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I.1. Contrazione e fine dell’economia antica (V-X secolo) VI VII. I -

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(1)

VII.

I

PORTI DEL BACINO LIGURE

-

TIRRENICO TRA V E XIV SECOLO

VII.1. Contrazione e fine dell’economia antica (V-X secolo)

In età tardo-antica prevale ancora un’economia di tipo statale, il movimento delle merci e gli scambi sono perlopiù sostenuti dal traffico navale legato all’annona, civile o militare. In questo periodo nel Mediterraneo occidentale si ha una maggiore diffusione delle produzioni africane. La rotta più frequentata è Cartagine - Roma e questa rimarrà fondamentale per tutta la tarda Antichità anche in seguito all’occupazione vandala del nord-Africa intorno alla metà del V secolo. Con i Vandali crolla il sistema fiscale romano, ma ciò non sembra aver portato grossi mutamenti nella diffusione delle merci africane che, pur se in quantità minori, continuarono a circolare nel V secolo1.

Verso la fine del V e in maniera sempre più decisa nel corso del VI secolo si assiste a una riduzione delle esportazioni dall’Africa; sintomo che il sistema economico tardo-antico su scala mediterranea proprio del mondo romano sta lentamente scomparendo.

In Italia, la crisi dell’economia antica fu ulteriormente condizionata da due eventi: la guerra greco-gotica del 535-553, e la graduale invasione longobarda dal 568-9 in poi 2. Questi episodi portarono alla suddivisione territoriale della penisola cui fece seguito lo sviluppo di differenti economie.

Nei territori longobardi si assiste a una progressiva regionalizzazione dell’evoluzione economica, che genera, dalla seconda metà- fine del VII, sistemi produttivi e distributivi indipendenti nelle diverse regioni.

Nei territori bizantini continuano invece limitati traffici commerciali anche su lunga distanza, ma questo mercato sembra ora esser rivolto soprattutto alle élites civili, militari ed ecclesiastiche. Tra il VI e il VII secolo, le importazioni si concentrano maggiormente lungo le aree costiere e testimoniano una continuità di scambi con l’Africa, che si attenuerà nel corso del VII secolo3.

1 McCormick 2001, pp. 117-122; Wickham 2009, pp. 744-747; Panella 1993, pp. 641-643. 2 Augenti 2010, pp. 32-33; Wickham 2009, p. 766.

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In una prima fase dal V al VI secolo è riscontrabile una certa continuità nell’andamento di alcuni porti, ma in generale si assiste a un lento declino delle città costiere e delle loro infrastrutture di servizio. La ricerca ha permesso il riconoscimento per questo periodo di cinquantaquattro aree portuali.

Attraverso le testimonianze offerte dalle fonti documentarie, in particolare grazie alle differenti definizioni utilizzate nell’Itinerarium Maritimum per indicare gli scali, e in parte dalle evidenze archeologiche, è possibile provare a compiere una distinzione tra porti maggiori e scali minori.

Nell’itinerarium maritimum compaiono nel tratto di costa da Roma a Ventimiglia trentasei aree portuali distinte in: portus, positio, fluvius, fluvius positio, plagia.

Fig. 21. Numero di apparizione delle tipologie all'interno dell'Itinerarium Maritimum.

Il termine portus è utilizzato per indicare i grandi porti che presentano condizioni ottimali di accoglienza navale: uno specchio d’acqua ben chiuso, naturalmente o artificialmente, dove le navi possono trovare riparo e anche svernare4.

Seguendo un percorso inverso a quello dell’itinerario, partendo quindi dalle coste liguri troviamo: Portu Maurici, Albingauno portus, Vadis Savadis portus, Genua portus, Portu

4 Uggeri 2004, p. 25. 0 2 4 6 8 10 12 14 16

Aree portuali nell'Itinerarium maritimum

Portus Positio Fluvius positio Fluvius Plagia

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Delfini, Portu Veneris, Portum Pisanum, Vadis portus, Populonio portus, Falesia portus, Scabris portus, Portu Talamonis, Incitaria portus, Portum Herculis, Portu Augusti.

Ad eccezione del Portu Augusti, realizzato artificialmente, gli altri scali indicati come

portus sono grandi bacini naturali ben protetti dai venti.

La positio navium doveva essere uno scalo non legato a un approdo naturale, ma attrezzato artificialmente con strutture che permettessero l’approdo o la sosta durante la navigazione di cabotaggio. La loro presenza numerosa in tratti di costa poveri di approdi farebbe pensare alla realizzazione di strutture rese necessarie per fare fronte alla mancanza d’impianti adeguati o per motivi di carattere economico-strategico. Il termine per similitudine ricorda i luoghi di sosta del servizio di poste imperiale (mansio, mutatio,

statio); è probabile che la positio fosse una tappa del cursus publicus marittimo e

dell’annona5 .

Nel tratto tra Ventimiglia e Roma compaiono tredici positiones: Segesta positio, Lacu

Aprile positio, Domitiana positio, Regas positio, Quintiana positio, Maltano positio, Graviscas positio, Rapinio positio, Algas positio, Centumcellis positio, Castrum novum positio, Panapione positio, Pirgos positio.

Solitamente la positio non corrisponde a grandi centri urbani e in alcuni casi è stata proposta l’identificazione delle positiones con ville marittime spesso dotate di peschiere e piccole infrastrutture portuali come moli o banchine (Domitiana positio, Quintiana positio,

Maltano positio, Panapione positio).

Con il termine Fluvius dovevano essere indicate le foci dei fiumi capaci di ospitare imbarcazioni. Tra la Liguria e la Toscana troviamo: tavia fluvius, lunae fluvius macra, pisis

fluvius, umbro fluvius.

Dei casi particolari sono rappresentati dalle locuzioni: alma flumen positio, albinia fluvius

habet positionem, arnine fluvius positione. L’aggiunta del termine positio a fluvius è forse

indicativa di una maggiore organizzazione dell’approdo fluviale, che probabilmente era provvisto di infrastrutture.

In ultimo il termine Plagia è utilizzato per indicare una semplice spiaggia sulla quale era possibile tirare a secco le imbarcazioni; nell’itinerario compare una sola volta per

Vintimilia.

Questa distinzione è però attuabile solo per i porti che sono citati nell’Itinerarium

Maritimum.

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Per la ricostruzione degli scali a sud di Roma fino a Reggio e delle coste tirreniche delle isole, purtroppo non possediamo fonti che permettano di fare una differenziazione tipologica accurata. Volendone tentare una classificazione è possibile mettere a confronto le loro caratteristiche con quelle degli scali citati nell’Itinerarium.

