UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali
Corso di Laurea Magistrale in
Progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio
Tesi di Laurea
Riqualificazione del giardino del chiostro minore
della Certosa di Calci
RELATORE: Prof. Paolo Vernieri
CORRELATORE: Prof.ssa Cristina Nali
CANDIDATO: Chiara Salemi
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INDICE
INTRODUZIONE
1. L’ ORIGINE DELLE CERTOSE p. 3
1.1 Inquadramento storico p. 3
2. La Certosa di Calci p. 7
2.1 Inquadramento territoriale p. 7
2.2 La storia della Certosa di Calci p. 8
2.3 Descrizione degli ambienti p. 11
2.3.1 Il cortile d’onore p. 16
2.3.2 Il chiostro del Capitolo p. 20
2.3.3 Il chiostro della Foresteria e del Priore p. 21
2.3.4 Il chiostro grande p. 22
2.3.5 Le celle p. 26
3 SIMBOLOGIA DEL GIARDINO NELLE CERTOSE p. 28
3.1 I giardini della Certosa di Calci p. 31
3.1.1 Il Desertum p. 31
3.1.2 Gli orti p. 33
3.1.3 Il giardino del Priore p. 35
3.1.4 Il giardino delle celle dei monaci e del Maestro dei novizi p. 37
4. OBIETTIVI p. 41
FASE PROGETTUALE
5. Descrizione dell’area d’intervento p. 42
5.1 Problemi rilevati p. 61
5.2 Proposta progettuale p. 62
5.3 Intervento progettuale p. 64
5.4 Scelta vegetazionale p. 65
5.5 Analisi Dei Costi p. 75
6. CONCLUSIONI p. 77
7. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA p. 78
RINGRAZIAMENTI p. 81
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INTRODUZIONE
1.
L’ORIGINE DELLE CERTOSE1.1 Inquadramento storico
Il nome “Certosa” deriva dal primo e più importante monastero dell’Ordine certosino, “la Grande Chartreuse” (Fig.1), fondata nel 1084 da San Bruno da Colonia (1028-1101) nel Delfinato, insieme a sei compagni. Il Delfinato è una regione del versante occidentale delle Alpi, a Nord della città di Grenoble (Martini, 1978), nel cuore del massiccio alpino denominato “massif de la Chartreuse”. Da tale nome deriva il termine italiano “Certosa” e francese “Chartreuse” (Stumpo, 2008).
In tale luogo San Bruno condusse una vita solitaria, dedicata alla meditazione e alla preghiera.
Figura 1: La Grande Chartreuse
(https://rel-tour.blogspot.it/2014/10/the-monastery-of-grande-chartreuse_20.html)
Sei anni dopo l’istituzione della Grande Chartreuse (1091), San Bruno fondò, in un territorio situato in una località chiamata Santa Maria della Torre (in Calabria), l’eremo di Santa Maria dove morì nel 1101 (Hogg, 2004 a). Dopo la sua morte, l’Ordine Certosino cominciò lentamente ad espandersi in tutta
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Europa, raggiungendo il suo massimo sviluppo a partire dal XIV secolo. All’inizio del XVI secolo vi erano ben 195 Certose in tutta Europa di cui 39 in Italia (Stumpo, 2008). Dopo questo periodo di massima espansione, tuttavia, si assistette ad una progressiva riduzione, dovuta inizialmente alle guerre di religione ed in seguito, alle soppressioni di molti ordini religiosi voluta da Giuseppe II d’Asburgo prima e dal Direttorio che governò la Francia durante la rivoluzione e da Napoleone Bonaparte in seguito. Superato il periodo napoleonico, l’Ordine cominciò lentamente a riprendersi, anche se continuavano a sussistere difficoltà dovute a nuove soppressioni ed incameramenti delle proprietà, soprattutto in Italia ed in Francia. In particolar modo, in Francia, a causa dell’emanazione, nel 1903, delle leggi antireligiose, i monaci certosini vennero esiliati. Solo nel 1940, la comunità monastica poté rientrare nella Grande Chartreuse (Casa Madre di tutto l’Ordine), dove tutt’oggi, ogni due anni, si riunisce il Capitolo Generale costituito dai padri superiori di tutto il mondo (Ventisette, 2008).
Attualmente esistono 16 certose maschili in Europa, una negli Stati Uniti, una in Brasile, una fondata recentemente in Argentina (1997) e una in Corea (1999). Ci sono anche 5 certose femminili in Italia (Dego e Vedana), Spagna (Benifacà), Francia (Nonenque e Notre-Dame) (Fig.2)
Figura 2: Le Certose presenti nel mondo (http://www.certosini.info/l%27ordine_oggi.htm)
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In Italia sono presenti 47 certose (vedi tabella). La regione con il maggior numero di certose è il Piemonte. Questo è probabilmente dovuto alla vicinanza con la Casa Madre dell’Ordine ma anche alla conformazione geomorfologica del territorio, che è attinente ai dettami della regola per la scelta dei luoghi dove costruire una Certosa. Infatti i monaci prediligevano luoghi isolati, lontani da aree popolate. Al Piemonte seguono la Toscana, la Liguria, il Veneto e la Lombardia (Ventisette, 2008).
Figura 3: Le Certose presenti in Italia
(http://www.sitvallodidiano.it/mediateca/allegati/399/399_626_Pubblicazione.pdf )
Delle quarantasette certose censite, attualmente, ne risultano attive solo 4: la Certosa della Trinità (a Savona, in Liguria) e quella di Vedana (a Belluno, in Veneto) che sono femminili; la Certosa di Farneta (a Lucca, in Toscana) e
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quella di Sierra San Bruno (a Vibo Valentia, in Calabria) abitate da monaci (Falorni, 2006-2007).
Negli anni 2000-2006 è stata effettuata, sulla base del progetto “Sviluppo Sostenibile nella Filiera turistico-culturale”, un’indagine che ha fornito una panoramica sull’attuale gestione delle certose italiane sia in termini di eremi religiosi che di patrimonio architettonico.
Da questa indagine è emerso che le certose non sono regolate a livello nazionale da un’unica normativa e che presentano delle situazioni diverse in termini di gestione, attività e destinazione. Alcune sono proprietà dell’Ordine e vengono gestite direttamente dai monaci e dalle monache che vi risiedono; altre ospitano Ordini religiosi che si sono insediati in seguito ad eventi storici diversificati. Altre ancora sono di proprietà privata o appartengono alle Università italiane. In alcuni casi le strutture sono di proprietà statale e vengono utilizzate come sedi di uffici provinciali o comunali. Inoltre dall’indagine si evince anche che lo stato attuale delle certose italiane manchi soprattutto di finanziamenti per le infrastrutture, che rappresentano spesso dei patrimoni di altissimo valore artistico (Stumpo, 2008). Esiste dunque la necessità di adottare delle strategie per la salvaguardia di questo patrimonio, al suo restauro e conservazione.
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2. LA CERTOSA DI CALCI
2.1 Inquadramento territoriale
La Certosa di Calci è un vasto complesso monumentale situato nel comune di Calci, in un territorio prevalentemente pianeggiante, alle pendici dei Monti Pisani.
Il comune di Calci conta circa 6.426 abitanti e si estende su una superficie di circa 25,18 km ²; inoltre ha uno sviluppo altitudinale compreso tra i 40 e i 260 metri sul livello del mare. Si compone di diverse frazioni (La Pieve, il Colle, Villa Sant’Andrea, Castel Maggiore, Tre Colli, Santa Lucia, Rezzano, San Lorenzo, Monte Magno, La Corte, La Gabella) (www.comune.pisa.it/calci/ilpaese.htm)
Figura 4: Veduta aerea della Certosa di Calci e di una porzione del centro abitato di Calci (Google earth)
La viabilità circostante è caratterizzata dalla presenza di antiche strade che percorrono le vallate vicine, ma anche da strade comunali urbane ed extraurbane.
8 2.2 La storia della Certosa di Calci
La Certosa è situata nella valle di Calci, caratterizzata da una grande valenza paesaggistica, in quanto sovrastata dalle cime più alte del Monte Pisano (Stumpo, 2008).
La valle era originariamente chiamata “buia”, ma in seguito all’espressione utilizzata dall’arcivescovo Moricotti: “nunc vero Vallis gratiosa” prese il nome di “Val Gratiosa”, perché illuminata dalla grazia di Dio per la presenza dei monaci. Tale valle, inoltre, essendo distante dalla città, rappresentava il luogo ideale per la solitudine dei monaci (Piombanti, 1884).
