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Cap. 4 - La quadreria di palazzo Mansi

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Cap. 4 - La quadreria di palazzo Mansi

Il nucleo originario della quadreria Mansi risale alla fine del Seicento, periodo in cui il Palazzo Mansi detto di San Pellegrino fu sottoposto ad un radicale rinnovamento che riguardò sia l’apparato decorativo interno che la struttura muraria. Questo fu interessato da sostanziali modifiche ed aggiunte che modificarono l’assetto dell’edificio.

Il volume dal titolo Il Palazzo dei Mansi a Lucca, pubblicato nel 1993 da Glauco Borella e Patrizia Giusti Maccari, rappresenta ancora oggi un punto fermo poiché illustra con chiarezza ed in maniera esaustiva i cambiamenti che hanno interessato il palazzo tra il Seicento e l’Ottocento.

Raffaello Mansi costituisce una figura centrale nell’intero processo. Entrato in possesso, nel 1641, dell’edificio che costituisce il nucleo del palazzo, dopo sette anni, in accordo con il figlio Ottavio, decise di acquisire nuovi fabbricati che lo portarono in pochi anni a possedere un quarto dell’isolato, precisamente quello a Sud-Est, corrispondente alla parte fra via San Pellegrino (odierna via Galli Tassi) e via San Paolino, sino all’altezza della prospiciente via del Crocifisso. Queste acquisizioni mostrano come “fin dall’origine l’intenzione di Raffaello fosse quella di possedere un palazzo attorniato da un microcosmo ruotante attorno ad esso, nel quale alloggiare servitori e affittuari, spesso dediti ad un’attività di tipo artigianale”. 1

Per comprendere a pieno titolo lo sviluppo di questa politica di acquisizioni, è necessario però fare un passo indietro ed accennare brevemente alle vicende che portarono all’acquisto del palazzo, entrato a far parte dei beni della famiglia Mansi solamente nel Seicento. In origine la parte centrale, quella prospiciente la chiesa di San Pellegrino, era di proprietà dei Turrettini che, ai primi del Cinquecento, possedevano altre case in questa zona, documentate sin dal Duecento.

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Nel Cinquecento il loro prestigio e la loro forza economica diminuiscono a causa della loro adesione alla Riforma luterana. Per questo motivo Regolo Turrettini vendette la parte centrale a Giuseppe di Girolamo Benassai i cui eredi lo trasferirono poco dopo ad Alessandro di Poggio. Venuto a mancare quest’ultimo nel 1616, quando era in carcere in seguito ad un fallimento, i curatori fallimentari vendettero l’edificio ad Isabella Mansi, vedova di Agostino Sinibaldi. Quest’ultima era stata assistita dal fratello Ascanio, che aveva fatto l’offerta più alta ed era rientrato in possesso della dote della sorella dopo la morte del Sinibaldi. L’edificio, di dimensioni ridotte, aveva il suo ingresso principale proprio davanti alla chiesa, affacciandosi sulla strada solo con cinque finestre. 2 Dal resoconto dei consoli della Corte dei Mercanti, Vincenzo Sesti e Nicolao Montecatini, a cui era stato affidato l’incarico di redigere l’inventario dei beni di Alessandro Di Poggio, abbiamo un’idea di come appariva l’arredo della casa di un mercante lucchese nel primo Seicento. Come hanno indicato Borella e Gisuti Maccari da esso “si ricava che l’interno dell’abitazione è formato da una grande sala su cui si aprono quattro stanze, una delle quali la lussuosa camera del Di Poggio, affiancate da stanze presumibilmente di importanza minore per la maggiore semplicità del mobilio descritto. Sono citate anche due logge, due cucine, una serie di stanzette destinate alla servitù ed a uso di dispensa, un granaio, un ogliaio. Il tutto disposto su due piani oltre a quello terreno.” Riguardo all’esterno, purtroppo non è presente nessuna descrizione. Questo può indicare che la facciata “non deve aver avuto alcuna peculiarità architettonica di pregio, ma doveva rispettare una certa dignità, con caratteristiche affini a quelle che tuttora si riscontrano in alcuni edifici coevi posti lungo la stessa via, contraddistinti da un portale in pietra bugnata e da finestre tripartite a forma di croce di ampia specchiatura. L’immagine che ne deriva è quella di una tipica abitazione lucchese di fine Cinquecento, non un vero palazzo ma comunque una dimora improntata a una signorilità severa e contenuta.” 3

