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CAPITOLO 1

L’EVOLUZIONE NORMATIVA DEL SERVIZIO PUBBLICO

LOCALE: UNO STUDIO

1.1 Concetto di servizio pubblico

L’approvazione degli articoli 14 D. L 269/2003 ed art. 4, comma 234, L 350/2003 ha

modificato il portato degli art. 113 e 113 bis del Testo unico degli Enti Locali,

riformando nuovamente la disciplina dei servizi pubblici locali. Il servizio pubblico si

colloca al confine tra il pubblico e il privato, in una sorta di zona grigia i cui limiti

mutano costantemente nel tempo sia per trasformazioni socio-economiche, sia per il

riassetto dei compiti dello Stato, sia per l’evoluzione tecnico-scientifica o per

l’insorgere di nuovi bisogni cui i cittadini ritengono che i pubblici poteri debbano

dare soddisfazione1. In via generale, il concetto di servizio pubblico evoca l’idea di

un compito di interesse generale da realizzare, al quale si preponga un soggetto

pubblico che ne curi, direttamente o attraverso altri, l’esecuzione. La nozione di

servizio pubblico è legata alla natura del bisogno che l’attività produttiva tende a

soddisfare. In tal modo si possono considerare pubbliche tutte le attività finalizzate al

soddisfacimento di bisogni pubblici.

Un servizio pubblico si distingue per le caratteristiche di socialità ed equità che esso

manifesta, in funzione della possibilità che di tale prestazione possano beneficiare

1

Il legislatore non ha mai fornito una nozione espressa di servizio pubblico capace di resistere al mutare delle condizioni sopra illustrate e, conseguentemente la dottrina non ha avuto a disposizione precisi e univoci termini di riferimento su cui fondare la proprie ricostruzioni teoriche.

(2)

tutti i componenti della collettività.

Il servizio può essere definito pubblico quando si estrinseca in un’attività economica

che ha ad oggetto la produzione di beni e di servizi diretti a soddisfare le esigenze

della collettività. Lo stesso può essere apprestato sia da aziende pubbliche che da

aziende private purché siano orientate in via prioritaria alla tutela dell’interesse

generale. Il carattere di servizio pubblico non dipende quindi dalla veste giuridica

(privata o pubblica) assunta dall’azienda, ma dal fatto che soddisfa bisogni collettivi.

L’importanza della funzione esercitata dai servizi in un contesto economico moderno

è strettamente avvinta alla possibilità che questi soddisfino in maniera immediata dei

bisogni, e che ne soddisfino altri in maniera indiretta consentendo la produzione e/o il

consumo dei beni.

Lo sviluppo sociale è contrassegnato da un processo dinamico per il quale il pieno

soddisfacimento di un bisogno provocato dal perfezionamento di un servizio

determina la nascita di un nuovo bisogno elementare e dunque la domanda di un

nuovo servizio.

All’interno della complessa categoria dell’ideale binomio bisogno/servizi si possono

distinguere, in prima approssimazione i bisogni/servizi individuali dai bisogni/servizi

collettivi.

I bisogni/servizi collettivi (pubblici) si caratterizzano principalmente per l’ampiezza

della loro diffusione non solo tra le singole persone, ma anche tra gli agenti

economici appartenenti ai vari sottosistemi della società. Questi ultimi rivestono da

sempre una funzione primaria nel processo di sviluppo economico e di crescita

(3)

dalla letteratura delle discipline economiche, giuridiche, ed economico-aziendali, per

circoscriverne e descrivere il significato di servizio. Però, piuttosto che racchiudere in

un’espressione un concetto ampio e complesso si è ritenuto più interessante

puntualizzare le caratteristiche che meglio ne definiscono i contenuti. In particolare si

parla di:

1. servizi a larga diffusione e con omogeneità di soluzioni funzionali;

2. servizi di pubblica utilità (funzionali in maniera estesa all’intera comunità);

3. servizi di base atti a consentire un elementare livello di civiltà e un

fondamentale standard di esistenza sia ai singoli utenti, sia alle loro organizzate

comunità;

4. servizi che mirano a soddisfare bisogni collettivi essenziali, largamente

avvertiti da ampi strati della popolazione.

Questo elenco rappresenta solo uno tra i numerosi tentativi di delineare i contorni di

un concetto mutabile perché variabile nei suoi contenuti e nelle sue forme; infatti, a

riguardo, si è assegnato l’attributo di < aperto >2 all’insieme ideale degli elementi che

ne costituiscono l’aggregato. Viste queste considerazioni un servizio può essere

pubblico in un determinato istante perché considerato di pubblica utilità, può non

esserlo più nell’istante successivo se cambia il contesto socio-economico: dunque

non esistono servizi pubblici in senso assoluto, ma attività che in un determinato

contesto socio economico prestano caratteristiche di utilità pubblica.

2

(4)

In questa prospettiva possiamo individuare due approcci: un primo approccio3

considera servizi pubblici i servizi che rivestono un’utilità ed un interesse ritenuti

collettivi, in maniera indipendente dalle forme di gestione adottate e dalla natura del

soggetto economico, pubblico o privato. Il secondo approccio4 colloca nella categoria

dei servizi pubblici i servizi la cui responsabilità funzionale sia attribuita allo Stato o

ad altri enti pubblici, indipendentemente dalle concrete modalità attraverso le quali i

servizi stessi vengono gestiti (forma pubblica o privata).