La Certosa è stata fondata grazie al lascito di Pietro Mirante della Vergine, un ricco mercante pisano, secondo il testamento del 1366. La sua costruzione è stata autorizzata dall’arcivescovo di Pisa, Francesco Moricotti, nel 1367 (Giusti e Lazzarini, 1995).
I lavori procedettero con una certa continuità fino alla formazione di un primo nucleo monastico grazie alle ripetute donazioni da parte di persone facoltose (cittadini cospicui, ricchi mercanti ecc.). In tale primo nucleo erano presenti gli elementi principali dell’impianto tipico del monastero certosino: la Chiesa con la sacrestia, il chiostro, le celle dei padri, le cappelle, la sala capitolare e i locali esterni all’area claustrale vera e propria con gli edifici rustici e il dormitorio dei conversi (Giusti, 1993).
La Certosa fu completata nelle sue principali strutture entro la fine del XIV secolo; fu poi oggetto di un ampio programma di rinnovamento iniziato nel XVII e terminato nella seconda metà del XVIII secolo con i lavori di ampliamento e rinnovamento promossi dal Priore Alfonso Maggi (1764-1797) (Battaglini L., 2016).
Grazie al priore è avvenuta la realizzazione della foresteria granducale, del chiostro grande (fulcro simbolico della vita dei padri), del cortile d’onore e degli spazi verdi (Giusti, 1991).
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A seguito del decreto del 13 febbraio 1807, emanato da Giuseppe Bonaparte, che stabilì l’abolizione degli Ordini Monastici, la Certosa venne soppressa, furono requisiti i suoi beni e fu sottoposto a sequestro il materiale conservato nelle biblioteche e nell’archivio. In particolar modo: le argenterie vennero destinate alla Zecca di Firenze, i libri della biblioteca furono depositati nei fondi del Palazzo della Sottoprefettura di Pisa; l’abbondante raccolta di pergamene fu consegnata al Governo; molti altri beni sono stati venduti e altri andarono dispersi (Manghi, 1911).
Dopo il decennio francese i certosini vennero reintegrati a Calci (1814) ma furono nuovamente allontanati in seguito alla legge relativa alla soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose, emanata nel 1866 dallo Stato (Martini, 1978).
La custodia degli edifici venne affidata alla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e Storici di Pisa e con il decreto del 31 maggio 1874 tutte le opere necessarie alla conservazione del monumento divennero attribuzione dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei Monumenti della Toscana residente a Firenze (Manghi, 1911).
I monaci certosini, tuttavia, continuarono ad abitare in una parte della Certosa, mentre l’altra parte fu adibita a residenza estiva delle educande del conservatorio del Sant’Anna. Tra il 1915 e il 1921 la Certosa divenne un ospedale per i prigionieri di guerra sotto l’amministrazione degli ospedali di Santa Chiara di Pisa (Gioli, 2015).
Nel secondo dopoguerra si assistette ad una progressiva diminuzione del numero dei monaci presenti nella Certosa, che venne definitivamente abbandonata nel 1972.
Alla fine degli anni Settanta, la Direzione Generale del Ministero delle Finanze concedette all’Università di Pisa, una parte della Certosa (dichiarata “non monumentale”) dove nel 1979 vi fondò il Museo di Storia Naturale e del Territorio (Fig. 5) (http://www.msn.unipi.it/it/la-certosa/).
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Quest’ultimo è tra i primi musei scientifici universitari per importanza e ricchezza: esso conserva le collezioni naturalistiche dell’Università di Pisa formatesi nell'ambito della ricerca zoologica, paleontologica e mineralogica dell'Ateneo pisano dal 1591 ad oggi (Ventisette, 2008).
Dal 14 maggio 2016, il museo ospita il più grande acquario d’acqua dolce di tutta Italia. Ciò grazie al finanziamento della Fondazione Pisa, il contributo dell’Università ed un consistente investimento da parte del Museo stesso (Fig. 6).
Inoltre, a partire dal 1991, il Centro di Ricerche Agro-Ambientali “Enrico Avanzi” si è fatto carico del recupero e ripristino di tutte le zone a verde della Certosa (“i prati, gli orti, il boschetto, l’oliveto, il frutteto, i muri a secco, tutto è in ordine, ben ripristinato e mantenuto grazie alla preziosa collaborazione con il personale del “Centro Avanzi”) (Battaglini, 2016) (Fig. 7).
Figura 5: Galleria del Museo (giugno 2016)
Figura 6: Acquario di Calci
(http://www.pisatoday.it/cronaca/inaugurato-acquario-acqua-dolce-pisa.html)
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Figura 7: Veduta della Certosa di Calci dall'alto
( http://www.toscana.beniculturali.it/articoli/la-certosa-di-calci-protagonista-di-un-servizio-di-geo-su-rai3)
2.3 Descrizione degli ambienti
I lavori per la costruzione della Certosa di Calci iniziarono nel 1367 per completarsi definitivamente alla fine del 1700.
Anche nel caso di questa certosa, come per ogni monastero, la matrice dell’insediamento tipo è la Grande Chartreuse, che era stata edificata nel rispetto delle regole di vita dei certosini.
Per arrivare alla Certosa si percorre uno stradone di circa un chilometro (Fig. 8 e 9) costruito nel 1847, per volontà del sindaco Francesco Ruschi (1807-1875). Tutto il complesso monumentale è circondato da un alto muro di cinta, caratteristico delle certose, che ha una doppia funzione: proteggere la solitudine dei monaci e impedire l’ingresso agli animali selvatici (Pigozzi, 2014-2015).
Al monastero si accede attraverso un portale d’ingresso (vestibolo) (Fig. 10), nei cui riquadri laterali sono contenute le scritte latine che mostrano gli principi fondamentali della regola e delle spiritualità certosine: “HABITANTIBUS HIC OPPIDUM CARCERE EST ET SOLITUDO
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PARADISUS; SOLITARIA VITA COELESTRIS DOCTRINAE SCHOLA EST ET DIVINARUM ARTIUM DISCIPLINA” (ovvero “Questo recinto è carcere per i suoi abitanti e la solitudine è il paradiso; la vita solitaria è scuola di dottrine celesti e disciplina delle arti divine”). Centralmente invece si osservano le epigrafi con la scritta “O BEATA SOLITUDO, O SOLA BEATITUDO” (O beata solitudine, o sola beatitudine), e l’indicazione dell’anno di fondazione della Certosa (“CARTUSIA PISARUM FONDATA AN. R.S. MCCCLXVI”- La Certosa di Pisa fondata nel 1366) (Fig. 11). Strutturalmente la Certosa è suddivisa in due distinti livelli e racchiude sia elementi architettonici (la Chiesa, le cappelle, il refettorio ecc..) sia spazi aperti in cui i monaci conducevano la loro vita quotidiana, segnata da attività lavorative e spirituali. In particolare, al livello inferiore si svolgeva una vita più operativa e si trovano le strutture di servizio e di sussistenza: farmacia, granaio, frantoi ecc..; mentre al livello superiore si svolgeva l’attività contemplativa dei monaci. L’organizzazione della Certosa su due livelli si può osservare nelle planimetrie successive riportate in Figura 12 e Figura 13.
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Figura 10: Ingresso principale (giugno 2016)
14 Legenda
1. Vestibolo d’ingresso 2. Biglietteria
3. Cappella di San Sebastiano (cappella delle donne) 4. Cortile d’onore
5. Farmacia
6. Scalone d’ingresso 7. Cella dei procuratori 8. Archivio e biblioteca
9. Ex frantoio (ora adibito a biglietteria del Museo di Storia Naturale) 10. Galleria storica del museo di storia naturale
15 Legenda
1. Chiesa 14. Capitolo
2. Sagrestia 15. Refettorio
3. Cappella delle reliquie 16. Chiostro del capitolo 4. Cappella di San Ranieri 17. Chiostro grande 5. Cappella del ss. Crocifisso 18. Cimitero dei monaci 6. Cappella di San Giovanni 19. Cella del monaco 7. Cappella di San Bruno 20. Appartamento del Priore 8. Cappella del rosario 21. Chiostro delle foresterie 9. Cappella di San Giuseppe 22. Giardino del Priore 10. Cappella di Sant’Antonio da Padova 23. Foresteria granducale 11. Cappella dell’Addolorata 24. Foresteria laica 12. Cappella di San Filomena 25. Granai
13. Cappella del Colloquio
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Gli ambienti esterni caratteristici della Certosa su cui mi soffermerò con la descrizione sono: il cortile d’onore, il chiostro del Capitolo, della Foresteria granducale e del Priore ed il chiostro grande.
