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GIOVANNI SERRI PILI. «Svelato il mistero della calvizie» «Smentite tutte le teorie sulla calvizie»

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GIOVANNI SERRI PILI

«Svelato il mistero della calvizie»

«Smentite tutte le teorie sulla calvizie»

«Dimostrato che non esiste alcuna malattia dei capelli, del cuoio capelluto e dei bulbi piliferi»

«Individuato l'elemento fondamentale, presente nel nostro sangue, che alimenta i bulbi piliferi, stimola la crescita

e lo sviluppo delle chiome»

MAI PIU' CALVI

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IL METODO NATURALE

PER LA SPONTANEA RICRESCITA DEI CAPELLI

Edizione Digitale

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Tutti i diritti riservati

© COPYRIGHT 1992 by Giovanni Serri Editore Piazza Olanda 5 – Tel. 070/491273

09129 Cagliari

L'Autore può essere consultato gratuitamente a questo indirizzo

Stampato in carta riciclata per motivi ecologici (esclusa la copertina)

Copertina dello stesso Autore

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INTRODUZIONE ALLA VERSIONE DIGITALE

«Entro 5 anni perderai tutti i capelli!»

È così che a Natale 2012 mio padre commentava lo stato di salute della mia capi- gliatura. Essendo anche lui stempiato e con i capelli radi nella zona alta della testa mi disse: «rassegnati, sarà una questione genetica».

È con questo stato d'animo, sconfortato e depresso, che ho iniziato a leggere “Mai più calvi”. L'ho trovato in internet mentre girovagavo tra i forum specializzati sulla cura della calvizie, mi ci sono imbattuto per caso mentre cercavo in realtà un farmaco potente ed efficace per la ricrescita, avendo avuto da poco una grossa delusione con un farmaco prescritto dal mio dermatologo.

Scettico come non mai, ho letto il libro tutto d'un fiato, senza credere neanche ad una parola trascritta.

Mi chiedevo: se la tecnica descritta da Serri Pili fosse stata effettivamente effica- ce, a venti anni di distanza (cioè oggi) non dovrebbe essere conosciuta e applicata da tutti? I centri universitari non dovrebbero avviare sperimentazioni e ricerche? Gli in- segnanti di educazione fisica non dovrebbero consigliare ai propri studenti di stare con la schiena dritta che altrimenti cadono i capelli? Il ministero della salute non do- vrebbe riconoscere tale metodo e bandire invece i farmaci anti-calvizie pericolosi per la salute, in special modo gli inibitori del testosterone?

Data la facilità degli esercizi ho deciso, in gran segreto, di seguire l'allenamento, correggere la postura e adottare tutti i vari consigli descritti, fissando una scadenza temporale per verificarne l'efficacia: se entro un mese non avessi notato nessun bene- ficio avrei abbandonato la tecnica.

È con grande sorpresa che ho scoperto, in questo modo, l'efficacia del metodo: il grasso sui capelli e la forfora sono spariti a partire dal giorno dopo l'inizio della “spe- rimentazione” e anche il numero dei capelli caduti durante la doccia si è ridotto note- volmente (diciamo da un centinaio a una decina).

Durante il primo mese sono nati centinaia di nuovi capellini, piccoli e biondi, e nei mesi successivi sono stati rimpiazzati da capellini sottili e di colore nero e via via sono diventati grossi e scuri (fuori il gabbo!). Anche i capelli già esistenti sono cam- biati: il loro diametro è aumentato nel corso del tempo.

A Pasqua 2013 tutti i miei parenti si sono accorti che avevo decisamente più ca- pelli rispetto alla festività precedente e hanno iniziato a chiedermi quale prodotto avessi usato, che cosa avessi fato per farli ricrescere; tutti tranne mio padre che stava zitto zitto in un angolo. Anche se devo dire per dovere di cronaca che i capelli non sono ricresciuti sulle stempiature frontali, ma solo nelle zone già pelose.

In seguito ho deciso di consigliare e diffondere questa tecnica, chiamata oggi

“ginnastica facciale”, presso i miei amici e parenti; prima alla mia cavia personale,

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Ciccio, e in seguito al mio collega Giosuè che ha tristemente perso i capelli a causa dell’intenso studio dell’ingegneria. Ed infine ho deciso di digitalizzare il libro ren- dendolo così disponibile al grande pubblico.

Buona lettura,

L’EMANUENSE DIGITALE

W L

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PRESENTAZIONE

L'Editore consiglia la lettura completa del testo, senza tralasciare alcun capitolo.

Garantisce il blocco immediato della caduta e che i capelli ricrescono

spontaneamente, senza lozioni, senza medicine, senza trapianti, senza diete, senza protesi e senza interventi esterni, ma con l'applicazione del presente metodo. Il metodo vale per qualsiasi persona, giovane o anziano, uomo o donna, e anche per coloro che desiderano possedere e conservare sana e fitta la propria capigliatura.

Dalla constatazione che nessuno è calvo nel parietale e che la calvizie si forma solo ed esclusivamente nella sommità della testa, l'autore ha scoperto la struttura anatomica del nostro organismo che presiede alla vita dei capelli; e ha individuato le cause che ne determinano la caduta.

L'autore racconta le vicissitudini del calvo. Dimostra come il congegno anatomico si è inceppato nei calvi. Indica il modo per riattivarlo.

Spiega come si blocca subito la caduta.

Infine, prescrivere le regole comportamentali per rimettere in funzione l'apparato che alimenta i bulbi piliferi, stimola la ricrescita e attua lo sviluppo e il

reinfoltimento. Il tutto in modo autonomo, semplice e naturale,

L'EDITORE

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INTRODUZIONE

In genere tutte le scoperte sono il risultato della ricerca e rappresentano il frutto della costanza e della perseveranza che sono state poste nello studio per conoscere e capire i fenomeni della natura.

Prima di raggiungere lo scopo, il ricercatore si impegna nell'indagine, sperimentando ogni possibile ipotesi.

Una volta conosciute, spesso, le invenzioni, appaiono semplici e elementari.

Il presente metodo rientra in questa particolarità.

Pertanto, poiché per me l'argomento è divenuto quasi una banalità, nell'esporre questa positiva esperienza mi sono sforzato di adottare uno stile atto a facilitare e comprendere, con immediatezza, il meccanismo anatomico, su cui si basa la

guarigione dalla calvizie.

A questo fine e per rendere piacevole la lettura, ho riportato alcuni episodi che mi sono sembrati significativi e consoni all'argomento. Ho voluto trattare il tema alle stregue di una qualsiasi vicenda umana, cercando, per quanto possibile, di non

annoiare il lettore e di non rendere ostico il contenuto.

Non sempre è facile esprimere compiutamente il proprio pensiero. Assai più difficile diventa renderlo comprensibile, scrivendo.

Le difficoltà aumentano se si tratta di spiegare argomenti nuovi e particolari.

Figuriamoci poi quando chi li deve esporre non ha, come il sottoscritto, molta perizia nel maneggiare la penna.

Al lettore, pertanto, chiedo venia per la lacunosità espressiva e, nel contempo, lo prego affinché mi conceda benevolenza, almeno per aver reso possibile la

reversibilità di un male che, pur non essendo esiziale, ha, tuttavia, procurato parecchi fastidi a tante persone.

L'AUTORE

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A mio Padre

Per avermi educato alla libertà Per avermene concessa tanta Liberandomi dai tabù e dalle certezze

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IL PRIVILEGIO

DELLA CAPIGLIATURA

Fin da ragazzo, anzi da bambino trascorrevo lunghe ore davanti allo specchio per pettinarmi.

Facevo e disfacevo la riga fino a quando non mi veniva diritta.

Correggevo e rettificavo i riccioli per renderli fitti e fissi. Eliminavo le imperfezioni e le sbavature: nessun capello doveva svolazzare all'infuori della sagoma della ciocca.

Questo impegno era particolarmente lungo prima di andare a scuola.

Volevo apparire ordinato agli occhi della maestra.

Non solo, ma le ragazzine - eravamo in classe mista – ammiravano e spesso accarezzavano la mia capigliatura.

Con qualche punta di invidia, la lisciavano furtivamente con le mani, seguendo l'ondulazione che si allungava ai lati del capo e dietro la nuca.

Il pettinarmi era diventato un impegno costante, faticoso.

Non avendo a casa uno specchio applicato in un punto consono alla mia limitata statura, mi dovevo ingegnare per arrivare a quello fissato sul comò. Per raggiungerlo, ero costretto a salire su due sedie, sovrapponendo la piccola a quella più grande.

Alcune volte, nel contorcermi per accertare che la riga sulla nuca fosse perfetta, ho fatto qualche capitombolo, cadendo di peso sul tavolato del pavimento e suscitando lo spavento di mia madre che mi attendeva al pian terreno, per consumare la prima colazione.

Non di raro venivo sgridato per la lentezza con cui mi preparavo a uscire.

Lei, ogni tanto, mi sollecitava a sbrigarmi, ammonendomi sulla possibilità di trovare chiuso il portone di ingresso e di perdermi la lezione. Non tollerava di dover subire i rimproveri

dell'insegnante per il ritardo con cui periodicamente mi presentavo in classe.

