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Agli eroici margari delle nostre valli.

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Academic year: 2022

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Testi: Flavio BORASO, Dario ARIELLO, Stefano GATTO.

Hanno collaborato alla realizzazione della guida: Donatella De Somma, Andrea Bonansea, Riccardo Prato, Paola Grossi, Cinzia Fumei, Riccardo Baldissera, Luigi Rolando, Paolo Berruto, Patrizia Vignetta, Mauro Bruno.

Fotografie: Stefano Gatto, Paolo Berruto, Carlo Altilia, Antonio Boscarato, Andrea Bonansea, Paolo Berardo, Corrado Tagliante, Riccardo Prato, Bartolomeo D’Alessandro, Katia Monnet.

Le fotografie delle schede di alpeggio sono state fornite in gran parte dai titolari dei caseifici di alpeggio citati in ogni singola scheda.

Alcune fotografie di prodotti tradizionali (formaggi) sono tratte dal sito www.piemonteagri.it.

Foto di copertina: Katia Monnet.

Redazione: Maria Dalla Vittoria, Cinzia Fumei, Luigi Pentenero.

Edizione 2020 - Proprietà ASL TO3 - Tutti i diritti riservati, riproducibile in parte o in toto previa autorizzazione.

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Quanto monotona sarebbe la faccia della Terra

senza le montagne.

Immanuel Kant

Agli eroici margari delle nostre valli.

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L’IMPORTANZA DELLA SICUREZZA SANITARIA

Nel territorio dell’Asl TO3 è presente il maggior numero di caseifici d’alpeggio registrati e riconosciuti in tutto il territorio piemontese: 72 caseifici su 259 (27 per cento). I siti di alpeggio sono 287, dove monticano ogni anno oltre 18 mila bovini e più di 36 mila ovini e caprini.

Sono numeri che danno l’idea di un mondo il più delle volte sconosciuto, nonostante rappresenti la radice delle nostre ancestrali tradizioni agricole, tuttora quanto mai presenti e vitali.

Questa Guida assolve al prezioso compito di accompagnare il lettore alla scoperta delle realtà malgare, non solo sul piano turistico, ma anche e soprattutto su quello culturale e sanitario.

È importante che la Sanità pubblica sappia accompagnare l’escursionista, aiutandolo a distinguere il grado di affidabilità e salubrità dei prodotti lattiero-caseari che incontrerà lungo il cammino. Dietro a ogni formaggio e ricotta d’alpeggio prodotti a regime di legge, c’è un complesso lavoro del sistema sanitario che garantisce il benessere degli animali e la qualità del cibo. Il Piemonte è ormai indenne da brucellosi ovina, caprina e bovina dal 2005, con riconoscimento formale da parte della Comunità Europea, e lo stesso vale per la tubercolosi bovina, due malattie che fino agli Anni Ottanta erano molto diffuse negli allevamenti, con numerosi casi di contagio anche nell’uomo.

Il merito non secondario di questa Guida ai Caseifici d’Alpeggio, per la quale vanno sentitamente ringraziati gli autori e la Direzione dell’Asl TO3, è di renderne tutti più piacevolmente consapevoli.

LUIGI GENESIO ICARDI

Assessore alla Sanità della Regione Piemonte

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PERCHÉ UNA GUIDA AI CASEIFICI DI ALPEGGIO?

Come ogni anno, ad inizio estate, consegniamo agli appassionati, agli amministratori, agli allevatori, ai produttori, questo nostro lavoro editoriale. Perché mai un’Azienda Sanitaria dovrebbe occuparsi di pubblicare una Guida ai Caseifici di Alpeggio ? Beh, la domanda è legittima di primo acchito … tanto più perché ormai siamo giunti alla sua quarta edizione.

Nell’immaginario collettivo, l’ASL si occupa di ospedali, di garantire il funzionamento degli ambulatori territoriali, della fornitura dei farmaci, o di altre questioni sanitarie e amministrative vicine alla pratica quotidiana.

I più, invece, non conoscono l’azione fondamentale dei servizi della prevenzione, in particolare di quelli rivolti alla sicurezza alimentare.

Se oggi in Piemonte si possono consumare prodotti sicuri, oltre che di ottima qualità, lo si deve anche alla politica regionale che molto ha investito negli anni nella tutela del consumatore e ai tecnici, medici e veterinari dei servizi pubblici, che operano nel nostro interesse, nell’interesse della nostra salute e tutto questo non limitandosi ad un approccio burocratico o sanzionatorio, ma aiutando il sistema produttivo a crescere in cultura e qualità.

La nostra ASL include, tra le altre, le Valli Susa, Sangone, Germanasca, Pellice e Chisone; ha un territorio prevalentemente montano (anche se la gran parte dei circa 600 mila abitanti popola le aree metropolitane) sul quale sono presenti tanti piccoli (coraggiosi) allevatori, che ancora oggi praticano la millenaria tradizione (a Roc del Col e Balm’ Chanto in Val Chisone le tracce risalgono al III secolo a.C.) della transumanza, un nomadismo nostrano che consiste nel condurre i loro capi stagionalmente verso i fioriti pascoli montani. Qui trascorreranno vivendo una dimensione arcaica, due, tre mesi da giugno a settembre.

Il nostro territorio conta quasi trecento siti di alpeggio in altura, settanta piccoli caseifici montani controllati dall’ASL… una delle realtà più importanti nella Regione Piemonte.

Una vita difficoltosa quella in alpeggio, che va sostenuta favorendo la crescita qualitativa delle loro produzioni (latte, burro e formaggio), insieme alla diffusione della conoscenza di questo grande patrimonio sociale e gastronomico (Toma, Plaisentif, Sarass del Fen, Cevrin…). Per loro significa soddisfazione personale e reddito, ma anche opportunità per poter restare in montagna e poter vivere dei suoi frutti, mantenerla nella sua integrità e non destinarla all’abbandono.

Allora, nei caldi giorni estivi, prendiamo uno zaino in spalla e mai come oggi, che il fenomeno COVID ci ha fatto riscoprire le vacanze ed i luoghi di prossimità, proviamo a percorrere i sentieri che vi abbiamo segnalato, fino ad arrivare lassù tra i verdi pascoli e accompagnati dal volo di un falco o di un’aquila in un silenzio interrotto solo dal fischio allarmato di una marmotta.

Avvicinatevi con rispetto a questo mondo antico e silenzioso. Dopo la naturale diffidenza nei primi attimi dell’incontro con chi vive lassù potrete scoprire il meglio della tradizione casearia artigianale piemontese, assistere a riti quasi ancestrali che rimandano al mondo del nomadismo primordiale godendo peraltro di paesaggi unici, quelli delle nostre montagne, le Alpi Cozie.

Un ben-essere, che sa diventare benessere nelle endorfine liberate dal cammino, dal piacere di respirare a pieni polmoni, ma anche nello scoprire produzioni artigianali qualificate e garantite dal punto di vista sanitario.

Con Dario Ariello e Stefano Gatto, Direttori delle Aree Veterinarie più vicine a queste realtà, abbiamo pensato a questa guida, proprio per rendere omaggio a quel mondo di margari epici che sanno difendere le tradizioni in un modo sano e ... a quanti, tecnici, medici, veterinari che con passione e serietà, anche salendo fin lassù, pensano alla nostra salute.

FLAVIO BORASO Direttore Generale ASL TO3

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INDICE

ALPEGGIO - UN PO’ DI STORIA pag. 7

L’ALPEGGIO AI GIORNI NOSTRI NELL’ASL TO3 pag. 8

SPECIE E RAZZE DEGLI ANIMALI CHE MONTICANO NEI NOSTRI ALPEGGI pag. 9

BOVINI pag. 9

RAZZE ITALIANE pag. 9

RAZZE ESTERE pag. 11

PICCOLI RUMINANTI pag. 13

CAPRINI pag. 13

OVINI pag. 14

SALUTE E BENESSERE DEGLI ANIMALI IN ALPEGGIO pag. 16 ALPEGGI E PRODOTTI LATTIERO CASEARI NELL’ASL TO3 pag. 18 FORMAGGI E PRODOTTI A BASE DI LATTE D’ALPEGGIO NELL’ASL TO3 pag. 20

I FORMAGGI pag. 20

LA RICOTTA pag. 25

I CONTROLLI IGIENICO - SANITARI DELL’ASL TO3 pag. 28

NOTE BIBLIOGRAFICHE pag. 31

LE VALLI DELL’ASL TO3 E I LORO CASEIFICI DI ALPEGGIO pag. 33

CASEIFICI D’ALPEGGIO DELLA VAL SUSA pag. 37

CASEIFICI D’ALPEGGIO DELLA VAL SANGONE pag. 111 CASEIFICI D’ALPEGGIO DELLA VAL PELLICE pag. 117 CASEIFICI D’ALPEGGIO DELLA VAL CHISONE pag. 147 CASEIFICI D’ALPEGGIO DELLA VAL GERMANASCA pag. 183

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ALPEGGIO - UN PO’ DI STORIA

I pascoli montani prima del 4.000 a.C. non erano ancora utilizzati dall’uomo del neolitico. Con la nascita dell’allevamento, le mandrie e le greggi iniziarono a salire ogni anno in montagna per sfruttare l’erba fresca seguendone la crescita nella buona stagione. Il bestiame era affidato ad appositi addetti, per consentire agli altri membri del villaggio di dedicarsi a valle ai lavori agricoli. Nacque l’alpeggio.