Lungo questi versanti sono attestate tra V e VI secolo diciotto aree portuali: nel Lazio

Antium, Terracina, Astura; in Campania Misenon e Neapoli; in Calabria Clampeia, Balentia, Regio; in Sicilia Messana, Cephaledo, Thermis, Panormo, Depanis, Lilibeo; in

Sardegna Caralis e Olbia; nell’isola d’Elba Portus Longus ed Ango Portus.

Tra queste è possibile distinguerne alcune caratterizzate da grandi bacini naturali ben protetti come: Misenon, Neapoli, Messana, Panormo, Depanis, Cagliari e Olbia, che forse sono identificabili come portus, e lo stesso vale per i porti dell’isola d’Elba.

Lungo le coste laziali troviamo il porto di Antium, realizzato in età imperiale con strutture in cementizio, e il porto di Terracina, scavato nella sabbia e protetto da moli. Per la loro costruzione in tratti di costa privi di porti naturali e per la presenza di strutture artificiali si potrebbe ipotizzare che fossero delle positiones.

Il porto di Astura è forse riconoscibile con una fluvius positione. Infatti, la foce del fiume omonimo era un approdo naturale, la cui funzione di ancoraggio era già ricordata da Strabone (V, 3, 5), e in prossimità di questa si trovano una villa marittima, una peschiera e un grande porto realizzato artificialmente probabilmente nella prima età imperiale6.

Forse sono identificabili come positiones anche gli scali della Calabria (Clampeia,

Balentia, Regio) e quelli della Sicilia (Cephaledo, Thermis, Lilibeo).

La situazione che si rileva tra V e VI secolo sembrerebbe quindi in sostanza di continuità d’uso di aree portuali nate e sviluppatesi in età romana o in alcuni casi anche in precedenza.

Per quanto riguarda la messa in opera di infrastrutture marittime in questo periodo non sono molti i casi documentati, sia dalle fonti scritte sia da quelle archeologiche. Un’epigrafe ricorda la ricostruzione, voluta da Costanzo, del porto di Albingauno (Albenga) nel V secolo, ma ad oggi non ne sono state trovate le strutture7. L’unica testimonianza materiale di nuove costruzioni sembra essere la realizzazione del

6 Felici 2006, pp. 73-74. 7 Varaldo Grottin 1996, p. 84.

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monumentale molo-banchina del porto di Balentia (Vibo Valentia), la cui costruzione è stata datata dagli archeologi alla fine del V secolo d.C.8.

In alcune aree portuali le infrastrutture realizzate in età romana erano ancora funzionali, basta pensare al sito di Portus che, anche se in condizioni e in dimensioni mutate, era ancora frequentato nell’alto Medioevo, o al porto di Centumcellae che, tenendo conto della descrizione che ne fa Rutilio Namaziano agli inizi del V secolo, sembra essere ancora efficiente9.

Le fonti rivelano poi la vitalità del porto di Terracina che nella prima metà del V secolo esportava grandi quantità di calce10. Mentre intorno alla metà del VI secolo Procopio ricorda che a causa dell’occupazione gota di Portus le navi romane dovevano fare scalo ad

Antium11.

In altri casi cambiamenti geomorfologici portano all’insabbiamento o addirittura alla scomparsa delle strutture, ma ciò non sembra pregiudicare la continuità di utilizzo dell’area a scopi portuali.

Gli scavi di Napoli hanno mostrato come l’antico bacino del porto già nel V secolo fosse soggetto a fenomeni d’impaludamento che decretarono, nel corso del VI secolo, lo spostamento delle attività portuali in un'altra area della costa. Nonostante i ritrovamenti ceramici attestino la continuità di svolgimento dell’attività portuale, non sono state rinvenute però infrastrutture marittime come moli o banchine12.

Le strutture del porto di Misenon a causa di fenomeni bradisismici non dovevano essere più utilizzabili nel V secolo, ma un’indiretta conferma della continuità d’uso dello scalo è costituita dai ritrovamenti di ceramiche di età tardo-antica e altomedievale nell’area intorno al porto. Lo scalo è inoltre citato, sul finire del VI secolo, in una lettera di Gregorio Magno che riferisce di un monastero sito in misenati portu13.

A Olbia sebbene le indagini abbiano evidenziato la parziale inagibilità dello scalo, dovuta alla presenza dei relitti di dieci navi onerarie affondate nel V secolo, l’attività portuale fu ancora vivace nel VI secolo come dimostrato dai ritrovamenti ceramici14.

8

Cuteri, Corrado et alii 2007, pp. 463-464.

9 Mosca 2004, p. 317. Rutilio descrive un bacino chiuso con moli e protetto all’esterno da un antemurale,

ricorda poi la presenza delle torri-faro e i navalia.

10 Schmiedt 1978, p. 166. 11

Bartolini 1994, pp. 200-202.

12 Giampaola, Carsana 2010, pp. 123-129. 13 De Rossi 2002, pp. 839-840.

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La presenza bizantina lungo le coste dell’Italia fu decisiva ai fini di un recupero o mantenimento degli antichi scali.

Sul litorale ligure, tra il VI e il VII secolo, i bizantini sostennero la difesa dei centri portuali di Albintimilio, Portu Maurici, Albingauno, Vadis Savadis, Genua, Portu Delfini,

Portu Veneris e Luni, e costruirono castra in difesa di nuovi approdi come Varicottis15. Nell’Anonimo ravennate, lungo le coste della Toscana, troviamo attestato il portum Cosa. Il toponimo non fa più riferimento all’antico porto romano, ma a uno scalo posto a nord della città, il cui utilizzo tra il VI e il VII secolo è forse da mettere in relazione con le fasi di rioccupazione dell’arx in età goto-bizantina16

.

Alcuni scali già decaduti nel corso del VI secolo non saranno più recuperati: Quintiana

positio, Maltano positio, Rapinio positio, Algas positio, Alma flumen positio, lacu Aprile positio, Panapione positio, Domitiana positio. Altri torneranno a essere attestati tra il XII e

il XIII secolo, ma resta dubbia una loro continuità d’uso nei secoli altomedievali: Regas

positio, Portus Maurici, Falesia portus, Portu Delfini, Segesta positio, Portus Veneris, Incitaria portus, Portus herculis, Ango portus, Portus Longus.

Intorno alla seconda metà del VII secolo, in tutto il bacino del Mediterraneo si riducono in maniera drastica i commerci su larga scala e si registra un incremento degli scambi a medio e corto raggio.

I traffici marittimi, tra il VII e l’VIII secolo, sono ancora testimoniati soprattutto nelle zone costiere bizantine, in particolare nelle regioni dell’Italia centro-meridionale, dove alla progressiva scomparsa delle importazioni africane corrisponde un aumento della diffusione di produzioni regionali tipiche della Campania, della Calabria e della Sicilia. Questa rete di scambi tra le aree costiere tirreniche si estendeva fino a Roma e continuerà a essere predominante per tutto l’VIII secolo17

.