Ritornando indietro nel tempo, nella prima fase dell’elaborazione della teoria del

servizio pubblico, grande attenzione era stata posta sulla natura pubblica del soggetto

erogatore. In base a questa impostazione, gli elementi che permettevano di

individuare il servizio pubblico erano: l’imputabilità diretta (o indiretta tramite

concessionari) dell’attività allo stato o ad altro ente pubblico (elemento soggettivo) e

la destinazione a favore di cittadini amministrati (elemento teleologico). Tutte le

figure di servizi pubblici venivano così ricondotte nella sfera dell’attività sociale

dell’amministrazione. L’unico tratto che caratterizzava il pubblico servizio era

l’assunzione che ne faceva il pubblico potere. Per tale visione aveva decisivo rilievo

la pertinenza della prestazione erogata all’attività svolta dalla Pubblica

Amministrazione, la quale si faceva carico di fornire un’utilità, valutata in sede

3

Luca Anselmi, Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali,Milano, Giuffrè, 2005.

Questo approccio attribuisce connotati di servizio pubblico ad ogni attività che risulti essenziale per il benessere della collettività organizzata e sfugge da argomentazioni che non siano quelle desumibili dall’incessante variare dei contesti culturali, socio politici, economici e tecnologici nei quali di volta in volta si manifestano e si modificano i bisogni degli individui e dei gruppi sociali.

4

Luca Anselmi, Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali,Milano, Giuffrè, 2005.

Il secondo approccio qualifica, invece come pubblico ogni bene o servizio la cui responsabilità funzionale sia attribuita alla mano pubblica, ponendo, in altri termini la distinzione più che sulla natura intrinseca dei servizi, sulla natura del soggetto a cui è demandata la responsabilità del soddisfacimento di una determinata area di bisogno della collettività.

(5)

legislativa (o anche amministrativa) come necessaria per la collettività. La P. A.,

valutato un servizio come di utilità generale, assumeva il compito di gestirlo

direttamente o tramite privati, ma sempre sotto il controllo pubblicistico.

L’emanazione della legge n. 103 del 29 marzo 1903 sulla municipalizzazione dei

servizi pubblici, valse a suscitare i primi dubbi sulla fondatezza della concezione

soggettiva del servizio pubblico. All’art. 1 di tale legge infatti si disponeva che i

Comuni potessero assumere “l’impianto e l’esercizio diretto” dei servizi pubblici

relativi ad una serie di attività assai eterogenee che venivano specificatamente

elencate5. A tale elenco si riconobbe valore esemplificativo e non tassativo, così che

si poteva desumere l’esistenza di altri servizi diversi da quelli elencati, ma restava

indecifrabile il criterio per individuarli. Poi, anche a causa della crisi finanziaria del

1929, con il progressivo passaggio di attività dal settore privato a quello pubblico,

soprattutto credito e risparmio, ma anche nei servizi meno remunerativi come, ad

esempio, il trasporto urbano, entra in crisi definitivamente la teoria soggettiva del

servizio pubblico. Infatti, alla base delle nazionalizzazioni vi era l’idea che alcune

attività fossero comunque di utilità sociale a prescindere dal fatto che le esercitasse

un soggetto pubblico. L’espressione di “pubblico” andava quindi riferita non all’ente

che assumeva il servizio, ma a quella parte della collettività che si riteneva come

specifica destinataria del servizio medesimo.

5

1) costituzione di acquedotti, fontane e distribuzioni di acqua potabile; 2) impianto ed esercizio dell’illuminazione pubblica e privata; 3) costituzione di fognature ed utilizzazione delle materie fertilizzanti; 4) costituzione ed esercizio di tramvie, a trazione animale o meccanica; 5) costituzione ed esercizio di reti telefoniche nel territorio comunale; 6) impianto ed esercizio di farmacie ; 7) nettezza pubblica e sgombro di immondizie dalla case, 8) costituzione ed esercizio di stabilimenti per la macellazione; 9) costituzione ed esercizio di mercati pubblici; 10) impianto ed esercizio di omnibus, automobili e di ogni altro simile mezzo, diretto a provvedere alle pubbliche comunicazioni; 11) produzione e distribuzione di forza motrice idraulica ed elettrica e costruzioni degli impianti relativi; 12) essiccatoi di granturco e relativi depositi ecc.

(6)

Un nuovo concetto di servizio pubblico locale appare nella legge 142/90, laddove,

all’art. 22 confluito nell’art 112 dell’attuale Testo Unico degli enti locali (D. Lgs.

267/2000), si precisa che gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze,

provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di

beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e

civile delle comunità locali6. Dobbiamo evidenziare che nella legge 142/ 90 confluita

nel vigente T.U. degli enti locali, l’assunzione dei servizi pubblici è rimessa ad

autonome valutazioni dei Comuni e delle Province in relazione ai differenti contesti

economici, sociali e territoriali. Comunque si deve trattare di un attività incidente in

via diretta sulla comunità, ovvero rispondente ad esigenze essenziali o diffuse di una

determinata collettività locale.

Da un punto di vista economico-sociale, i servizi erogati dall’ente locale possono

essere distinti in tre categorie:

1. servizi a domanda individuale che sono erogati a coloro che ne fanno richiesta

mediante il pagamento di un specifico corrispettivo, e non alla generalità della

popolazione7;

2. servizi di carattere produttivo, come la gestione delle farmacie, la distribuzione

del gas metano e il trasporto urbano che presentano un marcato carattere

imprenditoriale.

3. servizi istituzionali sono quelli previsti dalla legge.

Con il decreto ministeriale 2 maggio 1993 è stata introdotta la classe dei servizi

6

Pertanto il legislatore non fornice una vera e propria definizione di servizio pubblico, ma si limita ad indicare l’oggetto.