Ma, in particolar modo, si preoccupava del rischio che potessi subire una spiacevole bocciatura.

Mi giustificavo dando la colpa ai capelli che erano aggrovigliati e che mi veniva difficile e faticoso metterli in ordine.

Spesso, mi ritrovavo con il solito ciuffo ribelle che non riuscivo ad assestare nonostante ripassassi la spazzola continuamente. Per dominarlo, qualche volta, ci rimettevo il pettine, stroncandolo a metà, a forza di tirare per sciogliere i nodi.

Quando ero fortunato, rompevo parzialmente la dentatura. Imprecavo contro quell'indomabile ricciolo, a spirale, per il tempo che mi faceva perdere. Mi chiedevo quale fosse la causa di

ritrovarmi, appena alzato, con quei capelli così irti, e perché soltanto una piccola ciocca, e non tutta la capigliatura, fosse così ribelle.

La scoprirò successivamente.

La diligenza profusa nell'assestarmi le chiome non era dovuta solo all'istinto narcisistico che mi dominava.

C'erano altri validi motivi: l'interesse delle compagne e, soprattutto, quello della maestra.

L'insegnante, quasi ogni giorno, mi prendeva in grembo, mi lisciava i boccoli e mi stringeva forte, avvinghiandomi alla vita. Così facendo, suscitava la gelosia del resto della scolaresca e, in particolar modo, della mia compagna di banco, posto nella prima fila.

È ovvio che, dal punto di vista pedagogico, l'affetto, così plateale, a favore di un solo alunno non è da considerarsi esemplare ed educativo.

Io, però, godevo della simpatia della graziosa donna: privilegio di cui non avevo alcun merito:

il merito, semmai, era di madre natura, non mio. Dal caldo grembo dominavo l'intera scolaresca e leggevo nel volto dei compagni una giustificata invidia o, forse, anche un po' di gelosia.

Ma lei, imperterrita, non smetteva le carezze.

Docile e orgoglioso sottostavo al suo dominio anche se mi dava fastidio il pulviscolo del gesso

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che proveniva dalle sue mani e l'acre odore dell'acqua, non cambiata, che mi giungeva dal vaso di fiori che mi stava davanti, sulla cattedra.

Era una maestra invasata dalla poesia. Ne assegnava molte da imparare a memoria; le faceva ripetere in coro o singolarmente. Pretendendo la declamazione. Era piccata di considerarsi poetessa.

Un giorno, tenendomi accanto nella pedana, mi dedicò questa nenia:

Al mio seno stretto con affetto sereno io ti tengo.

A me vicino . . . o mio piccino.

io ti stringo.

Come onde le soffici chiome con vezzo accarezzo.

Sono belli san lucenti son splendenti i tuoi capelli.

La filastrocca era lunga, mi sovviene soltanto questa cantilena.

La delizia del privilegio ebbe fine ad opera di mio padre che mi sottopose alle implacabili forbici del barbiere.

A nulla valsero le proteste e le lacrime per scongiurare il taglio e la conseguente perdita della mia prerogativa.

Tuttavia, mio padre fu tenace e mi convinse soltanto col suscitare in me l'amor proprio, spiegandomi che, con quei capelli così lunghi e attorcigliati, sembravo una femminuccia,

soggiungendo che non era igienico e che non era da escludere che vi si potessero annidare odiosi parassiti. Non aveva torto. Si era nel periodo post-bellico.

Il taglio, per fortuna, fu consumato alla conclusione dell'anno scolastico.

Epperò, l'effetto della benevolenza dell'insegnante ha lasciato il segno e ha disegnato una immaginaria linea lungo la quale si è mosso un aspetto non trascurabile della mia vita e una incontrollabile passione tesa, prima, a preservare la prerogativa della capigliatura e,

successivamente, a porre ogni impegno per trovare il rimedio e debellare la calvizie. Ora, a scopo raggiunto, mi verrebbe voglia di esclamare con enfasi, sia lode alla maestra! Poiché, senza le sue smisurate attenzioni non sarebbe scattata la molla che mi ha condotto alla soluzione dello spinoso problema: bloccare la caduta dei capelli, guarire dalla calvizie in modo naturale.

Meravigliosa, stupenda, incredibile soluzione che posso rivelare e trasmettere a tutti i calvi.

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L'ANGOSCIA

DEI PRIMI SINTOMI

Superata l'adolescenza, incominciai ad avvertire una irritante noiosa prurigine al sommo della testa, dove i chierici si radono la chierica.

Il fastidio lo attenuavo grattandomi leggermente oppure strofinandomi con i polpastrelli attorno al tricofito.

Fregandomi, cadevano molti peli e tanta forfora.

Tutta quella roba ricopriva a tappeto il piano della scrivania: un sudiciume intollerabile!

Anche se stavo assorto nei testi scolastici, mi veniva spontanea la voglia di fregare contropelo la chierica che si stava formando; ma la sorpresa di trovare peli e peletti in mezzo alle pagine mi dava un enorme fastidio, più del prurito.

L'anomala disfunzione non cessava neanche dopo essermi lavato con dei saponi speciali e ritenuti adatti a eliminare l'inconveniente.

Sperimentai ogni genere di shampoo. Li provai tutti, sostituendoli e adottandone di ogni tipo:

da quelli alle erbe a quelli a base di frutti.

Ma la forfora aumentava e il prurito non cessava.

Negli anni successivi all'evidenziarsi dell'anomalia e quando ormai la cancrena si era consolidata, sono riuscito a stabilire e determinare che il prudere derivava dal fatto che la cute si stava attaccando all'osso cranico. Nel frattempo, però, me ne ero fatto un cruccio, per non dire un dramma. L'ossessione che avrei potuto perdere, del tutto, i capelli e diventare permanentemente e irrimediabilmente calvo, non mi lasciava in pace. Mi immaginavo già brutto e sgradevole, un diverso, con la capoccia liscia, a forma di zucca, solcata da cicatrici e cocuzzoli.

Era diventata improcrastinabile l'esigenza di aggiungere ai normali saponi altre lozioni coadiuvanti: occorreva provare ogni possibile soluzione.

A questo punto, ero deciso a tutto, anche a rischiare.

Trovandomi in collegio, non potevo disporre del necessario ed era tassativamente proibito usare profumi, creme e, tanto meno, brillantine; era obbligatorio, questo sì, acqua e sapone.

Con la complicità di un compagno organizzai una incursione in una tabaccheria, lontano dall'Istituto.

Ci procurammo i soldi chiedendoli in prestito, e, all'ora della pennichella, quando il direttore riposava, uscimmo furtivamente.

L'amico, assai timido e disciplinato, non fu difficile convincerlo: anche lui era afflitto dallo stesso dilemma.

In assenza del direttore, il responsabile del salone, dove gli studenti, una trentina, accudivano ai compiti, ero io.

Dunque sedevo in cattedra! Comandavo!

Oltre a mantenere l'ordine dovevo annotare e riferire i nomi dei chiassosi; di coloro che si appisolavano sul banco perché vinti dal torpore del dopopranzo; di quelli che non stavano composti e immobili al proprio posto a studiare e di quelli che si assentavano.

I loro nomi li scrivevo su ampia lavagna posta a fianco della cattedra, ma li cancellavo velocemente appena sentivo i passi di rientro del direttore della biblioteca.

Alla proposta di evadere, il mio compagno, del quale ero molto amico, aderì con la certezza che, se l'avventura la proponeva il capo, non avrebbe subito conseguenze.

Uscimmo in punta di piedi, con passo felpato, come due gatti. Sfilammo

le biciclette e baldanzosi, ma anche affifati, tesi e frettolosi, come se fossimo inseguiti per essere menati, pedalammo a rotta di collo.

Acquistammo lozioni d'ogni genere.

La convinzione di averla fatta franca svanì alla vista del nostro bidello che entrò nella bottega,

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cogliendoci in fallo. Escogitammo, con successo, un tentativo di corruzione. Per non riferire, gli offrimmo in dono il nuovo unguento contro la calvizie: pure lui ne aveva bisogno.

Dell'evasione quindi non si ebbero conseguenze.

Per giorni mi impiastrai di lozioni idroalcoliche. Però i capelli, anziché rinforzarsi, me li ritrovavo nelle mani unte e oleose.

Non mollai e non mi arresi neanche di fronte all'evidenza. Anzi cercavo di consolarmi, pensando che cadessero soltanto quelli già compromessi e intaccati dal male, e che gli unguenti avrebbero dato l'effetto con più applicazioni.

E nonostante mi ricadessero a rigagnoli lungo il collo, continuai, imperterrito, a impregnarmi abbondantemente di questi liquidi antidisseccamento e riabilitanti le difese naturali.

Purtroppo non era il rimedio.

Il prurito e l'abbondante desquamazione aumentavano e la speranza di conservare le chiome svaniva col passare dei mesi e degli anni.

Allo stesso tempo aumentava anche il disagio.

I collegiali mi deridevano per la chierica incipiente. Non solo, ma, per paura di essere contagiati, si astenevano dall'usare il mio pettine.