La storia di Ötzi, morto 3.300 anni fa, è una delle tante razzie d’alpeggio e ci fa capire come fare il pastore significò per molto tempo essere pronti a difendere in armi il bestiame dai razziatori e dai predatori(1).

Nel nostro territorio è da segnalare verso la fine del III millennio a.C. la comparsa in alta quota di ripari stagionali (ad esempio a Roc del Col e Balm’ Chanto in Val Chisone) che presuppongono l’allevamento con transumanza estiva verso i pascoli di altura e che possono essere considerati fra i più elevati siti archeologici d’Europa(2).

Tra la fine dell’Età del rame e l’Età del bronzo antico (2.200-1.600 a.C.) si accentuano i disboscamenti e

migliorano le tecniche casearie, ma il peggioramento climatico rallenta questi sviluppi. Nell’Età del ferro (iniziata verso il 900 a.C. e proseguita sino alla romanizzazione) appaiono costruzioni in pietra a secco e si perfezionano le tecniche casearie ormai vicine a quelle odierne(1).

In epoca romana gli alpeggi furono di proprietà imperiale o di grandi latifondisti. Nell’Alto Medioevo fecero parte del demanio regio e dei feudatari locali. Di fatto, come in età romana, le comunità rurali continuarono a gestire gli alpeggi in modo autonomo. Attraverso le donazioni alla Chiesa (iniziate in età longobarda e divenute più frequenti in quella carolingia) le grandi proprietà passarono in mano ai vescovi e ai potenti monasteri.

Tra il X e il XI secolo la proprietà degli alpeggi si trasferì dalle mani di monasteri e vescovi a quelle di potenti famiglie di vassalli e amministratori di beni ecclesiastici.

Nel XIII secolo, grazie al “riassorbimento” del ceto nobiliare locale nell’ambito di un’unica comunità territoriale, sorsero i comuni rurali. Essi, sia per via

“politica” sia attraverso acquisti, riuscirono ad assumere il possesso della maggior parte degli alpeggi, che da allora furono goduti senza distinzioni dalle famiglie “originarie”. Per reazione alle tendenze disgregatrici, i comuni non solo vietarono la presenza di bestiame forestiero sugli alpeggi e la cessione dei diritti di pascolo, ma limitarono anche i diritti di successione. La gelosa difesa dei propri alpeggi dai “forestieri” resterà nelle regole dei comuni sino al ‘900.

La pratica dell’alpeggio ha subito una crisi profonda a partire dal dopoguerra, con il boom economico industriale del nostro paese e l’attrazione per il posto di lavoro presso le grandi industrie.

Dopo cinquant’anni di disinteresse generale nei confronti di questa attività, oggi finalmente si inizia a prendere coscienza delle sue potenzialità positive.

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L’ALPEGGIO AI GIORNI NOSTRI NELL’ASL TO3

L’alpeggio è definito come l’attività zootecnica che si svolge in montagna nei mesi estivi. Nelle Alpi centrali ed orientali con il termine “malga” si definisce l’insieme dei fattori produttivi fissi e mobili in cui avviene l’attività di monticazione (fase della transumanza): terreni, fabbricati, attrezzature, animali, lavorazione del latte prodotto. In Piemonte si usa il termine generico di alpeggio; nel lessico comune il conduttore dell’alpeggio è definito

“margaro” (marghè) e non malgaro come nelle Alpi centrali e orientali.

Al giorno d’oggi l’alpeggio conserva una funzione economica, sociale e culturale rilevante.

In Piemonte il 43% del territorio è montano, con forte attitudine alla pratica della monticazione: sono censiti oltre 1000 alpeggi attivi, in cui monticano circa 100.000 bovini e 100.000 ovicaprini. Il territorio dell’ASL TO3, per oltre 3/4 montano, è caratterizzato dalla presenza di 287 siti d’alpeggio (128 alpeggi ospitano solo capi di specie bovina, 68 alpeggi ospitano solo capi di specie ovina e caprina e 2 solo equidi).

A questi si aggiungono 7 caseifici stanziali collocati oltre i 1.000 m s.l.m.

Generalmente la proprietà degli alpeggi in Piemonte è comunale o consortile, con una piccola parte di alpeggi di proprietà privata.

In linea di massima, il 50% degli alpeggi è di proprietà comunale, il 30% gestito da consorzi, il 20% è di proprietà privata.

Per tradizione, si tratta di sistemi agro – pastorali autosufficienti, che producono ancora oggi per la stagione di stabulazione invernale “scorte proprie”, i preziosi fieni di fondovalle e di pianura (con indiscutibili ricadute benefiche sul paesaggio grazie al mantenimento e alla cura dei prati) mentre d’estate ricorrono all’erba di pascolo allevando animali appartenenti a razze locali o rustiche particolarmente adatte al territorio (con ricadute positive sulla biodiversità animale).

Negli ultimi decenni abbiamo assistito negli alpeggi a due nuovi fenomeni. Da un lato si sono imposti modelli semi intensivi con razze cosmopolite (vacche da latte

specializzate), sistemi meno presenti nelle Alpi occidentali e che pur consentendo un aumento delle produzioni hanno generato problemi ambientali, abbandono di ambienti più marginali, perdita di biodiversità.

Dall’altro si è vista la formazione di grandi mandrie “da carne” con soggetti provenienti da diversi proprietari gestite secondo la cosiddetta

“linea vacca-vitello” (sistema orientato alla produzione di vitelli tenuti in allattamento naturale per tutta la stagione di alpeggio).

Purtroppo si è anche assistito a fenomeni di gravi forme di speculazione sempre più aggressive e nefande, che distruggono produzioni uniche e deteriorano la funzionalità delle superfici pastorali di quota (falsi affitti di alpeggi di grandi allevatori di bovini da carne per beneficiare di premi comunitari). È perciò fondamentale che il settore sposti l’ambito competitivo sulla peculiarità del prodotto (la qualità nutrizionale e nutraceutica) e del processo produttivo (fondamentale il ruolo eco- sistemico), sulla diversificazione e sulla capacità evocativa dei valori ambientali, storici e culturali del territorio(3).

La presente pubblicazione si pone anche questo obiettivo.

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SPECIE E RAZZE DEGLI ANIMALI CHE MONTICANO NEI NOSTRI ALPEGGI

Come già si accennava, nell’ASL TO3 sono presenti ben 287 alpeggi e 7 caseifici stanziali collocati oltre i 1.000 m s.l.m., distribuiti nelle quattro valli alpine principali del nostro territorio: Val Susa, Val Sangone, Val Chisone e Val Pellice.

Proviamo a conoscere meglio gli animali che spesso ci capita di incontrare nelle nostre passeggiate in montagna.

BOVINI

Nel 2016 sono monticati complessivamente 18.642 bovini, provenienti da allevamenti del nostro territorio e in misura minore da altri territori piemontesi (in particolare dalla provincia di Cuneo) o da altre regioni (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna); tutte le mandrie di provenienza sono ufficialmente accreditate per tubercolosi, brucellosi e leucosi bovina enzootica; il trend del numero di capi in alpeggio è stabile negli ultimi 10 anni.

Nei nostri alpeggi si trovano bovini appartenenti a numerose razze, di origine sia italiana sia estera, nonché meticci delle varie razze. Alcuni allevatori hanno mandrie costituite da bovini di una sola razza, allevata in purezza, mentre altri allevano capi di razze diverse: di seguito si elencano in estrema sintesi, le principali razze bovine che si possono incontrare sui pascoli alpini dell’ASL TO3(4, 5).