7

Sono 19 le categorie dei servizi elencate dal Decreto Ministeriale il 31 dicembre 1983, che devono essere considerati a domanda individuale.

(7)

indispensabili, ossia necessari a tutta la comunità amministrativa8.

L’attività caratteristica dell’ente locale si articola in quattro tipologie di servizi

pubblici locali dalle quali si desume che esso può gestire non solo quelli che hanno

per oggetto la produzione di beni, ma anche tutte quelle attività economiche rivolte a

realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità.

In questo modo l’ente può assumere partecipazioni in aziende che gestiscono teatri,

stadi, aeroporti, che realizzano strutture e servizi fioristici, etc.

Negli ultimi tempi è emersa l’esigenza di orientare la gestione degli enti locali verso

logiche manageriali maggiormente rivolte alla soddisfazione delle esigenze del

cittadino/utente, mediante l’apprestamento di servizi pubblici qualitativamente

migliori con il contemporaneo raggiungimento e mantenimento nel tempo delle

condizioni di economicità complessiva9. Ecco allora il passaggio dal concetto

tradizionale di servizio pubblico della legislazione nazionale a quello di servizio di

interesse generale e di servizio universale del diritto comunitario.

La categoria dei servizi di interesse generale comprende servizi sia di interesse

economico che non economico; questa distinzione deriva dalla definizione di

<<servizi di interesse economico generale>> usata nel trattato dell’Unione Europea;

riguarda servizi di mercato e non di mercato che le Autorità pubbliche considerano di

interesse generale e assoggettano ad obblighi di servizio pubblico.

Il servizio pubblico è un concetto più ampio rispetto a quello di servizio di interesse

generale: il servizio pubblico, in alcuni casi, si riferisce al fatto che è un servizio

8

Facendo riferimento ai Comuni sono servizi indispensabili quelli connessi: agli organi istituzionali, con la giustizia, istruzione primaria e secondaria, alla distribuzione dell’acqua potabile, di fognatura e di depurazione, di nettezza urbana, di viabilità e di illuminazione pubblica, polizia locale ecc.

9

(8)

offerto alla collettività; in altri, che ha finalità di interesse pubblico; in altri ancora, si

riferisce alla proprietà pubblica o allo status giuridico dell’ente.

Sul servizio di interesse generale la normativa comunitaria include un insieme di

elementi comuni che riguarda i seguenti obblighi:

- universalità;

- continuità ( comporta che il soggetto erogatore è obbligato a garantire la fornitura

del servizio senza interruzioni);

- qualità del servizio (è diventato un requisito fondamentale nella regolamentazione

dei servizi di interesse generale);

- accessibilità ( impone che un servizio di interesse economico generale sia offerto ad

un prezzo sostenibile in modo che sia usufruibile da tutti);

- tutela degli utenti ( include la buona qualità del servizio, la sicurezza fisica e la

protezione sanitaria, la trasparenza, la libertà di scelta del servizio e del fornitore, la

possibilità di ricorso, la scelta delle modalità di pagamento,la partecipazione attiva di

rappresentanti di utenti alla valutazione del servizio).

Il concetto di servizio universale10 ha requisiti e modalità di erogazione definite: deve

essere messo a disposizione di tutti gli utenti, ovunque sul territorio essi risiedano, al

livello qualitativo prestabilito e a un prezzo accessibile. Il servizio universale è una

sottospecie di servizio pubblico, che risponde alle medesime esigenze sociali di

10

Per la prima volta la nozione di servizio universale è emersa nel rapporto del 1992 della Commissione europea sul settore delle telecomunicazioni con riferimento alle attività gestite in rete, e comprendeva in sé la garanzia di un livello minimo di servizio da assicurare a tutti i potenziali utenti. In seguito tale concetto appare nella dottrina comunitaria; nel 1993 per la ristrutturazione dell’industria europea delle telecomunicazioni e nel 1997 per il processo di ristrutturazione dei servizi postali.

La Direttiva 97/33/CE del 30 giugno del 1997 definisce il servizio universale come un insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni specifiche nazionali, ad un prezzo abbordabile.

(9)

uguaglianza, di continuità e di accessibilità; questa nozione è stata riferita ai servizi

gestiti in rete, ma è estendibile a tutti. Il concetto di servizio universale è:

- dinamico nel tempo in relazione all’evoluzione delle esigenze collettive;

- flessibile perché si adatta alle differenti circostanze nazionali e regionali e alle

diverse strutture di mercato;

- coerente con il principio della sussidiarietà.

La definizione che la legislazione italiana dà al servizio pubblico è abbastanza ampia

(art 112 TUEL), però il d. l. n. 269 del 30 settembre del 2003, convertito poi in l. n.

326 del 24 novembre 2004, e la legge finanziaria 2004 (l. n. 350 del 24 dicembre

2003) sostituiscono le categorie dei sevizi a rilevanza economica e non, a quelle dei

servizi di rilevanza industriale e non. Non si tratta solo di una diversa definizione

terminologica o scientifica poiché cambia la normativa che entra in campo e le due

categorie sostituite non coincidono, ne sono di equivalente ampiezza11: in sintesi

cambiano le modalità di gestione che sono diversificate per tipologie di servizi

pubblici locali12.

