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Capitolo 1

Fanghi provenienti da trattamento di reflui civili

Le acque reflue civili e industriali, convogliate attraverso il servizio di fognatura agli impianti di depurazione, devono essere opportunamente trattate prima di essere immesse negli scarichi.

1.1

Il trattamento delle acque

I reflui industriali, in particolare, presentano caratteristiche così variabili da rendere difficoltosa una generalizzazione del trattamento a cui devono essere sottoposte.

La realizzazione di uno scarico di acque reflue industriali presuppone infatti lo svolgimento di indagini preliminari molto accurate. È inoltre frequente la predisposizione di uno specifico trattamento a monte dell’ingresso delle acque reflue in pubblica fognatura, onde evitare eventuali gravi interferenze sugli impianti finali (specie se biologici). Per quanto riguarda invece le acque reflue civili (o ad esse assimilabili), i limiti di immissione degli scarichi sono regolamentati dall’allegato 5 alla parte III del D.Lgs 152/2006 (Tabelle 1.1 e 1.2).

Tabella 1.1: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane Potenzialità impianto in AE (abitanti equivalenti) 2.000-10.000 >10.000 Parametri (media giornaliera) Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione BOD5 (senza nitrificazione) mg/l 25 70-90 25 80 COD mg/l 125 75 125 75 Solidi sospesi mg/l 35 90 35 90

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Tabella 1.2: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane posti in aree sensibili

Le sezioni che in genere costituiscono un impianto di depurazione di acque reflue civili e/o industriali sono:

• Trattamenti specifici all'uscita del reparto in cui l'effluente è prodotto; questi abbattono inquinanti specifici, prima che essi siano diluiti con acque di rifiuto di altri reparti, in quanto si ottengono risultati migliori processando correnti di minore portata e maggiore concentrazione, contenenti una classe ben determinata di inquinanti. Ad esempio l'abbattimento dei metalli pesanti, l'ossidazione chimica di sostanze non biodegradabili, lo stripping di vapori organici di ammoniaca, etc.

• Trattamento primario: l'effluente subisce alcuni trattamenti di sgrossatura, cioè non sufficienti a produrre uno scarico in specifica, ma necessari per un corretto funzionamento dei trattamenti successivi. Si possono avere:

- compensazioni di portata e concentrazione degli inquinanti; - neutralizzazione;

- trattamento chimico-fisico di coagulazione e flocculazione;

- separazione solido-liquido per mezzo di sedimentazione, flottazione, filtrazione.

• Trattamento secondario (biologico): l'effluente subisce un trattamento biologico (solitamente aerobico) che produce l'abbattimento del BOD e del COD. Si ottiene anche la rimozione di azoto, fosforo e solidi sospesi. Le soluzioni reattoristiche possono essere di vario tipo (vasche aerate in diverse configurazioni, letti percolatori, biodischi, etc...).

• Trattamenti terziari: trattamenti di finitura per entrare in specifica su tutti gli inquinanti, con particolare riferimento a:

Potenzialità impianto in AE (abitanti equivalenti) 10.000-100.000 >100.000 Parametri

(media annua) Concentrazione

% di riduzione Concentrazione % di riduzione Fosforo Totale mg/l 2 80 1 80 Azoto Totale mg/l 15 70-80 10 70-80

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- nitrificazione e denitrificazione, per la rimozione dell'azoto; - defosfatazione, per l'eliminazione del fosforo;

- filtrazione, per l'eliminazione dei solidi sospesi rimasti; - disinfezione, per l'eliminazione dei microrganismi patogeni;

- adsorbimento con carboni attivi, per l'eliminazione delle sostanze non biodegradabili.

• Trattamento dei fanghi: il processo di depurazione delle acque comporta la produzione di ingenti quantità di fanghi, la cui natura (composizione a prevalenza organica, inorganica o mista) dipende dalla struttura complessiva del processo depurativo. Essi necessitano di ulteriori trattamenti prima di poter essere definitivamente smaltiti. Tali trattamenti saranno affrontati in modo più dettagliato nel paragrafo seguente.

In Figura 1.1 è riportato uno schema a blocchi di una linea di trattamento di effluenti civili.

1.2

Trattamento dei fanghi da depurazione

I processi di trattamento di reflui acquosi generano un residuo solido fangoso in cui è concentrato il carico inquinante originariamente presente nel refluo liquido. Tale fango è raccolto nei processi di separazione solido/liquido messi in opera nell’impianto di depurazione e generalmente necessita di ulteriori trattamenti prima dello smaltimento finale.

Tra questi figurano, come intervento minimale per fanghi inorganici, l’ispessimento e l’essiccamento; i fanghi organici devono però anche essere sottoposti a trattamenti specifici per ridurne il contenuto volatile prima del suddetto smaltimento finale.

La selezione di un particolare processo rispetto ad altri, dipende principalmente dalla natura e dalle caratteristiche del fango, oltre che dal metodo di smaltimento finale utilizzato: ad esempio, il fango proveniente da processi a fanghi attivi viene concentrato in modo più efficiente da processi di flottazione che dall’ispessimento a gravità. Uno smaltimento finale effettuato mediante incenerimento, a sua volta richiede un contenuto di solidi sufficientemente elevato per mantenere l’autocombustione nell’inceneritore.

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F ig u ra 1 .1 : S ch em a a b lo cc h i d i u n a l in ea d i tr a tt a m en to d i ef fl u en ti ( co n a lc u n e p a rz ia li s ce lt e d i p ro ce ss o )

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Le tecnologie che possono essere considerate ottimali per lo smaltimento finale di un fango, sia dal punto di vista puramente tecnico che economico, sono dettate dalle caratteristiche fisico-chimiche del fango stesso. In generale, fanghi di tipo gelatinoso, tipo quelli derivanti da flocculazione con allume o da un processo biologico a fanghi attivi, presentano concentrazioni di solidi inferiori rispetto a quelle ottenibili in fanghi di origine inorganica o di sedimentazione primaria.

Il grado di disidratazione ottenibile in un fango in uscita da una filtrazione, è correlato alla sua resistenza specifica alla stessa filtrazione; questa caratteristica può essere modificata mediante l’aggiunta di polielettroliti, ma considerazioni di natura economica potrebbero suggerire in alternativa trattamenti diversi.

La Figura 1.2 mostra uno schema a blocchi della linea di trattamento fanghi.

Figura 1.2: Schema a blocchi della linea di trattamento dei fanghi

1.2.1 Ispessimento

L’ispessimento preventivo dei fanghi è una pratica che è stata a lungo trascurata, ma che sta trovando applicazione in un numero sempre maggiore di impianti. Posto a monte della digestione, permette di regolarizzare ed aumentare la concentrazione in sostanze secche dei fanghi. Si possono perciò realizzare sostanziali economie nel dimensionamento dell’impianto di digestione.