2.3.1 Il cortile d’onore
E’ un ampio spazio rettangolare che misura 140 metri di lunghezza e 32 metri di larghezza (Manghi, 1931) e si sviluppa in senso longitudinale al monastero (Fig. 14). Ospitavagli ambienti utilizzati dai monaci, e ancor più dai conversi, per le diverse attività produttive del monastero. Erano presenti: la tinaia, la cantina (oggi adibita ad acquario di acqua dolce), il forno, la segheria, il granaio, il frantoio (oggi impiegato come biglietteria del Museo), le scuderie ecc.
All’interno del cortile d’onore è presente la farmacia (Fig.15), che veniva utilizzata per la preparazione e la vendita dei prodotti farmaceutici. Essa era originariamente collocata all’interno del monastero ma con la ristrutturazione settecentesca è stata spostata dove si trova attualmente.
La facciata della Chiesa (Fig. 16), preceduta da una scalinata in marmo a doppia rampa (ristrutturata nel 1717 dal fiorentino Gabriele Cambi in collaborazione con maestranze carraresi), chiude, lungo il lato opposto al portale d’accesso, lo spazio della corte esterna.
E’ caratterizzata dalla presenza di un ciclo iconografico complesso. Alla sommità del timpano triangolare vi è la statua della Vergine, Regina deserti
(recante la corona stellare dell’ordine certosino) che, insieme alle figure di San Giovanni (con gli attributi dell’aquila, il libro, il calice dal quale fuoriesce il serpente), a sinistra e San Gorgonio (con palma e rastrello) a destra,entrambi situati su un piedistallo sulle nicchie laterali, rappresenta la compatrona della Certosa. Poco al di sotto ci sono due piccole nicchie laterali dove sono
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raffigurati Sant’Ugo de Die, vescovo di Grenoble, protettore del primo nucleo certosino e Sant’Anselmo vescovo di Belley.
Al di sopra del portale d’ingresso alla Chiesa è presente lo stemma certosino con la sigla CAR[TUSIAM] intrecciata con la croce sul sacro monte, simbolo della fermezza e della stabilità dell’ordine. Ai lati dello stemma ci sono le figure allegoriche della Fede e della Carità (Fig. 16 a) (Martini, 1978).
Sul lato sinistro della facciata è presente un loggiato (Fig. 17), oggi utilizzato dal Museo di Storia Naturale mentre sul lato destro c’è un particolare muro di cinta (Fig. 18) decorato dall'artista pisano Angiolo Somazzi a "grottesco", utilizzando pietre di fiume, cristalli, marmo, stucchi, porcellane, conchiglie e altri materiali locali.
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Figura 15: La farmacia (giugno 2016)
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Figura 16 a: Schema iconografico della facciata della Chiesa (giugno 2016)
20 2.3.2 Il chiostro del Capitolo
Si tratta del chiostro compreso tra la cappella del Capitolo (nella quale i soli monaci si riunivano per decidere le questioni che interessavano il monastero) il refettorio, dove si riuniva tutta la comunità certosina per i pranzi domenicali e la Chiesa (Fig.19).
Come nella maggior parte delle certose, ha un impianto quadrangolare, circoscritto per tre lati da un colonnato in pietra. Al centro è presente una cisterna marmorea architravata risalente al 1600 (Manghi, 1931).
Il chiostro del Capitolo serviva da snodo tra gli ambienti principali del monastero e costituiva anche il luogo di riunione delle comunità oltre che delle attività legate alla vita materiale.
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Figura 19: Il chiostro del Capitolo (maggio 2017)
2.3.3 Il chiostro della foresteria e del Priore
La regola certosina sottoponeva i monaci ad una rigorosa clausura che imponeva loro la totale solitudine e una riduzione dei contatti con il mondo esterno. Difatti, il certosino faceva attenzione a limitare la corrispondenza e le visite da parte di persone estranee. La possibilità di essere ospitati all’interno della Certosa era un’opportunità che avevano in pochi e in casi del tutto eccezionali. Tra essi vi erano nobili, religiosi e politici illustri, i quali venivano ospitati nella foresteria “nobile”, i cui ambienti occupano il piano superiore della Certosa. Inoltre, nel XVIII secolo, per volere del Priore Alfonso Maggi, venne costruita la foresteria granducale al fine di ospitare la famiglia dei Lorena durante i loro soggiorni presso la Certosa. (www.lakinzica.it). Dalla foresteria si accede al chiostro priorale (Fig. 20), caratterizzato dalla presenza di un pozzo a due piani, realizzato intorno al 1614 (www.artesalva.isti.cnr.it). Il chiostro funge da raccordo tra le stanze riservate ai Lorena e l’abitazione del Priore.
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Figura 20: Il chiostro della foresteria e del Priore (maggio 2017)
2.3.4 Il chiostro grande
Il chiostro grande (Fig. 21), elemento culminante della vita monastica, è situato nella zona centrale della Certosa e la sua realizzazione risale ai primi decenni del XVII secolo.
La sua costruzione è stata completata nel 1650. La caratteristica che lo costituisce è la spazialità. Ha una forma rettangolare (85 m di lunghezza, 55 m di larghezza) ed è circondato da un loggiato (Fig. 22), dove si affacciano le porte delle 15 celle dei padri (Manghi,1931).
L’area è suddivisa in otto zone, delineate da percorsi pavimentati, che partendo dagli angoli e dai punti mediani dei lati del rettangolo, confluiscono nel centro dove è presente una fontana ottagonale (Fig. 23), realizzata nel 1650. Quest’ultima si compone di tre vasche concentriche ed è caratterizzata dalla presenza delle quattro figure simbolo dell’Apocalisse: l’Aquila, il Toro,
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il Leone e l’Uomo-angelo. Esse sono sovrastate dalla figura della Vergine, regina del Cosmo, che regge le sette stelle del firmamento certosino.
La ridondanza di figure geometriche presenti nel giardino simboleggia l’architettura divina. Difatti il numero otto simboleggiava gli otto angeli messaggeri di Dio che sorreggono il trono celeste (Benassi, 2005).
Nel lato del chiostro più vicino alla Chiesa si trovano due piccoli cimiteri (Fig. 24 a e 24 b) (uno destinato ai padri, a destra e l’altro ai fratelli conversi, a sinistra) circondati da due piccole balaustre marmoree a colonnine separati da uno degli otto percorsi (Martini, 1978).
Nei due cimiteri, ogni tomba è contrassegnata da una croce dove non viene riportato il nome del defunto in modo tale che non esista alcuna distinzione. Inoltre il cimitero occupa un’area limitata poiché i certosini venivano sepolti senza bara; di conseguenza, i loro corpi si decomponevano rapidamente e l’interramento poteva ripetersi, nello stesso posto, dopo una decina di anni.
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Figura 22: Loggiato (maggio 2017)
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Figura 24 a: Cimitero dei fratelli conversi (maggio 2017)
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La cella rappresenta il luogo in cui il certosino trascorreva la maggior parte del suo tempo, uscendo solo per le celebrazioni liturgiche notturne e diurne e nei giorni di festa per la refezione comune.
Nella certosa di Calci le celle sono 15, hanno una forma ad “L” e sono disposte lungo i tre lati del chiostro grande (Fig. 25). Erano costruite in modo tale che da nessuna delle finestre di cui la cella stessa era costituita, poteva essere vista quella di un altro confratello.
Ogni cella è contrassegnata da una lettera dell’alfabeto e da un motto tracciato al di sopra della porta, al cui fianco c’è uno sportello, attraverso il quale il monaco, ogni giorno riceveva i pasti (Fig. 26).
Gli ambienti che compongono una cella sono: la stanza dell’”Ave Maria” (Fig. 27), dove è presente un piccolo altare consacrato alla Vergine e il cosiddetto “cubiculum” (Fig. 28), una stanza dove il monaco trascorreva la maggior parte del tempo e una parte che fungeva contemporaneamente da camera da letto, refettorio, oratorio e studio (Lorenzi, 1990). Al pian terreno, invece, è presente un giardino, hortus conclusus, dove venivano coltivate sia piante orticole che floricole ed un loggiato coperto, dove il monaco passeggiava nei momenti di pioggia (Fig. 29).