1. 2. Cenni storici sugli Enti locali

Gli Enti locali, ed in particolare i “Comuni”, sono da più di dieci anni al centro di un

imponente serie di cambiamenti che hanno interessato con varia intensità tutto il

settore pubblico e che sono stati indirizzati a creare Pubbliche Amministrazioni

fortemente orientate verso la cultura economico-aziendale e quindi intrise dei

11

La categoria dei servizi di rilevanza economica è più vasta rispetto a quella dei servizi di rilevanza industriale; quindi l’applicazione delle nuove norme insiste anche su servizi che prima erano considerati privi di rilevanza industriale.

12

(10)

principi, delle regole e delle metodologie sottese al governo delle unità e di chiaro

impatto economico e sociale. Questo processo di cambiamento definito

<<aziendalizzazione>> del sistema delle unità pubbliche, è individuabile nella

necessità di modificare i servizi pubblici rendendoli più adeguati alle domande dei

tempi e delle circostanze della vita economica e sociale.

Gli Enti Locali sono chiamati ad operare in un ambiente economico-sociale, in cui il

livello di benessere dipende in misura sempre maggiore dalla qualità e dalla quantità

dei servizi pubblici offerti. Il forte legame esistente tra l’output e le esigenze degli

individui ha delineato un concetto di servizio pubblico dinamico nel tempo e nello

spazio; questo implica che l’amministrazione dovrebbe riflettere sull’evoluzione dei

bisogni emergenti nello scenario locale. Quanto appena affermato richiede all’ente

locale di adeguare la propria struttura ed autonomia, decisionale ed operativa, alle

mutevoli necessità della collettività amministrativa.

L’intervento delle amministrazioni locali nella vita economica delle comunità

territoriali ha origini molto remote e trova la sua motivazione storica nelle strutture

amministrative e burocratiche sviluppatosi durante il medioevo, all’interno dei

Comuni Italiani. La società comunale fu l’ambiente in cui nacque la classe borghese e

si affermò un sistema economico pre-capitalistico, fondato su una rigida

regolamentazione, mediante l’utilizzo di statuti e formule corporative che

disciplinavano dettagliatamente dal punto di vista giuridico l’intensa attività

economica e commerciale. Durante la fase di transizione dall’assolutismo postfeudale

(11)

vicende economiche13. Nella fase che va dall’unità d’Italia alla fine del XIX secolo,

gran parte dei servizi pubblici erano gestiti prevalentemente da soggetti privati o

consorzi14.

In tale momento storico nel nostro paese l’intervento comunale si manifestava

essenzialmente mediante la gestione diretta di alcuni servizi pubblici (gestione in

economia) o mediante concessione ad aziende private soprattutto per i servizi aventi

rilevanza imprenditoriale. La cosiddetta gestione in economia, a causa della carenza

di cultura aziendale nelle amministrazioni pubbliche e per la limitata flessibilità

operativa, si basava essenzialmente su una logica burocratica formale volta

unicamente alla verifica della regolare formulazione degli atti e non alla verifica dei

risultati gestionali in termini di efficienza, di efficacia e di economicità.

In questa forma di gestione l’attività faceva capo agli organi burocratici del comune,

quindi il servizio veniva erogato dai comuni che coinvolgevano la propria struttura

organizzativa mediante i propri uffici e con proprio personale dipendente.

L’altra formula gestionale, cioè la concessione a soggetti privati, non aveva ottenuto

il successo auspicato perché l’obiettivo prevalente del concessionario del servizio era

finalizzato al raggiungimento del profitto più elevato al fine di remunerare tutti i

fattori produttivi impiegati nel processo produttivo ed il capitale investito, piuttosto

che preoccuparsi che il servizio fosse accessibile a tutti i cittadini e favorisse lo

sviluppo urbano verso aree periferiche della città: vincoli indispensabili per nuovi

insediamenti civili ed industriali. Fu soltanto con il XX secolo che si manifestò in

13

L’Ente locale in questo particolare contesto storico costituiva un mero organo dello Stato, con funzioni quasi esclusivamente di natura amministrativa da svolgere nei limiti del territorio locale sotto il penetrante controllo delle prefetture.

14

(12)

Italia una forte crescita della sfera pubblica nei servizi di pubblica utilità; sempre in

questo periodo fu avviato il processo di municipalizzazione dei servizi pubblici

locali, ma già nella seconda metà del ottocento erano presenti significative esperienze

in alcune città del nord Italia. In particolare questo fenomeno risultava sviluppato

nelle nazioni più industrializzate quali Inghilterra e Stati Uniti d’America. Il modello

più evoluto è quello anglosassone, in quanto l’Inghilterra è il paese in cui l’attività

comunale ha avuto il massimo svolgimento ed il più largo sviluppo consentendo

notevoli progressi sulla via della municipalizzazione dei servizi pubblici15.

In Italia la crescente domanda di servizi di pubblica utilità da parte della collettività

amministrativa provocò, già verso la fine del ‘900, un notevole intervento pubblico in

campo economico. La necessità di indirizzare la gestione dei servizi apprestati verso i

principi dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità ha imposto un riordino

generale del settore.

Il crescente ampliamento e la notevole differenziazione della gamma dei servizi

offerti rendevano inderogabile l’introduzione di modelli gestionali innovativi, ai quali

conferire diversi livelli di autonomia. Tale esigenza ha indotto il legislatore nazionale

ad innovare l’intero ordinamento delle autonomie locali.

La legge 8 giugno 1990 n. 142 e le successive16 integrazioni e modifiche hanno

introdotto sostanziali cambiamenti, per ciò che riguarda la gestione dei servizi

pubblici in ambito locale.

Il Comune presenta, infatti, sul piano istituzionale caratteri di partecipazione,

15

Luca ANSELMI, principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. Milano, Giuffrè, 2005.