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Prima della disidratazione, l’ispessimento stabilizza e facilita l’esercizio, permettendo di ridurre il volume delle unità di condizionamento (particolarmente importante nel caso di condizionamento termico), e di aumentare la capacità dei dispositivi di disidratazione. L’ispessimento dei fanghi primari e di quelli attivi può essere previsto separatamente o contemporaneamente. In Europa, si preferisce introdurre i fanghi attivi in eccesso in testa ai decantatori primari, ottenendo un ispessimento unico dei fanghi freschi misti. L’ispessimento dei fanghi digeriti necessita di opere molto più importanti che non quello dei fanghi freschi: la durata del processo può variare da più giorni a più settimane, secondo la concentrazione iniziale e finale dei fanghi. Di conseguenza, in caso di digestione anaerobica (e anche in caso di stabilizzazione aerobica), l’ispessimento preliminare è spesso più economico, quanto ad investimento, dell’ispessimento successivo.

Per i piccoli impianti, l’ispessitore può essere una semplice vasca cilindrico-conica con il fondo fortemente inclinato, ma a partire da diametri dell’ordine di 5-6 metri, è consigliabile l’installazione di un meccanismo con raschiatore a pettine.

I tipi di ispessimento generalmente impiegati sono:

- Ispessimento a gravità: l’ispessimento a gravità dei fanghi di supero avviene in

un bacino dotato di un ponte raschiatore, che ruotando a bassa velocità, destabilizza gli agglomerati idratati di particelle di fango, migliorandone sedimentazione e compattazione.

- Ispessimento per flottazione: l’ispessimento dei fanghi per flottazione ad aria è

diventato sempre più diffuso, e risulta particolarmente adatto per il trattamento di fanghi gelatinosi, quali ad es. i fanghi attivi di supero. Nell’ispessimento per flottazione, piccole bolle d’aria rilasciate dalla soluzione si attaccano ai fiocchi di fango e vi restano intrappolate; la miscela aria/solido sale alla superficie del bacino, dove viene concentrata e in seguito rimossa.

1.2.2 Stabilizzazione biologica dei fanghi

La digestione o stabilizzazione dei fanghi può essere effettuata mediante due processi:

- Digestione anaerobica dei fanghi: essa è un processo biologico impiegato per il

trattamento dei fanghi organici negli impianti di depurazione dei reflui civili e, a volte, degli scarichi organici industriali molto concentrati. Si tratta di un processo di mineralizzazione, gassificazione e umificazione delle sostanze

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organiche, più lento dei processi aerobici, ma che risulta economicamente conveniente nel caso debbano essere trattati piccoli volumi ad alto carico organico.

Con il termine mineralizzazione si indica il raggiungimento di una condizione per cui il materiale presente non può ulteriormente essere degradato biologicamente, mentre la gassificazione è la conversione, in questo caso biologica, di prodotti solidi e liquidi in prodotti gassosi.

Per umificazione si intende la trasformazione del materiale organico originariamente putrescibile in un prodotto metastabile ed innocuo, soggetto a decomposizione molto lenta (humus naturale).

In generale gli obiettivi della digestione anaerobica dei fanghi sono i seguenti: stabilizzazione del materiale organico, distruzione degli eventuali microrganismi patogeni, riduzione del volume dei fanghi, facilitazione per lo smaltimento finale.

Durante il processo di digestione il materiale organico volatile è degradato, attraverso stadi successivi, a gas vari e prodotti finali organici: i gas sono principalmente costituiti da metano e anidride carbonica. La degradazione avviene attraverso tre stadi fondamentali: liquefazione, formazione di acidi e gassificazione. Tutti i processi sono condotti ad opera di una flora batterica di natura anaerobica che si sviluppa nei liquami e nei fanghi.

- Digestione aerobica dei fanghi: essa avviene in condizioni di respirazione

fortemente endogena ed è un trattamento finalizzato alla stabilizzazione del fango, ovvero alla riduzione significativa del suo grado di putrescibilità sotto l’azione di microrganismi eterotrofi in presenza d‘aria. Altro obiettivo è quello di ridurne il volume, favorendo il rilascio d‘acqua, così da consentirne la separazione, ed infine realizzarne una riduzione della carica batterica.

Il fango proveniente dai sedimentatori primari e secondari, eventualmente ispessito, è alimentato in vasche aerate meccanicamente, più raramente a diffusione d’aria, dove permane in media per 15-20 giorni (tempo di ritenzione idraulico). In genere l’aerazione è fermata per 3-4 ore una volta al giorno, per consentire la separazione dell’acqua e l’estrazione del fango digerito ed ispessito; più raramente, ed in impianti di grandi dimensioni, l’ispessimento avviene a posteriori in un’unità separata e funzionante in continuo.

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La digestione aerobica separata viene generalmente preferita a quella anaerobica in località a clima temperato e nei piccoli impianti (dove un sistema anaerobico dovrebbe operare senza riscaldamento) e dove le operazioni di gestione sono state semplificate al massimo, rinunciando a volte persino ad ispessire il fango che viene mandato direttamente ai letti di essiccamento.

1.2.3 Disidratazione

I fanghi provenienti dalla depurazione delle acque residue urbane sono prevalentemente organici. Le materie volatili rappresentano dal 60 al 75% delle materie secche nei fanghi freschi, e dal 45 al 60% nei fanghi digeriti. I fanghi hanno un elevato contenuto di materie colloidali e pertanto la loro disidratazione mediante filtrazione su mezzo filtrante o la loro centrifugazione necessita di un trattamento preventivo di condizionamento. I fanghi devono essere flocculati, in modo da raccogliere le materie più fini in particelle sufficientemente voluminose (fiocchi) in grado di essere trattenute sulla tela filtrante o trasportate da una vite di estrazione.

In assenza di flocculazione, il rendimento di estrazione è mediocre e l’intasamento dei mezzi filtranti assai rapido. Inoltre, il liquido interstiziale separato dai fanghi disidratati è molto carico e costituisce, con il suo ricircolo in testa all’impianto, un sovraccarico per quest’ultimo.

Un buon condizionamento del fango è condizione di primaria importanza per il buon funzionamento dell’impianto di disidratazione propriamente detto, e dell’insieme dell’impianto di depurazione.

Nel caso della disidratazione meccanica, l’assenza o un dosaggio ridotto del reattivo di condizionamento possono essere previsti solo per impianti molto poco caricati, ma si tratta comunque di soluzioni di ripiego scarsamente valide.

Se è previsto un drenaggio dei fanghi su letti di essiccamento naturali, il condizionamento non è indispensabile, in quanto in tal caso si ammette una durata di essiccamento prolungata e soprattutto, ad ogni eliminazione di fanghi essiccati, il fine strato di sabbia superiore che aderisce al fango, viene evacuato insieme a quest’ultimo. Un condizionamento preliminare del fango può comunque, nel caso di drenaggio su letti, diminuire di 5 o 10 volte i tempi dell’essiccamento. I letti di essiccamento sono utilizzabili solo con fanghi digeriti o stabilizzati; con fanghi freschi gli inconvenienti (soprattutto odorosi) rischiano di diventare rapidamente insopportabili.

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La flocculazione del fango può avvenire: − mediante aggiunta di reattivi minerali; − mediante aggiunta di polimeri organici; − mediante cottura.

Le prime due possibilità rappresentano il condizionamento chimico, la terza quello termico.