Ero considerato un appestato, e, perciò, scansato e schivato per timore del contatto con

1'affezione tignosa che stava invadendo e installandosi sul mio cuoio capelluto: allora la calvizie era ritenuta contagiosa.

Del periodo delle vacanze non ne parliamo. Alle feste, le ragazze mi rifiutavano il ballo e mi voltavano le spalle. E il rifiuto non potevo non addebitarlo alla mia condizione di semi pelato e all'aspetto sconcio.

Che vergogna! Sopportai la terribile esperienza dell'esclusione.

Sconsolato, ma non dato per vinto, cercai altri mezzi per combattere la malattia.

E intanto, vivevo momenti tristi, durante i quali il verso del Leopardi:

« ... Oh giorni orrendi in così verde età ... », mi girava per la mente come un disco: mi pareva di avere la febbre.

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IL DELETERIO EMPIRISMO DEL BARBIERE

Il primo esperto in materia di capelli è generalmente ritenuto il proprio barbiere.

In questo artigiano si ripongono, con fiducia, le residue speranze. Lui è il primo che avverte del male il cliente. Non certo per altruismo.

L'esigenza di fornire alcune prestazioni oltre al taglio, lo invoglia a suggerire qualche rimedio, ovviamente, a pagamento.

Si erge subito a eccellente conoscitore e grande competente del problema.

Eppure neanche questa categoria è priva del male. Anzi, rientra nella normale percentuale dei sofferenti la calvizie.

Anch'io ho subito l'assillo del mio parrucchiere.

Il confidenziale rimprovero che non mi curavo a sufficienza era costante, ogni volta che mi mettevo sotto le sue forbici.

Acconsentivo al lavaggio e alle applicazioni delle sue miracolose lozioni, col conto finale sempre più consistente. Però la perdita e la desolazione non cessavano.

Costui, spesso, dopo avermeli ben lavati e asciugati, furbescamente, me ne riportava una ciocca a ricoprire la parte vuota; poi, servendosi del secondo specchio, mi faceva vedere 1'immediato beneficio, da lui ottenuto, che, però, svaniva appena uscivo dalla bottega, al primo soffiar di vento.

Quando gli feci notare l'inutilità dei suoi rimedi, mi vendette una speciale spazzola dalle setole dure. Dure come quelle che si usano per pulire la criniera e la coda dei cavalli. E mi consigliò anche di spazzolare pigiando forte e pesante, allo scopo di portar via i peli malati, perché così facendo, si sarebbero ripresi quelli sani.

Tutte le volte che me li spazzolava me ne mostrava tantissimi impigliati fra le setole. A suo dire erano quelli tarati. Però non riuscivo a capire in qual modo li distinguesse da quelli ancora integri.

La tortura ebbe fine al momento in cui gli chiesi se anche lui avesse adottato per sé, lo stesso metodo.

Restò secco e muto.

Attorno alla sua testa grossa e grassa gli era rimasto un superstite e sottile cerchio di peluria che copriva la parte bassa del parietale, appena qualche centimetro al disopra del padiglione auricolare.

Con un saio addosso, nessuno avrebbe dubitato che non fosse un monaco francescano. Sul suo cranio depilato e paonazzo si riflettevano le luci del salone: un volto michelangiolesco.

Con quale improntitudine osasse dare consigli, non l'ho mai capito.

La sua capoccia liscia, a forma di cocomero, gli dava poco credito.

Quando glielo chiesi, non ebbi risposta palese. La intuii dall'improvviso arrossamento del suo volto.

Anche se appariva impacciato e confuso dal disagio della repentina domanda, egli, mentendo, ebbe la sfrontatezza di replicare che li aveva persi proprio per aver trascurato quanto mi stava proponendo. Purtroppo, allora, non si potevano confutare le sue teorie.

Meno male che non gli diedi retta!

La spazzola mi avrebbe spennato dalle radici. E, oggi, non vi avrei potuto porre rimedio. Tanto meno, illustrare, proporre e consigliare il presente e unico metodo per farsi ricrescere i capelli in modo semplice, naturale e spontaneo.

Il barbiere era un personaggio strano, incomprensibile, contorto.

Una volta, l'ultima, che mi servii di lui, subii un affronto.

In quella occasione, mentre mi spazzolava gli abiti dalle residue tracce della sua opera e nell'accompagnarmi all'uscita, si accomiatò da me con ghigno beffardo: «la vecchiaia precoce è arrivata anche per te. Ora, le donnine, se lo vogliono, ti lisciano la pelata».

Si riferiva al periodo scolastico delle elementari, ave lo ebbi compagno di classe.

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Non accettai il dileggio e lo sfottò.

Perse un c1iente.

Il calvo, toccato nel vivo, diventa permaloso.

In seguito, quando, di proposito, mi rifeci vivo nel suo salone, e non tanto per il taglio ma per pavoneggiarmi della ricrescita, il barbiere, convinto che avessi il parrucchino, mi acciuffò

cafonescamente con l'intento di strapparmelo e deridermi di fronte agli altri clienti.

Ci rimase male. Tuttavia abbozzò un cenno di scusa per il gretto e stupido atto.

Nel contempo, però, sgranò gli occhi nel notare la prodigiosa guarigione.

Volle conoscere, sapere e ottenere il medicamento.

Non glielo diedi, mi vendicai. Lo lasciai con un palmo di naso.

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LA DELUDENTE

TERAPIA DEL DERMATOLOGO

Vista l'inutile sperimentazione delle lozioni e considerando che questi preparati non potevano essere di giovamento alla generalità delle persone, decisi di sottopormi al controllo medico di uno specialista.

Le malattie, normalmente, hanno un decorso differenziato: si sviluppano o regrediscono a seconda dell'individuo che le subisce. I medicamenti vanno, quindi, dosati, secondo i singoli casi, con appropriate terapie. Mi armai di ottimismo, ipotizzando che la strada giusta da percorrere fosse quella della medicina.

I calvi, pensai, non ricorrono, forse per timidezza o anche per vergogna, alle cure che potrebbero dare i medici debitamente specializzati.

Le prescrizioni ordinatemi dal dermatologo, non furono il toccasana.

Lo shampoo a base di zolfo, eliminò la forfora, ma non la caduta e il prurito. Il continuo uso arrossava la parte non rigogliosa e quella priva di capelli. I residui peletti diventavano secchi e smunti.

Per attenuare il rossore, ad una successiva visita mi fu ordinato di completare il primo lavaggio con un altro comune shampoo e con una lozione a base di cheratina. Seguii anche questa

prescrizione, senza successo. L' ottimismo iniziale incominciò a scemare.

Suscitai l'adirata reazione del medico, quando, diagnosticandomi la insufficienza di vitamina e di ormoni, gli feci notare che tali primarie sostanze non potevano mancare soltanto in una

limitatissima zona della testa e alimentassero solo il parietale e la nuca.

Mentre esprimevo, garbatamente e ingenuamente, i miei dubbi su tale ipotesi deficitaria, la sua reazione fu quella di zittirmi imperiosamente con la classica battuta: il medico sono io.

Accettai sommessamente il richiamo. Per riverenza e rispetto non ebbi il coraggio di replicare:

era una persona avanti negli anni.

Neanche il ciclo delle vitamine bloccò il male. Eppure osservai diligentemente le dosi nel periodo del trattamento.

Non demordevo: continuavo il controllo dei capelli per accertare qualche sintomo di ripresa.

Invano.

Il sebo aumentava e la forfora, simile a scaglie di pesce, veniva giù con i ciuffi appiccicati. La seborrea oleosa, dunque, non cessava.

I capelli acquistavano sempre più una condizione anemica sottili e corti, deboli e mosci. A questi si stava sostituendo uno strato di peluria atrofizzata. Ormai ero già in piazza, come si usa dire. Ero diventato un diverso.

Certamente, la causa è da addebitare all'atrofia del bulbo. Ma il motivo per la quale la radice si secchi in determinati punti e non in tutta la testa, neanche il dermatologo fu in grado di spiegarmelo.

Non fu capace, dunque, di dirmi perché il ciclo fisiologico del capello si ripeta costantemente nella zona parietale, e non nella parte calva. Eppure i confini tra la florida e la sterile non sempre sono netti.

In alcuni casi il limite è improvviso; non esiste un'area intermedia: si passa, improvvisamente, dalle floridità alla sterilità assoluta; da quella florida ove si riscontra il cuoio capelluto rigoglioso, calloso e di un certo spessore, a quella sterile ove la cute risulta incollata e fusa con l'osso cranico.

Massaggiare la parte folta non pone problemi di sorta. La si può muovere in senso rotatorio, o su e giù, con i polpastrelli, senza alcun fastidio o danno, anzi è gradevole e i capelli non cadono.

Altrettanto non è possibile dove si è formata la rara peluria perché la pelle, divenuta sottilissima, si è appiccicata al cranio.

Neanche questi quesiti ebbero risposta. Come poteva darmela, se anche lui, lo specialista, era pelato!?

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Soltanto ora riconosco che la pretesa di ottenere, oppure di sapere, subito, il rimedio a un male che ha assillato l'uomo per secoli e millenni, era una richiesta assurda.