2 Mansi 2006, pp. 286-287. 3 Borella, Giusti Maccari 1993, p. 27.

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La proprietà del Di Poggio è il frutto dell’unione di due case preesistenti a cui sia lo stesso Alessandro Di Poggio, che in seguito Isabella Mansi, non sembra abbiano apportato sostanziali cambiamenti. Quest’ultima, dettando il proprio testamento in data 11 gennaio 1641, decise di conferire due terzi della proprietà ai nipoti Cipriano ed Agostino, figli del fratello Ascanio, e un terzo all’altro nipote, Raffaello, figlio di Nicolao. Due mesi dopo Raffaello Mansi acquistò dai cugini Cipriano ed Agostino le restanti parti dell’immobile restando così l’unico proprietario. Di seguito, a partire dal 1648, effettuò le acquisizioni delle quali si è detto. Raffaello sembra aver avuto una diversa e più “moderna” visione del palazzo, che assume, oltre alla funzione abitativa. Questo anzi per certi aspetti diventa predominante e comporta inevitabilmente un superamento dell’uso di considerare il palazzo come un luogo di dimora e, nello stesso tempo, come una sede lavorativa con il piano terra spesso occupato dalle botteghe.4

Secondo Borella e Giusti Maccari il cambiamento è motivato da fattori politico-sociali dal momento che “a Lucca, come del resto anche in altri centri italiani, dalla metà del Seicento si assiste all’affermazione di una nuova classe sociale formata da una borghesia assai dotata per censo, ma la cui ricchezza è piuttosto recente, come è il caso dei Mansi”.5 Questo affianca le famiglie che, “già da tempo consolidate in campo sociale sanno mantenere intatto il loro potere economico.Per questa classe diventano requisiti indispensabili, per poter ostentare i privilegi raggiunti, il palazzo di città e quello in villa dove possono chiudersi come in una torre d’avorio e il cui accesso è consentito solo a chi a questa grandeur è chiamato a partecipare.” 6

Nell’operazione di rinnovamento i Mansi guardano a Firenze dove, negli stessi anni, stanno avvenendo trasformazioni simili.

4 Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 27, 30-31. 5

I Mansi svolgevano assieme alla loro attività tradizionale essenzialmente agricola e fondiaria, una di tipo commerciale, che li spinse a intraprendere negozi mercantili in Italia e all’estero. Cfr. Ibidem, p. 21.

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Per quanto riguarda l’aspetto esterno viene rispettata la tradizione e si mantengono il rigore costruttivo e la semplicità formale e misurata della tipologia a “blocco chiuso” cinquecentesco. L’apparato decorativo formato dai portali, dalle finestre, dagli stemmi subisce una misurata innovazione. Risulta chiara ed evidente la volontà di preservare le testimonianze del passato con assoluto rispetto nei confronti dell’architettura preesistente. Un diverso atteggiamento, invece, viene rivolto alla decorazione interna, dove la tradizione viene superata dall’adesione allo stile barocco. Gli ambienti furono riqualificati, attraverso decorazioni ad affresco, marmi, stucchi che, nell’insieme dovevano suscitare un senso di agio finalizzato ad esaltare il prestigio della famiglia. Per “rispondere a questi intenti celebrativi ed encomiastici si rende necessario aderire a certi schemi progettuali che rendano il palazzo sontuoso come la creazione di un appartamento nobile di rappresentanza, posto al primo piano ed introdotto da uno scalone monumentale che conduce direttamente a una grande galleria e da lì alle sale che si susseguono uno dopo l’altra fino a concludersi, di frequente, con una camera di parata. In alcune stanze del piano terra viene allestito un appartamento, anch’esso nobile, da utilizzare nei mesi più caldi. Entrambi gli ambienti sono resi più sontuosi dalla presenza di affreschi che ne decorano soffitti e volte con l’intento di esaltare la gloria della famiglia proprietaria attraverso raffigurazioni allegoriche cariche di significati simbolici e morali. In questo modo il palazzo così congegnato, non è più solo abitazione, ma diventa in modo manifesto luogo di celebrazione della potenza e della ricchezza della casata nonché, spesso, luogo ove mostrare le collezioni d’arte da questa raccolte, esibite come ulteriore testimonianza della raffinatezza e della prosperità raggiunta.” 7