R

AZZE ITALIANE

1. Tra le razze da latte più rappresentate nei nostri alpeggi vi è la Razza Sprinzen Pustertaler, chiamata dai nostri allevatori “Barà”, che in dialetto piemontese significa “barrata” per la tipica colorazione del mantello, che presenta una linea bianca caratteristica sul dorso, dal collo alla base della coda; le macchie di colore sul fondo bianco hanno diversa dimensione: da molto piccole, la cosiddetta “fiurinà”, a macchie più grandi; il colore può essere, più frequentemente, nero, oppure rosso castano di diverse sfumature. È una razza bovina italiana proveniente dal Trentino Alto Adige (Val Pusteria) ed è particolarmente diffusa anche nel Piemonte occidentale; è molto apprezzata dai nostri margari per la sua equilibrata duplice peculiarità; il latte prodotto ha buona attitudine alla caseificazione e la conformazione dei vitelli è discreta. Attualmente la popolazione di bovini Barà-Pustertaler in Piemonte è di circa 2.500 capi, distribuiti nelle province di Cuneo e soprattutto Torino, con particolare diffusione nelle nostre valli.

2. La Razza Piemontese è molto diffusa nei nostri alpeggi, anche se, trattandosi di una razza prevalentemente da carne, almeno nel nostro territorio raramente viene utilizzata per la produzione di latte da caseificio quanto piuttosto per allevare i vitelli, secondo il sistema di allevamento “vacca-vitello”. Alcuni allevatori, soprattutto in provincia di Cuneo, utilizzano il latte con ottimi risultati, chiaramente con produzioni unitarie di latte più contenute: formaggi quali il Castelmagno, il Bra, il Raschera e molte delle tome provenienti dalle vallate piemontesi sono prodotti con il latte ottenuto da vacche di razza Piemontese.

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È la razza bovina da carne più diffusa in Italia. Ha mantello fromentino chiaro, sfumato verso il bianco. Nei tori vi sono zone di grigio sul collo, sulle spalle, sulle cosce e sulle parti distali degli arti; il vitello giovane presenta un tipico colore fromentino carico. La carne prodotta è di ottima qualità e la resa alla macellazione molto elevata.

3. La Razza Valdostana è la razza autoctona tipica della Valle d’Aosta; sulla base delle caratteristiche morfologiche, del mantello e dell’attitudine produttiva prevalente si distinguono la Valdostana Pezzata Rossa, più diffusa, la Valdostana Pezzata Nera e la Castana, spesso protagonista delle battaglie delle Reine, per il suo carattere combattivo. È una razza a duplice attitudine, con prevalenza per il latte; è molto robusta e adatta all'ambiente dell'alpeggio.

4. La Razza Grigio Alpina è allevata soprattutto nella parte centrale dell'Arco Alpino, in particolare in Trentino Alto Adige e in Veneto; il colore del mantello è chiaro argentato, con sfumature più scure intorno agli occhi, sul collo, sulla spalla e sui fianchi; i tori sono più scuri. È una razza a duplice attitudine, con prevalenza per il latte, con ottima adattabilità alle condizioni più difficili di pascolamento, con buone produzioni di latte; è abbastanza diffusa nei nostri alpeggi.

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5. La Razza Bruna Italiana è il ceppo italiano della Bruna, che è una delle razze da latte più importanti del mondo; è molto diffusa negli alpeggi di Lombardia, Veneto e nel Piemonte orientale, molto meno nei nostri territori. Il mantello è di colore uniforme, bruno con intensità variabile dal sorcino al castano; il vitello è grigio nei primi mesi di vita; nel toro il mantello è più scuro. Ha ottime produzioni di latte, con buona attitudine casearia e discreta attitudine alla produzione di carne.

R

AZZE

E

STERE

1. La Razza Montbéliarde è una razza da latte allevata principalmente nelle regioni sud-orientali della Francia; il mantello è di colore pezzato rosso scuro con parti ventrali e arti generalmente bianchi. È abbastanza diffusa nei nostri alpeggi per la sua buona attitudine alla produzione di latte.

2. La Razza Abondance è originaria dell’Alta Savoia, in Francia; come la Valdostana, per la sua robustezza è particolarmente adatta alle condizioni di allevamento in montagna; il colore del mantello è quasi completamente rosso, tendente al rosso scuro, con estremità degli arti e regione ventrale bianchi. È considerata razza a duplice attitudine, con prevalenza per il latte.

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3. La Razza Simmental Austriaca appartiene al gruppo di razze Pezzate Rosse. Il mantello è pezzato rosso tendente al chiaro, con arti e regione ventrale bianchi. La selezione è indirizzata alla produzione di latte, ma si tratta di una razza a duplice attitudine, con produzione di carne discreta; la razza è abbastanza ben rappresentata anche nei nostri alpeggi.

4. La Razza Savoiarda o Tarina è una razza originata dalla razza francese Tarentaise, un tempo abbastanza diffusa in provincia di Torino e in particolare in Val di Susa, dove è ancora presente anche se con un numero limitato di capi; il colore del mantello è fromentino carico, quasi fulvo; la taglia è medio piccola, ma se ne apprezza la notevole rusticità, longevità e attitudine al pascolo e la discreta attitudine alla produzione di latte.

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PICCOLI RUMINANTI

Nel 2016 sono monticati negli alpeggi dell’ASL TO3 complessivamente 36.731 ovini e caprini, tutti provenienti da allevamenti ufficialmente accreditati per brucellosi; il trend degli ultimi 10 anni fa rilevare una lieve riduzione.

Anche le razze allevate sono varie; di seguito si elencano le più diffuse.

C

APRINI

1. La Razza Camosciata delle Alpi è originaria della Svizzera, ma è diffusa in molti paesi europei ed extra europei. In Italia è allevata nelle regioni dell'arco alpino, soprattutto in Piemonte e in Trentino Alto Adige; il nome deriva dalla somiglianza del suo mantello con quello del camoscio; non particolarmente esigente nell'alimentazione, robusta e forte, si adatta alle situazioni più diverse. È un’ottima produttrice di latte. Il mantello è fulvo, di varie tonalità, spesso con caratteristica riga scura sul dorso, la cosiddetta “riga mulina”.

2. La Razza Alpina Comune è la popolazione caprina più diffusa in tutto l’arco alpino e in Piemonte in particolare. Presenta una grande variabilità di taglia, di caratteri morfologici (mantello uniforme o pezzato, colore del pelo vario, bianco, nero, marrone, orecchie di forma e portamento vario) e di attitudini produttive; i diversi tipi di mantello fino a ieri considerati, erroneamente, frutto di incroci costituiscono oggi il serbatoio della variabilità genetica di cui tanto si parla. La riduzione numerica di questa popolazione, con la sostituzione da parte di altre razze locali o peggio con razze internazionali selezionate, costituirebbe una gravissima perdita.

La maggior parte delle capre comuni allevate nell’arco alpino è per lo più assimilabile al ceppo cosiddetto

"Alpino"; sono animali rustici e ben adattati all’ambiente montano; la produzione di latte è variabile, spesso miscelata con altri latti per la trasformazione in prodotti tipici.

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3. La Capra Grigia delle Valli di Lanzo o Fiurinà è una popolazione caprina con caratteristiche peculiari, allevata in un’area circoscritta della provincia di Torino, di consistenza numerica molto ridotta, distribuita in piccoli nuclei in una cinquantina di allevamenti, principalmente delle Valli di Lanzo, del Canavese e della Val di Susa; la taglia medio-piccola della Fiurinà, inferiore rispetto alle altre razze alpine (Alpina Comune, Camosciata), ne giustifica i minori fabbisogni e la buona capacità di pascolamento in ambienti difficili. La caratteristica esteriore più evidente è la colorazione del mantello, da cui il nome locale Fiurinà (“screziata”), bruno o bruno-rossiccio con striature sul dorso e macchie di peli di color grigio, bianco-grigio, nero o beige, miscelati nelle diverse tonalità; viene allevata principalmente per la produzione di latte. La razza ha ottenuto il riconoscimento da parte della Commissione Europea e fin dal 2010 è stata inserita tra le razze autoctone a rischio di estinzione.

O

VINI

1. La Razza Biellese è una razza ovina italiana, originaria del territorio biellese, a prevalente attitudine alla produzione di carne, quindi per la produzione di agnelli, anche se non è del tutto trascurabile la produzione di latte. È allevata soprattutto in Piemonte, in particolare nelle province di Vercelli, Torino e Cuneo. Si caratterizza per la taglia molto grande, la testa priva di corna in entrambi i sessi, le orecchie lunghe e pendenti; il vello è di colore bianco. È sicuramente la razza più allevata dai pastori delle nostre zone.