Per la salvaguardia dei capelli, devo affermare che è fondamentale impedire che la cute si attacchi all'osso. Ciò non sarà difficile, né impossibile, neanche per coloro ché, da lungo tempo, se la ritrovano unita al cranio. Lo dimostrerò in seguito con la descrizione dei comportamenti da adottare.

Diventerà facile e semplice riportare la parte atrofizzata allo stato antecedente l'assottigliamento.

Con le modalità che indicherò, i capelli riacquisteranno vigore, ricresceranno e si rinforzeranno sorprendentemente. Il ciclo fisiologico si riprenderà con evidenza. Il rimedio sarà efficace e

dimostrerò che la calvizie non deriva neppure da insufficienza ormonale come finora si è sostenuto.

La calvizie inizia a manifestarsi con una tenue forma di dermatosi, non infiammatoria.

Successivamente, però, degenera in dermatite che arrossa la pelle e produce prurito nei punti di maggior pressione del cuoio capelluto, a causa della testa «abbassata in avanti».

Tale dermatite somiglia ai sintomi iniziali della piaga da decubito che compare in alcune parti del corpo dei lungodegenti per la pressione della cute sul materasso.

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ELEMENTARI COGNIZIONI SCIENTIFICHE

All'aggravarsi e al diffondersi del diradamento fui assalito dalla paura di diventare irrimediabilmente calvo del tutto e per tutta la mia vita.

Man mano che il tempo passava, il timore diveniva realtà.

A nulla valsero le applicazioni dei ritrovati scientifici più recenti. Li provavo tutti. Non badavo a spese anche se aumentavano sempre più consistentemente. Tra questi ritrovati mi vengono in mente quelli che possedevano gli stessi aminoacidi dei capelli: glicina e serina; quelli a base di siliconi per farli ridiventare setolosi e floridi e quelli per infertilire la cuticola.

Volevo essere aggiornato e non perdere alcuna possibilità di intervento, esterno o interno, che avesse il potere, non dico di far regredire il male, ma almeno di bloccarlo. Mi ero convinto che bisognava operare con tutti i mezzi a disposizione per conservare almeno le radici e che, senza queste, ogni speranza sarebbe stata vana.

Ecco perché non trascuravo l'uso degli unguenti appena messi in commercio. Affinché agissero contro i capelli secchi, le lozioni erano costituite da sostanze nutritive quali l'estratto di vegetale, lievito di birra, proteine, composti multiminerali, e da balsami al miele e al ginseng. Per eliminare la forfora, i preparati erano ottenuti dall'olio estratto da varie specie di erbe e dall'ortica, per eliminare l'untuosità e bloccare la caduta.

Provavo le novità, perché le precedenti mi deludevano.

Inoltre, osservai rigorosamente, ma inutilmente, anche le indicazioni dei tricologi che mi prescrissero una equilibrata alimentazione per influire positivamente sul funzionamento del fegato, dalla cui attività, dicevano, dipendeva la salute dei capelli: 1'eliminazione di ogni tensione

psicologica in quanto la condizione di stress che ne deriva sarebbe funesto per i bulbi, e l'acquisizione di uno stato di tranquillità.

Nonostante le delusioni per tutte queste indicazioni, perseveravo nelle prove sperando di indovinare quella giusta. Purtroppo, non c'era niente da fare.

Pertanto, oltre a sperimentare medicine e ogni genere di ipotetici rimedi, mi dedicai con interesse e passione, alla lettura dei trattati riguardanti la crescita e lo sviluppo del capello, consultando pubblicazioni scientifiche su riviste specializzate, nella speranza di scoprire i

meccanismi o le sostanze che alimentano e danno vigore all'ornamento più bello del volto umano.

Mi sono impegnato nello studio del metabolismo per cercare, o tentare, di capire il substrato, enzimatico e proteico, utile alla vita del capello.

Per prima cosa assodai che la pelle è formata da microscopici strati e che in essi hanno sede i bulbi, con le loro papille, e le ghiandole sudoripare. Inoltre, che i capillari sanguigni stanno al disotto del bulbo e che, su di esso, insistono la ghiandola sebacea e il muscolo del pelo.

Gli strati, segnati da minuti rilievi, formano la cute anserina. I rilievi appuntiti, l'accapponatura, che si formano sulla pelle dell'uomo in reazione al freddo o alle emozioni, sono originati dalla contrattura del muscolo erettore.

L'essere venuto a conoscenza che anche il pelo è fornito di muscolo, mi sarà oltremodo utile nel prosieguo della ricerca.

Ma quando accertai l'impossibilità di guarire per l'origine ereditaria del mio male, lo scoramento e la rassegnazione stavano quasi per bloccarmi, definitivamente.

Infatti la mia affezione era da catalogare tra quelle di natura genetica: mio padre era calvo e anche mia madre era di capigliatura rada.

La disposizione morbosa si manifestò con la debolezza dei peli e il loro ripiegamento su se stessi. Apparivano privi di forza, stesi sulla cute, e cadevano. Ne ricrescevano altri, microscopici. E successivamente scomparivano anch'essi. Dunque, la medicina ha studiato i sintomi e le cause, la natura e l'evoluzione della malattia, ma la terapia non l'ha mai scoperta. Ha attribuito la perdita ad

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un male diffuso nella cute, rimasto però sempre sconosciuto. Ho accertato che l'assottigliamento del cuoio capelluto è dovuto alla forfora e all'enorme quantità di sebo che si forma, riempiendo gli alveoli dei bulbi. E che la ricrescita è impedita da una inadeguata circolazione del sangue nei pressi delle radici: meno alimento, meno crescita.

Ho accertato che anche i trapianti sono inutili, perché l'innesto, se non è alimentato a dovere, è destinato a fallire, come è avvenuto per i capelli originari.

Il frequente uso di poltiglie chimiche, cui ci si sottopone per arginare la caduta, possono, in alcuni casi, impedire la fecondità della radice. La composizione dell'unguento può contenere delle sostanze nocive al bulbo.

Nel campo dei cosmetici, sono soprattutto le donne che abusano di tali prodotti. E non da oggi.

Le stesse antiche romane divenivano spelacchiate subito dopo la pubertà, alle soglie dei vent'anni, proprio per le empiriche e approssimative sostanze usate per modificare, colorare e abbellire le chiome. Era un abbellimento effimero perché soffocava i bulbi, irrimediabilmente.

Un'altra strada da me seguita è stata quella di esaminare la struttura del capello.

Dal confronto delle sostanze rinvenute nei capelli sani e in quelli caduchi, gli analisti, valutandone le differenze, hanno messo in luce la diversità della composizione degli elementi costitutivi, pur avendoli prelevati dallo stesso individuo, parzialmente calvo.

Mi sono sottoposto anche all'analisi e alla relativa sperimentazione con l'integrazione dei minerali di cui accusavo la scarsità e la deficienza. Ma segni incoraggianti non ne ho mai visti.

Dunque non poteva essere neanche la penuria di minerali, la causa dell'asfissia, per una elementare considerazione: le sostanze deficitarie non potevano mancare o discriminare qualche ciuffo, e basta.

E se fosse questo il motivo, quale era l'ostacolo che ne impediva e limitava il normale afflusso nei bulbi? Altro mistero irrisolto!

Infine, su consiglio di specialisti, ho provato, con esiti negativi, prodotti di ogni genere e qualità, compresi quelli che sarebbero stati idonei al mio caso.

Senza voler far oltraggio ad alcuno ed escludendo ogni intento polemico, debbo dichiarare che, in questo specifico campo, gli antidoti praticati si sono dimostrati dei semplici palliativi.

Così come si sono rivelate infondate le teorie sull'origine del male.

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LA FUNZIONE PROTETTIVA

Constatata l'inefficacia dei farmaci , la mia mente si è conseguentemente orientata a ragionare col metodo della deduzione, stabilendo e convincendosi che soltanto il proprio sangue possiede le sostanze che si vogliono irrorare tramite le medicine, o con l'ausilio delle lozioni, per lenire il male.

Da questo assioma è derivata la convinzione che il plasma sanguigno non arrivi in quantità sufficiente ad alimentare la vita dei capelli.

Di conseguenza, la logica mi ha convinto che occorreva accertare se esistessero ostacoli o impedimenti che bloccassero o, quanto meno, ostruissero il normale afflusso e il libero passaggio;

oppure se esistesse un fattore di debolezza nella forza che dà la spinta al sangue per arrivare alla sommità del capo.

Pensandoci bene e approfondendo il ragionamento, considerai che bisognava tornare alla cura naturale: far funzionare, correttamente, gli organi del proprio corpo per rivitalizzare quelli

atrofizzati.

Nel procedere in questa direzione, mi è stata di grande aiuto una elementare constatazione.

Perché, mi chiedevo, nel mondo degli animali, la peluria è florida,in tutte le bestie e non esistono, se non in casi rari, individui che ne sono privi? Una pecora pelata non l'ho mai vista.

Proprio per il fatto di sapere che la testa dell'uomo è irrorata da una peculiare circolazione sanguigna, ottimamente diffusa, che le permette, a differenza del resto del corpo, di rimanere scoperta in ogni stagione senza risentire delle intemperie conseguenti alla diversità del clima e senza accusare rilevanti indisposizioni, se non raramente, insistevo nel domandarmi perché, nonostante questa peculiarità, molti divenissero calvi.