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Ottavio e Carlo Mansi decidono di affidare la fabbrica del palazzo a Raffaello Mazzanti, lucchese d’origine ma formato artisticamente a Firenze, a contatto con l’ambiente che ruotava attorno alla corte medicea. Per quanto riguarda la decorazione a fresco, l’esecuzione degli appartamenti del piano nobile viene affidata al pittore bolognese Giovanni Gioseffo Dal Sole, che si avvale dell’apporto di Marco Antonio Chiarini come quadraturista. Ottavio, firmatario del contratto di commissione, è consapevole del fatto che scegliendo un pittore bolognese, avrebbe conferito “ulteriore lustro e modernità alla sua nuova residenza.” L’incarico di decorare a fresco l’appartamento estivo (piano terra) viene affidata, invece, al pittore fiorentino Giovanni Maria Ciocchi, allievo di Pier Dandini, in grado di riproporre le tendenze più aggiornate della pittura fiorentina di fine Seicento.

La fabbrica del palazzo ha inizio nel 1687 e si conclude nel 1691. In questi anni morirono, dapprima Raffaello nel 1686, poi Ottavio nel 1691. Il palazzo venne ereditato dal figlio di Ottavio, Carlo, che si era sposato con Eleonora Pepoli nel 1688. 8

Alla fine del Seicento la sontuosità dell’apparato decorativo doveva trovare piena rispondenza nell’arredo, oggi quasi totalmente disperso. Grazie ad un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Lucca, datato 1682, è possibile farsi un’idea della situazione. Si tratta dell’inventario dei beni mobili lasciati in eredità al fratello Raffaello e al nipote Ottavio da Gaspero Mansi,9 riconosciuti come eredi universali per l’assenza di figli nonostante il suo secondo matrimonio con Luisa De Nobili, avvenuto nel 1651.

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Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 30-32.

9 ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 1, fasc. 23, Testamento del Sig[no]re Gasparo Mansi rogato da

Ser Vincenzo Rinaldi sotto il di 20 febbraio 1682, cc. 1-8. Di seguito un estratto del testamento: «In tutti gli altri di esso testatore beni stabili, mobili, ragioni, crediti, denari, et effetti di qualsisia sorte, instituisco, nomino, e voglio che sia mio herede universale il Sig[nore] Raffaello Mansi mio fratello carissimo mentre al tempo della mia morte si ritrovi sopramminente et in caso di sua morte, instituisco e nomino, e voglio che sia mio herede il Sig[nore] Ottavio figlio di detto Sig[nore] Raffaello, e mio nepote.»

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Un ingente patrimonio formato da mobili, quadri, oggetti d’arte viene trasferito nel palazzo a San Pellegrino, dove lo stesso Gaspero aveva risieduto in tarda età. Il documento testimonia del carattere lussuoso della residenza e nello stesso tempo ci offre elementi utili per conoscere le dinamiche del collezionismo lucchese del Seicento.Si tratta dell’inventario più antico fino ad oggi conosciuto fra quelli riguardanti questo ramo della famiglia ed è fondamentale perché contiene la descrizione del nucleo originario della quadreria.10

La collezione è costituita da un numero considerevole di quadri, quasi duecento. Tra i generi prevale la pittura di soggetto religioso con le raffigurazioni di un “Volto Santo”, una “Santa Zita”, ed una “Santa Croce”, relativi a forme di devozione tipicamente lucchesi, ma non mancano i quadri con storie tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento (fig. 11). Sono presenti i ritratti, fra cui uno di Lucida e uno di Livia, le sue due mogli. Risulta evidente la predilezione di Gaspero per i paesaggi, anche marini, e le nature morte, con quadri di fiori e frutta, pesci e cacciagione. Queste opere furono probabilmente in gran parte acquistate in Nord Europa, sia dallo stesso Gaspero, che in esse si recano per questioni d’affari, sai dai numerosi mercanti lucchesi presenti su quelle piazze. Secondo Borella e Giusti Maccari, “l’ipotesi di una provenienza nordica di molti di questi dipinti può essere considerata credibile dal fatto che nell’inventario alcuni di essi sono dichiarati espressamente di Fiandra e che tutti, salvo pochissime eccezioni, sono considerati anonimi dal suo compilatore, forse realmente ignaro dell’identità degli autori, o forse, più semplicemente, per la difficoltà a decifrare la grafia dei loro nomi.” 11

