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Introduzione S. E. Mons. Francesco Montenegro, presidente Caritas Italiana

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UNA STORIA DI PROSSIMITÀ

Rapporto dell’intervento Caritas in Molise, Puglia e Sicilia dopo i terremoti del 2002 Conferenza stampa di presentazione – Roma, 6 dicembre 2005

Introduzione

S. E. Mons. Francesco Montenegro, presidente Caritas Italiana

«Sentinella della silenziosa quiete del transitare dell'ultimo Dio».

Così Heidegger definisce l’uomo. Un uomo che – come Elia sull’Oreb – nel mormorio del vento riconosce il volto del Signore e nel silenzio fa spazio all'ascolto di questo brivido, di questo passaggio, che è la ferita di Dio nella nostra vita. Così il silenzio è in qualche modo il grembo dell'avvento di Dio, dove si fa silenzio perché storditi e stupiti dalle ferite della morte e del dolore.

Ferite come quelle inferte tra ottobre e novembre del 2002 dall’eruzione dell’Etna, dalle scosse sismiche in Sicilia e soprattutto dal terremoto che colpì Puglia e Molise, lasciando 27 bambini ed una maestra sotto le macerie della scuola di San Giuliano.

Tragedie che hanno sconvolto il quotidiano, sono diventate occasione concreta per interrogarsi sulla fragilità della vita e sul suo valore. Ma anche motivo per non dimenticare che la terra è di Dio, pur se posta nelle mani dell’uomo perché la governi (cf. Gn.1,28). Un forte richiamo alle nostre responsabilità nell’attuazione del progetto di Dio e una richiesta di perdono per quelli che i Vescovi italiani hanno definito «i danni e i guasti che la nostra civiltà ha prodotto nel cuore del creato ».

In questo contesto di emergenza nazionale si è articolata l’azione pastorale della Caritas Italiana e di molte Caritas diocesane, che – in accordo con le chiese particolari – hanno avviato un impegnativo programma di ricostruzione. Una paziente e costante presenza accanto alle persone e alle comunità colpite, nel sostegno immediato e nell’accompagnamento lungo il cammino verso il nuovo giorno della ricostruzione materiale, morale e sociale. Per sostituire la diffidenza con la fiducia, favorendo il riappropriarsi della pratica e degli spazi di partecipazione.

Se è innegabile che il maggior valore di questa forma di testimonianza evangelica della carità sta nella vicinanza umana giorno dopo giorno, è altrettanto vero che sono necessari anche servizi concreti, che passano attraverso progetti e strutture. L'esperienza insegna che le situazioni di emergenza amplificano il disagio sociale. Soprattutto nel medio e lungo termine la situazione delle cosiddette fasce deboli, quali anziani, minori, malati, emarginati, diviene sempre più precaria. Ecco il perché della pronta mobilitazione, con l’allestimento di Centri di ascolto e coordinamento, l’attenzione a queste situazioni, interventi prolungati nel tempo, il coinvolgimento della comunità, la gara di generosità. La risposta solidale è infatti stata esemplare in termini economici e di risorse umane. Si è trattato poi di trovare un giusto equilibrio tra il fare presto e il fare bene ed equamente. Anche e soprattutto dopo che i riflettori si sono spenti.

Di tutto questo parlano le pagine di questo volume. Dai dati, dai progetti, dagli schemi e dalle cronache qui riportate mi piacerebbe che – accanto ai doverosi rendiconti e ringraziamenti – al lettore restasse in estrema sintesi nella memoria una storia di prossimità e accoglienza di una Chiesa capace di testimoniare l’amore per l’uomo. Una Chiesa che non intende fare l’infermiera e la barelliera della storia, che porta il pronto soccorso e poi va via, ma una Chiesa che offre il suo servizio come il sale che è immerso nell’acqua, come il lievito che diventa una sola cosa con la farina e la fermenta. Una Chiesa che non ha vergogna di piangere sulla città, perché sente sua la sofferenza e il dolore di chi è colpito da una sciagura

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o disgrazia, che non è preoccupata solo di dare risposte – anche perché non sempre ha risposte da dare – ma che si mette accanto agli altri e chiede loro cosa hanno da dire e da offrire per affrontare insieme il problema. Che ha, perciò, un piede fermo sull'esperienza di fede e l'altro tra le macerie delle case, accettando il rischio di sprofondare per tirare fuori chi sta soffocando.

Una Chiesa che sa cogliere il lucignolo fumigante, che si accosta senza scandalizzarsi alla manchevolezza e alla fragilità umana, perché riconosce in essa la piccola traccia di Dio che è presente in ogni persona e in ogni situazione anche drammatica. Una Chiesa che ha nella carità la sua carta costituzionale e che, anche nel dolore, è epifania dell'amore di Dio.

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