I tipi di disidratazione meccanica praticati sono i seguenti:

- centrifugazione: tale operazione è utilizzata sia per l’ispessimento che per la

disidratazione dei fanghi; in pratica accelera il processo di sedimentazione che avviene naturalmente per effetto della gravità per mezzo dell’applicazione di una forza centrifuga. La centrifugazione offre il vantaggio di disidratare i fanghi in ambiente totalmente chiuso e di presentare impianti molto compatti. Essa è particolarmente indicata per fanghi molto colloidali e di difficile disidratazione, anche se in questo caso la resa in materiale secco è limitata. L’alimentazione e la produzione di fanghi sono in continuo, in modo da rendere possibile, ad esempio, l’alimentazione diretta di un forno. La dissabbiatura preliminare è una precauzione spesso utile, che permette di ridurre i problemi di manutenzione delle centrifughe e in particolare delle viti di estrazione.

Sono sostanzialmente tre i tipi di centrifughe utilizzabili per disidratare i fanghi: a tazza, a cesto e separatori a dischi. La differenza di base tra questi tipi di centrifughe è costituita dal metodo di raccolta ed espulsione dei solidi dall’unità.

- Filtrazione

Tra i processi di disidratazione dei fanghi per filtrazione i più utilizzati sono: a) Filtrazione su letti di essiccamento: può essere impiegata in impianti di importanza tanto più ridotta quanto più le condizioni climatiche sono sfavorevoli. Il costo di immobilizzo del terreno limita oggi questa tecnica in pratica a popolazioni di alcune migliaia di abitanti, a meno che una disidratazione meccanica non sia prevista contemporaneamente per la cattiva stagione. Vengono realizzati letti rettangolari e circolari provvisti di ponti ripartitori di fanghi umidi e di estrattori di fanghi secchi.

b) Filtrazione sottovuoto: può essere applicato ai diversi tipi di fanghi residui; il tenore in secco ottenibile varia a seconda del tipo di fango trattato, l’alimentazione dei fanghi ai filtri a vuoto è generalmente discontinua, mentre la produzione del pannello di filtrazione è continua.

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c) Filtrazione a pressione: per praticare tale tipo di filtrazione in commercio sono presenti due tipologie di apparecchiature. La nastropressa è un filtro a due nastri prementi, preceduto da flocculazione preliminare mediante polielettroliti. Essa di solito comprende principalmente un flocculatore (zona dosaggio additivi), un dispositivo di ripartizione, una zona di gocciolamento, una zona di pressature successive e multidirezionali, un sistema di raschiatura ed evacuazione del pannello, ed un sistema di lavaggio della tela. La sua regolazione ed il suo funzionamento sono estremamente semplici.

La filtropressa invece consente di ottenere la massima disidratazione del pannello, in quanto opera a pressioni che possono arrivare a 15 bar. Con tale apparecchiatura si supera spesso il 45% in secco in fanghi misti freschi o digeriti, condizionati termicamente o con reattivi minerali. Generalmente la filtropressa richiede un condizionamento chimico molto limitato del fango, ma in ogni caso adeguato ad evitare l’intasamento delle tele, che provoca un aumento del tempo di pressatura e la necessità di un più frequente lavaggio delle stesse.

1.3

Tecnologie di smaltimento dei fanghi da depurazione

Dopo i processi di disidratazione, i fanghi di depurazione sono sottoposti a una delle soluzioni riportate di seguito, che risultano le più utilizzate e talvolta ancora in fase di sviluppo.

1.3.1 Compostaggio

La trasformazione dei fanghi in una varietà di concime adatto ad essere sparso su terreni agricoli, può essere ottenuta mediante il cosiddetto compostaggio. I fanghi vengono generalmente privati dell’acqua asportabile per via meccanica e successivamente miscelati ad un materiale che, da un lato apporta materia organica, e dall’altro riduce l’umidità della miscela per facilitarne la maturazione. Una disposizione razionale delle torri di fermentazione provviste di dispositivo di aerazione e riciclaggio potenti, permette di ridurre a pochi giorni la durata della fermentazione accelerata. Il materiale carbonico di apporto può essere costituito da segatura di legno, cortecce o rifiuti solidi organici, anche se in questo ultimo caso è necessario un trattamento preliminare degli

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RSU, separando la frazione adatta allo scopo dalle altre. Condizioni favorevoli di mercato sono essenziali per l’adozione di una soluzione del genere, mentre non può trascurarsi l’aspetto di potenziale impatto ambientale, rappresentato dai prodotti non adatti sotto tale aspetto alla destinazione d’uso detta: a tal proposito occorre fare riferimento alla normativa vigente in merito.

Con il termine compostaggio si intende comunemente un processo aerobico condotto in sistemi variamente strutturati, che si basano sui seguenti punti fondamentali:

- utilizzo di materiali idonei (biomasse) da soli o in opportuna miscela, purché

adatti ad ottenere un prodotto finito adatto all’uso come ammendante di terreni agricoli;

- aerazione e raggiungimento di temperature di circa 60°C, in modo da abbattere

la carica patogena presente, e ridurre anche l’umidità dal materiale;

- permanenza del materiale così trattato in riposo (fase di maturazione), con

eventuale intervento di una fase ulteriore di aerazione;

- raffinazione del prodotto con eventuale separazione di materiali diversi.

Il rendimento del processo è dettato dalle condizioni di umidità, dal grado di aerazione, dal tenore in carbonio, azoto e nutrienti, dal pH e dalla temperatura.

Il materiale di partenza è comunemente rappresentato da miscele di fanghi di depurazione biologica e frazione organica dei rifiuti solidi urbani (RSU) o altro materiale organico, ma i sistemi con i quali il processo è portato a termine sono di vario tipo, a seconda dei casi; la differenziazione risiede nelle modalità di miscelamento ed aerazione della massa da trasformare in compost.

Si possono distinguere sistemi aperti e sistemi chiusi.

Nel primo caso si assiste a processi basati su cumuli statici o rivoltati periodicamente e comunque aerati, oppure all’adozione di reattori discontinui aperti, equipaggiati da un sistema di rimescolamento per assicurare l’aerazione.

Nel secondo caso il processo, continuo o discontinuo, avviene in reattori chiusi a circolazione d’aria, con rimescolamento o semplice movimentazione. I reattori continui possono essere a flusso a pistone in senso orizzontale o verticale, oppure del tipo a miscelazione.

I vantaggi del sistema chiuso su quello aperto risiedono nel fatto che in tale configurazione è possibile controllare l’emissione di odori molesti e di microrganismi patogeni, potendo meglio governare la temperatura del processo.

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Quale che sia il sistema adottato, la fase di maturazione è sempre richiesta, anche dopo una fermentazione accelerata in reattore. La maturazione è condotta sia in cumuli da aerare, sia in reattori.

1.3.2 Ossidazione ad umido

Consiste nella ossidazione di sostanze organiche in assenza di fiamma ed in presenza di acqua liquida. Il processo è realizzato operando a temperature sufficientemente alte (200-340°C) da realizzare l’ossidazione completa di composti organici con aria o ossigeno, ma in condizioni di pressione (80-125 atm) tali da impedire l’ebollizione dell’acqua.

Si realizzano cioè alte concentrazioni di ossigeno molecolare disciolto in acqua in assenza di ebollizione, e l’energia richiesta è quella dovuta alla pressurizzazione e non alla evaporazione dell’acqua. Oltre ad utilizzare il calore di reazione per riscaldare il refluo, l’espansione in turbina del vapore ricavabile dalla miscela in uscita dal reattore rende disponibile energia meccanica per la compressione dell’aria di reazione.