Figura 25: Loggiato lungo cui sono disposte le celle (maggio 2017)
Figura 26: La porta di una cella (maggio 2017)
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Foto 27: Stanza dell’Ave Maria (maggio 2017)
Foto 28: Cubiculum (maggio 2017)
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3. SIMBOLOGIA DEL GIARDINO NELLE CERTOSE
Una delle caratteristiche rilevanti relative all’universo monastico è quella legata alla cura e alla coltivazione dell’hortus conclusus, cioè un piccolo giardino circoscritto da un muro di cinta, facente parte della cella in cui vivevano i monaci (Fig. 30) (www.wikipedia.it).
In esso vi si coltivavano piante e alberi da frutto non solo per una ragione estetica, ma soprattutto per uno scopo funzionale dal momento che consentiva la raccolta di prodotti necessari al sostentamento dei monaci (Venturi Ferriolo, 1990).
Figura 30: Hortus conclusus (https://unpomeriggioallacertosa.file)
Nella vita spirituale dei monaci, soprattutto in quella dell’ordine certosino, lo spazio a verde assume una fortissima valenza, un contenuto spirituale molto profondo e legato all’originaria concezione medioevale (Zampino, 1993). Dall’esame del patrimonio iconografico, rappresentato dalle stampe illustrative delle varie sedi dell’Ordine provengono idee sommarie relative alla sistemazione dei giardini, che in genere risultano integrati alle coltivazioni fruttifere o sottomessi nell’impianto alle volumetrie architettoniche. Né è mai
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esistita alcuna norma relativa alla coltivazione di tali giardini. Solamente negli ultimi anni numerosi contributi hanno arricchito la conoscenza del giardino monastico, evidenziando i valori simbolici che esso esprime (Tagliolini, 1990).
In primo luogo il giardino elude il rapporto con l’ambiente naturale in cui si inserisce per aprirsi alle novità della flora proveniente da paesi diversi e lontani, ed è soprattutto il prodotto di un’arte esperta che ben si confaceva alla cultura dei padri di clausura. In secondo luogo l’idea di giardino si trasmette al parco che circonda l’eremo, così da porlo al centro di un sistema ordinatore dell’ambiente naturale. I percorsi guidavano il monaco durante la passeggiata settimanale alla scoperta di un paesaggio diverso in cui sembravano annullarsi i confini della clausura (Tagliolini, 1988).
La coltivazione del giardino avveniva nella fase della giornata in cui il certosino poteva dedicarsi al lavoro manuale e contribuiva a migliorare la vita del monaco stesso fornendo una sana distensione psico-fisica. Lo stesso San Bruno, quando descrive la bellezza del paesaggio calabrese “dall’ampia e bella pianura che si estende lontano tra i monti e racchiude praterie verdeggianti e pascoli smaltati di fiori” riconosce il valore catartico del paesaggio e ammette che “l’animo troppo debole, affaticato da occupazioni spirituali, sotto il peso di una Regola piuttosto austera, assai spesso in tali spettacoli della natura trova sollievo e respiro” (Ravier, 1970).
Non bisogna dimenticare che il giardino monastico dei certosini contiene un significato allegorico a cui rimandano tutte le sue componenti: la presenza del pozzo rappresenta la fonte dello Spirito Santo alla quale abbeverarsi, la maturazione dei frutti delle piante si ricollega a quella dei frutti dello Spirito Santo, il giardino stesso raffigura l’Eden (Falorni, 2006-2007).
L’idea stessa del giardino-paradiso si rinviene nel Cantico dei Cantici, dove l’abate lateranense Filippo Picinelli spiega che “l’hortus conclusus” assurge a simbolo di Maria, “vere hortus delitiarum” in cui sono “universa florum genera e odoramenta virtutem” (Picinelli, 1680). L’equivalenza tra giardino e
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Paradiso accompagna il monaco nel cammino verso la perfezione spirituale. Anche le piante e i fiori che si trovano all’interno delle Certose si caricano di intensi valori simbolici: il giglio bianco viene tradizionalmente attribuito alla castità della Madonna, alla quale è legata anche la rosa quale simbolo di carità e la viola di umiltà (Venturi Ferriolo, 1990). Il mandorlo, insieme al noce simboleggiano la Passione di Cristo, l’issopo l’umiltà, il pungitopo la povertà. L’olivo testimonia la pace e appare anche in tre ramoscelli nelle mani di San Bruno; l’arancio è considerato simbolo di purezza e generosità; il melograno (frutto della concordia) allude all’unità della Chiesa, segno di immortalità e di fertilità. L’ olmo simboleggia la sapienza e la perfezione; il sorbo selvatico allude alla rinascita e protezione contro le negatività. Tra le piante aromatiche si ricordano: la menta, usata per la cura del raffreddore, la malva ritenuta indispensabile per curare le punture di api, la piantaggine che veniva utilizzata per curare i morsi dei serpenti(Tagliolini, 1988). Talvolta uno stesso fiore ha diversi significati simbolici; ad esempio il fiordaliso, che per le sue proprietà farmacopee, rimanda alla figura di Cristo trionfatore sul male, nella trasposizione iconografica cristiana mentre per il suo colore azzurro allude alla visione del Paradiso (Lazzarini, 1990).
Dunque l’hortus conclusus del monaco, con i suoi profumi e i suoi colori, è specchio di quell’intimo colloquio con Dio che il certosino stesso conduce quotidianamente. Attraverso di esso, egli manifesta il suo senso estetico e la sua creatività dando origine ad uno spazio nel quale il rapporto con la Natura è in perfetto equilibrio (Venturi Ferriolo, 1990).
Per concludere, l’esaltazione della potenza di Dio che domina la natura e la rende rivelatrice dell’artificio divino in Certosa, si concretizza in un giardino reale con un impianto geometrico regolare ed un’accurata selezione di piante, fiori ed erbe disposte come “un teatro delle più ragguardevoli pompe dell’universo” (Franceschi, 1646-1648).
31 3.1 I Giardini Della Certosa Di Calci
Gli orti e i giardini della Certosa sono organizzati in modo tale da uniformarsi alle specifiche esigenze della struttura del monastero ed ottemperare ai fattori climatici e ambientali del luogo in cui essa sorge (Celentano, 1996). Inoltre costituiscono l’impianto connettivo del complesso monastico. All'esterno del recinto claustrale, sono presenti il desertum e gli orti i cui prodotti consentivano il sostentamento del monastero; all'interno, invece, troviamo:
➢ il nucleo eremitico con i giardini delle celle distribuiti intorno al chiostro grande e quello del Priore;
➢ il nucleo cenobitico con i tre piccoli chiostri: quello della foresteria granducale, quello del Capitolo e del Procuratore.
3.1.1 Il
Desertum
E’ una vasta area a nord-est, compresa tra il recinto claustrale e la cinta muraria esterna, destinata alla deambulazione dei padri (Fig. 31). I viali principali sono contrassegnati da filari di cipressi dei quali, oggi, è presente solamente quello a Nord (Fig. 32). I percorsi ortogonali ad essi, sembrano avere la funzione di raccordo.
Un altro percorso, in direzione nord-sud, collegava due porte che immettevano nell’oliveto circostante (Giusti, 1991).
Figura 31: Il Desertum in una foto storica della Certosa di Calci (1367) (Maisons de l’Ordre, vues et notices, 1916)
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Figura 32: Il Desertum in una foto attuale della Certosa di Calci (giugno 2016)
3.1.2 Gli orti
Gli orti sono situati a sud del complesso monastico. Tale zona è separata dal Desertum, mediante un muro di cinta che indica l’appartenenza di questo nucleo ai conversi (Giusti, 1991). Questo muro è sottopassato da un canale, il cui tracciato è ancora visibile (Fig. 31).
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L’orto era coltivato secondo uno schema a griglia segnato da percorsi ortogonali che, in parte, ancora si riescono ad individuare (Fig. 32). Il tracciato principale è accentuato dalla corrispondenza dei due muri a grottesco realizzati alla fine del Settecento. Uno segna il confine con il cortile d’onore (Fig. 33) mentre l’altro interrompe la continuità del muro esterno (Fig. 34) (Giusti, 1991).