La testa è l'unico organo del corpo umano che non necessita di indumenti protettivi. Neppure quando si dorme: può stare tranquillamente scoperta.

Anche gli animali sono totalmente e permanentemente privi di protezione vestiaria.

L'esempio degli animali non andava a genio ai miei interlocutori con i quali discutevo dell'argomento. Questi miei contraddittori giustificavano l'integrità fisiologica delle bestie, asserendo che la peluria aveva, una funzione protettiva, mentre i capelli non avevano nessuna importanza e nessun compito particolare.

A convincerli non ebbe forza neanche la tesi secondo cui la natura è stata provvida e che quindi avessero delle specifiche prerogative, quali la protezione dal freddo, dall'umidità, dai raggi del sole e che, per sopperire a tali disagi e inconvenienti, è stato inventato il copricapo.

Non valse neppure mettere in risalto che era priva di fondamento l'errata teoria, in base alla quale, siano inutili le sopracciglia, dimenticando, invece, che esse servono a salvaguardare gli occhi dal fluire del sudore e per far ombra alle pupille, preservandole e conservandole efficienti. La stessa utilità hanno i peli delle palpebre perché impediscono il passaggio di polvere e di altri agenti esterni nel bulbo oculare, così come quelli che crescono all'interno delle narici sono destinati a filtrare l'aria che si respira, bloccando l'accesso agli insetti e ad altri minuti frammenti di vario genere,

In poche parole, i miei interlocutori erano dello stesso parere del poeta Ovidio quando sostiene che la cura dei capelli è di esclusiva pertinenza delle donne e mai degli uomini: coloro che curano la propria capigliatura devono essere derisi e considerati degli effeminati e dei narcisi, ma soprattutto erano d'accordo con Sinesio di Cirene (370-413 d.C.) che, nell'opuscolo «L'encomio della calvizie», sostiene, senza dimostrarla, la stessa tesi di Ovidio.

I miei interlocutori avevano, dalla loro, illustri antesignani.

Chi può, dunque, dubitare che i capelli non siano uno strumento mirante ad evitare che la massa celebrale venga colpita e danneggiata dalle radiazioni solari?

Ma c'è un'innegabile verità. Il consistente spessore del cuoio capelluto ci preserva dalla dispersione del calore corporeo.

Il calore, secondo le leggi della fisica, tende a fuoriuscire dal punto più alto. Per questa ragione, la pelle degli animali è più spessa sul dorso che non nel ventre.

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Nell'uomo, data la sua stazione eretta, la pelle più spessa si trova sulla testa, proprio allo scopo di conservare, e non disperdere facilmente, il calore.

Ecco quindi l'esigenza di scoprire dove, come e perché si fosse inceppato il meccanismo anatomico fornitoci dalla natura.

Con questi presupposti la mia ricerca andò avanti testardamente e con cocciutaggine.

Ad insistere nella medicina alternativa mi fu di ausilio e sprone l'attuale orientamento di quella ufficiale che prescrive, per esempio, di far roteare il cristallino attorno al bulbo oculare per

conservare efficiente la sua elasticità e quindi la vista anche nella tarda età; o quella che consigliano i cardiologi ai pazienti reduci da infarto: effettuare lunghe e rilassanti camminate in quanto il

metodico e cadenzato passo aiuta a sciogliere i grassi e a coadiuvare il cuore nella sua funzione di pompa, facendo affluire il sangue, tramite i vasi capillari, nelle parti più periferiche del nostro organismo.

In analogia a questo orientamento medicamentoso, ho scoperto e stabilito, accertato e

sperimentato, il metodo, facile ed elementare, per intervenire, autonomamente e senza medicamenti, contro il deterioramento e la scomparsa della capigliatura.

Intervento di tipo comportamentale che, stimolando le radici germinali, fa decisamente regredire il male e, contestualmente, riprendere la vitalità e la ricrescita dei capelli, in modo graduale, ma omogeneo, su tutta la superficie cutanea, affetta dalla calvizie.

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UN RICORDO MISTERIOSO

Nel rimuginare e ripensare alla causa che poteva cagionare l'indebolimento e a quella che, al contrario, poteva concorrere alla conservazione della capigliatura, mi sovveniva, spesso, una vicenda interessante, curiosa e inspiegabile che vissi nella prima giovinezza.

Un ricordo che sa di macabro e, allo stesso tempo, di mistero.

Ogni anno, in novembre si onorano i defunti.

In un giorno di quel mese, il sagrestano mi invitò ad accompagnarlo al cimitero del villaggio, dove doveva preparare la cappella per la rituale funzione religiosa, prevista dal calendario.

Per la prima volta misi piede nel camposanto. Era di dimensioni ridotte.

I pochi e secolari cipressi, disposti in disordinati e brevi filari, ricoprivano, con la loro ombra, la superficie riservata alle sepolture.

Nonostante la ristrettezza dello spazio, si poteva rilevare una sorta di piccolo mondo, delimitato da confini e suddiviso in tanti comparti, in relazione alla qualifica dei sepolti.

Il sagrestano, facendomi da guida mi condusse a esplorarlo e, mentre calcavamo il suolo, mi additava le varie localizzazioni e delimitazioni.

Più precisamente mi spiegò; «vedi, in questo angolo brullo e abbandonato giacciono i morti ammazzati: quelli crepati, privi dei sacramenti e dell'olio santo. Questi tizi sono finiti all'inferno.

Peggio per loro che non si sono pentiti dei peccati, confessandosi! Qui giacciono quelli che si trovano nel limbo e non andranno mai in paradiso perché sono morti prima di ricevere il battesimo e l'olio santo: non hanno fatto in tempo a diventare figli di Gesù. In quest'altro posto adorno di fiori, sono sepolti gli angioletti; i fanciulli battezzati e poi deceduti».

In prossimità di alcuni monumenti funebri, rivestiti di marmo e adornati di statue, simboli, fotografie e da angeli in atto di spiccare il volo, gli chiesi chi vi giacesse.

Soddisfatto, caricato dal mio interesse e assumendo un tono cattedratico, continuò: «lì ci sono i ricchi. I ricchi vanno tutti in paradiso perché hanno lasciato molti soldi con i quali gli eredi possono pagare molte messe, di quelle cantate, di quelle recitate a tre preti, con tutte le luci accese ed

eseguite solennemente nell'altare maggiore e accompagnate da canti e dalla musica dell'organo.

Queste funzioni costano; pochi se le possono permettere! Il prete più lo paghi e più prega, e i morti, nel purgatorio, ci restano meno tempo. Lo sai che un neonato, figlio del più ricco di paese è stato, dietro compenso, battezzato dopo morto per farlo andare alla gloria celeste, anziché nel limbo!?» .

Mentre esponeva dettagliatamente i suoi convincimenti, mi venivano spontanee alcune riflessioni e qualche dubbio, deducendone che, secondo il suo blasfemo ragionamento, questo e 1'altro mondo, erano esclusive prerogative dei benestanti.

Non mi convinceva. In silenzio mi ribellavo e rifiutavo le sue certezze. Le sue idee

contrastavano con i principi cui ero stato educato e che si basano sull'osservanza dell'onestà, della carità, della tolleranza, dell'altruismo: virtù fondamentali per acquisire il mondo avvenire.

Lasciato il campo aperto, mi condusse a visitare l'ossario: un fosso, coperto da una fatiscente tettoia, ricolmo di ossa, teschi, femori e casse toraciche; e avvolto da spesse ragnatele, a imbuto, dominate da grossi ragni neri.

Quella visione mi fece accapponare la pelle.

Per lo spavento, per la puzza e il tanfo abbandonai di corsa quel raccapricciante e tenebroso luogo.

Usciti fuori, l'accompagnatore mi trattenne per informarmi che, poiché nel cimitero non vi era più spazio, si dissotterravano le salme per far posto ai morti più recenti, depositando gli scheletri nell'ossario, e soggiunse: «aspetta che te ne faccio vedere una di queste, prossima alla traslazione».

Scoperchiò una tomba ave giaceva un cadavere in via di decomposizione e, sorpreso, esclamò:

«Eh! guarda un po'! a questo tizio, che era semicalvo, gli sono ricresciuti i capelli e la barba».

Dopo questa ulteriore macabra visione, finalmente, l'avventura si concluse. All'uscita, una leggera brezza, profumata dall'odore del fieno falciato nei vicini campi, mi risvegliò, liberandomi

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dagli incubi.

Ebbi la stessa sensazione del Poeta: «e tornammo a riveder le stelle».

Beh! Noi rivedemmo la campagna, armenti pascolare e, più in là, un bosco spelacchiato e carbonizzato da un recente incendio.

Durante il rientro in paese, per appagare il mio desiderio e la voglia di sapere, gli chiesi che cosa fosse l'olio santo.

Mi spiegò che era lo strutto di maiale che la gente offre alla parrocchia per essere usato quale unzione nei battesimi, nelle cresime e per i moribondi, e, sottovoce, avvicinandomisi all'orecchio, mi svelò, con cattiveria e maldicenza, un irriverente e divertente segreto.