L’incenerimento richiede normalmente che i fanghi siano ben disidratati, affinché la combustione sia autosufficiente in termini di apporto di combustibile.

Nel caso dell’ossidazione ad umido, il grado di disidratazione richiesto per il fango biologico è invece inferiore (circa 6% in secco), ed è quello che si può realizzare con un ispessimento spinto del fango.

Come tutti i processi di combustione, anche in questo caso vengono generati dei sottoprodotti che richiedono ulteriori interventi; si tratta in particolare di ceneri, soluzione acquosa risultante e prodotti gassosi.

Le ceneri sono in quantità relativamente modesta, e pur potendo generare depositi nelle apparecchiature, vengono in gran parte veicolate dall’acqua. Le acque prodotte hanno un elevato contenuto in nutrienti e sostanze organiche e vengono riciclate all’impianto di trattamento dei reflui acquosi.

Gli odori generati, la corrosione, gli elevati costi energetici e di manutenzione relativi agli impianti per tale processo, ne limitano l’interesse.

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1.3.3 Liquefazione

La liquefazione è un trattamento termochimico che prevede la conversione dell’alimentazione in fase liquida, operando a bassa temperatura (T<350°C) e alta pressione (P~300 bar). Il processo richiede una basso flusso di calore, tempi di reazione piuttosto lunghi, eventuale impiego di H2, CO e/o catalizzatore. Il prodotto principale è

un olio a basso contenuto di ossigeno e calore specifico pari a circa 35÷40 MJ/kg. L’impiego di tale processo è limitato dai costi elevati, dall’alta pressione e dalla necessità di separare il prodotto dai solventi utilizzati.

1.3.4 Incenerimento

L’incenerimento dei fanghi consiste nella combustione con ossigeno ad elevata temperatura (almeno 800°C); esso è generalmente praticato su fanghi che hanno subito un trattamento di essiccamento.

Per questioni di bilancio termico, sarebbe logico applicare l’incenerimento ai fanghi freschi, quando il loro potere calorifico è superiore a quello dei fanghi digeriti. Tuttavia, in assenza di digestione, per motivi igienici, sono necessari dispositivi particolari di protezione e/o un sufficiente stoccaggio del pannello dopo disidratazione. In generale, per evitare un eccessivo dispendio di combustibile, è preferibile condizionare i fanghi e poi disidratarli per via meccanica, prima di incenerirli.

Quando si prende in considerazione l’ipotesi dello smaltimento per incenerimento, devono essere noti, tra le altre cose, il contenuto di umidità, il tenore di solidi volatili nel fango e il potere calorifico (che in genere è compreso tra 11500 e 23500 kJ/kg), al fine di valutare se il processo di combustione può autosostenersi o se è necessario l’apporto di combustibile secondario.

Importante è condurre la combustione in modo da minimizzare la formazione di inquinanti, ed in ogni caso mettere in atto tutte le operazioni e le apparecchiature adatte alla depurazione dei fumi di combustione da ceneri e inquinanti in genere.

L’incenerimento può essere condotto in forni a piani multipli, in cui il fango è fatto passare attraverso una serie di piani sovrapposti in cascata: nelle zone superiori avviene l’evaporazione dell’umidità ancora contenuta nel fango, ed il raffreddamento dei gas di scarico; nelle zone intermedie avviene la combustione dei gas e dei solidi volatili, mentre il carbonio fisso brucia nelle zone inferiori.

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L’incenerimento è una tecnologia piuttosto costosa per il trattamento dei fanghi e genera problematiche connesse allo smaltimento del residuo solido della combustione, che risulta pari a circa il 30% della massa in ingresso [2].

Affinché il processo risulti autotermico è richiesto un contenuto in solido secco almeno del 33%.

I vantaggi legati all’incenerimento risultano essere:

- la riduzione significativa del volume dei fanghi;

- la valorizzazione energetica dei fanghi;

- il riciclaggio dei sottoprodotti, quali le ceneri ed i materiali inerti, che possono

essere usati come filler per bitumi o nella fabbricazione di materiale da costruzione;

- la ridotta sensibilità rispetto alla diversa composizione dei fanghi;

- l’affidabilità del sistema;

- la minimizzazione degli odori, grazie all’utilizzo di sistemi chiusi ad elevata

temperatura. Gli aspetti negativi sono:

- il costo elevato del processo, che lo rende economico solo per impianti di grandi

dimensioni;

- la legislazione molto severa sulle emissioni in aria, che rendono dunque

necessari trattamenti spinti di cleaning dei gas prodotti;

- l’avversione dell’opinione pubblica.

1.3.5 Pirolisi

La pirolisi è un processo di decomposizione termica in atmosfera inerte (assenza di O2).

Essa può anche risultare il primo stadio dei processi di combustione e gassificazione. Tale tecnologia genera prodotti liquidi, solidi e gassosi.

Il prodotto liquido, che costituisce circa il 75% in peso del totale, è composto da una sostanza oleosa, denominata bio-olio, di composizione chimica, peso specifico e calore di combustione simile ad un combustibile diesel.

Le percentuali in peso dei prodotti solidi e gassosi sono rispettivamente il 12% ed il 13% circa. Il solido è costituito essenzialmente da carbone, mentre il gas è generalmente formato da una miscela di H2, CO, CO2, N2, CH4 ed altri idrocarburi a basso peso

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condizioni operative. Raffreddando la corrente gassosa si ottiene la condensazione di un residuo oleoso, denominato tar.

In generale le condizioni operative per la pirolisi prevedono una temperatura di 400-800°C e pressione atmosferica.

Le proporzioni di ciascun prodotto dipendono fortemente dal metodo di pirolisi e dai parametri di reazione. Sia il carbone che i gas prodotti vengono bruciati per provvedere alla richiesta di calore nei processi di essiccamento e pirolisi delle biomasse, rendendo quindi necessario l’apporto di combustibile ausiliario solo allo start-up [3].

Per limitare la presenza di metalli pesanti (Cr, Ni, Cu, Zn, Cd, Hg, Pb) alle sole ceneri è necessario un adeguato controllo della temperatura.

La formazione dei gas avviene in 3 fasi successive:

a) raggiunta una temperatura di circa 250°C si ha produzione di CH4, CO2 ed acido

acetico;

b) alla temperatura di circa 350°C si formano idrocarburi ed alcoli;

c) a temperature superiori a 550°C si producono principalmente H2, CH4, CO2,

idrocarburi ed alcoli.

Esistono tre tipologie di processi, che possono essere definiti nel modo seguente:

 Pirolisi a bassa temperatura: si realizza a temperature inferiori a 325°C e non si ha produzione di bio-olio.

 Pirolisi a media temperatura (pirolisi “rapida”): si realizza tra i 425 ed i 540°C, con produzione di bio-olio.

 Pirolisi ad alta temperatura: si realizza nell’intervallo di temperatura 650-980°C, con produzione di cenere.