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Figura 33: Muro a grottesco che segna il confine con il cortile d’onore (giugno 2016)
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Per quanto riguarda i giardini che ho potuto visitare all’interno della Certosa e di cui fornirò una breve descrizione, essi sono: il giardino del Priore, il giardino delle celle dei monaci e del Maestro dei novizi.
3.1.3 Il giardino del Priore
Ogni monastero era diretto da un Priore eletto normalmente a scrutinio segreto dalla comunità dei monaci. Egli era affiancato dal Vicario e dal procuratore per l’amministrazione della casa. Ogni due anni i priori si riunivano in assemblea alla Casa Madre presso Grenoble per discutere i problemi dell’Ordine e rendere conto dell’amministrazione della propria casa ad un consiglio ristretto.
Dal suo appartamento, che si trova al piano superiore della Certosa, si accede ad un loggiato (Fig. 35) che si affaccia su un giardino. Quest’ultimo si sviluppa su due livelli (Fig. 36), il cui passaggio è garantito dalla presenza di una scala in pietra.
Al livello superiore sono presenti quattro aiuole, derivanti dall’incrocio ortogonale dei percorsi in ghiaia. A sua volta, queste aiuole sono suddivise in quattro, da percorsi ortogonali più piccoli.
Il livello inferiore del giardino presenta, invece, due sole aiuole rettangolari disposte lungo i lati di una vasca ottagonale, in pietra.
Nel loggiato invece venivano coltivate piante sensibili ai rigori invernali. Probabilmente in questo spazio, venivano raccolte e selezionate le diverse parti delle piante destinate alla farmacia (Giusti, 1991).
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Figura 35: Loggiato (giugno 2016)
37 3.1.4 Il giardino delle celle dei monaci e del Maestro dei novizi
Come già affermato in precedenza, ciascuna cella disponeva di un piccolo giardino, che veniva coltivato secondo le esigenze di ogni singolo monaco. Poiché i monaci vivevano in solitudine, separati dagli altri, senza possibilità di poter comunicare, ciascun giardino rispecchiava il carattere e la cultura di ognuno di loro, sebbene siano evidenti alcune costanti tipologiche relative all’impianto e alle specie vegetali (Giusti, 1991).
Dal punto di vista strutturale, il giardino di una cella ha il tipico impianto ad “L” (Fig. 37) derivante dall’aggregazione di una zona-filtro, con il pozzo e la fonte, alla quale si accede direttamente dalla loggia mediante una scala e il giardino di forma rettangolare, suddiviso in 4 aiuole geometriche secondo il tradizionale schema a croce (Fig. 38).
Nel giardino così suddiviso, era prevista sia la coltivazione di piante a fiore, ma anche piante eduli e medicinali come menta, salvia e rosmarino.
Alcuni riferimenti sul genere di piante si deducono dai suggerimenti che il certosino Gentil dette a un “Curieux” per il suo nuovo giardino, i cui percorsi dovevano avere bordure di erbe aromatiche e precisamente: lavanda, timo, isotopo, maggiorana, melissa, rosmarino, violetta doppia e semplice; le fragole e il bosso (Gentil, 1761).
Per quanto riguarda le piante a fiore, venivano coltivate:
- le specie emblematiche della tradizione monastica e certosina come il garofano dei certosini (Dianthus carthusianorum), il giglio di monte o di San Bruno (Paradisea liliastrum), gli occhi della Madonna (Omphalodes verna) e la viola certosina (Viola calcarata) (Tagliolini, 1990);
- piante rifiorenti come ranuncoli e anemomi, documentati dalle fonti settecentesche (Giusti, 1991).
Era anche diffuso l’uso di coltivare gli agrumi a spalliera, lungo i muri di cinta delle celle, come si osserva anche nel giardino del priore.
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La coltivazione delle piante, in primo luogo, era importante perché consentiva la raccolta di una certa produzione, utile per il monastero che era cinto da mura.
Un’ altro aspetto da non sottovalutare è la funzione estetica legata alla coltivazione, dal momento che la rigorosa clausura dettata dalla regola certosina, non permetteva al monaco di avere contatto con il mondo esterno. Il monaco aveva dunque la possibilità di vivere quotidianamente a contatto con la natura, osservarne i suoi mutamenti, segnati dalla nascita delle essenze vegetali e dalla loro morte.
Figura 37: Impianto di una cella della Certosa di Calci
(http://www.francogizdulich.com/modelli/architettura-storica/cella-della-certosa-di-calci-pisa/)
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A differenza della maggior parte dei giardini delle celle, quello del Maestro dei novizi (colui che si dedicava all’educazione di coloro che aspiravano a diventare monaci certosini), ha il medesimo impianto di una cella, con l’unica differenza che si sviluppa su due livelli (Fig. 39).
Per accedere a tale giardino, inoltre, vi sono due possibili ingressi: un primo accesso è quello che si affaccia nella parte in cui si trova il pozzo mentre il secondo si apre su un loggiato dal quale, attraverso una scala in pietra (ricoperta da piante rampicanti) (Fig. 40), si raggiunge direttamente la zona destinata ad hortulus. Percorrendo questa zona, si perviene ad una rampa di scale da cui si giunge ad una terrazza circondata da folta vegetazione lungo le pareti del muro di recinzione.
Figura 39: La cella del Maestro dei novizi (http://artesalva.isti.cnr.it/it/visite-virtuali-certosa-calci)
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4. OBIETTIVI
Oggetto di studio di questo elaborato è stata la riqualificazione di un piccolo giardino interno della Certosa di Calci, che si trova nella parte del monastero concessa all’Università di Pisa, dove oggi ha sede il Museo di Storia Naturale e del Territorio. Di tale giardino non è stato possibile rinvenire specifiche informazioni sulla sua destinazione originaria.
Il lavoro di tesi è stato articolato in due fasi. Inizialmente è stata effettuata un’indagine preliminare del luogo d’intervento con la valutazione della vegetazione presente. Sono state rilevate e analizzate le caratteristiche morfologiche principali delle singole specie, annotando eventuali anomalie e valutandone lo stato fitosanitario.
Successivamente, si è proceduto ad una proposta di risistemazione del giardino formulata tenendo conto delle richieste della committenza e ad una elaborazione di un computo metrico estimativo necessario per la realizzazione della proposta progettuale.
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FASE PROGETTUALE
5. Descrizione dell’area d’intervento
Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito di una collaborazione tra il Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa, la Certosa Monumentale di Calci Soprintendenza ai Beni Culturali di Pisa e il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali ai fini di una riqualificazione di un piccolo giardino interno della Certosa, che si trova a fianco della Galleria Storica del Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa.
Il giardino, di forma rettangolare, è circondato da alte mura ed è costituito da quattro aiuole centrali (di circa 3m x 7m), separate da percorsi pavimentati ortogonali (Fig. 41 e 42) e al centro delle quali è presente una fontana ottagonale. Lateralmente, lungo il muro di cinta, sono presenti delle piccole aiuole di forma rettangolare e diversa dimensione.
Tutte le aiuole sono delimitate da muretti in mattone e cemento.
Al giardino si può accedere o dal corridoio della Galleria del Museo oppure da un cancelletto situato in un cortile interno della Certosa.
Il rilievo del giardino è stato eseguito sulla base di una planimetria fornitaci dal Museo di Storia Naturale e del Territorio. Su di essa sono state riportate le misure prese utilizzando una rotella metrica, eseguendo delle triangolazioni basandoci su punti fermi (le pareti dell’edificio).
Per l’analisi vegetazionale, ho consultato diversi libri di botanica e siti internet. Il lavoro di rappresentazione dello stato attuale e la risistemazione del giardino, sono stati realizzati con il programma AutoCad 2017, Sketchup 2017
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Figura 41: Veduta completa del giardino (giugno 2017)
Figura 42: Veduta del giardino dalla Galleria del Museo di Storia Naturale (giugno 2017)
In occasione di Expo 2015, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, su progetto di Claudia Canigiani, ex- allieva del Dipartimento, aveva realizzato in tale area un “Giardino del cibo”, con l’intento di far conoscere le bontà dell’orto e la loro bellezza (Fig. 43, 44
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e 45). Nelle quattro aiuole centrali erano state disposte diverse specie ortive stagionali (pomodori, peperoni, peperoncini, melenzane, lattughe, zucchine ecc..), scelte in quanto sono le tipiche piante presenti in un orto estivo. Nelle aiuole laterali erano state sistemate differenti specie aromatiche (Fig. 46) quali: rosmarino, nepitella, lavanda. Infine nella vasca centrale, erano state inserite piante acquatiche: esemplari di ninfee a fiori bianchi, gialli e rosa e specie sia sommerse che galleggianti, come la lenticchia d'acqua, conferendo anche un aspetto più naturale al laghetto (Baroni, 2015).