L’assenza di produzioni dell’Italia centromeridionale lungo le coste settentrionali dopo la prima metà del VII secolo, potrebbe essere indicativa di un’interruzione del commercio tra basso e alto Tirreno, probabilmente dovuta all’occupazione longobarda della Liguria nella prima metà del VII secolo18.

15

Varaldo Grottin 1996, p. 87.

16 Renzi Rizzo 2011, pp. 62-63. 17 Wickham 2009, pp. 773-774. 18 Citter, Paroli et alii 1996, pp. 122-123.

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Tra il VII e l’VIII secolo diminuisce il numero degli scali lungo le coste liguri e tirreniche, dove sono ora attestate solo trentanove aree portuali.

Se per alcuni porti il riscontro materiale, dato dal ritrovamento di ceramiche che circolano in quei secoli, o le attestazioni documentarie permettono di formulare l’ipotesi di un certo loro mantenimento, per gli altri rimane più incerto.

I dati sulla realizzazione di infrastrutture marittime in questo periodo sono praticamente inesistenti e ciò porterebbe a ipotizzare o un riutilizzo di strutture preesistenti o la realizzazione di strutture in materiali deperibili.

A Napoli le indagini archeologiche hanno messo in luce, in un‘area che in antico era prossima alla linea costa, le strutture di un magazzino per lo stoccaggio delle merci realizzato nella prima metà del VII secolo e ancora restaurato nel corso dell’VIII secolo; inoltre le ceramiche rinvenute testimoniano la persistenza di contatti commerciali fino al VII secolo con il nord dell’Africa, l’Italia meridionale e con l’area orientale, mentre a partire dall’VIII secolo sono attestate anfore di produzione locale e ceramica a vetrina pesante19.

A Portus sono stati riconosciuti interventi di restauro della banchina, eseguiti tra il VII e l’VIII secolo, che testimoniano un certo interesse nel tentare di mantenere funzionali tali strutture. Inoltre sono state rinvenute numerose anfore e ceramiche d’importazione datate tra VII e VIII secolo: principalmente si tratta di anfore globulari ritrovate anche in altri centri del Tirreno20.

La documentazione scritta poi ci informa di un certo traffico, non direttamente collegato al commercio, che interessa i porti tirrenici ancora tra il VII e l’VIII secolo.

Secondo una testimonianza di Gregorio Magno, nel 603 i dromoni pisani erano pronti a salpare per una spedizione militare e nel 774 Adelchi per fuggire a Costantinopoli si imbarcò proprio in portu pisano21.

Altre testimonianze ci vengono dai racconti di viaggio, come quello verso la terra santa compiuto da Willibaldo, tra il 721-724, che fece tappa nei porti di Gaeta, Napoli e infine Reggio Calabria22.

19

Carsana, D’Amico 2010, pp. 74-80.

20 Paroli 1993, pp. 231-243. 21 Berti, Renzi Rizzo 2005, p. 163. 22 McCormick 2001, pp. 151-156.

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Nel Liber pontificalis è poi narrato il viaggio per mare compiuto da papa Costantino (708-715) verso Costantinopoli: il percorso inizia da Portus e tocca gli scali di Napoli, Reggio, e, nel ritorno, quello di Gaeta23.

Queste ultime testimonianze sembrerebbero mostrare il mantenimento di una rotta costiera che poteva fare ancora affidamento su alcuni scali dell’Italia meridionale.

Tra il IX e il X secolo si mantiene ancora attivo, in misura molto ridotta, un sistema di scambi che riguarda l’area sud-tirrenica caratterizzato dalla circolazione di produzioni laziali e campane24.

Questo sembra interessare in parte anche il Tirreno settentrionale come dimostrato dai rinvenimenti di ceramica invetriata prevalentemente di produzione laziale in Liguria (Genova, Savona, Noli) e in Toscana (Lucca, Pisa, Castellaccio di Strettoia, Cosa, Podere Aione, Populonia, Scarlino)25. Tuttavia, le dinamiche che sottostanno alla circolazione di questi beni non sono state ancora del tutto chiarite.

Ciò che caratterizzò sensibilmente il bacino tirrenico tra il IX e il X secolo, e che di conseguenza influenzò anche l’evolversi di nuove dinamiche commerciali, fu poi la presenza musulmana. Dal punto di vista economico in realtà le incursioni arabe non fecero altro che rendere più difficoltoso un sistema di scambi che già era in forte crisi, per non dire quasi esaurito.

Le spedizioni lungo le coste tirreniche avevano avuto inizio nell’VIII secolo, ma erano state solo sporadiche e non sembrano aver avuto conseguenze rilevanti. Quando nel corso del IX e del X secolo divennero più intense, le antiche rotte e i porti nei quali si era mosso il commercio marittimo sparirono o furono profondamente alterati26.

Tra il IX e il X secolo abbiamo infatti una diminuzione notevole del numero di testimonianze riguardanti le aree portuali, che però potrebbe essere anche legata alla mancanza di opere “geografiche” o descrittive come gli itinerari tardo-antichi.

Le uniche tracce della vitalità di alcuni porti sono date dai ritrovamenti di materiali o dalla documentazione scritta, che per il periodo preso in esame sono comunque discontinui e non permettono di comprendere in che condizioni versassero i porti tirrenici.

23 Zanini 1998, pp. 94-95, 162. 24 Wickham 2005, pp. 773-779. 25 Paroli 1992, pp. 50-51; Cantini 2011, pp. 178-179. 26 Citarella 1993, pp. 245-254.

(9)

Gli scavi a Olbia hanno evidenziato il mantenimento dell’attività portuale tra il IX e il X secolo, come sembrano dimostrare i ritrovamenti di relitti ascrivibili a quell’arco cronologico e di esemplari di Forum ware27.

A Portus le ultime fasi di frequentazione dell’area sembrano inquadrabili intorno alla metà del IX secolo, come dimostrano i ritrovamenti di anfore e ceramiche (Forum ware). Gli scavi hanno per di più dimostrato che fino al IX secolo il canale traverso che metteva in comunicazione il bacino esagonale con il canale di Traiano era ancora funzionale, mentre a partire dalla seconda metà del IX il centro portuale è ormai abbandonato28.

Le indagini archeologiche a Napoli hanno mostrato poi che nel IX secolo sono ancora attestate importazioni e intorno alla metà del IX sono definitivamente abbandonati i magazzini antistanti alla linea di costa29.

