1907), Tillmann (1926) e Teichmuller (1932) propongono l’alloctonia della Falda Toscana e delle Unità Liguri che, con movimenti da Ovest verso Est, sovrascorrono sul ”l’autoctono toscano”. In seguito Anelli (1923), Rovereto (1933), De Wijkerslooth (1934) e Principi (1942) sviluppano questo modello.

Dagli anni ’50 le teorie autoctoniste vengono definitivamente abbandonate a favore delle nuove teorie faldiste, attraverso uno studio più moderno della catena appenninica appenninica grazie a studi di carattere sedimentologico, biostratigrafico e strutturale. I geologi dell’Università di Pisa riprendono ed elaborano con nuovi dati di campagna la teoria alloctonista (Elter et alii,1960; Elter et alii, 1964; Elter, 1960; Giannini etalii, 1962).

L’Appennino Settentrionale risulta costituito da un basamento autoctono rappresentato dalle Alpi Apuane, sopra al quale vi sonola Falda Toscana e quella Ligure; quest’ultima èsuddivisa in ulterioritre falde: Falda dell’Alberese, Falda ofiolitica e Falda del Flysch ad Elmintoidi.

Questa teoria, alla quale si contrappongono quelle essenzialmente autoctoniste di Merla (1951) e Migliorini (1948), viene progressivamente accettata da tutti i ricercatori che studiano in quel periodo l’Appennino.

Negli anni ’60 gli studi sulla geologia dell’Appennino Settentrionale hanno un nuovo impulso determinato dalle teorie alloctoniste e dai rilevamenti per la Carta Geologica d’Italia in scala 1:100000 . Ciò ha portato ad una notevole raccolta di dati e al confronto dei risultati ottenuti tra le varie scuole geologiche di Genova, Parma, Pisa, Pavia e Firenze.

A partire dagli anni ’70 la teoria della “tettonica a placche” rivoluziona i modelli

orogenetici, introducendo i concetti di rifting, obduzione e subduzione per spiegare la

dinamica della messa in posto delle falde.

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Abbate e Sagri (1970), Baldacci et alii (1967), Elter (1975) e Boccaletti et alii (1971) sviluppano per la prima volta dei modelli geodinamici secondo i quali la messa in posto delle falde avviene durante la collisione tra la placca africana e quella europea, presupponendo una serie di sovrascorrimenti per i quali le unità Liguri si sono sovrapposte alle unità Subliguri che a loro volta giacciono tettonicamente sulle unità Toscane. Questi modelli prevedono un avanzamento del fronte di deformazione da Ovest verso Est, ed una differenziazione nell’entità della deformazione tra i domini più interni e quelli più esterni dell’Appennino settentrionale.

Successivamente sono stati sviluppati altri modelli che spiegano la dinamica della messa in posto delle falde appenniniche, si vedano Boccaletti et alii (1980), Carmignani & Kligfield (1990), La Vecchia (1995), Patacca et alii (1990), Decandia et alii (2001), ciascuno con una successione temporale degli eventi e delle deformazioni diversa, e non tutti in accordo con le teorie di subduzione e avanzamento del fronte di compressione espresse dagli autori nominati precedentemente. Boccaletti et alii (1980), Patacca et alii (1990) e Decandia et alii (2001), in particolare, sono in accordo nel considerare tali meccanismi come motore dei movimenti che hanno portato all’attuale conformazione appenninica, mentre Carmignani & Kligfield (1990) e La Vecchia (1995) hanno visioni che si discostano in parte o completamente da questi modelli.

Ad esempio si può vedere nel dettaglio la teoria di La Vecchia (1995), secondo la quale la subduzione non è presente ed è proprio l’estensione tirrenica la causa della compressione appenninica. La Vecchia (1995), infatti, ritiene che il Tirreno si sia aperto per rifting con forze tensive orizzontali, le quali avrebbero agito come compressive negli Appennini.