Figura 43: il “Giardino del cibo” (luglio 2016)
Figura 44: Veduta del “Giardino del cibo” dalla Galleria del Museo di Storia Naturale (luglio 2016)
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Figura 45: Veduta dall'alto del Giardino del cibo (luglio 2016)
Figura 46: Particolare di un’aiuola laterale (luglio 2016)
La vegetazione attualmente presente all’interno del giardino consta di diverse specie: piante arboree, arbustive e floreali.
La vegetazione è così composta (Fig. 47): • Un esemplare di Nerium oleander L.;
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• Un esemplare di Phoenix canariensis L.;
• 4 esemplari di Citrus disposti a spalliera (2 Citrus limon, 1 Citrus aurantium e 1 Citrus reticulata);
• Un esemplare di Citrus aurantium L. ad alberetto • Un esemplare di Cercis siliquastrum L.;
• Un esemplare di Prunus laurocerasus L; • Un esemplare di Cupressus sempervirens L.; • Un esemplare di Winsteria sinensis L.;
• Un esemplare di Ligustrum japonicum L.; • Un esemplare di Rosa spp. a spalliera; • 12 varietà di Rose.
In ciascuna delle quattro aiuole è stato sistemato un tappeto di Festuca arundinacea L.
Gli esemplari arborei presenti sono stati schedati e valutati mediante la metodologia VTA (Visual Tree Assessment), il cui scopo è stabilire il grado di pericolosità degli alberi presi in esame attribuendo loro ad una classe di propensione al cedimento e definire gli interventi per la loro messa in sicurezza.
L’analisi consiste in un’iniziale valutazione visiva e compilazione di un’apposita scheda, che fornisce indicazioni relative alla vitalità, stato fitosanitario ed eventuali sintomi di difetti meccanici della pianta da esaminare nei suoi diversi apparati (chioma, fusto, colletto, apparato radicale). Laddove è necessario, si prosegue con un’analisi strumentale degli eventuali sintomi di difetti riscontrati, attraverso l’impiego di apparecchiature specifiche, per descrivere a livello quantitativo i danni o le lesioni presenti.
Infine si attribuisce all’albero una classe di propensione al cedimento. Le classi sono 5:
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Classe A: “Gli alberi appartenenti a questa classe, al momento dell'indagine, non
manifestano segni, sintomi o difetti significativi, riscontrabili con il controllo visivo, tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell'albero si sia ridotto. Per questi soggetti è opportuno un controllo visivo periodico, con cadenza stabilita dal tecnico incaricato, comunque non superiore a cinque anni”.
Classe B: “Gli alberi appartenenti a questa classe, al momento dell'indagine,
manifestano segni, sintomi o difetti lievi, riscontrabili con il controllo visivo ed a giudizio del tecnico con indagini strumentali, tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell'albero non si sia sensibilmente ridotto. Per questi soggetti è opportuno un controllo visivo periodico, con cadenza stabilita dal tecnico incaricato, comunque non superiore a tre anni. L'eventuale approfondimento diagnostico di tipo strumentale e la sua periodicità sono a discrezione del tecnico”.
Classe C: “Gli alberi appartenenti a questa classe, al momento dell'indagine,
manifestano segni, sintomi o difetti significativi, riscontrabili con il controllo visivo e di norma con indagini strumentali. Le anomalie riscontrate sono tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell'albero si sia sensibilmente ridotto. Per questi soggetti è opportuno un controllo visivo periodico, con cadenza stabilita dal tecnico incaricato, comunque non superiore a due anni. L'eventuale approfondimento diagnostico di tipo strumentale e la sua periodicità sono a discrezione del tecnico. Questa avrà comunque una cadenza temporale non superiore a due anni. Per questi soggetti il tecnico incaricato può progettare un insieme di interventi colturali finalizzati alla riduzione del livello di pericolosità e, qualora realizzati, potrà modificare la classe di pericolosità dell'albero. E’ ammessa una valutazione analitica documentata”.
Classe C-D: “Gli alberi appartenenti a questa classe, al momento dell'indagine,
manifestano segni, sintomi o difetti gravi, riscontrabili con il controllo visivo e di norma con indagini strumentali. Le anomalie riscontrate sono tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell'albero si sia drasticamente ridotto. Per questi soggetti il tecnico incaricato deve assolutamente indicare dettagliatamente un insieme di interventi colturali. Tali interventi devono essere finalizzati alla riduzione del livello di pericolosità e devono essere compatibili con le buone pratiche
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arboricolturali. Qualora realizzati, il tecnico valuterà la possibilità di modificare la classe di pericolosità dell'albero. Nell'impossibilità di effettuare tali interventi, l'albero è da collocare tra i soggetti di classe D”.
Classe D: “Gli alberi appartenenti a questa classe, al momento dell’indagine,
manifestano segni, sintomi o difetti gravi, riscontrabili con il controllo visivo e di norma con indagini strumentali. Le anomalie riscontrate sono tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell’albero si sia ormai, quindi, esaurito.
Per questi soggetti, le cui prospettive future sono gravemente compromesse, ogni intervento di riduzione del livello di pericolosità risulterebbe insufficiente o realizzabile solo con tecniche contrarie alla buona pratica dell’arboricoltura. Le piante appartenenti a questa classe devono, quindi, essere abbattute” (Matteck e
Breloer, 1998).
Secondo quanto rilevato dall’analisi VTA effettuata in precedenza, sulle specie arboree presenti, è possibile evidenziare che alcune di esse non si trovano in un buono stato vegetativo e per una di queste (Prunus laurocerasus L) è necessario prevederne l’abbattimento per problemi di tipo sanitario e di stabilità.
49 Legenda
Di seguito vengono descritte le caratteristiche botaniche delle piante presenti.
Nerium oleander L.
Arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Apocynaceae,
originario dell’areale mediterraneo. L’oleandro ha un portamento cespuglioso, con fusti generalmente poco ramificati che partono dalla ceppaia, dapprima eretti, poi arcuati verso l'esterno. Le foglie sono coriacee e presentano margini interi e una lamina lanceolata, acuta all’apice, di colore verde scuro. Sono velenose, come i fusti. I fiori sono di colore rosa e sono disposti in cime terminali. La fioritura ha inizio nel mese di maggio e si protrae per tutta l’estate fino all’autunno. Il frutto è un follicolo fusiforme, stretto e allungato. E’ una specie termofila ed eliofila; teme il freddo (Fig. 48).
N° GENERE E SPECIE NOME
COMUNE N° GENERE E SPECIE
NOME COMUNE 1 Wisteria Sinensis L. Glicine 7 Citrus limon L Limone 2 Citrus reticulata L. Mandarino 8 Phoenix canariensis L. Palma delle
canarie 3 Citrus aurantium L. Arancio amaro 9 Nerium oleander L. Oleandro
4 Rosa spp. Rose 10 Ligustrum japonicum
Thunb.
Ligustro del Giappone
5 Rosa spp. Rose 11 Cupressus sempervirens L. Cipresso
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Figura 48: Nerium oleander L. (giugno 2017)
Phoenix canariensis L.
Comunemente conosciuta come Palma delle Canarie, è una specie originaria delle isole Canarie ed appartenente alla famiglia delle Arecaceae.
Le foglie sono lunghe, pennate, pendenti, arcuate e sono composte da diverse paia di foglioline acuminate, di colore verde brillante. I fiori sono piccoli, di colore giallo e riuniti in pannocchie pendenti, lunghe più di un metro. La fioritura si ha nel mese di aprile. I frutti sono delle drupe ovoidali di colore bruno dorate. E’ una specie che predilige i climi miti delle coste ma si adatta anche alle basse temperature non prolungate. Resiste alla siccità e richiede pieno sole (Fig. 49).
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Figura 49: Phoenix canariensis L. (giugno 2017)
Citrus limon (L.) Burm. f.