Se per il sito di Portus le indagini hanno consentito di riconoscere una continuità d’uso delle strutture preesistenti, negli altri due casi restano sconosciuti i caratteri delle infrastrutture portuali.

Le fonti scritte forniscono prove dell’esistenza di uno scalo a Luni tra il IX e il X secolo; nell’860 le navi normanne guidate dal re Hasting arrivarono nel porto di Luni e in un privilegio del 923, concesso da Ottone I ad Adalberto vescovo di Luni, è citata una corte situata presso il porto30.

Lungo le coste laziali troviamo poi attestato per la prima volta lo scalo di Montalto in una bolla di Leone IV dell’853, mentre nel X secolo in alcuni documenti del convento di Sant’Alessio sull’Aventino è nominato il porto di Astura31

.

È possibile poi cogliere informazioni indirette dell’esistenza e della funzionalità di alcuni porti dai documenti che riportano notizie di ambascerie o dalle narrazioni degli episodi che contrassegnarono la difesa delle coste tirreniche in questi secoli.

All’inizio del IX secolo le strutture portuali di Pisa dovevano essere ancora funzionanti come sembra suggerire la notizia dell’arrivo nell’801 di due ambasciatori del califfo Harun

al Rashid che sbarcarono proprio in Portum Pisas32. In seguito le fonti ricordano l’arrivo

del re Ugo di Provenza nel 926 con una nave nel porto di Pisa, e ancora sul finire del X secolo le spedizioni della flotta pisana in Calabria dimostrano indirettamente che lo scalo

27 D’Oriano, Pietra, Riccardi 2003, pp. 135-138. 28 Paroli 2004, pp. 262-263. 29 Carsana, D’Amico 2010, pp. 74-80. 30 Schmiedt 1978, p. 143. 31 Ibid., pp. 156, 164. 32 Renzi Rizzo 2011, p. 74.

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doveva essere ancora efficiente; ma nonostante queste testimonianze possano indurre a riconoscere l’esistenza del porto, non si hanno reali informazioni sulle strutture portuali33

. Dal porto di Genova è possibile supporre che partissero alcune delle navi inviate nell’806 da Pipino per proteggere la Corsica dalle incursioni arabe, secondo quanto riportato dagli

Annales Regni Francorum34.

Sappiamo poi che nell’812, quando il governatore bizantino in Sicilia chiese aiuto per difendere l’isola, salparono navi dai porti di Napoli, Gaeta e Amalfi35

.

In particolare tra il IX e il X secolo furono proprio i porti dell’area campana, dotati di grandi forze navali, i veri protagonisti da un lato della difesa delle coste e dall’altro della ripresa di relazioni commerciali con il restante meridione d’Italia e con i mercati bizantini e arabi.

Fig. 22. Attestazioni aree portuali.

33 Ibid., pp. 75-76. 34 McCormick 2001, p. 589. 35 Ibid., p. 615. 0 10 20 30 40 50 60

V SECOLO FINE V INIZI VI SECOLO

FINE VII INIZI VIII SECOLO

IX SECOLO X SECOLO

ATTESTAZIONI AREE PORTUALI

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VII.2. Le lotte per il controllo del Tirreno e lo sviluppo della rete portuale

(XI-XIV secolo)

A partire dall’XI secolo iniziò una nuova fase di espansione politica e di crescita economica. I traffici navali riacquistarono importanza, subendo un cambiamento qualitativo e quantitativo: alcune tra le città portuali italiane si fecero partecipi di questo processo di rinnovamento e tra queste le città di Pisa e di Genova ebbero un ruolo determinante.

La marineria pisana, al fianco di quella genovese, collaborò alla riconquista cristiana del Mediterraneo occidentale; questa ripresa di contatti con i porti che si affacciavano sul Mediterraneo, in molti casi violenta, procurò notevoli guadagni al seguito di saccheggi e scambi commerciali imposti con la forza. A una prima fase interessata in particolar modo da interventi militari tesi all’annientamento della pirateria islamica, al saccheggio e all’imposizione di condizioni privilegiate per i propri mercanti, seguì una seconda fase di stabilizzazione dei rapporti attraverso la stipula di regolari trattati36.

Un primo passo fu ristabilire il controllo del bacino tirrenico, in particolare furono decisive le spedizioni in Sardegna (1015-1016) che bloccarono il tentativo di creazione, da parte di

Mughaid di Denia, di uno stato tirrenico islamico. In seguito i pisani compirono imprese in

Africa (1034-Bona) e in Sicilia (1064-Palermo), e di nuovo insieme ai genovesi attaccarono l’Africa (1087-Mahdia), la Spagna (1092-Tortosa) e parteciparono alla prima crociata in Oriente inviando le loro flotte tra il 1098 e il 109937.

Negli stessi decenni nel Meridione d’Italia facevano la loro comparsa i Normanni, che, inizialmente giunti come mercenari assoldati dalle formazioni politiche locali in perenne contrasto tra loro, in seguito porranno le basi per la conquista e la formazione di un potente regno nel sud Italia38.

Iniziò così un percorso di riaggregazione dello spazio Mediterraneo che si riaffermerà come luogo centrale degli scambi. Si riallacciarono le attività commerciali a media e a lunga distanza e i porti diventarono punti essenziali dell’economia.

36 Tangheroni 1998, pp. 14-15. 37 Tangheroni 1996, p. 139. 38 Vitolo 2000, pp. 312-315.

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In Liguria si assiste alla crescita del porto di Genova che in possesso di una grande flotta si impone come potenza marittima, ma a dispetto delle fonti che lasciano intravedere l’esistenza di un porto attrezzato non si hanno informazioni reali sulle infrastrutture portuali. Per gli altri scali liguri non ci sono dati a disposizione eccetto che per Vada (Vado Ligure) il cui toponimo compare in un atto del 1062, nel quale si fanno concessioni ai savonesi, rogato proprio in portum Vadense feliciter. In questo caso è più opportuno però pensare a un semplice approdo 39.

In Toscana il principale porto è il Portus Pisanus, la cui vitalità è legata principalmente in quegli anni all’attività militare che porrà le basi per l’espansione marittimo-commerciale. Nascono nuovi scali come quello di Motrone, collocato alla foce del fiume Versilia, che compare per la prima volta nel 1084 in un documento concesso ai lucchesi dall’imperatore Enrico IV40. Ad Ansedonia (l’antica Cosa) avviene il recupero del portus Fenilie come prova un documento dell'abbazia di Sant'Anastasio delle tre fontane di Roma in cui Ansedonia compare in associazione al vicino porto di Feniglia41.