Mi confidò che il prete, siccome era un uomo avaro, il grasso di maiale lo usava per cucinare e al suo posto, di nascosto, nelle sacre ampolle lo sostituiva col non mangereccio sego di capra. Non solo, ma che mischiava, a quello di capra, il sego di pecora con l'aggiunta di essenze profumate; e che tramite la complicità della perpetua, vendeva tale intruglio ai parrocchiani, quale effimero rimedio alla calvizie.

Involontariamente, l'anziano sagrestano, con le sue incredibili rivelazioni, mi stava conducendo verso la conoscenza dell'immoralità di cui spesso è contagiata la società umana, senza distinzioni di classi.

Quanta speculazione sui capelli! Anche nel piccolo borgo sperduto fra le montagne!

Ma la questione che più mi rimase indelebilmente impressa riguardava l'inesplicabile fenomeno riscontrato in quella salma: per quale ragione i capelli ricrescono ai morti e non ai vivi?

Successivamente, appurai che la crescita era dovuta alla cheratina e ai polisaccaridi: residue sostanze proteiche rimaste in essere nel cadavere.

Durante la mia indagine e nel far memoria della vicenda, azzardai la supposizione che la ripresa vitalità dei capelli fosse stata favorita dalla cute nell'essersi staccata dalla parete ossea. Perfetto.

Supposizione azzeccata.

Lo stacco si era reso possibile in quanto il cranio, appoggiato sul basamento, aveva permesso al rivestimento cutaneo di essere meno aderente e più allentato. E che quindi il micro spazio

formatosi, avesse dato la stura alle radici pilifere nel procurarsi il glucìde e l'ossigeno, direttamente dall'aria.

Anche questo concetto è stato utile, stimolante e fondamentale nell'induzione e nel procedere delle supposizioni, infatti, la cute, rilassandosi, si dilata e allarga i pori, dove, dall'esterno, si inserisce l'ossigeno, primario alimento del bulbo pilifero.

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L'IMPAVIDA

E AVVENTATA SFIDA

Le cure empiriche e scientifiche cui mi ero sottoposto, non davano speranze alla reversibilità del male.

Non valse a nulla neppure l'uso di una retina che mi infilavo ogni notte per tenere fissi e composti i capelli.

È vergognoso ammetterlo: restai qualche settimana con la testa sporca; non la lavavo, convinto che meno la strapazzavo, più a lungo nel tempo potevo conservare le chiome.

Però, la crosta, la forfora, il grasso e il prurito erano insopportabili.

Non potei farne a meno: mi lavai.

La pulizia è più importante di qualsiasi altra cosa.

All'igiene della persona non si può rinunciare.

Tentai il taglio a raso.

Epperò, la vergogna si impadronì di me e non uscii di casa finché non mi ricrebbero.

Per un evento improvviso, a cui non potei sottrarmi, fui costretto ad abbandonare la clausura, soggiacendo ai lazzi e agli sberleffi degli amici che, subitamente, mi appiopparono il nomignolo di teschione, testa da morto.

La rapatura aveva, al dire degli esperti, una giustificazione logica: se la barba, più la si rade e più cresce, se ne dovrebbe dedurre che sia la stessa cosa per i capelli.

Niente da fare.

Cadevano giù anche se tagliati cortissimi o rasati.

Alla rapata a zero dei peli superstiti, preferivo farmi la riga all'altezza delle basette e riportarmeli sopra il capo a ricoprire lo spazio vuoto.

Ovviamente apparivo goffo, ma, se non altro, nascondevo le imperfezioni e la sinuosità del cranio e anche qualche inestetica cicatrice, procuratami in gioventù.

In un primo tempo questo tipo di stratagemma lo potevo eseguire facilmente perché quei peli laterali me li lasciavo crescere lunghi; successivamente, non fu possibile neanche simile

accorgimento: si diradarono ulteriormente.

Avevo terrore del vento che da queste parti, specie il maestrale, soffia forte: mi scarmigliava quei pochi capelli che mi erano rimasti.

Ogni volta, per cogliere la corrente d'aria in direzione della pettinatura ero costretto a camminare di traverso, controvento, e a trattenerli con la mano per evitare che svolazzassero e scoperchiassero il nudo cranio.

Quando la ventata era improvvisa e travolgente, me li ritrovavo ricaduti sul collo, ricoprendomi la guancia e solleticandomi fastidiosamente l'orecchio. La lacca fissante non reggeva alle folate.

Inoltre, per quanto ,mi riguardava, il ciuffo anteriore, anzi la cresta, aveva altresì la funzione di elevare la mia modesta statura di qualche centimetro: un solo centimetro guadagnato, mi dava consolazione.

Il mio fisico non è prestante e imponente, è minuto: inferiore alla media.

Una statura pari a quella di un pivot di una squadra di palla a volo, ma che giuochi in un campo da tennis.

Ormai, la psiche cominciava a vacillare. Alla mia indole di persona socievole, ottimista e carica di, buonumore, che riuscivo a trasmettere anche al prossimo sia nell'ambiente di lavoro che nel tempo libero, si sostituì una depressione che modificava radicalmente il carattere: non più allegria e spensieratezza, ma tristezza e mutismo; ridicolo agli occhi di tutti.

Non ero più socievole. La timidezza e la riservatezza diventarono le caratteristiche della mia personalità.

Il rapporto con l'altro sesso, poi, era deprimente: o evitavo di incontrarlo cambiando strada, o

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me la svignavo all'inglese, abbandonando, furtivamente, la combriccola con cui stavo, perché mi consideravo un minorato.

Se, però, non potendo evitare l'incontro e quindi obbligato a stare in compagnia, il discorso lo incentravo pedantemente sul mio handicap.

Mi accorgevo di essere noioso e insopportabile, fastidioso e uggioso, a me stesso e agli altri.

Inconsciamente, volevo scaricare sul prossimo il mio tormento.

L'indicibile tormento, accompagnato dall'intima sofferenza psichica, mi condusse irreparabilmente e volontariamente, a sfidare il Creatore.

E, come un figlio sfida il proprio genitore per risolvere situazioni familiari, con gli stessi modi mi rivolsi al Padre eterno proponendogli che avrei rinunciato al paradiso se mi avesse fatto

ricrescere i capelli.

La sfida era intrisa anche di verve polemica: ma come! Ai morti sì e ai vivi no!

La magnanimità paterna non delude.

Quasi sempre il figlio viene accontentato e, spesso, senza contropartita. Tuttavia, confesso che, nonostante l'azzardo dell'ignominiosa sfida, non so a chi dare il merito della scoperta.

Sarà stata l'ispirazione divina; sarà il frutto della cocciutaggine nella ricerca dei rimedi; sarà stata l'incrollabile volontà di arrivare all'obbiettivo; sarà stata la fortuna, quale la intende il Machiavelli: virtù che premia i tenaci; sarà stata l'innata prerogativa di trovare in se stessi le soluzioni alle irrazionali e insolite difficoltà di cui spesso siamo oberati: quando, appunto, se ne dà l'incarico al subconscio, che successivamente risolve il quid, come se fosse un elaboratore

elettronico; comunque sia, adesso gioisco per la meta raggiunta.

Sono felice e desidero dare serenità a coloro che sono, tuttora, vittime infelici e che, solo loro, possono comprendere le pene, le traversie, la melanconia e la rabbia che mi indussero alla

disperazione e all'avventata sfida.

Oggi, vivo il dramma inverso. Mi resta da risolvere il dilemma della grande rinuncia.

Mi pentirò dell'affronto. Anzi sono già pentito.

L'Eterno, con la sua infinita bontà e la sua generosità, mi assolverà.

Ne sono certo, non essendo, il Grande Architetto dell'universo, un dio vendicatore.

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LA PRIMA INTUIZIONE:

NESSUNO È CALVO NEL PARIETALE E NELL'OCCIPITALE

È comunemente accettato che i capelli non siano indispensabili e che non siano utili al corpo umano, per cui la loro perdita non dovrebbe influire sulla salute dell'organismo.

La loro utilità va ricercata quale ornamento estetico.

Questo convincimento può essere valido, in parte.

Per i maschi, dato il largo numero di calvi, può essere una consolazione. Non essendoci stato, finora, alcun rimedio alla totale o parziale mancanza di capelli, la nota espressione riportata nella favola, la volpe e l'uva: «nondum matura est» vale anche in questo caso: ci si adegua. Ci

rassegniamo all'ineluttabile.

Per la donna il discorso cambia. Immaginaria priva dell'ornamento della capigliatura è impossibile; la sua bellezza e il suo fascino svanirebbero. Non solo, ma subirebbe un complesso psicologico, non facile da curare. La sua vita diventerebbe difficile e piena di ossessioni che cagionerebbero angoscia, affanno e depressione.

Ecco, dunque, l'esigenza di salvaguardare, in ogni persona, il benessere psichico per non influire negativamente su quello fisico: mens sana in corpore sano.

Madre natura è stata provvida privilegiando il sesso femminile.

Resta da stabilire se sia un privilegio oppure un fatto connesso alla sua conformazione fisica.