Tra queste, la pirolisi rapida è quella che viene realizzata più frequentemente; le principali caratteristiche di questo tipo di processo sono:

- alimentazione disidratata con un contenuto di umidità inferiore al 10%, allo

scopo di minimizzare l’acqua nell’olio prodotto;

- elevato riscaldamento ed alta velocità di trasferimento di calore all’interfaccia di

reazione;

- sistema non pressurizzato;

- controllo accurato della temperatura delle reazioni di pirolisi;

- tempo di residenza del vapore inferiore a 2 secondi;

- rapido raffreddamento e condensazione del vapore di pirolisi per produrre

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- raccolta e separazione del carbone (prodotto solido);

- raccolta dei prodotti gassosi.

L’efficienza dipende dal contenuto di umidità dei fanghi alimentati, cosicché spesso si ricorre a co-pirolisi di fanghi con altri materiali di scarto.

In sintesi gli aspetti positivi del processo di pirolisi sono i seguenti:

- il carbone ed il gas prodotti possono essere impiegati per fornire energia termica

al reattore e per produrre il calore necessario all’essiccamento dei fanghi;

- il bio-olio può essere usato nei motori diesel tal quale;

- gli agenti patogeni, i virus ed i composti clorurati organici vengono

completamente distrutti; le emissioni di odori sgradevoli vengono tenute sotto controllo;

- le emissioni degli NOx possono essere controllate;

- i metalli pesanti sono limitati nelle ceneri, che possono essere sfruttate come

riempimenti di terreni o come materiali da costruzione.

Le problematiche di seguito elencate limitano tuttavia lo sviluppo di tale tecnologia:

- complessità del sistema;

- carenza di informazioni sui costi di esercizio; - formazione di prodotti di scarsa qualità;

necessità di sviluppare un mercato per il bio-olio, che possiede un costo superiore a quello dei combustibili fossili.

1.3.6 Gassificazione

La gassificazione è un processo termochimico realizzato ad elevata temperatura (intorno a 800°C), in presenza di ossigeno, che converte materiale organico solido in forma gassosa.

La composizione del gas prodotto, che prende il nome di syngas, dipende dalle caratteristiche dei fanghi alimentati e dal tipo di gassificazione impiegata.

Il processo è endotermico ed il calore viene in genere fornito dalla combustione dei gas prodotti con aria, ossigeno oppure aria arricchita di O2; in alternativa il calore per la

gassificazione può anche essere fornito da una sorgente esterna.

Prima di essere gassificati i fanghi devono essere disidratati, attraverso un processo di rimozione dell’acqua di tipo meccanico, e poi essiccati, dal momento che il loro contenuto massimo di umidità non deve essere superiore al 25-30 %.

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La gassificazione prevede pertanto l’ossidazione del carbonio ed il cracking termico di cenere e gas a temperature comprese tra 800 e 1000°C, mediante l’impiego di un agente ossidante.

I parametri che possono essere utilizzati per comparare l’efficienza dei processi di gassificazione sono:

- la quantità di gas prodotto rispetto alla massa di fanghi secchi, in m3/kg;

- il potere calorifico del syngas (MJ/m3).

Utilizzando aria come agente ossidante si ottiene un gas con potere calorifico di circa 5 MJ/m3, costituito per il 50-60% in volume da N2, mentre con l’impiego di O2 o aria

arricchita il potere calorifico del gas viene praticamente raddoppiato (circa 10 MJ/m3). Il fatto che il prodotto principale del processo sia un gas combustibile che può essere usato localmente, rende la gassificazione una tecnologia più interessante della pirolisi, dal momento che un gas pulito è più facilmente utilizzabile rispetto ad una combinazione di gas ed olio.

La quantità di energia prodotta nell’intero processo risulta in eccesso ed è necessario ricorrere ad un combustibile ausiliario solo allo start-up.

I gassificatori a letto fisso risultano di semplice costruzione e sono dotati di notevole affidabilità impiantistica; presentano il vantaggio di una un’elevata efficienza termica, ma lo svantaggio di un difficile controllo del processo.

I gassificatori a letto fluido offrono un miglior trasporto di massa e una maggiore flessibilità in termini di composizione e di velocità di alimentazione rispetto a quelli a letto fisso, tuttavia sono soggetti al problema della sinterizzazione delle biomasse solide.

Sebbene sia stato dimostrato come i fanghi essiccati possano essere trattati in gassificatori a letto fluido, attualmente le applicazioni commerciali sono ancora in via di sviluppo. E’ comunque possibile affermare che la gassificazione tramite questo tipo di apparecchiature è una tecnologia molto promettente per lo smaltimento dei fanghi. In conclusione, riguardo al processo di gassificazione di fanghi da depurazione, possono essere effettuate le seguenti considerazioni:

- si ottiene una riduzione significativa del volume del materiale originario, con produzione di un residuo che può essere smaltito e riciclato;

- i fanghi richiedono un essiccamento prima del trattamento per ridurne l’umidità, ma non è necessaria una preliminare digestione;

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- il processo consente la completa distruzione delle porzioni organiche e patogene dell’alimentazione;

- è possibile ottenere un combustibile gassoso di valore (syngas), che può essere usato per la generazione di potenza o per la produzione di chemicals;

- rispetto all’incenerimento, vengono prodotti gas più puliti, con minori residui bituminosi e con un tenore inferiore di NOx e CO2;

- gli odori sgradevoli vengono minimizzati;

- gli impianti necessitano di aree ridotte per l’installazione;

sono ancora scarsi dati relativi ad applicazioni e costi per impianti di grande dimensione.

1.4

Smaltimento dei fanghi da depurazione civile: situazione

attuale

La gestione dei fanghi di depurazione provenienti da impianti di trattamento di acque reflue civili, nei diversi Paesi europei, è disciplinata da regolamentazioni nazionali e da linee guida fornite dalla Comunità Europea.

In genere, il recupero energetico viene effettuato in impianti nei quali si realizza la co-combustione di fanghi con altro materiale di scarto, anche se sul territorio europeo

sono presenti impianti dedicati al trattamento termico dei soli fanghi di depurazione. In Spagna la gestione dei fanghi è regolamentata dal Piano Nazionale per i Fanghi (NPSA) del 2001. Il riutilizzo nel terreno è il metodo di smaltimento maggiormente impiegato, anche se sta assumendo sempre più importanza l’incenerimento. Il recupero di energia è infatti uno dei principali scopi del NPSA e la preventiva digestione anaerobica dei fanghi consente il loro utilizzo in impianti di incenerimento medio-grandi. I pretrattamenti per incrementare la produzione dei biogas e il destino dei microinquinanti sono ancora argomenti di studio, come anche il processo di gassificazione, opzioni non ancora portate su scala industriale [6].

In Svizzera la co-combustione in termovalorizzatori per RSU copre circa il 21% della quantità totale dei fanghi sottoposti a trattamento termico; la monocombustione in impianti adibiti al solo trattamento dei fanghi rappresenta il 55%; il restante 24% trova impiego nei cementifici.