2. La Tacola, chiamata anche nelle nostre zone Bertuna, non è propriamente una razza a se stante, ma piuttosto una variazione fenotipica della razza Biellese, caratterizzata da padiglioni auricolari di dimensioni ridotte; è presente in tutto il Piemonte. Ha attitudine alla produzione di carne e notevoli doti di rusticità, che consentono un ottimo adattamento alle difficili condizioni ambientali della montagna. Il vello è bianco.

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3. La Razza Frabosana, conosciuta anche come Roaschina, è una razza ovina originaria della provincia di Cuneo, diffusa nella nostra ASL soprattutto in Val Pellice; è di media taglia, la testa presenta caratteristiche corna appiattite e ricurve in entrambi i sessi, avvolte a spirale nei maschi e rivolte all'indietro nelle femmine.

Il vello è di colore bianco-paglierino o marrone molto chiaro.

L’attitudine prevalente della razza è la produzione di latte, che viene in genere miscelato a latte vaccino per la preparazione di formaggi tipici come "Raschera" e "Castelmagno" nella provincia di Cuneo, "toma" e

"seirass del fen" nella provincia di Torino. Razza dotata di notevole rusticità, la Frabosana si adatta molto bene all’ambiente montano.

4. La Razza Savoiarda è un’antica razza ovina di montagna, detta anche “razza di Cuorgné”. È considerata a duplice attitudine, latte e carne. Oggi si trovano poche decine di pecore e qualche ariete, detenuti principalmente nelle Val di Susa, Pellice, Chisone e Lanzo, tutte della provincia di Torino. È di taglia media, le corna generalmente robuste e avvolte a spirale nei maschi e più piccole o assenti nelle femmine; tipiche le macchie nere intorno agli occhi ed il muso nero macchiato di bianco. Il vello è di colore bianco sporco.

Montone di razza Tacola. Pecore e agnello di razza Tacola.

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SALUTE E BENESSERE DEGLI ANIMALI IN ALPEGGIO

Quando beviamo una tazza di latte, gustiamo una fetta di formaggio o una succulenta bistecca, forse non immaginiamo il grande lavoro che i tecnici, i medici della prevenzione e i veterinari pubblici hanno già svolto per garantire la nostra sicurezza. Sicurezza che passa attraverso il controllo degli ambienti di allevamento e produzione, le modalità della stessa e la salute dei capi allevati.

È anche un concetto consolidato e sempre più diffuso tra gli addetti ai lavori, che lo stato sanitario e il benessere degli animali condizionano in modo determinante la salubrità e le caratteristiche organolettiche dei loro prodotti, siano essi il latte o la carne.

Gli animali quindi danno il loro “meglio”, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, quando sono allevati in buone condizioni di benessere e sono il più possibile esenti da malattie, infettive o metaboliche.

Le condizioni di detenzione degli animali in alpeggio sono generalmente ideali per il loro benessere, visto che passano gran parte della giornata liberi sui pascoli; le praterie alpine inoltre sono costituite da una grande varietà di essenze vegetali spontanee, ricche di principi nutritivi che danno al latte e ai formaggi prodotti in alpeggio caratteristiche uniche e di grande pregio.

Lo stato di salute degli animali che praticano l’alpeggio nel nostro territorio si attesta su ottimi livelli di sicurezza, in seguito all’attuazione ormai pluriennale dei piani obbligatori di profilassi sanitaria, che hanno conseguito in Piemonte importanti risultati.

I piani obbligatori di profilassi

La bonifica sanitaria degli allevamenti a tutela della salute umana e animale è stata introdotta nei Paesi più evoluti nella seconda metà del ‘900 al fine di eradicare malattie importanti come la tubercolosi bovina e la brucellosi o febbre maltese, che oltre a provocare danni ingenti al patrimonio zootecnico erano frequente causa di malattia nell’uomo, spesso ad andamento cronico e invalidante per le persone colpite.

In Piemonte a inizio degli anni ’80 le due malattie erano molto diffuse e di conseguenza anche i casi di malattia, soprattutto di brucellosi, nell’uomo erano assai frequenti.

Il lavoro paziente ma molto determinato dei veterinari delle Strutture di Sanità Animale delle ASL, a volte ostacolato dagli allevatori meno evoluti, ha consentito di ottenere l’importante obiettivo dell’eradicazione delle due malattie dal nostro territorio:

- la Regione Piemonte è ormai indenne da Brucellosi ovina e caprina dal 2005 con riconoscimento formale da parte della Comunità Europea;

- anche la Brucellosi bovina – BRC è stata debellata in tutto il Piemonte: fin dal 2005 il germe responsabile della malattia è assente dai nostri allevamenti; anche per questa malattia abbiamo il riconoscimento comunitario di “territorio indenne”;

- dall’inizio del piano di risanamento ad oggi, si è assistito ad una progressiva diminuzione dei casi di Tubercolosi bovina - TBC, malattia molto diffusa nella nostra regione negli anni ‘80; oggi la sua presenza è ormai sporadica e l’intero territorio regionale, comprese le province a più intensa vocazione zootecnica, è stato dichiarato indenne dalla malattia; questo è stato il coronamento di un processo che ha richiesto un grande dispendio di energie da parte della veterinaria pubblica. La tubercolosi bovina è infatti una malattia trasmissibile all’uomo, le cui caratteristiche di persistenza e cronicità rendono il processo di eradicazione lungo e insidioso e richiedono l’applicazione di misure severe e costanti nel tempo. Si tratta di un risultato molto importante, che, oltre ad assicurare le necessarie garanzie di sicurezza alimentare, consente ora di dedicare le risorse disponibili ad altri traguardi, per migliorare ancora lo stato di salute del patrimonio bovino regionale;

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- in Piemonte è stata eliminata dagli allevamenti anche la Leucosi bovina enzootica - LBE, malattia tumorale del bovino non trasmissibile all’uomo, che era particolarmente diffusa negli allevamenti bovini di razze da latte (razza Frisona) anche delle nostre zone di pianura; nel 2005 la Regione Piemonte è stata dichiarata “territorio indenne”.

Il lavoro dei veterinari di Sanità Animale non può certo considerarsi concluso, perché nella lotta alle malattie infettive le possibilità di intervento sono pressoché illimitate, compatibilmente con le risorse disponibili e le priorità che le norme di legge stabiliscono. In quest’ambito bisogna tenere conto che più malattie si eliminano (o comunque si tengono sotto controllo sanitario) e maggiormente ne beneficia lo stato di salute e di benessere degli animali, con riduzione del consumo di farmaci negli allevamenti e ricaduta favorevole sulla sicurezza alimentare delle produzioni animali e quindi sul consumatore.

I piani volontari di profilassi

Negli ultimi anni, eliminate le malattie sottoposte a piani obbligatori, sono stati avviati da parte dei servizi veterinari nuovi piani di controllo di altre malattie infettive, che pur non essendo trasmissibili all’uomo, causano gravi danni agli animali d’allevamento e al reddito degli allevatori coinvolti. Si tratta di interventi, inizialmente a carattere volontario, che quando raggiungono una percentuale elevata di adesioni vengono obbligatoriamente estesi all’intero territorio.

Si sta quindi lavorando, in stretta collaborazione con gli allevatori e i veterinari libero-professionisti degli allevamenti, per eliminare anche queste malattie:

 Rinotracheite infettiva del bovino – IBR: è una malattia causata da un virus che si manifesta con sintomi respiratori, aborti, diminuzione della fertilità e calo delle produzioni. Il piano piemontese è iniziato nel 2003 e nella nostra ASL sta conseguendo risultati di rilievo: a fine 2016 il 100% degli allevamenti da riproduzione risulta aderente al piano e già il 77% degli allevamenti è esente dalla malattia, con ricadute favorevoli per allevatori e consumatori;

 Paratubercolosi bovina: è una malattia batterica cronica che in molti paesi a zootecnia avanzata è sottoposta a programmi di controllo; inoltre alcuni Paesi Terzi, quali Cina e India, per importare prodotti lattiero caseari, richiedono garanzie supplementari per questa malattia. La Regione Piemonte a febbraio 2014 ha varato il piano regionale. Nella nostra ASL, grazie alla campagna di sensibilizzazione degli allevatori da parte dei veterinari dell’Area di Sanità Animale, hanno già aderito al piano 216 allevamenti da riproduzione, pari al 16,5% degli allevamenti presenti, dato che ci colloca al primo posto tra le ASL piemontesi;

 BVD – MD: il complesso Diarrea virale del bovino - Malattia delle mucose è un’infezione virale del bovino piuttosto diffusa negli allevamenti intensivi. Il piano di controllo interessa nella nostra ASL 173 allevamenti.