Un altro esempio riguardo alle teorie di messa in posto della catena appenninica è il

modello di Carmignani et alii (1995); questi autori parlano di tre fasi distensive evidenti in

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Toscana, che hanno origine a partire dal Miocene inferiore, e dunque prima dell’apertura del Tirreno. La prima nel Burdigaliano-Langhiano, con formazione di due flat principali al livello delle evaporiti, genera la “serie ridotta” nella Toscana meridionale, portando le Liguridi direttamente sopra le evaporiti. La seconda fase, Serravalliano-Messiniano, è rappresentata dalla seconda generazione di faglie dirette che tendono ad orizzontalizzarsi con le filladi del basamento paleozoico, livello di scollamento in questo intervallo. L’ultima fase, Pliocene- attuale, ha per livello di scollamento una zona di taglio delimitata al tetto dall’orizzonte K, e consiste in faglie dirette con orientazione N-NW/S-SE e N/S. La maggior parte dei terremoti della Toscana meridionale è localizzata nella zona di taglio o lungo l’orizzonte K, e ciò indica che sono cinematicamente attivi e responsabili delle strutture distensive del settore tirrenico e di quelle compressive del settore adriatico.

Fig 1.3 Schema di subduzione della litosfera continentale (ensialica) secondo l’ipotesi di

Boccaletti et alii, 1980. 1) margine continentale normale; 2) crosta oceanica; 3) margine

continentale assottigliato (a-copertura; b-zoccolo cristallino); 4) mantello litosferico; 5)

granito sincinematico. Sezione A – al termine della subduzione della crosta oceanica avviene

la collisione continente-continente. La crosta continentale viene trascinata per un certo tratto

in profondità, poi si arresta, mentre il mantello litosferico continua il suo movimento. Sezione

B – Dopo l’arresto la crosta continentale si rompe a causa della compressione a tergo; un

altro segmento viene trascinato in basso e si addossa al precedente. Sezione C – Il processo

continua; diversi segmenti sono stati trascinati in basso e addossati l’uno all’altro, formando

una nuova crosta, assai più densa della precedente, che si svincola completamtne dal mantello

litosferico man mano che si forma.

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Per quanto riguarda la Toscana Meridionale, le prime opere riguardanti la geologia trattavano principalmente lo studio dei sedimenti mesozoici e terziari, tramite l’esame paleontologico delle microfaune (Coquand, 1845; Cocchi, 1855-56; Simonelli, 1882), lo studio petrografico delle rocce magmatiche e lo studio mineralogico dei giacimenti metalliferi (Pareto, 1842; Cocchi, 1856; D’Achiardi, 1876; Di Poggio, 1885).

Negli anni ’50 alcuni autori applicano le teorie alloctoniste nella Toscana Meridionale;

ad esempio Giannini (1955) riconosce l’alloctonia del Complesso delle Argille Scagliose, mentre la successione toscana viene riconosciuta come l’autoctono.

Contemporaneamente Trevisan (1952) e poi Giannini & Tongiorgi (1959) dedussero che in Toscana la fase distensiva era iniziata nel Miocene, al contrario di Lotti (1910) e Signorini (1947) che ritenevano l’attività delle faglie dirette quaternaria.

Durante gli anni ’60 furono redatti diversi lavori sulla tettonica regionale della Toscana Meridionale, in particolare sulla Falda Toscana e sull’autoctono (Elter et alii,1960; Trevisan, 1963; Giannini, 1962; Baldacci et alii, 1967; Giannini & Lazzarotto, 1967a).

Nel lavoro di Elter et alii (1960) vengono riconosciute, in Toscana, quattro unità alloctone: la Falda Toscana che sormonta nelle Apuane il nucleo metamorfico, considerato l’autoctono, e tre Falde Liguri che provengono da bacini sedimentari situati ad ovest di quelli della Falda Toscana e dell’autoctono.

Un altro lavoro interessante è quello di Giannini (1962), secondo il quale la Falda

Toscana è stata interessata da tre fasi deformative: la fase parossistica (Oligocene superiore –

Miocene inferiore) durante la quale il fronte della Falda Toscana non ha superato l’asse delle

Alpi Apuane; la fase tortoriana (Tortoniano superiore), nella quale il fronte della Falda

Toscana avrebbe raggiunto la posizione attuale, indicata dalle pieghe rovesciate della Val di

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Lima e del Chianti; la fase pliocenica (Pliocene inferiore) che si sarebbe sviluppata solo sul margine padano, in quanto su quello tirrenico era già in corso la tettonica distensiva.