16

Art. 35 della legge numero 448/2001 (legge finanziaria 2002); Legge 24 novembre 2003, numero 326 e legge 24 dicembre 2003, numero 350 (legge finanziaria 2004).

(13)

democrazia e decentramento che lo costituiscono come unità politica di particolare

importanza, ma, al tempo stesso, sul piano funzionale, il Comune diventa l’ente

gestore di un serie di servizi essenziali alcuni dei quali esercitati direttamente, altri

anche indirettamente: servizi che determinano le condizioni di ciò che ormai prende il

nome di qualità della vita17. Il complesso dei servizi pubblici, locali e nazionali, nel

nostro paese non è confrontabile con quello dei partner che, sui vari mercati europei,

sono da tempo a livelli di qualità e di efficienza più elevati, in media, dei nostri18.

Anche in Italia vi sono servizi competitivi, ve ne sono altri in grado di diventarlo in

un periodo breve, ma ve ne sono anche di quelli per cui occorrerà un maggior lasso

temporale per l’adeguamento. Gli Enti locali, in particolare i Comuni, non sono

spesso all’altezza della domanda presente e potenziale19. Una prima serie di proposte

davanti alle difficoltà anche gravi nella gestione dei servizi da parte del Comune,

potrebbe richiedere la liberalizzazione per allontanare il più possibile il pubblico dalla

gestione effettiva, lasciando al Comune l’indicazione delle linee di guida ed il

controllo20.

1.3. Caratteri e forme del cambiamento della disciplina con la legge 142/90.

Gli inizi del ventesimo secolo si caratterizzano per il progressivo affermarsi

dell’intervento dello Stato in economia, con il conseguente ribaltamento della visione

del pubblico come semplice regolatore del mercato che aveva caratterizzato i primi

17

La crescente domanda dei servizi, infatti, è proprio una caratteristica dello sviluppo sia in senso quantitativo che, appunto, qualitativo delle nostre economie, tanto che la società medesima va qualificandosi come post-industriale o del terziario.

18

Luca ANSELMI, principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. Milano, Giuffrè, 2005.

19

Luca ANSELMI, principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. Milano, Giuffrè, 2005.

20

Si faccia riferimento a E. GIANNESSI, interpretazione del concetto di azienda pubblica, in Saggi di Economia

(14)

quaranta anni dell’Italia unitaria.

Il nostro paese, tradizionalmente agricolo e legato alle piccole realtà, va incontro

all’industrializzazione ed al conseguente fenomeno dell’inurbamento. Gruppi di

lavoratori si spingono verso le città e sorgono nuovi bisogni. L’esigenza di garantire a

tutti i cittadini beni e servizi primari, come l’acqua corrente, l’illuminazione, il latte

fresco o il ghiaccio, non trova nel mercato adeguata soddisfazione. Nasce così l’idea

di un nuovo stato erogatore di servizi, in grado di garantire quei beni e servizi che il

mercato non offre a tutti. Tale tendenza viene anticipata a livello locale da singole

realtà municipali che a cavallo del nuovo secolo, nell’assenza di una specifica

disciplina nazionale, assumono direttamente la gestione di attività funzionali al

soddisfacimento delle esigenze delle collettività locali.

Un primo fondamentale intervento normativo in materia di sevizi pubblici può essere

rinvenuto nella legge del 29 marzo 1903 n. 103 (detta anche Legge Giolitti) con il

quale viene sancita “l’assunzione diretta dei servizi da parte dei comuni”. Si tratta di

una scelta che tentava da una parte di regolare ex post la condotta di alcuni comuni,

che da anni avevano cominciato a esercitare direttamente alcuni servizi21, dall’altro di

dare una più compiuta disciplina alle assunzioni che gli enti locali si apprestavano a

realizzare.

La ratio della normativa va ricercata nel fatto che una gestione diretta da parte

dell’ente locale, soprattutto in condizioni di monopolio, consentiva di fornire i servizi

a prezzi accessibili con vantaggi evidenti per i consumatori, specialmente per le classi

21

G. MELIS, “Storia dell’amministrazione italiana”, Bologna, 1996, p. 154. L’autore sottolinea come furono proprio i comuni, nell’ultimo scorcio dell’ ottocento e poi nella prima parte del novecento a “rispondere in prima battuta alla nuova richiesta di servizi pubblici”

(15)

inferiori fino a quel momento escluse da ogni beneficio. Inoltre, in questo modo si

sarebbero rimpinguate le casse dei comuni, vi sarebbe stata una riduzione delle spese

per i controlli e una maggiore garanzia di tutela dei lavoratori e dei cittadini

destinatari dei servizi.

I finalismi della legge Giolitti erano dunque i seguenti:

• riconoscere la possibilità agli enti comunali di gestire direttamente i servizi

pubblici mediante il ricorso alle aziende speciali;

• richiedere ai comuni e ai cittadini un’assunzione formale di responsabilità per

la gestione diretta dei pubblici servizi, ponderata da una valutazione circa la

convenienza economica dell’operazione;

• prospettare un sistema di controllo sulla gestione centrato sulle autorità

comunali e governative;

• prevedere agevolazioni finanziarie per i comuni che avessero proceduto

nell’assunzione diretta dei servizi, sia già esistenti ed operanti sotto il regime

della concessione, che di nuovo impianto.