I controlli di Sanità Animale in alpeggio

La maggior parte dei controlli sanitari sugli animali (prove della tubercolina e prelievi di sangue per diagnosticare le altre malattie) viene svolta presso le sedi invernali degli allevamenti, ma anche quando gli allevamenti si trovano in alpeggio vengono effettuati numerosi interventi veterinari. La Struttura di Sanità Animale organizza e svolge le attività di controllo per verificare il buono stato di salute degli animali in alpeggio e degli animali selvatici, che nel periodo estivo vivono in stretto contatto. I veterinari rilasciano i certificati sanitari per gli animali e aggiornano le banche dati informatizzate per la tracciabilità, eseguono verifiche a campione sull’identità degli animali in alpeggio, effettuano esami diagnostici e indagini su richiesta degli allevatori (compravendita di capi, animali morti, predazioni da canidi, ecc.).

Il Servizio Veterinario ha quindi un ruolo centrale nella sorveglianza sugli alpeggi, che sovente viene svolta in collaborazione con altri organi di vigilanza, come i Carabinieri Forestali, il personale dei Parchi, la Polizia Municipale dei Comuni di montagna, il Consorzio Forestale Alta Valle Susa, il personale ARPEA (Agenzia Regionale Piemontese per le Erogazioni in Agricoltura).

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ALPEGGI E PRODOTTI LATTIERO CASEARI NELL’ASL TO3

Nell’arco alpino ci sono circa 1170 aziende di allevamento in alpeggio che trasformano il latte, con prodotti tipici e rinomati conosciuti in tutto il territorio nazionale. Fra le regioni, il Piemonte è al secondo posto con ben 259 alpeggi autorizzati alla produzione di prodotti a base di latte(6).

Sino al 1995, per una serie di motivazioni, gli alpeggi autorizzati a trasformare il latte e a commercializzare i prodotti lattiero caseari nel territorio dell’ASL TO3 erano pochissimi e si contavano sulle dita di una mano, nonostante in Piemonte la tradizione abbia garantito la produzione di numerosi formaggi d’alpeggio (impossibile citarli tutti) anche di eccezione come il Bettelmatt (il re dei formaggi di alpeggio piemontesi, della Val d’Ossola), formaggi DOP e innumerevoli altre produzioni (Castelmagno, Raschera, Brà, Toma, Toma del Lait Brusc, Maccagno, Nostrale, Ossolano, Sola, Plaisentif ecc.).

DISTRIBUZIONE DELLE AZIENDE DI ALLEVAMENTO DI ALPEGGIO CHE TRASFORMANO IL LATTE NELL’ARCO ALPINO ITALIANO.

Teli di estrazione della cagliata dopo il lavaggio ad asciugare.

Il telo di estrazione in piemontese si dice

“rairola”.

Dove c’è una “rairola” fanno il formaggio!

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A partire dal 1996, per il mancato ritiro del latte nelle zone montane (prezzo del latte non più remunerativo) e grazie ad un nuovo assetto normativo, all’attenzione di amministrazioni locali e non, all’evento olimpico ed al maggior interesse da parte del consumatore verso prodotti tipici, di nicchia, considerati più genuini, nonchè grazie all’impegno di tutte le istituzioni locali e regionali (Comuni, ex Province, Comunità Montane, Regione, Autorità Sanitaria Competente – ASL) si è assistito a un notevole incremento di questo tipo di attività.

In particolare il territorio dell’ASL TO3 si caratterizza oggi per il maggior numero di alpeggi che caseificano di tutto il Piemonte (79 caseifici su 259 in totale, regolarmente autorizzati, ove si producono prodotti lattiero caseari).

In tutto l’arco alpino sono censite ufficialmente 1165 aziende di allevamento in alpeggio, autorizzate alla produzione di prodotti lattiero caseari:

Valle d’Aosta 203 aziende di alpeggio autorizzate (342 strutture) Piemonte 253 aziende di alpeggio autorizzate

Lombardia 371 aziende di alpeggio autorizzate Veneto 100 aziende di alpeggio autorizzate Trentino 98 aziende di alpeggio autorizzate Friuli Venezia Giulia 51 aziende di alpeggio autorizzate Alto Adige 83 aziende di alpeggio autorizzate

In Piemonte è presente il 22% del totale dei caseifici d’alpeggio che trasformano latte dell’arco alpino;

nell’ASLTO3 è presente il 28% dei caseifici che trasformano latte di tutto il Piemonte.

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FORMAGGI E PRODOTTI A BASE DI LATTE D’ALPEGGIO NELL’ASL TO3

La trasformazione del latte in prodotti lattiero caseari, in particolare quella che si effettua nei caseifici artigianali di azienda agricola, comprende una notevole varietà di prodotti raggruppabili nelle seguenti categorie:

 FORMAGGI

 RICOTTA

 BURRO

 YOGURT E LATTI FERMENTATI

 GELATI/DESSERT/BUDINI

 LATTE ALIMENTARE

Di seguito sono riportate alcune informazioni su formaggi, burro e ricotta: i classici prodotti di alpeggio.

I FORMAGGI

I formaggi rappresentato la tipologia di maggior produzione; generalmente in alpeggio si producono formaggi al “latte crudo”: il latte non viene pastorizzato o “bollito” prima della successiva lavorazione.

Le origini della trasformazione casearia si perdono nella notte dei tempi; antichi documenti riferiscono della domesticazione di animali lattiferi e dell’uso del latte da essi prodotto nella Valle del Tigri e dell’Eufrate, nella regione conosciuta oggi come Iraq, nel 7000 a.C.(7) Si narra che la fabbricazione del primo formaggio sia da attribuire a mercanti arabi che avevano l’abitudine di trasportare il latte nello stomaco di animali. Un giorno uno di loro si accorse che il latte, contenuto nello stomaco di pecora, si era separato con la formazione di parti bianche solide e di liquido a causa delle secrezioni contenute nello stomaco(8). Nacque il cacio, l’antesignano di tutti formaggi. In tal modo l’uomo scoprì la possibilità di accantonare riserve alimentari e di dar vita col passare del tempo ad una industria casearia. Secondo una leggenda greca (Odissea, Omero), mentre la capra “Amaltea” allattava Giove, nascosto alle ire del padre Saturno, il centauro Chirone salvò una parte del latte del nobile animale, che somministrò al divino rampollo dopo averlo fatto coagulare. Giove, buongustaio anche in fasce, trovò quel cibo così appetitoso che da allora in poi non volle più cibarsi di latte, ma solo di τιρος (“formaggio” per i greci).

Il formaggio venne definito dal Congresso Internazionale di Ginevra del 1908 per la repressione delle frodi alimentari come “il prodotto della maturazione della cagliata che si ha dalla coagulazione presamica o acida del latte (o della crema) che non abbia subito alcuna aggiunta di sostanze se non fermenti, sale, spezie che entrano normalmente nella fabbricazione dei formaggi”.

In pratica il latte subisce la stessa trasformazione fisico-chimica che avviene nello stomaco dei lattanti, che per digerire fanno i “tomini”. Infatti il latte caglia quando viene a contatto con gli enzimi dello stomaco: da qui il nome di “caglio” o “presame” (ottenuto dallo stomaco di ruminanti lattanti) che viene aggiunto al latte al fine di ottenere la coagulazione delle proteine per esitare in formaggio.

In breve, e riassumendo, il formaggio viene prodotto secondo il seguente schema(9):

1) MATURAZIONE DEL LATTE 2) COAGULAZIONE (formazione del coagulo dopo aggiunta di caglio o presame) 3) ROTTURA DEL COAGULO 4) ESTRAZIONE DELLA CAGLIATA

5) MESSA IN FASCERA 6) PRESSATURA E SALATURA (a secco o in salamoia) 7) STAGIONATURA

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MATURAZIONE DEL LATTE: normalmente nei nostri alpeggi si lavora il latte una volta al giorno; dopo la mungitura il latte viene raffreddato, per essere poi aggiunto al latte della munta successiva.

Prima dell’aggiunta del caglio (36 – 37 gradi), di solito il latte è lasciato a maturare a temperatura ambiente. Si rafforza così la flora batterica lattica, utile al buon andamento della caseificazione.