10 ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 2, Fasc. II, Inventario delle Robbe dell’Heredità Sig[nore]

Gasparo Mansi, 1682, cc. 1-47. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 94, 97. L’inventario è stato citato e trascritto per intero da Borella, Giusti Maccari (1993). Per quanto riguarda l’inventario dei quadri, vedi Appendice documentaria, n. 3.

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L’inventario non presenta nessuna indicazione riguardo alla collocazione dei dipinti anche se è ipotizzabile che si rispettasse una scala gerarchica già stabilita a partire dal primo Rinascimento, la quale prevede la disposizione dei dipinti con soggetto storico e religioso all’interno delle sale più importanti come poteva essere la sala di rappresentanza mentre i dipinti ritenuti generalmente d’importanza inferiore, come nature morte, paesaggi, e bambocciate, venivano destinati alle stanze di uso privato.

Considerando i numerosi punti di contatto e analogie con le modalità di arredo in uso a Firenze in quegli stessi anni, l’allestimento degli ambienti di rappresentanza doveva essere del tipo “a incrostazione”. Diffusosi in tutta Europa, perdura per l’intero Settecento soprattutto nelle gallerie. Di esso restano pochi esempi a causa della dispersione del mobilio e delle raccolte dei quadri. La presenza delle voci “antico” e “su tavola” indica che un buon numero di dipinti appartengono ad un periodo compreso fra il Cinquecento e gli inizi del Seicento.

L’inventario identifica l’identità di soli quattro pittori, Mario dei Fiori, al quale si attribuiscono ben dieci quadri di “fiori” ed uno specchio con dipinto un vaso di fiori, Jacopo Tarchiani, pittore di scuola fiorentina presente in collezione due “battaglie”, Pietro Paolini e Simone del Tintore, lucchesi, ricordati rispettivamente per un “Mondone et una Donna che suona”, e per un quadro di “frutti et uccellami con un Filosofo.” 12

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Se l’inventario di Gaspero appare senza dubbio il più completo, altri documenti, rintracciati dai due studiosi, permettono di avere notizie dei dipinti appartenuti ai Mansi durante il Seicento.

In una “Nota de menaggi che ho dato a Gasp[a]ri mio figlio”, redatto da Nicolao Mansi nel 1626, vengono citati un quadro con “Erodiade che tiene la testa di

S[an] Gio[vanni] Batt[is]ta sopra un bacile” e una “Maddalena”, probabilmente

da identificare con i dipinti di analogo soggetto descritti più tardi fra i quadri di Gaspero.13

Nel 1639, la madre Margherita Carincioni lascia dei dipinti ai figli, dimostrando anche in quest’occasione una predilezione per Raffaello. Infatti, mentre a Gaspero sembra toccare solo “un quadro in tavola con la Cortina” non meglio specificato,

a Raffaello vanno una “Madonna e Santi”, “1 quadro grande, con l’Immagine di S[an] Carlo Intiero In ginocchione”, “1 detto della Vergine con Bambino in letto che dorme, e S[an] Gio[vanni] che lo Veglia che tiene un dito alla bocca”, “1 detto di un Cristo flagellato nudo con la Canna in mano, e legato le Mani”, “1 detto con la Vergine e S[an] Gios[epp]e, e N[ostro] Sign[o]re che spazza e S[an] Gio[sepp]e che fa il legnaiolo, e la Madonna Cucie”, “1 detto della Maddalena, che a la croce in mano, con un Vaso e Una testa di morto”, “1 detto più Piccolo cioè Il ritratto del S[igno]ro Nic[ola]o Mansi, quando era giovane, con le Cornici Dorate”, “1 detto da tenere da Capo a letto con le Cornicie Dorate entrovi la Vergine con il bambino in braccio con li tre magi”. Inoltre gli lascia “i tre quadri ovati che si tengono in sala” raffiguranti rispettivamente l’arme dei Mansi, dei

Carincioni, dei Burlamacchi, dei Balbani.14

13 ASLu, Archivio Mansi, Processi, 31, fasc. C, Nota de menaggi che ho dato a Gasp[a]ri mio

figlio, per Ser Lorenzo Motroni, 7 novembre 1626, cc. n.n.. Cfr. Borella,Giusti Maccari 1993, p. 100.