In Campania continua l’attività degli amalfitani, ma del porto e delle sue installazioni purtroppo non si hanno notizie. L’unica struttura in relazione con l’area portuale è l’arsenale, realizzato in pietra in prossimità del litorale, documentato a partire dall’XI secolo42. Rimane ancora dubbia la configurazione dell’area portuale di Napoli. Sulla base di un documento del 1018 il Capasso aveva proposto lo sdoppiamento del porto nell’XI secolo in due differenti bacini: uno detto de Arcina e uno Vulpulum. Secondo altre ipotesi lo sdoppiamento potrebbe riguardare due aree dello stesso porto: il Vulpulum, un’area riservata al traffico marittimo e l’Arcina dove erano la darsena e l’arsenale. Non si hanno però testimonianze sulle infrastrutture43.

Dopo la conquista normanna della Calabria si hanno notizie del porto di Cedrarum (Cetraro), che nel 1086 è donato da Sikelgaita all’abbazia di Montecassino, e del recupero del porto di Bivona (Vibo Valentia), come dimostrato dalla donazione nel 1091 della sua giurisdizione e delle rendite, derivate dall’attività di pesca che vi si svolgeva, all’abbazia della SS. Trinità di Mileto44.

39 Darchi, Bandini 2004, p. 17. 40 Del Punta 2011, p. 147. 41 Baldassarri 2011, p. 104. 42 Gargano 2010, p. 133. 43 Colletta 2006, pp. 48-49. 44 Dalena 2008, pp. 603-604.

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In Sicilia era ancora attivo il porto di Palermo, come testimoniato indirettamente dal resoconto della spedizione pisana del 1064. Un altro dato interessante proviene da una fonte normanna che, sminuendo la portata dell’impresa pisana, riporta che essi si limitarono a rompere soltanto la catena che chiudeva il porto; questo potrebbe essere un indizio della presenza a quel tempo di un’installazione di tipo difensivo45

. Inoltre, durante uno scavo d’emergenza, è stata riconosciuta un’area, prossima al bacino portuale, che nell’XI secolo doveva essere destinata all’attività cantieristica navale46

.

Nel XII secolo si passa a forme di commercio regolamentate e alla creazione di insediamenti stabili nei maggiori centri del Mediterraneo. Le marinerie italiane ottennero, in seguito al supporto dato nelle crociate, la concessione di poter fondare numerose colonie nei punti strategici delle vie commerciali del Levante: in Siria, in Palestina e in Egitto47. Lo sviluppo del commercio internazionale, in larga parte dipendente dal commercio marittimo, fu reso possibile anche da un costante miglioramento della tecnica nautica e dell’arte della navigazione. I progressi riguardarono l’introduzione delle vele latine, utilizzate nelle imbarcazioni più grandi in combinazione con le vele quadrate, la comparsa del timone unico a poppa e della bussola. Queste innovazioni resero più sicura la navigazione che perlopiù era ancora effettuata in prossimità delle coste48.

A partire dal XIII secolo compaiono poi le carte nautiche e i portolani che raccolgono le informazioni utili alla navigazione descrivendo le caratteristiche delle coste, dei porti, le rotte di cabotaggio e quelle in mare aperto.

Tra il XII e il XIII secolo avviene un aumento notevole del numero di attestazioni di scali e di porti lungo le coste tirreniche. Attraverso l’analisi dei primi portolani medievali (Liber

de existencia riveriarum e il Compasso da Navigare) e del Libro di Ruggero,

particolarmente utile per i porti dell’Italia meridionale, sono state riconosciute ottantuno aree portuali, un numero certamente elevato se confrontato con il numero di attestazioni anteriori al XII secolo49.

45 Renzi Rizzo 2011, p. 76.

46 Spatafora, Alea Nero et alii 2012, p. 33. 47

Tangheroni 1996, pp. 150-160.

48

Ibid., pp. 187-196.

49

In Liguria dal XII secolo tornano a essere attestati gli antichi approdi di Vigentimilium (Ventimiglia),

Albinganam (Albenga), Vatis sabatis (Vado Ligure), Siestrum (Sestri Levante), i porti di Genua (Genova), Portum Dalfini (Portofino), Portu Veneris (Porto Venere) e uno scalo alla foce del Flumen Macre (Fiume

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Non bisogna pensare però che questo numero corrisponda ad altrettanti porti strutturati. In molti casi si tratta di semplici approdi utili agli scali tecnici o di ripari naturali.

l’approdo di Levanto. Nel XIII secolo ritroviamo Porto Morige (Porto Maurizio-Imperia), l’ancoraggio di

Varigoto (Varigotti-Finale Ligure) e compare lo scalo di Voltri (Voltri-Genova).

In Toscana tra il XII e il XIII secolo è ancora testimoniata la possibilità di navigare e forse di fare scalo presso la faucem fluminis sarni (foce Arno), il sinus flumen umbrone (foce Ombrone), e l’approdo di Falesia presso l’antica foce del fiume Cornia (Piombino).

Continuano a essere ricordati il Portum Pisanum (Porto Pisano), il portus fenilie presso l’antica Cosa (Ansedonia) e il piccolo porto di Motrone alla foce del fiume Versilia (Pietrasanta).

Riappaiono nelle fonti i porti di Vada (Rosignano Marittimo), di Populonia ora col toponimo di Portus

Baractuli, il portus thalamone (Talamone - Orbetello) in posizione diversa rispetto lo scalo altomedievale, Porto Ercoli (Porto Ercole - Monte Argentario), e dal XIII secolo il porto de Sancto Stefano (Porto Santo

Stefano - Monte Argentario) laddove sorgeva l’incitaria portus.

Nell’isola d’Elba a partire dal XII secolo è attestato nuovamente il porto ferraria (Portoferraio) corrispondente all’Ango portus della Tabula Peutingeriana e dal XIII secolo anche il porto Longone (Porto Azzurro), l’antico portus longus.

Nel Lazio nel XII secolo è ricordato uno scalo fluviale alla foce del Garigliano (Minturno) e tra XII e XIII compare quello di flumen Monsalti alla foce dell’attuale fiume Fiora, dove in antico era l’arnine fluvius

positionem.

Tra il XII e il XIII secolo ritroviamo attestati i porti di Civita Velia (Civitavecchia), Antium (Anzio),

Terracinam (Terracina), Gaetam (Gaeta), Astura (Nettuno), e nel tratto di costa dove sorgeva l’antico porto

di Gravisca si impianta il porto di Corneto (Tarquinia). Nel XIII secolo in alcuni documenti viene ricordato il

portus Murellarum (Montalto di Castro) utilizzato come scalo dalla città di Tuscania, forse frutto del

recupero dell’antica regas positio.

Nei portolani sono anche citati i piccoli porti delle isole di Ponsi (Ponza) e Pantattera (Ventotene).