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In Germania la co-combustione dei fanghi in termovalorizzatori RSU si posiziona invece col 3,5% sul totale del recupero energetico. Questo è dovuto soprattutto alla diversa struttura di produzione di energia elettrica che dispone di un notevole parco di centrali termoelettriche a carbone e lignite, impiegati con i fanghi nella co-combustione. Dette centrali assorbono, con un elevato grado di rendimento energetico, una notevole quota (48,6%) del quantitativo di fanghi, destinati ai trattamenti termici, seguite dai monocombustori (38,4%) e dai cementifici (5,9%). In Svizzera, questo tipo di centrali è quasi inesistente data l’elevata quota di generazione idroelettrica di energia (70%), mentre il restante 30% è coperto dal nucleare. Di conseguenza, la co-combustione di fanghi in termovalorizzatori per RSU in Svizzera e Germania rappresenta in ogni caso, anche se con una quota diversa sul totale, la soluzione ottimale sotto vari aspetti [6]. In Austria, a fronte di una produzione totale di 260.000 t/a di fanghi, ne viene incenerito il 68%, di cui il 43% in sei impianti, che trattano esclusivamente fanghi di depurazione. Il più grande operatore austriaco è la Fernwärme Wien con tre impianti di termovalorizzazione tra cui tre linee di fanghi da depurazione, con una capacità annuale di 84.000 t/a di fanghi. La termovalorizzazione risolve il problema dei fanghi attraverso uno smaltimento rapido, efficiente, sicuro e sistematico, contribuendo sostanzialmente: alla produzione di energia e al teleriscaldamento senza l’impiego di combustibili fossili; al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2; alla riduzione del

volume dei fanghi fino all’1% del volume originale; all’eliminazione di sostanze organiche pericolose; alla concentrazione dei nutrienti contenuti nei fanghi. Le ceneri vengono raccolte da un sistema di filtri che assicura emissioni inferiori ai valori limite, previsti dalle ordinanze per l’inquinamento atmosferico. Le ceneri dei rifiuti biologici, soprattutto quelle derivanti dai fanghi di depurazione, contengono, oltre al silicio, al calcio e ai metalli pesanti, anche il fosforo fino a una percentuale del 20%. In un nuovo processo brevettato, ASH DEC, si miscelano le ceneri con una piccola quantità di additivi naturali a base di cloro, fino alla formazione di granuli morbidi nel miscelatore. Questi granuli sono alimentati a un reattore termico per essere trattati a una temperatura di 900-1100°C per circa 30 minuti. In queste condizioni, gli additivi reagiscono con le sostanze metalliche da eliminare e i composti chimici risultanti vaporizzano. In tal modo si riesce ad eliminare fino al 99% di mercurio, cadmio, piombo, zinco e rame, elementi che generalmente rendono nocive le ceneri della termovalorizzazione. All’uscita del reattore, il 90% della cenere si trova sotto forma di granuli ricchi di fosforo; il 10%, invece, viene trattenuto da un sistema di filtri sotto forma di

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concentrato di composti di metallo. Per produrre un fertilizzante adatto alle esigenze di mercato e a quelle dei suoli coltivati, ASH DEC ha arricchito i granuli prodotti nel processo piro-metallurgico con altri nutrienti come potassio, zolfo, e con un’aggiunta della carica di fosforo. Il fertilizzante PhosKraft PK con microelementi è di alta qualità e non contiene sostanze nocive. Infatti, la concentrazione di elementi tossici come il cadmio è decisamente inferiore a quella presente in gran parte dei fertilizzanti tradizionali ad alto contenuto di fosforo. L’ente austriaco di protezione degli alimenti (AGES) ha autorizzato l’uso senza restrizioni di PhosKraft nel maggio 2006 su terreni agricoli e boschivi. Il primo impianto industriale con una capacità di 14.000 t/a è stato avviato in Austria alla fine dell’anno 2007 [6].

In Figura 1.3 è riassunta la situazione europea nel 2008 dal punto di vista della ripartizione dei vari metodi di smaltimento dei fanghi: come si può notare la posa in discarica e lo spargimento su terreni agricoli rappresentano insieme quasi l’80% del totale.

Figura 1.3: Ripartizione dell’utilizzo dei fanghi: situazione in Europa (2008)

In Italia i fanghi sono considerati, in generale, un rifiuto da smaltire attraverso lo spandimento su terreni o la posa in discarica. In relazione ai cambiamenti delle condizioni al contorno, quali i quantitativi sempre maggiori prodotti in conseguenza del numero crescente di impianti di depurazione e le normative più restrittive, è necessario individuare modalità alternative di riutilizzo dei fanghi e l’impiego delle nuove tecnologie di depurazione che consentono di ridurne la produzione.

A livello comunitario l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, regolato dalla Direttiva 86/278/CEE, raggiunge il 40% del totale di fanghi prodotti, in Italia si è raggiunta una percentuale di riutilizzo del 32% nel 2003.

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Nella Tabella 1.3 si riportano i dati acquisiti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, trasmessi alla Commissione Europea, in adempimento degli obblighi derivanti dall’attuazione della Direttiva 86/278/CEE, sulla produzione di fanghi e il loro utilizzo in agricoltura relativi agli anni 2001, 2002, 2003.

Tabella 1.3: Dati acquisiti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, trasmessi alla Commissione Europea, in adempimento degli obblighi

derivanti dall’attuazione della Direttiva 86/278/CEE

Il riutilizzo agronomico dei fanghi diretto o previo compostaggio, è una valida soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi di depurazione e assume notevole interesse per l’efficacia agronomica ed economica, in quanto sostituisce, in tutto o in parte, la concimazione chimica o altri tipi di concimazione organica. Per evitare qualsiasi situazione di rischio per l’ambiente e la salute della popolazione deve essere

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correttamente praticato nel pieno rispetto della normativa, in particolare per quanto riguarda l’effettuazione dei controlli sui suoli e sui fanghi.

Il numero di impianti di compostaggio ha superato da alcuni anni le 200 unità. Per l’esattezza nell’anno 2003 sono stati censiti 258 impianti di produzione di Ammendante Compostato che rispetta i criteri individuati dalla legge n. 748/84. Se si osserva l’evoluzione dei dati relativi al “sistema compostaggio” (Figura 1.4), dal 1993 si assiste ad un costante incremento sia dei quantitativi di scarto organico trattato sia degli impianti dedicati. La distribuzione degli impianti sul territorio italiano non è ancora omogenea. Infatti si osserva (Figura 1.5) una maggiore concentrazione degli impianti nel Nord Italia dove vengono trattate ca. 1.5000.000 t/anno solo nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Cominciano a diventare tutt’altro che trascurabili i quantitativi di scarto organico trattati mediante compostaggio nel Sud Italia, anche se lo sviluppo delle raccolte differenziate è ancora un processo lento.

Figura 1.4: Evoluzione del compostaggio in Italia

In termini di co-combustione di fanghi di depurazione l’esperienza italiana è quella relativa all’impianto di termovalorizzazione di Piacenza, che già smaltiva rifiuti solidi urbani, legno, imballaggi non recuperabili. Tale impianto ha dovuto subire adeguamenti di tipo impiantistico allo scopo di risolvere le problematiche gestionali, legate all’in-troduzione dei fanghi in co-alimentazione [6].