COAGULAZIONE: il latte viene riscaldato a temperatura di coagulazione (36 - 37 gradi centigradi) e viene aggiunto il caglio: liquido, in polvere (il caglio naturale è rappresentato dal contenuto della stomaco di vitelli, agnelli o capretti lattanti). Tradizionalmente per i formaggi di latte vaccino piemontesi (tome) si utilizza caglio di vitello (pellette). Le caseine del latte coagulano e formano la cosiddetta cagliata (gel semisolido), più consistente rispetto alla parte liquida (siero) che rimarrà dopo l’estrazione.

ROTTURA DEL COAGULO: con azione meccanica il gel viene rotto: è la rottura del coagulo, che favorisce lo spurgo del siero. Si utilizzano per questa operazione dei particolari utensili denominati “spini”. Il coagulo viene rotto più o meno finemente, a seconda del formaggio che si vuole produrre. In alcuni casi la cagliata appena formata viene sottoposta ad ulteriore riscaldamento prima dell’estrazione.

ESTRAZIONE DELLA CAGLIATA: dopo aver rotto il coagulo alla dimensione desiderata (da un grano di riso ad una noce) in relazione al prodotto che si vuole ottenere, la cagliata viene estratta, di solito con l’utilizzo di apposite tele, denominate in piemontese “rairole”. Con questa operazione si favorisce lo spurgo vero e proprio.

Cagliata nel telo di estrazione e primo spurgo.

Latte in caldaia lasciato maturare prima del riscaldamento e dell’aggiunta del caglio.

Spino di acciaio moderno per la rottura della cagliata.

Spino in legno tradizionale.

Estrazione della cagliata.

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MESSA IN FASCERA: la cagliata nella quantità desiderata viene messa in forma in fascera. Continua lo spurgo del siero. Il formaggio inizia a prendere forma. Le fascere sono bucherellate e consentono sotto pressatura, la fuoriuscita di tutto il siero residuo.

PRESSATURA E SALATURA: le forme di formaggio vengono sottoposte a forte pressatura in appositi torchi per favorire il completo spurgo e definire la forma definitiva del formaggio. La salatura può avvenire a secco o in salamoia.

Le innumerevoli e infinite possibili variazioni del procedimento sopra descritto, a partire dalla materia prima del latte utilizzato sino alle diverse tipologie di stagionatura e affinamento, danno origine alla miriade di formaggi che conosciamo: tipo di latte (vacca, pecora, capra, bufala, misto ecc.) maturazione del latte, tipo di caglio utilizzato, aggiunta di fermenti o innesti, diversa rottura della cagliata, eventuale riscaldamento o cottura della stessa, spurgo più o meno spinto, erborinatura (inoculo con specifici migro-organismi come per il gorgonzola o i “bleu”) salatura a secco o in salamoia, tipi di stagionatura ecc.

Nel Piemonte occidentale, in alpeggio, si è sempre prodotto per tradizione un formaggio che conosciamo col nome “Toma d’Alpeggio” denominata in svariati modi quali “toma di …” seguito dalla località di produzione a nomi più specifici, registrati da consorzi locali quali ad esempio il “Plaisentif”. Alcuni di questi formaggi hanno un disciplinare che ne regolamenta la produzione.

La toma di alpeggio è inserita nell’elenco nazionale dei “Prodotti Agroalimentari Tradizionali” in cui per le nostre zone risultano riportati altri formaggi prodotti solo in alpeggio o anche in alpeggio.

Messa in fascera (messa in forma della cagliata).

Salatura a secco. Stagionatura.

Pressatura delle forme.

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I PAT – Prodotti Agricoli Tradizionali

I Prodotti Agricoli Tradizionali sono quelli le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo e di cui è accertato che le regole tradizionali siano protratte nel tempo per un periodo non inferiore a venticinque anni.

Negli elenchi regionali ufficiali devono essere riportati per ogni prodotto:

a) il nome del prodotto;

b) le caratteristiche del prodotto e le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidate nel tempo in base agli usi locali, uniformi e costanti, anche raccolti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio;

c) materiali e attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione, il condizionamento o l’imballaggio dei prodotti;

d) descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura.

Sono previste possibili deroghe rispetto ai comuni prodotti del mercato relativamente a materiali o procedure, in particolare per quanto attiene la necessità di preservare la flora specifica.

Nell’elenco dei “prodotti agroalimentari tradizionali” del Piemonte, sezione “formaggi”, sono descritti alcuni formaggi d’alpeggio delle vallate dell’ASL TO3(10) di cui si riporta testualmente la descrizione.

Toma d’Alpeggio - Formaggio al latte crudo vaccino intero o parzialmente scremato a pasta molle o semidura e di media stagionatura (è descritto come tradizionale dei territori montani della Provincia di Torino). La forma è cilindrica a facce piane e scalzo leggermente arrotondato. La crosta è liscia, di colore giallo paglierino oppure leggermente ocra. La pasta è di colore giallo paglierino con occhiatura minuta, poco abbondante e ben diffusa, abbastanza morbida come struttura. Il sapore è dolce, di latte nelle più giovani, abbastanza intenso e alcune volte più sapido in quelle stagionate.

Toma del Lait Brusc o Bianca Alpina - Prodotta non solo in alpeggio nella zona della Val Susa, tipica della stagione estiva ma non ad alta quota. Nacque all’esigenza di non sprecare il latte della mungitura serale che con la calura estiva e la mancanza di frigoriferi diventava

acido (brusc) nel corso della notte. È un formaggio a latte crudo vaccino, normalmente parzialmente scremato e di media-lunga stagionatura, con forma cilindrica a facce piane con scalzo diritto. Pesa da 3 a 6 kg, crosta liscia o leggermente irregolare, di colore grigio o leggermente aranciato, tendente a diventare più intenso con l’avanzare della stagionatura. Pasta consistente, gessosa e friabile, senza occhiatura, di colore variabile da bianco avorio al leggermente paglierino.

Cevrin di Coazze - Formaggio tipico di Coazze, è prodotto con latte misto di capra e vacca, da caglio liquido di vitello. La produzione del Cevrin avviene esclusivamente nel periodo di pascolamento, da marzo a novembre. Dovrebbe stagionare almeno tre mesi. L’altezza dello scalzo è di 10 cm e il diametro delle facce va dai 15 ai 18 cm, con un peso che varia da 0,8 a 1,5 kg.

Murianengo o Moncenisio - È un formaggio erborinato grasso o semigrasso che deve il suo nome alla Val Moriana, una vallata in Savoia ubicata nella parte francese del Moncenisio, dove si produce un formaggio analogo. Praticamente non è più rintracciabile, se non in rarissimi casi, e può essere prodotto durante il periodo della monticazione in alta Val Susa, negli alpeggi dell’altopiano del Moncenisio. Come per altri formaggi erborinati, si ottiene forando le forme, dopo circa 20 giorni di stagionatura, con grossi aghi d’acciaio, per inoculare e quindi consentire lo sviluppo di muffe del genere Penicillium.

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Formaggio a Crosta Rossa - Formaggio grasso, prodotto con latte intero, vaccino, crudo o pastorizzato, a pasta molle, di rapida o breve stagionatura. La forma è cilindrica, regolare, a facce rotonde e piane, mentre lo scalzo è arrotondato e ha un’altezza di 3-5 cm. Il peso medio è di circa mezzo kg. I profumi e i gusti sono delicati e ricordano sia il latte fresco sia gli aromi della crema di latte di montagna. Non è solo di alpeggio ed è una copia di un tipico formaggio francese di cui non è possibile utilizzarne la denominazione perché protetto da AOC (Appellation d’Origine Controlee) francese.

Il Plaisentif

Un esempio particolare di riscoperta di antiche tradizioni, seguendo un percorso culturale che ha collegato storia, tradizione, territorio, turismo e promuovendo con uno specifico disciplinare un’uniformità di prodotto marchiato e con specifiche garanzie, è il “Plaisentif”. Grazie ad un’intuizione dell’allora Sindaco di Perosa Argentina, Giovanni Laurenti (2002) ed al recupero di documenti storici, è stato riproposto il prodotto caseario tipico dell’alta Val Chisone e dell’alta Valle Susa citato nel testo

“Cenni sui rapporti commerciali tra Delfinato e Piemonte” (secolo XIV e XVI) seguendo le indicazioni tecniche e la redazione di uno specifico disciplinare del Consorzio, redatto con la collaborazione tecnica dell’Istituto Lattiero Caseario di Moretta (Guido Tallone).