14

ASLu, Archivio Mansi, Processi, 31, fasc. C, Nota di robbe conseg[na]te per sua parte a Raff[aell]o Mansi da Marg[heri]ta sua madre, 1626, c.c. n.n.; ASLu, Archivio Mansi, Processi, 31, 2, Nota d’Inventario delle mobilie che si sono trovate in Casa della buona memoria di nostra madre in Lucca che sono nostre, 15 settembre 1639, cc. 74-81. Cfr. Ibidem, p. 100.

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In un altro documento del 1651, molto probabilmente indirizzato a Raffaello, è compresa una “Nota del prezzo di Quadri venuti da […] di Pollonia ne quali ci

hanno Int[teress]e li Orsetti, Controni e Mansi”, che evidenzia ancora una volta

come mediante l’utilizzo dei loro traffici, “i Mansi potessero procurarsi opere d’arte e oggetti preziosi per scopi collezionistici e commerciali allo stesso tempo, seguendo una prassi caratteristica dei mercanti lucchesi.” La nota fa riferimento a cinque quadri, tre dei quali sono stati identificati. Si tratta di dipinti “bellissimi, e

di mano di Buoniss[im]o Maestro tutti originali”, raffiguranti tre vittorie

dell’imperatore Carlo V, la Battaglia di Pavia nel 1525, la Presa di Roma del 1527 e la Presa di Tunisi del 1535. Apparsi nel 1970 all’Asta della villa Giramonte di Firenze, sono stati assegnati a Jan Cornelisz Vermeyen da molti studiosi, e forse sono dipinti preparatori per arazzi (figg. 12-14).15

Impossibile da identificare il “Quadro grande in foggia d’altare di uno dei più

famosi Maestri che vi sono stati, e che fu fatto sino l’anno 1515”, del quale manca

la prova che sia mai stato acquistato, mentre nel “bellissimo pezzo di Adamo ed

Eva di statura intiera tutti di mani eccellente”, sembra riconoscersi l’“Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre” appartenuto a Gaspare. L’esistenza di questo

documento, avvalora l’ipotesi che possa essere attribuito ad un autore nordico.16 Nel Settecento il palazzo subì nuove trasformazioni che condussero ad un incremento delle opere pittoriche. Alla morte di Carlo di Ottavio Mansi, avvenuta nel 1712, gli eredi diventano promotori di questo cambiamento. Raffaello (1689-1758), il primogenito, è il beneficiario dell’appartamento di rappresentanza a cui però non apporta nessuna modifica di notevole entità. Ottavio Guido e Francesco Antonio, due suoi fratelli, sistemano alcune stanze del palazzo ricavando ciascuno un piccolo appartamento, mentre, al terzo fratello Filippo Gaspero vengono destinate alcune stanze di una Palazzina non meglio identificata.

15 L’asta è stata tenuta dalla Galleria San Marco, ed ha visto la vendita di altri oggetti di proprietà

dei Mansi. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 100-102.

16 ASLu, Archivio Mansi, Scritture e Contratti di Ottavio di Raffaello Mansi, 27, fasc. G, Nota del

prezzo di quadri venuti da Debitori di Pollonia ne quali ci hanno int[eress]e li Orsetti, Controni e Mansi, 1651, cc. n.n. Cfr. Ibidem, p. 102. Vedi Appendice documentaria, n. 4.

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Dell’appartamento allestito da Ottavio Guido, situato al pianterreno dell’ala esposta a meridione, composto da una camera con alcova, non resta alcuna traccia dell’apparato originario ma grazie all’inventario degli oggetti di Ottavio Guido lasciato in eredità al fratello Raffaello, è possibile conoscere come doveva presentarsi l’arredo dell’appartamento. Le pareti delle due stanze erano corredate da una preziosa raccolta di porcellane sistemate sopra delle mensole bianche e da trenta quadri con cornici di colore bianco e oro come le mensole, tutti di soggetti profani, rappresentanti paesaggi, nature morte e ritratti.