Albero da frutto, appartenente alla famiglia delle Rutaceae, di origine incerta e coltivato in Italia fin dai tempi dei Romani. L’altezza degli esemplari presenti nel giardino è variabile (va da 1 fino 3 metri). Il fogliame è sempreverde, scuro, lucido, leggermente coriaceo, di forma ovale, appuntita. Il fusto è eretto ed i rami lignificati presentano spine. I fiori sono bianchi e sbocciano a fine inverno. I frutti sono ovali, con un esocarpo di colore giallo, lucido. La pianta in buone condizioni ambientali è rifiorente. E’ sensibile ai rigori invernali ed ai venti forti (Fig. 50).
52
Figura 50: Citrus limon L. disposto a spalliera (giugno 2017)
Citrus x aurantium L.
E’ un albero appartenete alla famiglia delle Rutaceae, coltivato dagli Arabi fin dal IX secolo e successivamente importato in Sicilia. Oggi è diffuso in alcune parti dell’Italia meridionale. L'arancio amaro è un ibrido tra Citrus maxima
(pomelo) e Citrus reticulata (mandarino). L’altezza delle piante è di circa 2 metri. Le foglie sono ovate ed a margine liscio, di colore verde scuro; i fiori sono bianchi e iniziano a sbocciare intorno a febbraio-marzo. I rami sono normalmente provvisti di spine. I frutti sono sferoidali e presentano una buccia di color arancio. E’ sensibile ai rigori invernali ed ai venti forti (Fig. 51 e 52).
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Figura 51: Citrus x aurantium L. disposto a spalliera
54 Citrus reticulata L.
E’ un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rutaceae.
Ha un portamento espanso. Il fusto è corto e molto ramificato. L’altezza della pianta è di circa 3 metri.
Le foglie sono sempreverdi, piccole rispetto alle altre specie di agrumi, lanceolate, di colore verde scuro. I fiori sbocciano in primavera, sono profumati e si presentano all’apice dei rami, singoli o in corimbi di 3-5 fiori. Il frutto presente dall’autunno fino all’inverno, ha una forma sferoidale e una buccia di colore arancione, sottile e profumata. E’ sensibile ai rigori invernali ed ai venti forti (Fi. 54).
55 Cercis siliquastrum L.
Chiamato anche albero di Giuda, è una specie caducifoglia, di circa 10 metri di altezza, appartenente alla famiglia delle Fabaceae. E’ caratterizzato da una corteccia del tronco di color grigio-nerastro; le foglie sono cuoriformi, di color verde glauco e compaiono in primavera. I fiori, di color rosa-violaceo, sono riuniti in racemi e compaiono prima delle foglie, intorno al mese di marzo. I frutti sono dei baccelli scuri, pendenti, molto numerosi, che restano attaccati alla pianta fino alla fine dell'inverno. Si adatta bene a tutti i tipi di terreni, è molto resistente al freddo e sopporta bene le potature. Esige, però, posizioni soleggiate (Fig. 55). L’albero non presenta sollevamenti né esposizione dell’apparato radicale. Dall’analisi VTA eseguita precedentemente sono state evidenziati rigonfiamenti a livello del colletto, con delle ferite cicatrizzate, degli scortecciamenti e presenza di carpofori alla base. Il fusto è dritto e la corteccia è fessurata e presenta degli scortecciamenti. A livello della chioma, sono presenti: rami secchi con corteccia fessurata e riscoppi nella sede di taglio. A livello fogliare, invece, sono state riscontrate clorosi, necrosi e insetti fitofagi.
56 Prunus laurocerasus L.
Albero sempreverde, con un’altezza di circa 9 metri, appartenente alla famiglia delle Rosaceae. E’ originario dell’Asia minore e dell’Europa orientale ed è stato importato in Italia intorno al XVI secolo. Il tronco è ramificato sin dal basso, sinuoso, con corteccia ruvida, bruno nerastra. Le foglie sono obovato-lanceolate, alterne, glabre, con lamina coriacea e colore verde scuro. A metà e tarda primavera produce fiori bianchi, raccolti in racemi eretti, che sbocciano nel mese di aprile fino a giugno. I frutti sono drupe di colore nero-bluastro. Fruttifica a fine estate-inizio autunno. Si tratta di una pianta resistente al freddo; predilige posizioni semi-ombreggiate. Si adatta a qualsiasi tipologia di terreno purché ben drenato e non troppo calcareo.
L’esemplare in questione non si presenta in un buono stato vegetativo. Possiede un tronco policormico con due branche codominanti che si biforcano dalla base da un’altezza di 50 cm. La base dell’albero si presenta totalmente cava. Ciò comporta problemi di stabilità. La chioma è fortemente asimmetrica, a causa della presenza dell’edificio attiguo. Il fogliame sempreverde mostra, tuttavia, una buona lucentezza. (Fig. 56).
57 Cupressus sempervirens L.
E’ un albero sempreverde appartenente alla famiglia delle Cupressaceae,
diffuso in tutto l’areale del Mediterraneo. Questa specie è caratterizzata da un tronco dritto e robusto con corteccia grigio-bruna fessurata in senso longitudinale. La chioma ha una forma conico-piramidale allungata mentre le foglie sono piccole, di colore verde grigiastro scuro. I fiori disposti all'apice dei rametti, di colore giallo, sono indistintamente maschili e femminili su tutta la pianta.
I frutti sono delle piccole sfere di colore verde chiaro da giovani, dette galbule, squamate e, dopo una maturazione lunga due anni, cambiano colore diventando marroni, lignificano e si aprono lungo le fenditure delle squame per far cadere i semi alati (acheni).
Le condizioni complessive dell’esemplare non sono delle migliori: la chioma presenta delle aree necrotiche e dei disseccamenti; alcuni rami sono disseccati e ci sono delle porzioni di fusto che presentano cavità 8sopratutto nella zona della corona). Inoltre l’apparato radicale risulta essere abbastanza compromesso, in quanto l’albero è confinato in un’aiuola praticamente inesistente e ciò ha comportato uno sviluppo anomalo nella distribuzione delle radici che hanno danneggiato la pavimentazione (Fig. 57).
58 Winsteria sinensis L.
E’ un genere di pianta rampicante appartenente alla famiglia delle Fabaceae ed è originaria della Cina. E’ una pianta arbustiva, caducifoglie, e con un’altezza di 4 metri circa. Le foglie sono imparipennate, composte da 7-13 foglioline ovali-lanceolate con l'apice acuminato. I fiori molto profumati e di colore lilla, sono riuniti in grappoli penduli e sbocciano nel periodo primaverile-estivo. Si tratta di una pianta vigorosa e rustica; si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, ad eccezione di quelli calcarei. Predilige posizioni soleggiate e deve essere potata ogni anno, ai fini dell’emissione di numerosi rami provvisti di gemme fiorali (Fig. 58).
59 Rosa spp L.
Nel giardino sono presenti diverse varietà di rosa, un genere di pianta appartenente alla famiglia delle Rosaceae. originario dell'Europa e dell'Asia. Si tratta di piante arbustive sempreverdi, con un’altezza intorno ai 60 cm e 1.50 m per la specie rampicante. I rami sono spinescenti e all’apice di ciascuno di essi formano, in primavera, mazzi di fiori di media grandezza. E’ un genere di pianta che si adatta a qualsiasi tipologia di terreno e la potatura è importante ai fini di una buona fioritura (Fig. 59 e 60).
Figura 59: Rosa spp. a spalliera (Giugno 2017)
60 Ligustrum japonicum Thunb.
E’ una specie sempreverde, appartenente alla famiglia delle Oleaceae ed è originario della Corea e del Giappone centrale e meridionale. Presenta una corteccia liscia grigio-marrone. Le foglie sono opposte, hanno un margine intero e sono di color verde scuro. I fiori sono bianchi e sbocciano in inverno mentre il frutto è una drupa ovale.
L’esemplare in questione è caratterizzata da un fusto leggermente spiralato e branche codominanti che si dipartono dalla base a partire da un'altezza di circa 1 metro. Inoltre è evidente la presenza di numerosi rami avventizi conseguenza di drastiche potature. Queste ultime sono esteticamente sgradevoli ed aumentano le possibilità, per la pianta stessa, di essere bersaglio di patogeni, soprattutto fungini. (Fig. 61).
61 5.1 Problemi Rilevati
Attraverso i diversi sopralluoghi effettuati, sono stati evidenziati le criticità che attualmente si riscontrano nel giardino, legate non solo alla vegetazione esistente (come già anticipato precedentemente), ma anche ad alcuni elementi strutturali che rendono l’area poco sicura e accessibile.