Chiamato anche “formaggio delle viole” perché prodotto esclusivamente nel periodo della fioritura degli alti pascoli tra giugno e luglio, si denomina “Plaisentif” il formaggio di latte crudo intero vaccino prodotto esclusivamente con latte di alpeggio. Il latte da cui deriva il formaggio “Plaisentif”, deve essere prodotto negli alpeggi, ad una altitudine minima di 1.800 m, nei comuni dell’alta Val Chisone (Fenestrelle, Usseaux, Pragelato, Roure e Perosa Argentina) e nei comuni dell’alta Valle Susa (Cesana Torinese, Exilles, Oulx, Salbertrand, Sauze di Cesana, Sauze d’Oulx, Sestriere).

L’altezza dello scalzo varia da 6 a 8 cm ed il diametro da 20 a 22 cm; il peso medio a fine stagionatura da 1,8 a 2,3 kg. La trasformazione in formaggio “Plaisentif” può

avvenire nei comuni sopra elencati ad una quota non inferiore a 1.400 m. Il periodo utile per la produzione varia tra giugno e luglio e non deve superare la data ultima del 20 luglio; la maturazione minima del formaggio è di 70 gg.

A seguito del controllo organolettico della produzione, se rispettate le regole del disciplinare, il formaggio è marchiato a fuoco con lo specifico logo identificativo e non può essere commercializzato prima della terza domenica di settembre(11).

Il Plaisentif non è compreso fra i PAT – Prodotti Agricoli Tradizionali, ma è un prodotto a marchio registrato, con un suo specifico disciplinare.

Un altro esempio di denominazione particolare data ad un formaggio è il “Dahü” (“dahü” e “dahü d’alpeggio”) che viene prodotto sia in bassa valle sia negli alpeggi, nato da un progetto della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca per accomunare con un prodotto tipico i produttori delle valli.

È un formaggio prodotto con latte intero lavorato a crudo, di vacche alimentate con foraggi locali senza l’utilizzo di insilati, stagionato almeno due mesi.

Il nome “Dahü” deriva da quello di un animale mitologico presente in molte leggende della tradizione orale(12), simile ad un camoscio ma con la particolarità di avere due zampe più corte, per poter pascolare

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Raccolta dei fiocchi di ricotta con mestolo forato.

senza fatica intorno alle cime dei monti. Da qui nasce l’idea di creare un formaggio dall’inconsueta forma volutamente “inclinata” a ricordare appunto il “Dahü”.

Generalmente tutti i formaggi d’alpeggio sopra descritti hanno caratteristiche comuni molto simili alla toma d’alpeggio (PAT) perché prodotti normalmente con latte crudo e tecniche similari. La variabilità dei prodotti a latte crudo è dovuta a innumerevoli fattori (tipo di pascolo, temperatura del giorno, periodo d’alpeggio, maturazione del latte, minime variazioni tecnologiche di lavorazione, salatura, pressatura, tipologia dei locali di maturazione, ecc.) tali da rendere uniche tutte le produzioni giornaliere. Ciò rappresenta il pregio di questo tipo di lavorazioni, a scapito della standardizzazione.

Per completezza, ecco una breve descrizione di due altri formaggi inseriti fra i PAT e prodotti nel territorio ASL TO3 ma non di alpeggio: il “Montegranero” e il “Tomino del Talucco”.

Il Montegranero è prodotto con latte crudo ed intero di vacca, a pasta semicotta e pressata, di media - lunga stagionatura. La forma è cilindrica, regolare, a facce piane raccordate allo scalzo mediante spigolo vivo. Il peso varia dai 6 ai 10 kg. La crosta è dura e liscia, di intenso colore paglierino o marroncino. La pasta è compatta, di colore paglierino intenso, completamente chiusa o con una occhiatura media ben diffusa e poco presente. Il sapore caratteristico è piuttosto forte, con retrogusto amaro simile alla nocciola. Si produce in alta Val Pellice presso alcuni produttori prima della monticazione, con il latte della prima erba pascolata dopo la stabulazione invernale.

Il Tomino del Talucco non è di alpeggio ed è un formaggio a latte vaccino e caprino o in purezza di latte di capra che deriva da un processo di caseificazione simile ai cacioricotta; è prodotto con latte crudo sottoposto ad un trattamento termico più elevato di una normale pastorizzazione, recuperando una parte di sieroproteine con caratteristiche organolettiche particolari. Ha forma cilindrica a facce piane e scalzo dritto, con peso di 80 - 100 g nella tipologia fresco e da 50 a 80 g nelle tipologie stagionato e in composta.

LA RICOTTA

La ricotta è uno dei più antichi, pregiati, unici e validi prodotti della trasformazione del latte. Ha origini remote ed era conosciuta dai Greci e dai Romani (il nome deriva dalla parola latina recotus, cioè cotto due volte) e citata da poeti, letterati e scrittori (Virgilio e più tardi Boccaccio)(7).

Il termine “ricotta” trae origine dal fatto che le proteine del latte, che ne sono uno dei principali costituenti insieme al grasso, subiscono un doppio riscaldamento: il primo in caldaia per la produzione del formaggio, il secondo quando si riscalda il siero residuo per produrre

appunto la ricotta. Molto nota è la ricotta prodotta con il latte di pecora; viene detta di pecora, di vacca, di bufala a seconda del latte di derivazione, ma assume altri nomi a seconda delle diverse modalità produttive. Ricotta Romana e Ricotta Gentile sono le più note ricotte di pecora prodotte in Italia.

In quasi tutti gli alpeggi viene prodotta una ricotta fresca, classica, da latte di vacca o misto ed in qualche caso di pura pecora. In Piemonte la ricotta, detta anche “seiras”

(dal latino “serum”), ha una tradizione che risale al Medioevo ed ha una tecnologia ben definita, sia per i tipi salati sia per quelli dolci(7).

Nella lavorazione tradizionale, la ricotta si ottiene dal siero dolce dopo l’estrazione della cagliata (formaggio) che viene riscaldato ad una temperatura da un minimo di 80 ad

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un massimo di 90 gradi secondo l’acidità di partenza e gli usi locali. Al siero può essere aggiunta, per migliorarne la resa e la qualità, una percentuale di latte intero (5-25%); il latte si aggiunge quando il siero raggiunge la temperatura di circa 60 – 70° C.

Quando il riscaldamento è vicino a quello finale, alcuni aggiungono “l’agra” (siero acido di lavorazioni precedenti o una soluzione diluita di acido citrico o aceto di vino). Alcuni casari impiegavano come coagulante anche il “sale amaro” (solfato di magnesio o “Sal di Canale”), oggi proibito dalla legislazione vigente. Alla temperatura finale le siero-proteine precipitano, coagulando in una massa di tenue consistenza che tende ad affiorare. Sospendendo il riscaldamento, il coagulo affiora e si consolida e si inizia la raccolta della ricotta con un mestolo forato, mettendola in fascelle di plastica forellate o in alcuni casi in apposite tele. Nel primo caso viene venduta come fresca e nel secondo caso viene lasciata in forma nelle tele, per produrre successivamente seirass del fen o seirass stagionato.

Nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), alla tipologia “prodotti di origine animale” (miele e prodotti lattiero caseari di vario tipo, escluso il burro) categoria “I”, sono riportati quattro prodotti tradizionali che originano dalla ricotta (la ricotta non è un formaggio in quanto non derivante direttamente da coagulazione presamica): il “Brus da Ricotta”, il “Seirass del Fen”, il “Seirass del Siero di Ricotta” e il

“Seirass Stagionato”. Le tre tipologie più importanti prodotte nell’ASL TO3 sono il “Seirass del Fen”, il “Seirass di Siero di Pecora” e il “Seirass Stagionato”.

IL SARAS DEL FEN O SEIRASS DEL FEN: è il più famoso tipo di ricotta a breve/media stagionatura prodotto nel territorio dell’ASL TO3.

L’area di produzione comprende varie zone e in particolar modo la Val Chisone, la Val Susa e la Val Pellice, ma è in quest’ultima che ha avuto una maggiore diffusione. Inserito nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, si presenta alla vendita avvolto in fieno di montagna (generi Festuca) che anche essiccato mantiene un vivace colore verde. La forma è genericamente tonda; può presentarsi con una o due parti più schiacciate per effetto della stagionatura sugli assi.

Pesa da 700 g a 3 kg. I fiocchi di ricotta vengono raccolti in una schiumarola e messi in un telo (rairola) che viene appeso a scolare in un ambiente fresco e ventilato per circa 12 ore; si effettua poi una legatura più stretta per completare lo spurgo per altre 10/12 ore; si sala superficialmente a mano e si copre il prodotto con il fieno. Dopo pochi giorni il prodotto fresco viene venduto, mentre quello stagionato viene venduto dopo 25/30 giorni.