(23)

Figura 1.5: Distribuzione degli impianti di compostaggio in Italia

Riguardo alla provincia autonoma di Trento, fino alla fine degli anni ’80, la destinazione dei fanghi residui derivanti dalla depurazione delle pubbliche fognature è stata la discarica controllata. Questa pratica era piuttosto dispendiosa e occupava volumi rilevanti nelle discariche destinate agli RSU. Dalla metà degli anni ’80 sono stati introdotti perciò nuovi sistemi di smaltimento, come il compostaggio prima e l’essiccamento termico più tardi, per ridurre la massa e consentire il riutilizzo in agricoltura dei fanghi.

La propensione degli ultimi venti anni al recupero dei fanghi da depurazione ai fini agronomici è stata però ultimamente messa in discussione, per cui gli scenari futuri prevedono il ricorso sempre più consistente a sistemi di essiccamento e/o termoriduzione dei residui, con inevitabile lievitazione dei costi di smaltimento, ora assai contenuti nelle pratiche di recupero e riutilizzo. Un’alternativa interessante ed economicamente sostenibile anche su media scala è rappresentata dai processi di ossidazione a umido della frazione volatile dei fanghi in acqua surriscaldata e pressurizzata. Tale soluzione è stata adottata dall’impianto centralizzato di trattamento dei fanghi da depurazione urbana, della potenzialità di 300 t/a in termini di sostanza secca totale, nell’aggiornamento del piano di smaltimento dei rifiuti della provincia di Trento [6].

In relazione alla portata della problematica, ormai a livello mondiale, è interessante vedere come essa è affrontata in uno dei Paesi maggiormente industrializzati, quale gli

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Stati Uniti. Qui ciascuna città ha il potere di decidere come gestire lo smaltimento delle proprie biomasse, entro linee guida dell’EPA (Environmental Protection Agency), dello Stato e delle Agenzie di regolamentazione locali. Tra i metodi più diffusi per il loro smaltimento vi sono varie applicazioni in agricoltura e l’utilizzo come riempimenti nei terreni.

Recentemente due agenzie federali, il Center for Disease Control and Protection e il National Institute of Occupational Safety and Health, hanno emesso avvertimenti riguardanti lo smaltimento tramite l’applicazione nei terreni, tendenti a limitare l’esposizione dei lavoratori alle biomasse ed a restringere il pubblico accesso ai luoghi ove queste sono state interrate.

Il metodo tradizionale impiegato per risolvere tale problema è quello dell’incenerimento delle biomasse con recupero di energia.

Negli Stati Uniti sono infatti attualmente operativi più di 170 impianti dedicati all’incenerimento di fanghi di depurazione; allo scopo vengono impiegate tre tipologie di inceneritori:

- Multiple Hearth (~ 80% del totale); - Fluidised Bed (~ 15% del totale); - Electric Infrared (~ 3% del totale).

Il rimanente 2% viene destinato ad impianti di co-combustione con ridottissime quantità di carbone e con altri materiali di scarto, per lo più rifiuti solidi urbani (MSW), scarti del legno e dell’agricoltura.

La co-combustione di fanghi-rifiuti solidi urbani viene realizzata in due modi diversi: 1. l’impiego di tecnologie per la combustione di MSW con l’addizione di fanghi

disidratati e/o essiccati;

2. l’impiego di tecnologie per la combustione di fanghi con l’aggiunta di MSW, come combustibile ausiliario.

Tutte le reazioni di ossidazione avvengono generalmente in un’unica camera di combustione in modo molto veloce. Le biomasse però contengono oltre a carbonio, idrogeno ed ossigeno, anche altri elementi chimici che, combinandosi con l’ossigeno e l’azoto dell’aria, danno luogo a reazioni secondarie responsabili della produzione di inquinanti.

Ad elevate temperature l’azoto può combinarsi con l’ossigeno per dare origine a ossidi di azoto (NOx); lo zolfo contenuto nelle biomasse reagisce con l’ossigeno generando

(25)

diossine e furani. Inoltre, alle elevate temperature del reattore, le eventuali tracce di metalli pesanti, come mercurio e piombo, possono essere vaporizzate. Le reazioni secondarie possono impedire la completa ossidazione degli idrocarburi dando luogo, nei gas di scarico, alla presenza di idrocarburi incombusti e monossido di carbonio (CO). Negli Stati Uniti le immissioni in atmosfera degli inquinanti e del particolato (PM) sono regolamentate e controllate dall’US EPA e da altri enti nazionali. Allo scopo gli impianti di incenerimento devono quindi essere necessariamente provvisti di dispositivi per il lavaggio ed il trattamento degli effluenti gassosi:

- per l’eliminazione dei gas acidi vengono impiegati scrubbers a secco o a umido;

- gran parte del particolato viene eliminato attraverso l’uso di cicloni, mentre le

particelle residue vengono catturate per mezzo di precipitatori elettrostatici;

- gli idrocarburi incombusti vengono abbattuti in post-combustori o convertitori

catalitici;

- la rimozione dei metalli pesanti, delle diossine e dei furani è realizzata tramite

l’impiego di carbone attivo;

- gli NOx vengono abbattuti attraverso lavaggio della corrente gassosa con una

soluzione ammoniacale.

Per limitare le emissioni di inquinanti nel rispetto delle leggi, che in Europa sono ancor più restrittive, i costi delle apparecchiature per i trattamenti del gas di scarico possono talvolta superare quelli relativi alla generazione di energia.

1.5

Normativa

Nell’attuale panorama dei sistemi di smaltimento dei fanghi da depurazione di acque reflue civili le normative vigenti in Italia che regolamentano tali procedimenti (discarica, compostaggio, riutilizzo in agricoltura) risultano sempre più restrittive.

Discarica

La D.I. 27 Luglio 1984 riportava che “i fanghi non tossici e nocivi, stabilizzati e palabili, derivanti dagli impianti di depurazione delle acque di scarico, provenienti esclusivamente da insediamenti civili, nonché i fanghi con caratteristiche analoghe ai precedenti” potevano essere smaltiti in discariche di prima categoria, unitamente ai rifiuti urbani, e assimilati senza alcuna limitazione in merito al contenuto di sostanza

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organica e/o di contaminanti, purché non fossero classificabili tossici e nocivi. Con la piena entrata in vigore del DM 3 agosto 2005, la presenza di sostanza organica nei fanghi di depurazione, ai fini del loro conferimento in discarica, diviene un problema. Il suddetto decreto impedisce lo smaltimento dei fanghi di depurazione a meno che gli impianti non si dotino di lotti distinti e separati dagli altri rifiuti, dotati di accorgimenti tecnologici idonei alla gestione dei rifiuti organici, oppure i Gestori non si attrezzino con impianti di essiccamento termico, allo scopo di ridurre il contenuto di umidità e quindi i volumi. I fanghi di depurazione non sono citati tra i rifiuti che possono essere ammessi in discarica senza alcun preventivo accertamento. Su tale flusso di rifiuti andranno effettuati gli accertamenti previsti dal decreto stesso:

• Caratterizzazione di base: consiste nella determinazione delle caratteristiche dei rifiuti, realizzata attraverso la raccolta di tutte le informazioni necessarie per uno smaltimento finale in condizioni di sicurezza. I requisiti richiesti sono: fonte di origine dei rifiuti; informazioni sul processo che ha prodotto i rifiuti; descrizione del trattamento dei rifiuti effettuato secondo il D.Lgs. 13 Gennaio 2003; dati sulla composizione dei rifiuti e sul comportamento del percolato, se presente; aspetto dei rifiuti; codice dell’elenco europeo dei rifiuti; per i rifiuti pericolosi, le proprietà che li rendono tali; informazioni che dimostrano che i rifiuti non rientrano tra le esclusioni di cui all’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36; categoria di discarica alla quale i rifiuti sono ammissibili; eventuali precauzioni supplementari; controllo diretto e verifica del possibile riciclaggio o recupero dei rifiuti.