Con il successivo R.D. del 30 dicembre 1923 n. 3047 si provvide a riformare la legge

del 1903, ampliando in particolare l’autonomia di gestione dei servizi affidati alle

aziende municipalizzate, ma non riconoscendone, tuttavia, una distinta personalità

giuridica. Nel 1925 venne approvato, con il Regio Decreto n. 2578 del 15 ottobre

1925, il cosiddetto <<Testo Unico>> sui pubblici servizi che recepì le integrazioni

che il legislatore aveva nel frattempo adottato dall’emanazione della legge 103/1903.

(16)

riforma sulla municipalizzazione adottata nel 1990; il decreto, infatti, conferma e

rafforza il ruolo delle aziende municipalizzate, ribadendone l’autonomia

amministrativa, contabile e gestionale, ed estendendone anche alle province la

possibilità di assumere la gestione diretta di determinati servizi pubblici. Nel regio

decreto del 1925 si prevedeva anche l’emanazione di un Regolamento Generale che

avrebbe dovuto regolamentare le fasi della costituzione, dell’amministrazione e della

vigilanza delle aziende, regolamento che venne emanato con un ritardo di sessanta

anni, con il D.P.R. n. 902 del 4 ottobre 1986; esso confermava le modalità strumentali

alla gestione dei servizi pubblici da parte dell’ente locale, in economia o a mezzo

aziende speciali, e recepiva le modifiche normative intercorse nel frattempo; in

particolare confermava l’introduzione del collegio dei revisori dei conti e definiva

norme particolareggiate riguardo al riscatto dei servizi affidati in concessione, e alle

competenze degli organi aziendali e ai poteri dell’ organo elettivo.

La degenerazione del sistema dell’intervento pubblico determina l’attenzione del

legislatore che agli inizi degli anni novanta avvia, in particolare a livello nazionale,

un ampio processo di dismissione di attività da parte delle pubbliche amministrazioni

e la conseguente esternalizzazione dei servizi. Tale processo si colloca nell’ambito di

un più generale rinnovamento dell’apparato pubblico italiano. Le ragioni della svolta

legislativa vanno ricercate nell’insostenibilità dei costi del sistema dei servizi, dovuta

alle crescenti pratiche clientelari ed ai fenomeni di corruzione diffusa, unitamente

all’esigenza di dotarsi di strutture più agili ed estranee ai vincoli di diritto

amministrativo e quindi ai relativi tempi, incompatibili con quelli di una normale

(17)

A simili aspetti si aggiungono altri fenomeni che accelerano i processi di

cambiamento22. Si assiste, inoltre, all’affermarsi di una nuova logica di governo delle

comunità improntata al contenimento dei costi di gestione, e ai principi di efficienza,

efficacia, economicità e trasparenza che divengono le nuove regole cardine

dell’azione amministrativa: grande attenzione viene posta quindi alla qualità del

servizio erogato, azione che non può che favorire l’utente23. Un simile scenario fa

sorgere l’esigenza di reimpostare i tradizionali assetti organizzativi degli enti che

gestiscono i servizi, modificando le regole che presiedono alla disciplina dei rapporti

con l’utenza. L’ente locale comincia a dimettere i panni di erogatore diretto dei

servizi, affidando il servizio a gestioni, pubbliche o private, organizzate

imprenditorialmente. Per effetto dell’apertura al mercato e ai privati del settore dei

servizi si assiste ad una graduale erosione del sistema concessionario puro a favore di

quello autorizzatorio24. Questo è lo scenario in cui va letto il portato della l. 142/90,

che innova radicalmente la disciplina dei servizi pubblici locali, ampliando la gamma

delle forme di gestione dei servizi, e mutando i compiti dei soggetti coinvolti

nell’erogazione degli stessi25.

La riforma fa esplodere a livello locale una fervente attività innovativa delle forme

gestionali e il legislatore interviene negli anni successivi per completare o integrare la

normativa dettata. In tal senso, l’aspetto più innovativo, della nuova normativa, sotto

22

L’avanzamento del processo di integrazione europeo ed il conseguente graduale affermarsi dei principi comunitari di libera concorrenza, incompatibile con le gestioni dirette e monopolistiche caratteristiche della realtà dei servizi pubblici; l’evoluzione socio economica e tecnologica dei settori regolati.

23

L’utente è sempre più visto come cliente da soddisfare nelle proprie esigenze, nel nuovo quadro di un’Amministrazione partecipata che dialoga con il territorio.

24

Tipico esempio è, in materia sanitaria, il nuovo sistema dell’accreditamento delle strutture sanitarie private, che sostituisce quello tradizionale del convenzionamento.

25

Per effetto della nuova normativa è il consiglio comunale a decidere se assumere la conduzione di un servizio o affidarlo a terzi, sceglie tra le diverse forme di gestione e fissa gli indirizzi che le aziende e gli enti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza debbono osservare in tale attività.

(18)

il profilo delle scelte amministrative, può essere rintracciato nel superamento della

gestione attraverso le aziende speciali. L’ente locale vede fortemente ampliata la

gamma degli strumenti a sua disposizione per la erogazione dei servizi.

1.4. Le forme di gestione previste dalla legge 142/90.

Il combinato disposto dei previgenti articoli 22, c. 3, l. 142/90 e 12, c. 1 della l.

498/92 permette di individuare i diversi modelli organizzativi cui l’ente locale può

ricorrere nella gestione dei servizi pubblici. L’elencazione non tassativa contiene:

• la gestione in economia;

• concessione a terzi;

• istituzione;

• azienda speciale;

• società di capitale a prevalente capitale pubblico o privato.

I Comuni, così come gli altri Enti Pubblici, devono porre in atto una politica dei

servizi che tenga conto delle risorse disponibili e del modo in cui vengono utilizzate

al fine di soddisfare i bisogni dei cittadini.