Anche il litorale campano tra XII e XIII secolo si popola di piccoli porti e scali fluviali. Nei portolani sono ricordati un porto a capo de mese (Bacoli) dove sorgeva il porto di Miseno, il porto di Neapolim (Napoli), quelli di Baia e di Amalfi. A partire dal XII emergono piccoli porti alle foci di fiumi, o forse in verità semplici ancoraggi: Stabia (Castellammare di Stabia), Vietri (fiume Vietri - Vietri sul Mare), Asa (torrente Asa -Pontecagnano Faiano), Sele (fiume Sele - Capaccio).

Sono menzionati anche gli scali di Sorenti (Sorrento), Positano (Positano), Salerni (Salerno), Panicastro (Santa Marina –Policastro Bussentino), Petrosa (Sapri?), e dal XIII secolo i porti di Nizari (Nisida) e Cetara. In Calabria tra il XII e il XIII secolo sono ancora attivi i porti di Cedrarum (Cetraro) e Biboni (Vibo Valentia) e sono attestati gli scali di Sanctum Nicetum (San Lucido), Scalea, Sancte Eufemie (Lamezia Terme), Tropeam (Tropea), Nicotena (Nicotera), Bagnara (Bagnara Calabra), Amantea e Regium (Reggio Calabria). Nel XII secolo è ricordato uno scalo fluviale alla foce del fiume Lao, Punta Cirella (Scalea) e dal XIII secolo lo scalo di Catuna (Catona – Reggio Calabria).

In Sicilia le fonti di XII e XIII secolo ricordano i porti di Trapena (Trapani), Panormum (Palermo), Melaczo (Milazzo), Messana (Messina); gli scali di Cephaleam (Cefalù), Castrum ad mare (Castellammare del golfo),

Marthalim (Marsala) e l’ancoraggio di Termene (Termini) alla foce del fiume S. Leonardo. Nella descrizione

dei porti fatta da Idrisi nel XII secolo, oltre a quelli già citati, compare una costellazione di approdi minori come Rocca delle barchette (Santo Stefano di Camastra), Caronia (Caronia), Oliveri (Oliveri), Porto della

vite (Brolo), Carini (Carini).

Le piccole isole della Sicilia dovettero svolgere la funzione di scali tecnici, sulle rotte tirreniche, dove poter riparare in caso di necessità; le fonti ricordano nelle Egadi, l’ancoraggio di Faognana (Favignana) e lo scalo di Maremma (Marettimo). Sono pure menzionati l’ancoraggio di Ustega (Ustica) e nelle Eolie gli scali di Lipari, Arcudi (Alicudi) e il porto naturale di Bulcano (Vulcano).

In Sardegna tra XII e XIII sono attivi i porti di Caralis (Cagliari) e di Olbia, sono attestati l’ancoraggio presso l’insula rubea (Teulada - isola rossa) e lo scalo fluviale di Orexe (Orosei). Dal XIII secolo troviamo poi gli approdi di Sancto Stefano (isola di Santo Stefano - La Maddalena), porto Santo Polo (Loiri Porto San Paolo), ca de fornello (Capo di Coda Cavallo- San Teodoro), isola di plonbino (isola dell’Ogliastra- Lotzorai), Malfetano (Capo Malfatano - Teulada) e il porto di Posa (Posada).

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La fonte che offre maggiori dettagli sulle località costiere, sugli approdi e sui porti è il

Compasso da Navigare. Per ogni scalo sono indicate le caratteristiche; le tipologie

sembrano rispecchiare una realtà molto articolata, le più presenti in ordine di apparizione sono: Porto, Ponedore, Parago e Lena.

Il termine porto è utilizzato per gli approdi più grandi sia naturali sia artificiali; in Liguria troviamo: Porto Morige (Porto Maurizio-Imperia), Noli (Noli), Vadi (Vado Ligure), Porto

Dalfino (Portofino), Rapallo (Rapallo), Porto Venaro (Porto Venere), Eleze (Lerici).

Nell’isola d’Elba, Porto Ferrara (Portoferraio) e Porto Longone (Porto Azzurro); in Toscana: Porto Ercoli (Porto Ercole), Porto de Sancto stefano (Porto Santo Stefano); di alcuni porti poi sono segnalati elementi distintivi che ne permettono una maggiore definizione come per il Portus Pisanus (Livorno), indicato porto de catena, oppure per quelli di Genova e Savona, entrambi designati, porto facto de molo.

Nel Lazio sono indicati: Civita velia (Civitavecchia), Gaeta (Gaeta), Ponza (Ponza). In Campania: Capo de Mese (Miseno-Bacoli), Baia (Baia-Bacoli), Nizari (Nisida). In Sicilia:

Bulcano (isola di Vulcano), Messina, Melaczo (Milazzo), Palermo, Trapena (Trapani). In

Sardegna: Sancto Stefano (isola di Santo Stefano- La Maddalena), Sancto Polo (Loiri porto San Paolo), Ca de Fornello (capo coda di cavallo-San Teodoro), Isola de Plonbino (isola dell’Ogliastra-Lotzorai), Callari (Cagliari).

Le altre tipologie presenti nel portolano sono riconducibili a scali minori.

Il termine ponedore indica gli ancoraggi ben protetti: in Sardegna è usato per Isola Rossa (isola Rossa Teulada), in Liguria per Varigoto (Varigotti- Finale Ligure) e Albengana (Albenga). Talvolta questi ancoraggi erano tanto attrezzati da poterli comparare a veri e propri porti, come nel caso di Varigoto, del quale sono in parte visibili resti dei moli medievali e la cui importanza come scalo per i traffici commerciali è indirettamente confermata dall’interramento del bacino portuale effettuato dai genovesi nel 134150

. Il parago, termine derivato dal verbo «parare» da intendere nel significato di ripararsi, indica gli scali naturali ben protetti dove era possibile trovare rifugio in caso di necessità, come in Sicilia a Faognana (Favignana).

L’espressione lena, invece, denota una semplice spiaggia, come la plagia nell’Itinerarium, la vediamo utilizzata per indicare in Sicilia lo scalo di Marsala.

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Fig. 23. Il grafico mostra il numero di apparizioni per ogni tipologia.

A partire dal XII secolo, grazie alle numerose testimonianze contenute nella documentazione scritta e in parte ai risultati ottenuti dalle ricerche archeologiche, è possibile conoscere quali tipologie di strutture venivano realizzate e in alcuni casi anche con quali materiali.

È interessante notare la corrispondenza tra quanto riportato nel Compasso da Navigare e la realtà ricostruibile attraverso la comparazione tra fonti scritte e materiali. In particolare questo vale per i porti, di Genova e Savona, che sono gli unici definiti “porto facto de

molo”.