Ho potuto accertare e verificare che non si tratta di un dono particolare, ma che, tale prerogativa dipende dal suo naturale comportamento che indicherò in seguito con dati e riscontri.

Basta guardarsi in giro per verificare che la calvizie colpisce un'alta percentuale di maschi, di qualsivoglia età, mentre invece, mai, o raramente, si instaura nelle donne.

Continuamente mi chiedevo quale fosse la causa di questa differenza,

Le giustificazioni date dai dermatologi e dagli endocrinologi circa la mancanza di determinati ormoni, non mi hanno mai convinto e non mi hanno impedito di perseguire la verità.

Come un filosofo che si pone alla ricerca dell'essenza di questo mondo, io, più modestamente, sono andato a speculare su un argomento più prosaico.

L'empirica speculazione consisteva nel trovare prove concrete per appurare se le teorie dei ricercatori ufficiali possedessero un fondamento pratico e plausibile.

Mi domandavo: se fosse vera la tesi, basata sulla penuria di ormoni, i capelli dovrebbero cadere, in modo omogeneo, da tutta la testa e non soltanto in una parte di essa, quella del vertice.

Invece la, calvizie, estesa o limitata, la si riscontra, esclusivamente, nella parte superiore della testa, dalla fronte alla cervice.

Nei calvi, quindi, si nota, senza alcuna eccezione, che il cuoio capelluto, che ricopre la parte parietale e occipitale dell'osso cranico, è intatto e florido: lì la calvizie non si diffonde e i capelli sono solidi e fissi, non cadono; lì non si forma forfora né mai si sente prurito.

In quella zona tutti quanti, calvi e non, possediamo la stessa identica capigliatura: nessuno ne è privo e nessuno la perde: calvi nel parietale non se ne vedono.

Altra considerazione oggetto dell'analisi , riguardava l'età in cui il capello si affievolisce e cade.

Nessuno, o pochissimi, diventa calvo nella giovane età: ad eccezione di alcuni casi derivanti da specifiche malattie incurabili; però in questi soggetti non è mai esistita la radice.

La perdita, come si sa, inizia dopo l'età puberale.

Questo fenomeno è riferito, soprattutto, alle persone di sesso maschile.

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Esaminando, anche superficialmente, la parte della testa ove sono spariti i capelli, si rileva che il cuoio capelluto risulta sottile, roseo o rossiccio: ha assunto le stesse caratteristiche riscontrabili nell'epidermide che riveste il nostro corpo. È diventato simile, anzi, identico al resto della pelle.

Mentre quello che si trova nel parieta1e e nell'occipitale si mantiene costantemente di colore grigio-chiaro e di consistente spessore: una caratteristica conservata dalla fitta e massiccia diffusione delle radici pilifere. E rimane tale anche nell'età avanzata. Neppure la vecchiaia la scalfisce.

Furono questi quesiti, i nodi dell'intricata questione che dovevo sciogliere e che ho sciolto con somma soddisfazione.

Lo stimolo a perseverare mi è venuto dalla florida condizione del parietale.

L'intuizione dell'evidente e rimarcata differenza mi ha condotto a scoprire dove stavano i difetti e gli inconvenienti che cagionano la calvizie; a scoprire il congegno anatomico preposto alla vita dei capelli; a trovare il modo, naturale e perfetto, per rimetterlo in funzione e stimolare la ricrescita, senza lozioni, senza medicine e senza trapianti.

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LA SCOPERTA PIU IMPORTANTE

Nella ricerca scientifica le invenzioni, sovente, sono frutto della casualità. Il progresso scientifico e tecnologico viene gratificato da scoperte improvvise e inaspettate.

I credenti le fanno risalire all'ispirazione divina.

I laici alla costanza nella ricerca e agli esperimenti: da cosa nasce cosa.

Purtroppo, non è possibile propendere per alcuna delle due ipotesi.

Il tema lo lasciamo ai filosofi e ai teologi.

C'è da considerare, però, che in molti si dedicano allo studio, ma l'invenzione è soltanto del singolo.

Il rimedio scoperto è frutto del costante impegno posto nello studio e nell'osservazione del fenomeno.

Delle tante osservazioni, vediamo quella, la prima, che si è rivelata vincente e determinante, risolutiva e stimolante.

Nella mia qualità di dirigente amministrativo, dovevo trovare la soluzione ad uno sciopero ad oltranza proclamato dai lavoratori pubblici per rivendicare questioni di carattere normativo e contrattuale, da risolvere in ambito locale.

Col responsabile provinciale del settore, che convocai appositamente, mi trattenni a discutere per diverse ore. Non si poteva, lasciare la gente priva di un servizio pubblico indispensabile.

Gli uffici chiusi generano danni soprattutto ai meno abbienti. Certo, oltre a loro, ciò produce disagio anche alla collettività in generale.

Impostai il discorso sui casi umani, per influire sulla sensibilità del mio interlocutore: un operatore del sociale non può trascurare il risvolto umanitario.

Mi accorsi di aver toccato, il punto debole della sua irremovibile posizione. Ne approfittai per convincerlo a concordare con la controparte un onorevole compromesso. Assumersi la colpa di non pagare le pensioni fu l'argomento determinante per abbattere le ultime resistenze. E forse, anche il tono, risoluto, con cui accompagnai le mie argomentazioni.

Mentre egli esponeva le sue ragioni, rilevai il suo disagio nelle espressioni del viso:

l'accigliarsi, lo storcere il naso, il pigiarsi la fronte con i pollici e la testa appoggiata alla spalla destra.

Il ticchio più interessante lo riscontrai nel continuo movimento a fisarmonica della fronte:

riusciva, quasi, a far combaciare la ciocca dei capelli anteriori con le sopracciglia e, contestualmente, abbassava tutta la crosta cutanea che ingloba la volta cranica.

Sembrava il famoso attore comico De Curtis, quando nelle sue brillanti e indimenticabili interpretazioni, fa ondeggiare, avanti e indietro, il suo copricapo.

Addebitai quella ininterrotta movenza contrattile alle difficoltà in cui si era cacciato e alla voglia di accondiscendere ad una intesa.

Si tratterà forse di una questione nevrotica derivante dalla situazione contingente, e, quindi, passeggera, pensai,

No affatto. Mi sbagliavo.

La mossa, cadenzata, si ripeteva pure a soluzione concordata.

Era un impulso naturale, analogo a quello che ricevono le palpebre e qualsiasi altro organo del corpo: istintivo, meccanico e replicato inavvertitamente.

Nei successivi incontri, notavo quella periodica e costante oscillazione delle sue dense chiome:

si abbassavano appena solleva va le sopracciglia.

Il sindacalista era dotato di una capigliatura foltissima, invidiabile: stava sempre corrugato!

Ciò posto, volli fare un confronto: mi misi allo specchio e cercai di imitarlo.

Il mio cuoio capelluto, quello pelato, risultava immobile: non avvertivo alcun labile sintomo.

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Era congiunto e compatto con l'osso cranico.

Anche se mi o accigliavo, tutto restava rigido e fisso.

La spinta del muscolo sopraccigliare si limitava appena a lambire i sopraccigli.

La mia fronte, liscia, non risenti va dello stimolo.

Dopo aver riflettuto sul fenomeno, ne dedussi che dal costante e continuo massaggio forse derivava la vitalità dei capelli.

Spronato da questa convinzione, mi dedicai ad osservare sistematicamente quella parte del viso in tutte le persone, con particolare attenzione a quelle dotate di folta chioma.

Ebbi una ottima conferma: in tutti coloro che possedevano una buona capigliatura, quel movimento era costante e periodico.

Per sincerarmi ulteriormente, una volta, a quel mio amico agitatore sindacale, posi, in modo confidenziale e con il suo permesso, la mano sul capo e feci alcuni massaggi: il cuoio capelluto oscillava docilmente e senza resistenza, di qualche centimetro.

Per associazione di idee, mi sovvenne l'analogia con la pelliccia degli animali: con la leggera spinta della mano, la pelle scivola dolcemente lungo la loro schiena, proprio perché resta staccata.

Forse, mi dissi, questa volta, ho scoperto l'arcano: mi entusiasmai.

L'entusiasmo si consolidò e accrebbe ancor di più per aver constatato che la stessa identica oscillazione avveniva nel mio parietale, dove le calvizie non si era diffusa.

Da allora in poi, ogni giorno e a più riprese, mettevo le palme delle mani sopra la testa e, favorendolo, avviavo lo spostamento, altalenante, del cuoio capelluto: sollevavo le ciglia e abbassavo la cute.

Se questo movimento non avviene in modo spontaneo, lo farò forzatamente, mi imposi.

Un po' alla volta e con qualche pizzicore, riuscii nell'intento.

Con i polpastrelli delle dita coadiuvavo la spinta che istintivamente davo alla fronte e alle orecchie. L'azione delle mani era contemporanea e contestuale a quella delle sopracciglia; e continuò fino a quando la cute non si ricollegò per oscillare autonomamente e in sincronia con la mossa corrugatrice.

Impiegai del tempo per riacquistare l'originaria fluidità; ma molto meno di quello occorso per atrofizzarsi. Infatti, dopo qualche settimana, corrugavo benissimo, come tutti i capelluti.