La pluralità di alternative per la produzione dei servizi pubblici, oltre alla classica

gestione in economia, avvalora il principio della differenziazione delle forme

giuridiche in funzione delle differenti caratteristiche dell’ambiente, risolvendo in

maniera adeguata i diversi problemi inerenti l’offerta del servizio. Il processo di

trasformazione in atto si caratterizza per una diffusa esternalizzazione dei servizi e

(19)

Il servizio in economia che in passato costituiva la forma di gran lunga prevalente,

tende ad assumere una posizione residuale nei servizi pubblici locali; per questo si

può prevedere che in futuro questa modalità verrà conservata solo per i servizi di

modesta dimensione.

Per quanto concerne la produzione di servizi mediante autonomi organismi aziendali,

la tendenza è quella di avvalersi di aziende speciali e di orientarsi verso formule

giuridiche privatistiche. La situazione può essere sintetizzata da alcuni dati riferiti al

mondo associativo della confederazione nazionale dei servizi pubblici locali, dove

sono associate la maggioranza delle aziende di servizi pubblici locali in Italia.

Grafico n°1

Servizi Publici Locali

22%

43% 11%

1% 23%

Gestione in economia Aziende speciali S.p.A. Concessione a terzi Altre forme

Fonte: Cispl 1998

Le dimensioni attuali del settore dei servizi pubblici sono molto rilevanti, basti

pensare che la aziende di servizi pubblici locali hanno realizzato nel corso del 2000

un ammontare di fatturato pari a quasi 17 miliardi, un risultato operativo in costante

crescita nell’ultimo quinquennio e pari a 1,3 mld, investimenti per quasi 5,2 mld26, un

26

(20)

occupazione diretta di quasi 157.000 addetti ed un valore attuale delle aziende intorno

ai 52 mld27.

1.4.1 Gestione in economia o diretta

La gestione in economia degli enti pubblici locali è caratterizzato dal fatto che l’ente

locale è, allo stesso tempo, portatore dell’interesse collettivo alla corretta erogazione

del servizio e erogatore di quest’ultimo; esso non dà luogo ad un’impresa, ma si

limita a svolgere tramite i propri uffici (non dotati di autonoma configurazione), un

attività iure privato28. Questa forma di gestione è suggerita quando, per le modeste

dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non è opportuno costituire una

Istituzione o una Azienda. La completa mancanza di autonomia crea vari problemi:

1. La gestione in economia è una forma di gestione storicamente utilizzata in

ipotesi di servizi a basso contenuto imprenditoriale ed economico e, come tali,

quasi mai caratterizzati dalla presenza di ricavi propri o dall’operare in contesti

concorrenziali, caratteristica che rende ulteriormente incerto l’esercizio di

adeguate forme di controllo29.

2. Il secondo problema è relativo alla limitata flessibilità30 organizzativa,

determinata dall’impianto di norme e di regole nate per disciplinare il

comportamento dell’ente locale.

27

G. GROSSI, il gruppo comunale e le sue dinamiche economiche gestionali,Padova, Cedam, 2001.

28

L’amministrazione pubblica non delega l’attività ad un soggetto esterno, ma ricerca nell’ambito della propria organizzazione l’organo o l’ufficio cui compete la produzione e l’erogazione del servizio pubblico

29

Pertanto dovrebbero essere gestiti in questo modo i servizi caratterizzati dalla mancanza o non rilevanza dei ricavi di gestione, e quei servizi per il quale non sussiste concorrenza da parte di aziende private. In particolare la gestione in economia può essere considerata opportuna per i servizi di natura istituzionale quali la segreteria comunale oppure la manutenzione delle strade comunali, ed i cui costi sono finanziati tramite trasferimenti provenienti da enti pubblici sovraordinati oppure tramite tributi propri, ma non per mezzo di ricavi diretti da cessione di servizi.

30

Incapacità di cogliere i cambiamenti che si manifestano nelle esigenze dell’utenza da parte degli organi comunali preposti all’erogazione del servizio, frequentemente unita alla mancanza di responsabilità a livello operativo.

(21)

3. Il terzo problema fa riferimento, alle limitate competenze tecniche degli

operatori, di rado specializzati, riscontrabili nel modello di gestione in oggetto.

Non è prevista alcuna contabilità separata (o gestione fuori bilancio), in quanto la

gestione finanziaria e il bilancio di previsione del servizio è assolutamente

ricompreso in quello dell’ente locale, che è unico.

Tale modalità di gestione, precedentemente molto diffusa, è stata progressivamente

superata, specialmente nei comuni di media e grande dimensione, con il crescere

della complessità organizzativa e con l’affermarsi del carattere industriale dei servizi

pubblici. In base a tali considerazioni, risulta comprensibile la scelta del legislatore di

lasciar intendere questa forma organizzativa come residuale31, (ossia riguardante

servizi di modeste dimensioni, cioè quelli per i quali non sia necessaria una struttura

complessa che si articoli in più unità organizzative) seppur presenti tuttora una certa

diffusione nel mondo pubblico locale.

Tabella n°1: Ripartizione territoriale delle gestioni in economia

Ripartizione territoriale

Numero

comuni Elettricità

Smaltimento

rifiuti Gas Acquedotto

Nord Ovest 3.004 13 0,40% 684 2,80% 125 4,20% 1.693 56,40% Nord Est 1.416 40 2,80% 410 29% 77 5,40% 735 51,90% Centro 967 16 1,60% 627 64,20% 44 4,50% 639 65,50% Italia meridionale 1.731 13 0,80% 1.313 75,90% 63 3,60% 1.057 61,10% Italia insulare 737 11 1,50% 501 68% 2 0,30% 361 49% Totale 7.864 93 1,20% 3.535 45% 311 4,00% 4.485 57%

Fonte: Ministero dell’interno, 1999.