Gli unici pittori ricordati per nome sono il paesaggista lucchese Gaetano Vetturali (1701-1783), con “otto paesaggi” e “resti di fabbriche antiche”, e Georg Cristoph Martini (1685-1745), con un “Ritratto di donna mezzo busto”.

Francesco Antonio, Cavaliere di Malta come il fratello Ottavio Guido, dal 1734 al 1750 ricava il suo appartamento al secondo piano del palazzo, sopra il portone. La stanza più importante è la camera da letto dove viene realizzata un’alcova decorata da stucchi e con ai lati otto leoni in pietra. Riguardo alle opere pittoriche, sono ricordati due paraventi in tela dipinti da Gaetano Vetturali e due ritratti eseguiti da Giovanni Antonio Luchi che raffigurano rispettivamente “Ottavio

Guido” e “Settimio Mansi”, avo di Francesco Antonio al pari di lui Cavaliere di

Malta.17

Riguardo al terzo fratello Filippo Gaspero, come già ricordato, non risiede nel palazzo di famiglia ma trova una sua sistemazione all’interno di una “Palazzina”. L’inventario dell’eredità di Filippo Gaspero è composto da due elenchi, uno del 1770 mentre l’altro, più lungo, reca varie date che vanno dal 1750 al 1770.

Nel secondo elenco alcuni mobili e quadri si dicono nella “Prima Camera verso il Crocifisso”, ugualmente anche “Varie robbe e legnami” sono indicati “sopra le stanze del Crocifisso”. Gaspero (1697-1770) abita nella casa di via S. Paolino, di fronte alla via che porta alla chiesa del Crocifisso, di proprietà della famiglia già dalla fine del Seicento e dove, dopo la sua morte si trasferisce il nipote Carlo.

17 ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 5, Eredità della F[elice] [Memoria] del Sig[nore] Cavaliere

Ott[avio] Guido Mansi, 1743, cc. 1-56. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 123-128; Betti 2013, p. 14-15. Il documento è stato citato nella bibliografia sopra menzionata senza offrire nessuna trascrizione. L’inventario relativo alla stima dei quadri è riportato al numero 5 dell’Appendice documentaria.

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I due inventari sono molto interessanti perché forniscono un resoconto dettagliato dell’arredo delle varie stanze, caratterizzato dalla presenza di molti quadri soprattutto del pittore lucchese Gaetano Vetturali e di un non meglio identificato Verini. Fra i ritratti ne compare uno, femminile, di Georg Christoph Martini, forse quello stesso che figura nell’inventario del fratello Ottavio Guido e che nel 1770 risulta essere regalato alla famiglia Compagni.18

I beni di Ottavio Guido, Francesco Antonio, e Filippo Gaspare furono ricevuti in credito da Luigi, figlio di Raffaello. Per questo motivo i mobili, i quadri, l’argenteria restarono nel palazzo di Lucca.

Proprio con Luigi, nella seconda metà del Settecento, inizia una nuova fase di rinnovamento che interessa sia l’aspetto architettonico e decorativo, ma anche quello propriamente funzionale del palazzo. Il matrimonio con Ersilia Santini appartenente ad una delle famiglie più facoltose di Lucca, fu l’occasione per rimodernare l’apparato decorativo. Nel 1775 i pittori Giovanni Roberti e Francesco Antonio Cecchi vengono incaricati a decorare l’anticamera, da identificarsi con la stanza posta fra l’alcova e la camera da letto usata abitualmente. Venne inoltre creata quella che lo stesso Luigi definisce “nuova galleria”, ottenuta con la demolizione di due stanze ad uso familiare del piano nobile affacciate sul loggiato ed attigue alla vecchia galleria.

L’incarico di eseguire il lavoro, iniziato nel 1791, venne affidato al pittore lucchese Stefano Tofanelli. Sempre su consiglio del Tofanelli, la decorazione a fresco viene commissionata a Domenico Del Frate che si occupa di dipingere la volta della sala e i soprapporta con scene a soggetto mitologico. Per l’occasione numerosi quadri vengono restaurati, affidando l’incarico al pittore Giovanni Antonio Pacini che doveva svolgere soprattutto questa attività di restauratore.