Nel porto di Genova, infatti, il più antico molo in muratura è costruito a più riprese a partire dal 1133 nell’ansa del Mandraccio; questa struttura sarà in seguito nominata molo San Marco. Durante gli scavi negli anni novanta furono individuate parti delle murature ascrivibili alla fase del rifacimento duecentesco51. Intorno al 1139 venne costruita la prima

51 Prosperi, Sciamanna 1996, p. 78. 0 5 10 15 20 25 30 35

Definizioni Compasso da Navigare

Porto Ponedore Parago Lena

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torre-faro sul promontorio di San Benigno, che a partire dal XIV secolo verrà detta la Lanterna52.

Nel 1163, secondo quanto riportato dalle fonti, ebbero inizio i lavori di sistemazione nella zona portuale antistante al quartiere di Prè; le indagini archeologiche condotte nell’area dell’arsenale hanno messo in luce parte di un pilastro forse pertinente a quegli interventi53

. Prima della realizzazione di strutture d’approdo è probabile che le imbarcazioni più piccole fossero tirate a secco sulla spiaggia del Mandraccio, mentre le più grandi erano ancorate all’interno della rada; da qui le merci venivano trasbordate su barche più piccole che poi sbarcavano sull’arenile.

Verso la fine del XIII secolo sono realizzati una serie di interventi all’interno del bacino portuale. Per agevolare le operazioni di scarico e carico delle navi vengono costruiti cinque pontili in legno (ponte dei Calvi, ponte dei Cattanei, ponte dei Chiavari, ponte della Mercanzia, ponte del Pedaggio). Tra il 1283-1285, presso la chiesa di S. Fede, viene realizzata una "Darsena con torri" e si dà inizio anche alla costruzione dell’Arsenale; delle due strutture sono state individuate rispettivamente: parte di un molo e la platea di fondazione54.

A Savona la prima notizia riguardante la costruzione di un molo si ha in un documento del 1180 che cita l'opus portus; doveva trattarsi di una lunga banchina di contenimento della costa orientale dell'insenatura. Mentre tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo viene costruito il molo di Sant'Erasmo lungo il fianco settentrionale del colle di San Giorgio; questo molo, realizzato in grandi blocchi di pietre, fu in parte riportato in luce negli anni Settanta55.

In Toscana il principale scalo è Porto Pisano, nel Compasso definito “porto di catena”, attorno al quale gravitano una serie di scali minori.

Intorno alla metà del XII secolo, negli Annales pisani, si hanno le prime notizie riguardanti l’organizzazione delle strutture portuali.

Nel 1156 iniziò la costruzione della torre-faro della Meloria per segnalare la presenza di pericolose secche56. Nel 1158 prendono avvio i lavori per la realizzazione di altre due torri a protezione del porto, una verso Livorno terminata nel 1162, l’altra verso la torre della Frasca terminata nel 1164.

52 Giardina 2010, p. 147. 53 Gardini 1996, p. 121. 54 Pellegrineschi 1996, p. 114. 55 Varaldo Grottin 1996, pp. 95-97. 56 Giardina 2010, p. 147.

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Successivi lavori si concentrarono nella zona del Magnale, in un’area più esterna della laguna. Nel 1165 viene realizzata una grande casa destinata ad alloggio per i marinai e nello stesso anno fu tesa la catena a chiusura del porto tra le torri del Magnale. Nel 1177 venne costruito un fondaco, un grande magazzino per le merci, protetto da una torre e da una porta di ferro57.

Il porto nel 1267 subì danni in seguito all’incursione dalle truppe di Carlo I d’Angiò, successivamente nel Breve Pisani Communis del 1287 sono attestati i lavori di costruzione di altre due torri in mare e la presenza di una nuova torre, detta della Formica; nuovamente danneggiato nel 1290 dai genovesi, venne poi ripristinato. Nel 1297 sono poi attestate la costruzione di una torre e di un ponte che la collegava alla riva e la sistemazione di una nuova catena all’ingresso del porto58

.

Per gli altri scali della Toscana le informazioni riguardanti le infrastrutture sono più sporadiche; sappiamo che nel 1166 i genovesi avviarono un progetto di fortificazione dello

57 Ceccarelli Lemut 2007, pp. 120-121. 58 Ibid., pp. 123-124.

Fig. 24. Bassorilievo raffigurante Porto Pisano e le sue fortificazioni (XIII secolo). Si notino le catene di chiusura, i pali, le torri (Museo di S. Agostino, Genova).

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scalo fluviale di Motrone con lo scopo di danneggiare i traffici dei pisani, ma a parte questa testimonianza non si ha notizia di altre costruzioni59.

Siamo a conoscenza poi del forte interesse che mostrò il comune di Pisa per la realizzazione di strutture nel porto di Vada. Infatti, nel 1278 fu intrapresa la costruzione di un faro sulla secca di Val di Vetro e ancora nel 1297 la curia maris predisponeva che il porto fosse fornito di pali per l’ormeggio60

.

Infine, il porto di Falesia doveva essere chiuso da pali e difeso da una catena come sembrano dimostrare due narrazioni contenute negli Annali Genovesi, degli anni 1283-128561.

In Sardegna il mantenimento o il recupero di alcuni scali sembra essere direttamente legato alla presenza pisana. A Olbia, in seguito all’alleanza tra il Giudicato di Gallura e la città di Pisa si assiste a una ripresa dei traffici marittimi di un certo impegno. Tra il XII e il XIII secolo è messo in atto un intervento di bonifica del bacino portuale che ormai era difficilmente praticabile per navi di un certo tonnellaggio: allo scopo venne effettuata una colmata utilizzando parti di imbarcazioni in disuso, pali e pietre62.

Nel corso della prima metà del XIII secolo a Cagliari i pisani si impegnarono nella realizzazione di una torre nell’area del porto (1257) e poco dopo nella costruzione della darsena e di una palizzata posta a protezione del bacino portuale63.

Sulle attrezzature degli scali e dei porti del Mezzogiorno d’Italia non si sa molto, ma attraverso l’utilizzo delle fonti scritte è possibile tentarne una ricostruzione. I porti più grandi della Sicilia erano Palermo e Messina. Dalle descrizioni di Idrisi sappiamo che entrambi nel XII secolo erano dotati di un arsenale adibito alle costruzioni navali e che il porto di Messina poteva accogliere navi di tutte le dimensioni che, ancorando vicino alla spiaggia, potevano scaricare le merci passandole di mano in mano64. Nel Compasso da

Navigare, Palermo e Messina sono indicati come bono porto e per il secondo c’è ancora un

riferimento alla spiaggia «à una lena da ver lo silocco che à nome Sancto Jachim»; è forse

59

Del Punta 2011, p. 150.