I produttori sono quasi tutti nella Val Pellice, dove si può trovare anche un saras del fen solo di pecora.

Il Seirass Stagionato e il Seirass di Siero di Pecora hanno una lavorazione simile al Saras del Fen, con la variante di essere stagionati senza l’utilizzo del fieno, a volte con l’utilizzo di erbe aromatiche per il Seirass Stagionato; il Seirass di Siero di Pecora è prodotto esclusivamente con siero di latte di pecora.

Saras messo in forma nelle tele (rairole).

Saras prima di essere avvolto da fieno.

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IL BURRO DI MONTAGNA

Inserito in un apposito capitolo dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) il Burro di Montagna è un burro a pasta fine, con struttura compatta ed omogenea, di media consistenza, di sapore dolce, di lieve odore aromatico e di colore paglierino chiaro. Solitamente si presenta con pezzatura elevata (0,5 – 1 kg).

La crema viene separata dal latte o dal siero mediante centrifugazione o per affioramento naturale, lasciando riposare il latte in bacinelle o vasche dalle 12 alle 48 ore. Essa viene poi sottoposta a zangolatura, processo (a 8-10° C per 45 minuti circa) grazie al quale si ha una inversione delle fasi: da emulsione di grasso nell’acqua, quale è la crema, si passa ad una emulsione di acqua nel grasso, con comparsa di grani di burro e liberazione della parte liquida (latticello).

La massa grassa viene quindi sottoposta al lavaggio con acqua, per sostituire il latticello inglobato dalla massa grassa e quindi i residui fermentescibili che ridurrebbero sensibilmente la conservabilità del prodotto con l’acqua. Il burro viene quindi impastato, sottoposto a formatura e confezionato in panetti di diversa pezzatura; tutte queste operazioni vengono generalmente effettuate manualmente.

Si utilizza panna ottenuta per affioramento naturale o per centrifugazione non sottoposta a trattamento termico. Può essere utilizzata panna ottenuta dalla scrematura del siero.

Storica scrematrice a

centrifuga tradizionale. Panetti di burro finiti.

Scrematura del siero.

Crema

Siero

Zangola in legno

Scrematrice

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I CONTROLLI IGIENICO - SANITARI DELL’ ASL TO3

Tutti gli animali che alpeggiano sono oggetto di specifici controlli. Il personale della Struttura di Sanità Animale svolge un’attività continuativa in tal senso su tutto il patrimonio zootecnico: possono monticare solo animali sani non affetti da patologie infettive. Il territorio piemontese, grazie al paziente e duro lavoro di bonifica sanitaria degli allevamenti, è indenne dalle più temibili malattie ormai eliminate.

La monticazione può avvenire solo dopo il rispetto di procedure che certificano la sanità degli animali che si recano in alpeggio, sia a tutela della salute delle altre mandrie e greggi sia a tutela della salute pubblica.

Oggi è possibile consentire la produzione di formaggi al latte crudo (eccellenze organolettiche) solo grazie alla certezza e alla certificazione sanitaria degli animali produttori.

Per poter produrre il latte in alpeggio, trasformarlo in prodotti a base di latte e commercializzarli sia al consumatore finale sia ad ulteriori rivenditori, i titolari o i conduttori degli alpeggi devono essere in possesso di una specifica “autorizzazione”. L’attuale normativa comunitaria e nazionale in tema di sicurezza alimentare e relativi controlli, denominata “pacchetto igiene”, prevede due tipi di atti autorizzativi, che non sono più denominati come in passato “autorizzazione sanitaria”, ma secondo la nuova normativa 1) riconoscimento ufficiale dell’impianto o 2) registrazione ufficiale dell’impianto.

Nel primo caso, dopo un’istruttoria di verifica da parte dell’ASL, viene rilasciato un apposito “numero di riconoscimento” da parte della Regione Piemonte, in seguito a parere favorevole della stessa ASL (corrispondente alla vecchia denominazione di bollino CEE). Tale livello autorizzativo consente la commercializzazione dei prodotti di trasformazione in alpeggio su tutto il territorio nazionale (ed anche europeo), sia a dettaglianti rivenditori sia a grossisti, senza limitazioni se non il rispetto delle normali norme di conservazione, stagionatura, vendita ecc.

Nel secondo caso, su istanza del produttore è assegnato un “numero di registrazione” (normalmente il protocollo della domanda presentata al SUAP) a livello di ASL, con successivo inserimento in appositi elenchi regionali. Tale livello autorizzativo consente la commercializzazione del prodotto sia sul posto al consumatore finale sia ad altri dettaglianti (o punti di ristorazione collettiva) solo nell’ambito della provincia e delle province contermini a dove viene esercitata l’attività.

Senza essere in possesso di uno dei due livelli autorizzativi sopra descritti, la produzione e la commercializzazione di prodotti a base di latte in alpeggio è illecita e soggetta a sanzioni.

L’importanza di acquistare prodotti lattiero caseari fabbricati solo in impianti registrati o riconosciuti è fondamentale, perché solo in questo caso è garantita la legalità della produzione. È evidente che gli impianti ufficialmente registrati o riconosciuti sono oggetto di controllo da parte delle Autorità Competenti incaricate di far rispettare la normativa igienico sanitaria ed esercitare i “controlli ufficiali” previsti.

Questa guida si pone come primo obiettivo di consentire al consumatore di verificare la provenienza dei prodotti che acquista, allo stesso tempo tutelando i produttori che per poter mantenere attivo il livello autorizzativo devono garantire il rispetto di specifiche misure di igiene e sanità. Si deve assolutamente diffidare di un prodotto del quale non si conosce la provenienza, tanto più se venduto in condizioni non

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ideali, come spesso accade di vedere lungo le strade. Personale del Dipartimento di Prevenzione (Servizio Veterinario Igiene Alimenti di Origine Animale “Area B” e Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione) verifica in fase distributiva al dettaglio (dal piccolo spaccio alla Grande Distribuzione Organizzata) e all’ingrosso, la regolare commercializzazione dei prodotti lattiero caseari, ma possono sfuggire punti di vendita anonimi ed itineranti o l’offerta a domicilio di prodotti alimentari, di cui si deve sempre diffidare se non regolarmente etichettati.

Tutti gli alpeggi regolarmente abilitati a produrre sono riportati in questa guida nelle schede redatte per ogni alpeggio con esplicitato il livello autorizzativo.

A partire dal 1996 le competenze relative al controllo ufficiale della produzione e commercializzazione dei prodotti lattiero caseari sono assegnate ai servizi veterinari delle ASL.

I servizi veterinari, in particolare nell’ASL TO3, hanno svolto un importantissimo lavoro di formazione ed informazione su produttori e margari, per far emergere il sommerso che negli anni ‘90 era la norma, sanzionando, dopo i primi anni di informazione, i produttori clandestini che non si sono adeguati strutturalmente ed igienicamente e non hanno richiesto regolare “autorizzazione”.

Il risultato è stato molto soddisfacente: nel territorio dell’ASL TO3 è presente il maggior numero di caseifici d’alpeggio registrati e riconosciuti di tutto il territorio piemontese: 79 caseifici su 259 (27%), ovviamente anche grazie alla peculiarità territoriale, con vaste aree montane.

La Struttura Igiene degli Allevamenti e Produzioni Zootecniche dell’ASL TO3 ha un team di personale veterinario e tecnico specializzato nel settore della trasformazione lattiero casearia, che ruotando con il restante personale per garantire l’imparzialità delle verifiche, effettua il controllo ufficiale anche nei caseifici di alpeggio, secondo una specifica programmazione annuale e secondo la programmazione regionale.

Il rapporto con i produttori è continuativo e caratterizzato da un atteggiamento collaborativo ed educativo, anche se a volte, nei pochi casi i cui è strettamente necessario, quando non è garantito il rispetto delle norme igienico sanitarie minime previste dalla normativa sono applicate sanzioni.

Tutti i titolari sono in possesso di un piano di autocontrollo che prevede l’effettuazione di specifiche analisi sui parametri di igiene del latte crudo e sui prodotti lattiero caseari. Tutte le strutture di caseificazione in alpeggio vengono sottoposte

a controllo ufficiale, con frequenza d’intervento programmata a seguito di valutazione del rischio e/o da piani regionali specifici, con la finalità di tutelare la salute dei consumatori, ma sempre salvaguardando alcune produzioni tipiche e tradizionali.

Il controllo è finalizzato sia alla verifica delle condizioni strutturali ed igienico sanitarie dei locali produttivi sia alla verifica della qualità igienica e delle caratteristiche dei prodotti a base di latte ottenuti.

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