18

ASLu, Mansi, Eredità 7, Eredità della fù Sig[no]re March[e]se Filippo Gasparo Mansi, 1770, cc. 1-22; ASLu, Archivio Mansi, Miscellanea, 317, fasc. 1, VIII, 1752, 1770, cc. 1-10.I documenti sono stati citati da Borella, Giusti Maccari (1993, pp. 127-128). I numeri 7 e 8 dell’Appendice documentaria fanno riferimento alle trascrizioni dei quadri che sono stati rintracciati negli inventari sopra menzionati.

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Unico elemento degno di nota il quadro rappresentante l’albero genealogico della famiglia, iniziato da Giovanni Antonio Pacini e terminato da Bernardo Santini.19 Un cospicuo incremento della quadreria avviene successivamente nel 1792 in occasione delle nozze tra Raffaello, figlio di Luigi e Camilla Parenzi. Nel 1824 con la morte di Chiara Isabella Mansi, vedova di Girolamo Parenzi, un intero nucleo di quadri fiamminghi finì nelle sale del palazzo a San Pellegrino. Camilla era difatti figlia unica ed erede di tutto il patrimonio familiare. Gran parte dei dipinti faceva parte dell’eredità di Anna Maria Van Diemen, figlia di un ricco mercante olandese che nel 1675 sposò Girolamo Parenzi, il quale si trasferì ad Amsterdam per svolgere l’attività di mercatura.20 Nel 1690 Girolamo rientrò definitivamente in patria con un’ingente ricchezza, che comprendeva anche la raccolta di quadri. Come hanno indicato Borella e Giusti Maccari, “in procinto di sposare Raffaelle Mansi, Camilla provvede a lasciare alla madre, vedova da molti anni, l’uso del palazzo, completo di tutto l’arredamento, dell’argenteria e della quadreria, riservando la possibilità di prelevare dei quadri che la interessino particolarmente, sostituendoli con altri esemplari. Un disegno, databile fra Sette e Ottocento, perché evidentemente anteriore al trasferimento in blocco della collezione, conferma la presenza dei dipinti, mostrando la loro collocazione sulle pareti di tre stanze del piano terreno. Su 78 quadri solamente 5 sono di autore italiano, uno di Michelangelo da Campidoglio, due di Giovanni Marracci, una copia di Guido Reni e una di un Bassano non meglio identificato. Questa disposizione testimonia la precisa volontà di conservare quanto più possibile l’integrità del nucleo originario.” Nelle sale del palazzo Mansi vengono trasferiti anche i quadri conservati in altri ambienti o in altre proprietà della famiglia, quali ad esempio la villa di Moriano e quella di Monsagrati.21

19

ASLu, Archivio Mansi, Casse Particolari, 55, Conto di spese mie particolari dal 1767 al 1796, cc. 34-38, c. 48. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 128-130.

20 Di Anna Maria Van Diemen abbiamo poche notizie. Morì il 12 aprile 1699, come si ricava da su

un cartellino apposto sul retro del suo ritratto. La sua presenza a Lucca è comunque documentata dalla nascita dei figli Giacomo Giuseppe. Nel 1682, Paolo Antonio, nel 1688, Gisberto, nel 1691, battezzati nella chiesa di San Giovanni. Principale erede dei beni di Girolamo e Anna Maria è il primogenito Giacomo Giuseppe che a sua volta li trasmette a Girolamo, padre di Camilla. Cfr. Ibidem, p. 160.

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Inoltre, bisogna tenere presente che anche i quadri di Gasparo Van Diemen, fratello di Anna Maria, trasferitosi a Lucca, pervengono in eredità ai Parenzi. Una volta entrati nel palazzo di San Pellegrino i dipinti vengono collocati nelle sale dell’appartamento di rappresentanza del piano nobile.

A conferma di questo, fra le carte dell’Archivio Mansi, esistono tre inventari, tutti otto-novecenteschi, che ci permettono di conoscere l’entità e l’importanza della quadreria anche se in modo parziale, perché, mentre vi compaiono tutti o quasi i dipinti Parensi, quelli Mansi sono in numero decisamente inferiore a quelli realmente esistenti (figg. 15-44).22

A questi elenchi bisogna aggiungerne altri due, conservati sempre all’interno della filza 317 in cui si descrivono i quadri appartenenti al ramo di famiglia dei Mansi di Donnino che, per via ereditaria, furono trasmessi a Camilla Parensi, moglie di Raffaello Mansi del ramo di San pellegrino.