Le stratigrafie dei sondaggi, eseguiti nella Regione Boracifera per lo sfruttamento del vapore, hanno permesso a Giannini & Lazzarotto (1970) di presentare una carta strutturale, a curve di livello, del tetto del basamento di quella regione. Questi autori hanno potuto constatare la presenza di due stili tettonici deformativi: uno duttile e uno rigido. Inoltre hanno dedotto che tutte le falde hanno subito una traslazione verso NE.

Nel 1971 esce una monografia sulla Toscana Meridionale con articoli di 31 autori, corredata dalla Carta Geologica della Toscana Meridionale. In questa carta vengono riconosciuti sette complessi: Complesso delle formazioni marine e continentali del Quaternario; Complesso delle rocce ignee; Complesso Neoautoctono; Complesso miocenico dei terreni alloctoni trasgressivi; Complesso dei terreni di facies ligure; Complessi di incerta collocazione paleogeografica; Complesso dei terreni di facies toscana. L’ordine di successione non corrisponde ad età sempre più recenti ma all’ordine di sovrapposizione dei vari complessi. Dal punto di vista della tettonica questo lavoro non presenta delle novità rispetto a quello di Giannini & Lazzarotto (1970), ma contiene comunque delle precisazioni per quanto riguarda la stratigrafia.

La prima precisazione riguarda il riconoscimento dell’esistenza di successioni toscane

che presentano lacune di natura stratigrafica a diversi livelli, e di successioni nella Falda

Toscana che risultano “condensate”, cioè che presentano tutte le formazioni ma con spessori

molto ridotti rispetto al normale. Questa lacune e le successioni condensate vengono messe in

relazione con una deposizione su un fondo marino accidentato, per effetto di movimenti

distensivi precoci (Lias) (Giannini & Lazzarotto, 1970). Tali movimenti avrebbero innescato

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la fase di annegamento della piattaforma continentale italo-dinarica, secondo il modello sostenuto per le Alpi Meridionali da Bosellini (1973).

Una seconda precisazione riguarda il rinnovato interesse per i rapporti tra la formazione della Scaglia e le sottostanti formazioni, in particolar modo con lo “Pseudoverrucano”. In passato questo nome era attribuito ad una facies collocata stratigraficamente al di sotto della formazione della Scaglia Toscana, che ha affinità litologiche con la formazione del Verrucano s.s. . Successivamente si è abbandonata questa

Infine la terza precisazione riguarda il tentativo di schematizzare i rapporti originari di giacitura dei Flysch cretacei presenti nella Toscana Meridionale come è riportato in figura 1.4 A B

UNITA’ DELLE "ARGILLE E CALCARI”

UNITA’ DEI FLYSCH PALEOCENICI E CRETACEI

UNITA’ DEI FLYSCH EOCENICI E

CRETACEI UNITA’ DEI FLYSCH

EOCENICI UNITA’

OFIOLITIFERA INFERIORE

UNITA’ OFIOLITIFERA SUPERIORE

Fig. 1.4 Schema dei rapport fra le diverse Unità Liguri (Giannini & Lazzaretto, 1972). A) Sequenza tipo delle Unità Liguri e Sub-Liguri nella Bassa Val di Cecina. B) Sequenza tipo delle Unità Liguri e Sub-Liguri nella zona del Monte Amiata.

Prima degli anni ’70 le conoscenze sulla natura tettonica del basamento riguardavano più che altro la sua parte superiore (Cataldi et alii., 1963; Lazzarotto, 1967; Giannini &

Lazzarotto, 1970) e si basavano sui dati dei sondaggi per la ricerca geotermica, i quali in

pochi casi avevano attraversato il basamento per spessori significativi.

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L’estensione di tale ricerca a zone più profonde, cioè nel basamento, ha arricchito le conoscenze di quest’ultimo e contemporaneamente ha permesso di intensificare le ricerche sulle successioni paleozoiche-triassiche della Toscana Meridionale.