• Verifica di conformità: serve per stabilire se i rifiuti giudicati ammissibili a una determinata categoria di discarica, mediante la caratterizzazione di base, possiedono le caratteristiche della relativa categoria e se soddisfano i criteri di ammissibilità previsti dal DM 3 agosto 2005; è effettuata dal Gestore sulla base dei dati forniti dal produttore in fase di caratterizzazione.

• Verifica in loco: consiste nell’ispezione di ogni carico di rifiuto, prima e dopo lo scarico, effettuata dal Gestore dell’impianto e nel controllo della documentazione attestante che il rifiuto è conforme ai criteri di ammissibilità del decreto per la specifica categoria di discarica.

(27)

Tra i parametri da controllare nella caratterizzazione di base e nella verifica di conformità, oltre agli inquinanti organici e inorganici, vi è il Carbonio Organico Totale (TOC) su rifiuto tal quale e il Carbonio Organico Disciolto (DOC) sull’eluato. Tali due parametri sono ritenuti dal legislatore “molto sensibili”, perciò vengono fissati valori limite per l’ammissibilità in discarica molto restrittivi riportati in Tabella 1.4.

Tabella 1.4: Valori limite per l’ammissibilità in discarica TOC

(valore limite sul rifiuto tal quale, con

riferimento alle sostanze organiche chimicamente attive) DOC (valore limite sull’eluato) Discariche per rifiuti non pericolosi Max 5% 80 mg/l Discariche per

rifiuti pericolosi Max 6% 100 mg/l

È evidente come i fanghi da depurazione di acque reflue urbane e assimilabili, non potranno rispettare tali valori limite: basti pensare, infatti, che essi vengono considerati positivamente per un utilizzo in agricoltura come ammendanti, proprio in considerazione dell’alto apporto in sostanza organica, sia come TOC che DOC. Pertanto sussiste un reale rischio che i fanghi di depurazione non potranno più essere smaltiti in discarica, né in quelle per rifiuti non pericolosi, né in quelle per rifiuti pericolosi.

Compostaggio

Il DM 5 Aprile 2006 n. 186 rappresenta la modifica del DM 5 febbraio 1998 e risulta essere relativo al recupero in procedura semplificata dei rifiuti non pericolosi. Con l’entrata in vigore di tale decreto:

- vengono ridotte per i diversi impianti le quantità massime di rifiuti non pericolosi sottoposte ad operazioni di messa a riserva;

- nell’allegato 4 vengono stabilite le quantità massime annuali di rifiuti non pericolosi impiegabili nelle operazioni di recupero; i quantitativi non possono mai superare la capacità autorizzata, cioè quella indicata nella Comunicazione di inizio attività, o la potenzialità dell’impianto, che deve essere rispettata anche quando sono trattate più tipologie di rifiuto.

(28)

Riutilizzo in agricoltura

Il D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 99, ha lo scopo di disciplinare l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo, incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione. Il decreto definisce: “Fanghi: i residui derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, da insediamenti civili e produttivi, esclusivamente da insediamenti produttivi. […] Utilizzazione: il recupero dei suddetti fanghi mediante il loro spandimento sul suolo o qualsiasi altra applicazione sul suolo e nel suolo”.

Secondo il decreto è ammesso l’utilizzo in agricoltura dei fanghi solo se ricorrono le seguenti condizioni:

1. sono stati sottoposti a trattamento;

2. sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno;

3. non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale.

L'utilizzazione dei fanghi è consentita qualora la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nella Tabella 1.5, ovvero qualora tali valori limite non vengano superati a motivo dell'impiego dei fanghi.

Possono essere utilizzati i fanghi che al momento del loro impiego in agricoltura, non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti sempre nella Tabella 1.5.

I fanghi possono essere applicati nei terreni in dosi non superiori a 15 t/ha di sostanza secca nel triennio, purchè i suoli presentino le seguenti caratteristiche:

- capacità di scambio cationico (c.s.c.) superiore a 15 meg/100 gr; - pH compreso tra 6,0 e 7,5.

In caso di utilizzazione di fanghi su terreni il cui pH sia inferiore a 6 e la cui c.s.c. sia inferiore a 15, per tenere conto dell'aumentata mobilità dei metalli pesanti e del loro maggiore assorbimento da parte delle colture si possono diminuire i quantitativi di fango utilizzato del 50%.Nel caso in cui il pH del terreno sia superiore a 7,5 si possono aumentare i quantitativi di fango utilizzato del 50%.

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Tabella 1.5: Valori massimi di concentrazione di metalli pesanti: nei suoli agricoli destinati all’utilizzazione dei fanghi e nei fanghi destinati all’utilizzazione in agricoltura

Valori massimi di concentrazione di metalli pesanti [mg/kgSS] Metalli pesanti Nei suoli agricoli destinati

all’utilizzazione dei fanghi

Nei fanghi destinati all’utilizzazione in agricoltura Cadmio 1.5 20 Mercurio 1 10 Nichel 75 300 Piombo 100 750 Rame 100 1000 Zinco 300 2500

I fanghi provenienti dall'industria agroalimentare possono essere impiegati in quantità massima fino a tre volte le quantità indicate nel comma 4. In tal caso i limiti di metalli pesanti non possono superare valori pari ad un quinto di quelli della Tabella 1.5.

I fanghi possono essere utilizzati quali componenti dei substrati artificiali di colture floricole su bancali, nel rispetto della suddetta norma, della tutela ambientale e della salute degli operatori del settore. In particolare:

a) i fanghi utilizzati devono essere disidratati e il loro contenuto di umidità non deve superare il limite di 80% espresso sul tal quale;

b) i fanghi devono avere una composizione analitica che rientri nei limiti della Tabella 1.7;

c) il substrato artificiale di coltura deve contenere un quantitativo di fango non superiore al 20% del totale.

Tabella 1.7: Caratteristiche agronomiche e microbiologiche nei fanghi destinati all’utilizzo in agricoltura Carbonio organico % SS (min.) 20 Fosforo tot. (P) %SS (min.) 0,4 Azoto tot. % SS (min.) 1,5 Salmonelle MPN/gSS (max.) 10³

(30)

Figura

Tabella 1.1: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane  Potenzialità  impianto in AE  (abitanti equivalenti)  2.000-10.000  &gt;10.000  Parametri  (media  giornaliera)  Concentrazione  %  di riduzione  Concentrazione  %  di riduzione  BOD
Tabella 1.2: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane posti in aree sensibili
Figura 1.1: Schema a blocchi di una linea di trattamento di effluenti (con alcune parziali scelte di processo)
Figura 1.2: Schema a blocchi della linea di trattamento dei fanghi
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