Le diverse problematiche esistenti dovrebbero essere risolte ai fini di una sicura fruizione del giardino da parte di qualsiasi soggetto.
Dal punto di vista vegetazionale, le criticità sono state riscontrate su quattro esemplari arborei: Prunus laurocerasus L., Cupressus sempervirens L. Cercis siliquastrum Le Ligustrum japonicum L.
Nel caso del Prunus, considerato che la base dell'albero non garantisce i canoni minimi di sicurezza di stabilità meccanica, la pianta è affetta in maniera consistente da un fenomeno di carie e l'area nel quale insiste è caratterizzata da un’abbondante presenza di visitatori, si propende per il suo abbattimento. Relativamente al cipresso, non sembrano sussistere al momento seri pericoli di crollo della pianta. Considerato però che il giardino è frequentato soprattutto da bambini, sarebbe opportuno adottare alcune misure di sicurezza. In primo luogo, creare delle trincee per le radici, in modo tale che non compromettano le opere murarie. Inoltre, per garantirne maggiormente la stabilità, si potrebbero mettere in opera dei tiranti di acciaio.
Per quanto riguarda il Cercis siliquastrum, si propongono i seguenti interventi: - contenimento della chioma;
- rimonda del secco per quanto riguarda le branche e i rami inseriti su queste ultime;
- rimozione di eventuali riscoppi polloniferi; - monitoraggio della presenza di nuovi carpofori;
- disinfezione degli attrezzi di potatura ed esecuzione di tagli di minor diametro possibile al fine di evitare ulteriori danneggiamenti dovuti a tagli di potatura mal eseguiti.
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Relativamente al Ligustrum japonicum L., considerato il fatto che non è una pianta di pregio, è esteticamente sgradevole, ed inoltre, essendo molto vicina al muro, crescendo, può comprometterne la sicurezza, si consiglia il suo l’abbattimento.
Sono da risolvere anche alcuni problemi strutturali quali: - l’assenza di una recinzione della fontana centrale;
- la pavimentazione danneggiata dall’apparato radicale del cipresso; - la sistemazione delle scale di accesso munendole di una ringhiera ai fini
di una maggiore sicurezza.
5.2 Proposta progettuale
Il progetto ha lo scopo principale di valorizzare gli ambienti esterni della Certosa e rafforzare il rapporto con il territorio tramite la creazione di uno spazio espositivo multisensoriale all’aperto in cui le piante potranno essere viste, annusate, toccate e conosciute per le loro caratteristiche anatomiche, per le loro proprietà e per il loro significato storico-culturale.
L’idea originaria era quella di risistemare il giardino in relazione alla funzione che rivestiva all’epoca in cui i certosini abitavano nella Certosa.
Ho consultato diversi libri e documenti (tra cui l’inventario dell’archivio della Certosa di Calci), per cercare di trarre informazioni in merito a ciò. L’unico riferimento relativo a tale area l’ho rinvenuto nel libro scritto da Manghi A., dal titolo “La Certosa di Pisa. Storia e descrizione” (1911). In esso viene riportata una descrizione della Certosa ed una planimetria di quest’ultima (Fig 62).
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Figura 62: Planimetria generale della Certosa
(Manghi A., “La Certosa di Pisa. Storia e descrizione” (1911)).
Secondo tale planimetria, la superficie d’interesse, corrisponde al numero 24 (segnato in rosso nell’immagine sopra riportata).
Nel testo, Ariosto Manghi, in riferimento a tale numero, scrive: “Tutti questi edifici servono per le varie necessità della casa ma non hanno speciale importanza pel visitatore”.
In relazione a quanto scritto dall’autore e dal momento che l’area oggetto del presente lavoro ha l’impianto tipico di un giardino medievale, l’ipotesi più plausibile è quella secondo cui in codesta area, i monaci vi coltivassero essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali.
In seguito a diversi incontri con il Dott. Roberto Barbuti, Direttore del Museo e la Dr.ssa Silvia Sorbi, responsabile dei servizi educativi, è stata ampliata l’idea originaria, prevedendo la coltivazione di specie floricole, aromatiche e officinali del Monte Pisano, molte delle quali coltivate probabilmente dai monaci certosini, ad esempio: la melissa (Melissa officinalis L.), il rosmarino
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(Rosmarinus officinalisL.), il giglio di Sant’Antonio (Lilium candidum L.) e il cisto (Cistus salvifolius L.).
Tutto ciò consentirà di conoscere la flora locale, sottolineando il legame con il territorio ed inoltre stimolerà l’interesse e la curiosità verso la vita quotidiana dei monaci certosini.
Il giardino costituirà un nuovo settore espositivo del Museo e della Certosa andando così ad arricchire il circuito di visita. Inoltre rappresenterà il centro di svolgimento di progetti didattici per scuole e gruppi di adulti.
Le piante potranno essere viste, annusate, toccate e conosciute per le loro caratteristiche anatomiche, per le loro proprietà ed il loro significato storico-culturale.
5.3 Intervento Progettuale
Il disegno originario che caratterizzava le quattro aiuole centrali del giardino, è stato modificato, su richiesta del committente, prevedendo la coltivazione delle piante lungo i bordi di ciascuna aiuola permettendo così a tutti i visitatori, soprattutto bambini e disabili, di potere “venire a contatto” con le piante. Nel mese di giugno 2017, in occasione dell’inaugurazione della nuova Galleria Storica del Museo, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, ha effettuato una risistemazione del giardino, conferendogli il disegno richiesto (Fig. 63).
Il terreno è stato pacciamato con telo antialga, permeabile all'acqua e all'aria, che da un lato consente di risparmiare interventi irrigui, limitando l'evaporazione, e dall'altro ostacola lo sviluppo di piante infestanti, riducendo così le attività di manutenzione. Il telo pacciamante è stato coperto con pomice sia per garantire un effetto estetico che per ridurre l'evaporazione di acqua dal suolo. L'irrigazione è automatica con impianto a goccia per permettere un notevole risparmio idrico.
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Figura 63: Lavori di risistemazione del giardino (giugno 2017)
5.4 Scelta Vegetazionale
La scelta delle piante è avvenuta non solo sulla base della richiesta da parte del committente, ma considerando soprattutto le caratteristiche microclimatiche del giardino come: l’esposizione, la ventilazione, l’umidità ecc. Inoltre, considerando la funzionalità didattico-turistico-culturale del giardino, si è tentato di scegliere specie che garantissero una copertura vegetale per tutte e quattro le stagioni dell’anno e che non richiedessero una manutenzione troppo elevata. Gli accostamenti tra le diverse specie sono stati fatti in relazione alla loro dimensione e fioritura.
La ricerca delle varietà e delle loro caratteristiche è avvenuta mediante l’ausilio di testi in cui viene descritta la flora del monte pisano e quelli in cui si fa riferimento ai giardini monastici, sebbene non si trovi molta bibliografia relativamente a questo argomento.
Per quanto riguarda la sistemazione delle quattro aiuole presenti nel giardino, tenendo presente le zone d’ombra e il soleggiamento delle stesse, è prevista la coltivazione di:
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➢ piante aromatiche ed officinali nelle due aiuole esposte rispettivamente a Nord-Ovest e Ovest-Sud- Ovest;
➢ piante caratterizzate da un valore estetico e (per quanto riguarda alcune di esse) anche simbolico (ad esempio: il Cistus salvifolius L., il Lilium candidum L,) nelle aiuole esposte a Nord-Est ed Est-Sud-Est (Fig.64, 65, 66 e 67).
Al centro di ciascuna aiuola è stato sistemato un tappeto erboso a base di
Festuca arundinacea, una specie erbacea perenne caratterizzata da un’ottima resistenza alla siccità ed alle alte e basse temperature (d’inverno presenta una leggera decolorazione invernale). Predilige l’esposizione al sole, pur sopportando bene l’ombra. Tollera la salinità del terreno, i ristagni idrici ed i terreni compattati. Non sopporta i tagli bassi.
Nelle aiuole laterali invece verranno impiantate altre varietà di agrumi disposti a spalliera (oltre quelli già presenti) e diverse altre specie perenni e arbustive. Per un’analisi più approfondita relativa alla loro disposizione si rimanda alle consultazione delle Tavole 2, 3 e 4.
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Figura 65: Risistemazione del giardino (elaborazione dell'autore)
Figura 66: Vista delle aiuole 1 e 2 (Elaborazione dell’autore)