La collocazione e la natura dell’Autoctono nella Toscana Meridionale è stata dibattuta da diversi autori, a partire dal lavoro di Baldacci et alii (1967). Secondo questi autori le formazioni paleozoico-triassiche della Dorsale di Monticiano-Roccastrada e quelle triassico- cretacee della Montagnola Senese sono state considerate il prolungamento dell’Autoctono Apuano a sud dell’Arno. Rau & Tongiorgi (1974) hanno formulato l’ipotesi che queste formazioni appartengano invece all’Unità di Massa, le quali si sovrappongono tettonicamente all’Autoctono Apuano, nell’area a sud dell’Arno.

Burgassi et alii (1980) sostengono, invece, che l’Autoctono Apuano affiora nell’Elba orientale e non nella Toscana continentale e che le unità metamorfiche della Montagnola Senese e di Monticiano-Roccastrada rappresentano un’unità che è tettonicamente sovrapposta all’Unità di Boccheggiano, costituita da filladi con intercalazioni di evaporiti e dolomie. La presenza di questa unità esclude la possibilità di un prolungamento della Serie Apuana al di sotto della Montagnola Senese.

Intanto venivano formulate nuove ipotesi sulla provenienza della Falda Toscana da Est

(Tongiorgi, 1978; Dallan & Nardi, 1979), cioè da una zona di deposizione compresa tra la

Zona Apuana e il Bacino Umbro. Queste ipotesi erano concordi con gli studi petrografico-

sedimentologici di Boccaletti & Manetti (1972) e di Boccaletti et alii (1975 e 1977), secondo

i quali le ricostruzioni paleogeografiche del Trias superiore e del Lias inferiore

dell’Appennino settentrionale non si accorderebbero con un’area di prevenienza della Falda

Toscana ad Ovest della Zona Apuana. Queste ipotesi venivano proposte anche nei lavori di

Boccaletti et alii (1981) e Decandia et alii (1981) che le inserivano in un nuovo quadro

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dell’evoluzione paleogeografica del margine appeninico nella Toscana a Sud dell’Arno.

Secondo questi autori la paleogeografia della Toscana Meridionale, nel Cenomaniano (prima dell’inizio della tettonica compressiva), era rappresentata da sei zone isopiche.

Una sintesi schematica e aggiornata sulla stratigrafia e sull’evoluzione geodinamica dell’area oceanica è stata fornita da Bortolotti (1985). Secondo questo autore le ofioliti dell’Appennino settentrionale affiorano in due diverse posizioni strutturali: alla base del Supergruppo della Val di Vara e come olistoliti e olistostromi entro i pre-flysch e/o i flysch cretaceo-eocenici delle Liguri Esterne.

Bortolotti ha interpretato le ofioliti come frammenti di faglie trasformi oceaniche vicine all’intersezione con l’asse del ridge (figura 1.5).

Fig 1.5 Schema dell’apertura della Tetide nel tratto del Bacino Ligure-Piemontese.

Secondo l’autore, la sequenza ofiolitica dell’appennino deve essere interpretata nel quadro di un’apertura della Tetide occidentale per movimenti trascorrenti tra Africa ed Europa.

Fin dagli anni ’80, vari autori hanno cercato di definire i rapporti di giacitura tra le unità

che compongono l’edificio strutturale della Toscana Meridionale.

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Nel 1985 Burgassi et alii hanno riconosciuto, in quest’area, sette unità tettoniche modificate da Costantini et alii (1991) e da Bertini et alii (2000), sovrapposte nel seguente ordine a partire dall’alto: Unità Ofiolitifera Superiore e sub-unità di Montaione, Unità di Lanciaia – Monteverdi M.mo, Unità di Santa Fiora, Unità delle Argille e Calcari, Falda Toscana, Unità di Monticiano – Roccastrada e Unità di Boccheggiano.

Negli anni ’90 vengono redatti diversi lavori sulla tettonica distensiva miocenica nella Toscana Meridionale. Patacca et alii (1990) presentano un lavoro riguardante le relazioni cinematiche, a partire dal tardo Tortoniano, tra il Bacino Tirrenico e gli Archi Appenninici.

Carmignani et alii (1993) descrivono gli eventi distensivi e il tasso di estensione di ogni singolo evento, a Nord e a Sud della Linea Livorno-Sillaro. Tuttavia studi strutturali sui depositi mio-pleistocenici hanno messo in evidenza la presenza di deformazioni compressive ( Pertusati et alii, 1977, 1978, 1980; Plesi & Cerrina Feroni, 1979; Cerrina Feroni et alii, 1983;

Boccaletti et alii, 1987; Bettini et alii, 1990; Bonini & Sani, 1993) legate alla riattivazione di thrusts nella Toscana Meridionale (Boccaletti et alii, 1995).