In natl1ra, come si sa, si impiega più tempo per appassire che non per rinverdire. Una piantina si secca lentamente. Ma appena la si innaffia, si riprende subito.

Infatti, la prima sorpresa fu quella di constatare che, pur pettinandoli o strofinandoli rudemente, i capelli non cadevano più.

Avevo bloccato la caduta! All'istante! Dal giorno dopo! Finalmente! I peletti superstiti si raddrizzarono. Non erano più brulli, appassiti e flosci, ma irti e spinosi. Sfregandoli, me li sentivo ispidi come se stessero ricrescendo dopo una rapata a zero.

Visti gli inaspettati e sorprendenti risultati, mi diedi un programma attuativo che consisteva nel riuscire a staccare definitivamente la pelle dall'osso cranico e nell'impedire che vi si riattaccasse.

La metodologia adottata consisteva nel pressare la testa, ai suoi lati, con le mani a dita incrociate, a guisa di pinza. E, sempre con le palme delle mani, facevo scorrere, su e giù, il cuoio capelluto per rimuovere la sua dura rigidità.

Così facendo, spiccicavo e sollevavo tutta la cute pelata.

A questo scopo, inoltre, mi sono inventato anche un apposito congegno da infilare sulla testa per mantenere staccata e autonoma la cute, e per facilitare il moto del corrugatore: una fascia elastica che cingeva il parietale: serviva a collegare l'impulso del muscolo al cuoio capelluto.

Ovviamente, non potevo andare in giro con quell'aggeggio. L'adoperai fino a quando non riabilitai la naturale oscillazione. Lo usai per accelerare al massimo il ripristino della corrugazione e far spuntare subito i capelli.

Mi ero servito della fascia elastica all'inizio della sperimentazione della labile intuizione.

E durò sino a che non arrivai a conoscere a fondo il sistema e l'insieme degli elementi fondamentali riguardanti la crescita, lo sviluppo e la vita dei capelli, La fascia è utilissima: la consiglio a tutti.

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Riacquistata, in siffatta maniera, la funzionalità oscillante del mio cuoio capelluto, mi dedicai ad imitare il sindacalista attuando, in sincronia con lui, le stesse sue mosse: lui, però, era ignaro di quanto stavo facendo.

Ciò accadde durante un lungo viaggio per partecipare ad un convegno fuori sede. Lui guidava ed io, seduto al suo fianco, scimmiottavo, nei modi e nei tempi, le corrugazioni della sua fronte e tenevo la testa ben curvata lateralmente, ma mai piegata in avanti.

La mia corrugazione era talmente evidente e rimarcata che, ad un certo punto, egli si informò se soffrissi il mal d'auto.

Lo rassicurai, senza svelargli il motivo.

Dopo tale esperienza, la metodica corrugazione divenne una costante e notevole caratteristica della mia fronte facilitata dal tenere la testa lungamente appoggiata su una delle due spalle.

Ne valeva la pena! Mi ricrescevano castani, come li possedevo da giovane!

L'imitazione funzionava e rendeva ottimi risultati.

La strada sembrava essere quella giusta. Anzi era proprio quella esatta, quella corrispondente al vero: mi trovavo in dirittura d'arrivo.

L'impenetrabile arcano si stava dipanando e la conoscenza impossessandosi di precise cognizioni, di esatti apprendimenti e di dati certi, inconfutabili e inopinabili.

Epperò, restavano ancora da sciogliere tanti altri nodi legati al fenomeno calvizie: l'origine che determina l'attaccarsi della cute; perché si attacchi soltanto in alcuni punti e come mai ciò accade soltanto ai calvi; scoprire quale fosse l'alimento principale dei bulbi e come l'attingessero

dall'organismo; quale fosse la ragione dell'abbondanza dei capelli nelle donne; e, perché no, dare al metodo della guarigione una validità scientifica.

L'indagine è proseguita fino ad impadronirmi pienamente dell'argomento nelle sue varie sfaccettature e fino a poter disporre, in modo certo, di ogni spiegazione inerente alla soluzione del problema riguardante i capelli: dalla perdita alla ricrescita, dai tre tipi di calvizie, chierica,

stempiata, pelata totale, all'individuazione della causa che preserva il parietale; dall'accertamento che l'ereditarietà non ha alcuna influenza, al fatto che neanche la vecchiaia cagiona la calvizie.

L'indagine è proseguita fino a conseguire il successo sulle caratteristiche della complessa questione.

E intanto, con la testa ricadente all'indietro, oppure su una spalla, restavo così per ore, mentre leggevo, scrivevo o lavoravo.

Quando il muscolo si stancava, rilassandosi e allargando la fronte riprendevo la corrugazione e restavo nuovamente con la fronte ristretta e le sopracciglia inarcate: mi sforzavo di farle

congiungere fra loro: una vicina all'altra.

Così facendo, l'oscillazione era molto ampia: il cuoio capelluto si dilatava al massimo e consentiva alla mioglobina di alimentare i musco1i erettori; all'ossigeno esterno di penetrare nel cuoio capelluto tramite i pori allargatisi; e alle venuzze, dilatatesi, di far affluire più sangue.

Inoltre ho continuato imitando i ragazzi i e le ragazze capelluti, nel posizionamento del capo, anzi l'accentuavo!

La caduta si bloccò, subito e dopo due intense settimane, ebbe inizio la ricrescita. La pelata si restringeva e i ciuffi rispuntavano. Il reinfoltimento si propagava dal parietale e dall'occipitale verso la sommità.

La cura fisioterapica, o meglio, la terapia comportamentistica dell'apparato capillifero funzionava. La guarigione ebbe inizio. La metodologia era semplice, facilissima. Un gioco. Mi divertivo, deridendo le blasfeme teorie passate e presenti propinate sulla calvizie.

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IL MUSCOLO CORRUGATORE E LA SUA PREROGATIVA

SUI CAPELLI

Soddisfatto dalle controprove conseguite, stimolato dalla concreta conferma dell'inedita ipotesi e spronato dal risultato ottenuto nell'imitare il sindacalista nonché dal benefico effetto che ne derivava, mi dedicai ad approfondire la conoscenza e la funzione del muscolo corrugatore in relazione all'influsso che esso esercita sui capelli.

Quindi, al fine di focalizzare, al meglio, il metodo curativo, mi sento obbligato a soffermarmi su quanto acquisito e sperimentato in relazione a tale organo e al muscolo frontale.

Questo muscolo, situato lungo l'arcata sopraccigliare, è preposto ad attivare il complesso dei nervi che da esso si dipartono per cingere tutto il cuoio capelluto sino al plesso cervicale.

L'attività che esplica è di primaria e fondamentale importanza: in mancanza di essa i capelli muoiono.

A proposito di questo organo, ho consultato diverse enciclopedie mediche per trovare se esistesse una connessione tra la sua funzione e quella dei capelli.

Con grande delusione, in questi testi scientifici, ho riscontrato, soltanto, la semplice funzione mimica: quella di contrarre la fronte in segno di sorpresa, sdegno, malumore, collera e via di seguito. Null'altro.

Io, invece, ho accertato, sperimentandolo praticamente, che esso è il motore che agisce e tiene vivi i muscoli dei peli e i bulbi capilliferi: le radici germinali dei peli. Esso funziona in sintonia col muscolo occipitale. Il corrugatore trascina in avanti la cute, l'occipitale la ritrae indietro. Con loro si muove pure il muscolo della fronte.

Il muscolo corrugatore, con l'insieme delle sue fibre e sotto il dominio del sistema nervoso centrale, presiede al movimento dell'involucro cutaneo che ricopre e avvolge la nostra testa. E funziona fin dalla nascita.

La sua azione massaggiatrice trascina il tessuto peloso del cranio dall'osso occipitale alla fronte, coinvolgendo le sopracciglia e le orecchie; e alimenta la miriade di muscoli piliferi di cui è disseminato tale tessuto epidemico.

Dall'efficienza della sua funzionalità e dalla relativa ed omogenea versatilità della cute deriva la conservazione e la rigogliosità della capigliatura.

Affinché produca l'effetto desiderato, il suo esercizio deve essere continuo e col capo rilassato lateralmente.

È perfetto quando l'impulso abbraccia totalmente il rivestimento esterno, il tessuto cutaneo della testa, facendolo oscillare.

Nei soggetti sani, intendo dire sani di capelli, la spinta, o meglio, l'impulso mette in moto i nervi rendendo possibile l'attività contrattile, uniformemente, su tutto il tessuto epidermico che avvolge il nostro capo.

Nei calvi ciò non si verifica, perché stanno col capo chinato in avanti.

In essi ho riscontrato due modi diversi del funzionamento con cui opera il corrugatore.

In una categoria, lo stimolo è limitato alla zona attorno alle sopracciglia.

Non si diffonde oltre. Resta circoscritto ad esse. Di positivo produce soltanto l'effetto di renderle folte e ispide.

Ciò perché l'efficacia dell'impulso si ferma dove la cute risulta attaccata all'osso. Da lì incomincia la calvizie.

Nell'altra categoria, ho accertato l'immobilità totale del muscolo corrugatore, essendosi atrofizzato per la sua mancata utilizzazione.

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