60 Ceccarelli Lemut 2007, pp. 53-54.

61 Ibid., p. 57. «Nel 1283 quarantanove galee pisane si rifugiarono tra i pali del porto e affondarono

imbarcazioni cariche di pietre all’imboccatura; nel 1285 il genovese Spinola forzò la catena del porto e portò via una nave».

62 D’Oriano 2006, pp. 100-101. 63 Simbula 2001, pp. 295-296. 64 Rizzitano 1966, pp. 37, 41.

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plausibile pensare che la presenza stessa dell’arenile all’interno del grande porto naturale fosse sufficiente per adempiere alle operazioni di carico e di scarico65.

Per quanto riguarda la Campania e la Calabria, sotto la monarchia angioina si diede

impulso al rinnovamento dei porti e al potenziamento della flotta. In un documento del 1272 è riportato un elenco di arsenali da ristrutturare, tra i quali erano

compresi quelli campani di Sorrento, Salerno e Amalfi, e quello calabrese di Nicotera66.

Fig. 25. Attestazioni aree portuali.

65 Motzo 1947, p. 105. 66 Gargano 2010, pp. 136-137. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

XI SECOLO XII SECOLO XIII SECOLO XIV SECOLO

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Agli inizi del XIV secolo in Europa avviene un rallentamento del processo di crescita che aveva caratterizzato tutti i settori produttivi. L’equilibrio tra crescita demografica e risorse disponibili divenne precario. Inoltre il peggioramento climatico favorì l’insorgere di numerose carestie che portarono a un indebolimento della popolazione che fu più esposta alle epidemie67.

Tuttavia, il differente sviluppo delle economie regionali europee, permise di superare le conseguenze della crisi demografica ed economica trecentesca, e pur se in una fase di generale contrazione dei mercati che caratterizzò tutta l’Europa, la navigazione, il sistema dei porti e le reti commerciali erano ancora efficienti68.

Il grande bacino mediterraneo era percorso da un intreccio di rotte che garantivano i collegamenti con il Levante, il nord-Africa e l’Occidente. Inoltre nel corso del Trecento si stabilirono anche regolari trasporti che, oltrepassando lo stretto di Gibilterra, raggiungevano le coste atlantiche, la Manica e il Mare del Nord69.

Lungo le coste italiane continua l’attività dei porti che si erano affermati nel corso del XIII secolo. Le fonti hanno permesso, per il XIV secolo, il riconoscimento di settanta aree portuali.

Ancora una volta è soprattutto grazie alla documentazione scritta che siamo a conoscenza di interventi di ristrutturazione o realizzazione di nuove strutture.

Fino al XIV secolo, nel porto di Genova, la maggior parte delle strutture di attracco per il carico e lo scarico delle merci sono ancora in legno. In questo periodo sono documentati i rifacimenti o restauri dei pontili realizzati nel corso del XIII secolo e la costruzione di un nuovo pontile, il ponte degli Spinola, del quale durante gli scavi sono stati individuati dei pali riconducibili al primo impianto70. Altri interventi, ricordati dalle fonti, riguardano la realizzazione nel 1306 di un moletto per dividere la Darsena in due bacini che verranno adibiti, uno per il ricovero delle galee e l’altro per lo scarico e il carico del vino, e nel 1312 la fortificazione della darsena con “torri e recinto”71

. Nel XIV secolo viene costruita una torre-faro sulla testata del molo Vecchio, sono attestati lavori di ripristino e manutenzione della Lanterna72. 67 Vitolo 2000, pp. 371-374. 68 Tangheroni 1996, pp. 443-462. 69 Ibid., pp. 464-471. 70 Bianchi 1996, pp. 91-101. 71 Pellegrineschi 1996, p. 114. 72 Cavaciocchi 1987, p. 179.

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Tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo nel porto di Savona, con lo scopo di realizzare due distinti bacini, viene costruito il molo delle Casse73.

Nel 1368 a Porto Maurizio fu realizzato un molo in prosecuzione del promontorio, oggi è forse inglobato nel molo di ponente dell’attuale porto74

.

Nel porto di Pisa nel 1304 sono attestati lavori di rifacimento del molo (lappola) e del ponte ed è inoltre ricostruita la torre-faro. Nel 1319-1322 sono testimoniati lavori di sistemazione della palizzata, ma è in atto un progressivo processo d’interramento che porterà al restringimento dell’area portuale75

.

A Vada è ancora una volta confermato l’interesse che aveva il comune di Pisa nel rendere agibile lo scalo. Infatti, un documento attesta lavori alla palizzata del porto nell’estate del 133976.

L’antico porto di Talamone viene comprato nel 1303 dai senesi con l’intento di ottenere uno scalo marittimo necessario per i commerci e per la difesa della Maremma. In seguito le fonti attestano lavori di ricostruzione che in parte riguardano il centro abitato e in parte l’area portuale. Nel 1309 si decide di edificare una "Lanterna" sulla torre del Cassero più vicina al mare e viene anche costruito un pontile in legno per l'attracco delle imbarcazioni e per facilitare il carico e lo scarico delle merci. Nuove costruzioni si hanno dopo la concessione del porto ai fiorentini; nel 1357 viene infine realizzato un fondaco per il deposito delle merci77.

Durante la dominazione angioina l’area portuale di Napoli viene rinnovata: a Carlo II d’Angiò si devono il progetto di ampliamento del porto e la progettazione dell’arsenale. Nel 1302 le fonti ricordano l’inizio dei lavori per la realizzazione di un lungo molo per l’approdo, con direzione ortogonale alla costa, poi detto molo grande o angioino, che proseguirono fino al 1320 e poi ancora ripresi nel 1384. I Registri Angioini riportano poi la costruzione dell’arsenale a partire dal 1306, da collocare sul litorale confinante con il molo grande. È attestata anche la costruzione di due nuovi arsenali tra il 1335 e il 1340, ma rimane il dubbio se si trattasse di progetti o di strutture realmente costruite78.

All’inizio del XIV secolo nel porto di Cagliari, passato sotto il controllo catalano-aragonese, la principale struttura era ancora la palizzata. Si accedeva all’interno del bacino 73 Varaldo Grottin 1996, p. 95. 74 Ibid., p. 76. 75 Ceccarelli Lemut 2007, p. 124-126. 76 Ibid., p. 54. 77 Sordini 2000, pp. 100-112. 78 Colletta 2006, pp. 156-159.

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attraverso due passaggi e l’ormeggio delle navi avveniva fissando direttamente le cime ai pali. La palizzata sarà ristrutturata e ampliata più volte a partire dal 1325 e fino al XVI secolo sarà l’elemento caratterizzante del porto79

.

79 Simbula 2001, pp. 300-307.

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