Secondo Boccaletti & Sani (1996), la Toscana Meridionale, dal Miocene superiore, sarebbe una zona di transizione dove si alternano fasi compressive a fasi distensive. Questa alternanza tra i due regimi sarebbe dovuta ad una variazione della velocità relativa tra le placche.

Per quanto riguarda la serie ridotta nominata precedentemente, in passato ci sono state

diverse scuole di pensiero. Fino alla fine degli anni ’60 ci furono due schieramenti; alcuni

ritenevano che la causa principale di tale riduzione fosse da imputare ai movimenti

differenziali all’interno della Falda Toscana stessa (si veda Baldacci et alii, 1967). Altri

ritenevano che la causa fosse il denudamento tettonico subito dall’unità alloctona

precedentemente o contemporaneamente alla sua messa in posto sull’unità autoctona (Merla,

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1951; Trevisan, 1955; Signorini, 1962). In entrambi i casi, comunque, tutto è ricondotto a fenomeni tettonici. Nel 1969 Boccaletti et alii propongono un modello che da più peso ai fenomeni sedimentari; questo può essere spiegato sulla base di due osservazioni: 1- Presenza di riduzioni maggiori lungo determinati lineamenti: il lineamento regionale più orientale e

quello più occidentale, ad andamento circa NS, hanno riduzioni solo a partire dalla formazione delle Marne a Posidonomya, mentre quello centrale ha le formazioni del Verrucano e del Calcare Cavernoso direttamente a contatto con le coperture della Falda Toscana, o comunque con le sue formazioni neogeniche. Da studi più recenti è risultato che le lacune sono sicuramente di natura sedimentaria, anche se un ruolo va riservato anche alla delaminazione tettonica. 2- Le formazioni calcaree mesozoiche sono di mare poco profondo:

la scarsa profondità, e il passaggio laterale di facies, implicano che possono effettivamente

formarsi serie condensate e/o lacunose accanto ad altre più spesse e complete, per zone a

subsidenza diversa.

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Fig 1.6 A) Sezione geologica del campo geotermico di Larderello. Le faglie normali plioceniche tagliano tutte le strutture più recenti: P- sedimenti pliocenici; M-sedimenti del Miocene superiore; L-Complesso Ligure. Falda Toscana (TN): TN

2

- sequenza terrigena e carbonatica (Giurassico-tardo Oligocene-?Miocene inferiore); TN

1

- evaporiti del Triassico superiore. Unità Monticiano-Roccastrada (MRU): MRU

3

- gruppo Mesozoico-Paleozoico;

MRU

2

-gruppo delle filladi-quarziti; MRU

1

-gruppo dei micascisti ercinici; BA-complesso degli gneiss.

B) Sezione geologica ricostruita al Pliocene.

C) Sezione geologica ricostruita al Langhiano, asumendo che gli indicatori cinematici non cambino direzione durante la tettonica estensionale post-collisionale. (Decandia et alii, 2001)

Fig 1.7 Schema semplificato della geometria delle superfici tettoniche che hanno generato la

“serie ridotta”. (Decandia et alii, 2001).

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In tempi più recenti gli autori sono ancora divisi sul significato da attribuire alla “serie

ridotta” della Toscana meridionale. Il punto di vista più condiviso considera questo un

fenomeno tettonico che ha laminato la successione a più livelli stratigrafici denudando vaste

aree; di conseguenza le unità Liguri possono ricoprire vari termini della copertura e

sovrapporsi direttamente al basamento o alle formazioni del Trias sup. (Bettelli, 1985). In

realtà tale espressione risulta ambigua e desueta, poiché talvolta indicante successioni

incomplete a causa di lacune stratigrafiche e non tettoniche. Anche l’area amiatina presenta

evidenze di “serie ridotta”; infatti sondaggi profondi hanno evidenziato discontinuità

tettoniche al di sotto delle Liguridi (Calamai et alii, 1970).

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