Il primo catalogo è corredato dalla firma del pittore Pietro Nocchi, molto probabilmente incaricato di effettuare le stime. Comprende i quadri conservati nella galleria della casa di famiglia posta nella piazza di San Frediano, destinati ad essere divisi tra gli eredi dei Mansi. Come si ricava dall’indicazione presente sul verso del secondo foglio, i quadri “marcati dalla lettera P in rosso appartengono

per divisione già agli Eredi Parenzi, gli altri agli Eredi Orsucci”.23

22 ASLu, Archivio Mansi, Miscellanea, 317, XI, sec. XIX, cc. 1-7; ASLu, Archivio Mansi,

Miscellanea, 317, XII, sec. XIX, cc. 1-7 (copia del catalogo precedente); ASLu, Archivio Mansi, Miscellanea Parensi, 462, 8, Catalogo Quadri Parensi, sec. XIX, cc. 1-10. Gli inventari distinguono i dipinti appartenenti ai Mansi da quelli Parensi utilizzando l’iniziale del cognome; inoltre descrivono la distribuzione delle opere nelle stanze del palazzo. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 164-165. Gli inventari contraddistinti dai numeri XII della filza 317 e 8 della filza 462 sono stati trascritti per intero da Borella, Giusti Maccari (1993). L’inventario n. XII della filza 317 è riportato al numero 9 dell’Appendice documentaria..

23 ASLu, Archivio Mansi, Miscellanea, 317, fasc. 1, X, cc. 1-2. Il documento è stato

meritoriamente citato da Borella, Giusti Maccari (1993) senza offrire nessuna trascrizione. L’inventario è riportato per intero al numero 10 dell’Appendice documentaria. Fino alla metà dell’Ottocento nella casa di San Frediano abitò Chiara Isabella di Lorenzo Mansi, sposa di Girolamo Parensi, madre di Camilla, e ultima del ramo dei Mansi di S. Donnino, la quale nel testamento del 1824 decise di nominare la figlia come suo erede universale. Dall’albero genealogico i fratelli di Chiara Isabella risultano: Luigi, canonico; Nicolao Emilio, primicerio; e Maria Caterina, sposa di Nicolao Orsucci, nonché zia di Camilla. Dai testamenti dei fratelli maggiori datati 1806 si ricava che, in caso di morte, la loro intera eredità dovesse essere trasferita alle due sorelle ed estendersi ai loro figli o figlie nonché nipoti degli stessi in caso di morte delle loro madri. Cfr.: ASLu, Archivio Mansi, 2, 1, Testamenti di Casa Mansi (1691-1838).

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Il secondo catalogo, invece, riguarda una serie di quadri anonimi non stimati appartenenti all’eredità dei Mansi di cui non si specifica la loro provenienza originaria.24

Nella descrizione dei tre inventari otto-novecenteschi quasi tutte le opere sono accompagnate dal nome dell’autore ma la loro dispersione, avvenuta in massima parte nella prima metà del Novecento e la conseguente irreperibilità di molte di esse, ostacola la verifica di queste attribuzioni. Unici superstiti del nucleo Van Diemen presenti ancora in loco sono Il Sacrificio di Abramo di Ferdinand Bol (fig. 45) e la Sacra Famiglia attribuita ad Anton Van Dyck (fig. 46). Provenienti invece direttamente dai Parensi sono alcuni ritratti conservati nell’atrio dell’ingresso del palazzo.25

24 ASLu, Archivio Mansi, Miscellanea, 317, XIII, Catalogo dei quadri appartenenti all’eredità

Mansi, sec. XIX, cc. 1-4. L’inventario è stato trascritto per intero da Borella, Giusti Maccari (1993).

25 Oltre ai già citati ritratti di Anna Maria e del fratello Gaspare, sono presenti qui in palazzo quelli

di Girolamo di Jacopo Parensi, marito di Anna Maria, dei suoi genitori, Jacopo e Maria Gualanducci, di suo figlio Antonio. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 164-165.

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