31

Non a caso le riforme contenute nella legge finanziaria 2002 e nell’art 14 d.l. 269/03 (convertito in legge 326/03) fanno sopravvivere la gestione in economia solo per i casi di servizi pubblici privi di rilevanza economica.

(22)

La tabella n°1 mostra, infatti, come nel mezzogiorno il numero dei comuni che

erogano servizi in economia rappresentano la maggioranza soprattutto in quei

settori32 in cui la situazione delle regioni meridionali risulta assai compromessa.

1.4.2 La concessione a terzi

La concessione33 si sostanzia in un atto amministrativo, attributivo di pubbliche

potestà relative all’esercizio di un servizio pubblico ad un soggetto diverso da quello

dell’amministrazione che lo emana, e in un accordo tra detto soggetto e

l’amministrazione, volto a definire i contenuti e i limiti del servizio da erogare.

La concessione a terzi si è caratterizzata come lo strumento ordinario ed esclusivo per

la gestione dei servizi pubblici tramite soggetti privati. Infatti, la titolarità del servizio

resta all’ente concedente, cui spetta il controllo e la vigilanza. La concessione può

essere definita come il provvedimento con il quale lo stato o gli enti locali, per fini di

pubblico interesse, attribuiscono a terzi il potere di esercitare un’attività. Tale

modello di gestione risulta molto flessibile, poiché dotato di spiccata adattabilità alle

diverse tipologie di servizi pubblici locali. Il settore che registra il maggior numero di

concessioni è quello della distribuzione del gas; risulta scarsa, invece, la presenza nel

settore del trasporto pubblico34.

La legge numero 142 del 1990 non ha introdotto rilevanti novità35; essa ha in sostanza

demandato all’apprezzamento dell’ente locale la valutazione concreta del merito della

32

In particolare, smaltimento dei rifiuti ed acquedotti.

33

La concessione costituisce una delle più antiche ed esclusive forme di gestione del servizio pubblico a livello locale. Rientra nella categoria dei negozi giuridici emanati dalla pubblica amministrazione, in quanto si tratta di atti con cui la pubblica amministrazione, con la sua volontà discrezionale, attribuisce diritti ad un altro soggetto.

34

G. GROSSI, il gruppo comunale e le sue dinamiche economiche gestionali, Padova, Cedam, 2001.

35

Essendo oggetto di una specifica disciplina già da parte dell’articolo 26 T.U. n. 2578 del 1925, e degli articoli 265 e 267 del r.d. n. 1175 del 1931.

(23)

scelta per questa forma di gestione. Solitamente questa forma viene utilizzata quando

l’ente non dispone delle necessarie capacità e competenze tecnico-organizzative o,

pur essendone in possesso, non è in grado di avvalersene per motivazioni contingenti,

dimensionali e/o economiche. La scelta di questa forma di gestione è spesso assunta

dai Comuni di piccole dimensioni, in quanto in relazione alle loro limitate

disponibilità finanziarie, alla mancanza di adeguate qualifiche professionali, al ridotto

bacino di utenza del servizio, l’adozione di alternative interne non è realizzabile.

Un problema delicato di questa forma di gestione riguarda la scelta del

concessionario, che deve avvenire a seguito di una gara aperta (la cosiddetta asta

pubblica). Prima dell’indizione della gara l’ente locale deve deliberare36 l’assunzione

del servizio in concessione a terzi.

Le differenze tra questa forma di collaborazione pubblico-privata37e altre che si

stanno diffondendo negli ultimi anni (società di capitali a partecipazione mista

pubblico privato) sono considerevoli.

Nel caso della concessione di pubblico servizio gli interesse pubblici e privati restano

separati, in quanto attribuiti ad organismi diversi con una propria autonomia e

responsabilità, disponibili a collaborare per il raggiungimento di un comune obiettivo

nell’ambito delle limitazioni fissate nell’accordo.

36

Con la delibera di indizione della gara viene approvato il capitolato di concessione nel quale vengono definiti i rapporti tra ente concedente ed il soggetto concessionario del servizio. I punti fondamentali da disciplinare nel capitolato sono:

• la durata della concessione • gli obblighi del concessionario

• la vigilanza dell’ente locale sul funzionamento del servizio • le tariffe

• le penalità per l’inosservanza degli obblighi derivanti dalla concessioni e i casi di decadenza • le modalità per la definizione delle possibili controversie

37

Generalmente il concessionario è un azienda privata, anche se è possibile che il comune decida di dare in concessione un servizio ad un azienda speciale di altro ente locale.

(24)

Nelle società miste, invece, le strategie pubbliche e private risultano spesso confuse

all’interno di un unico soggetto giuridico, portatore di interessi diversi rispetto a

quelli dei soggetti che ne fanno parte.

1.4.3 L’istituzione

Secondo il dettame della legge 142/90, si ha gestione a mezzo di istituzione quando

lo svolgimento del servizio, di natura sociale, implica un’attività non di tipo

imprenditoriale. Il modello organizzativo utilizzato ha natura strumentale, con

autonomia gestionale38, ma è privo di personalità giuridica e potestà regolamentare.

L’ordinamento delle istituzioni è così fissato dalla legge o dallo statuto e dal

regolamento39 dell’ente locale da cui dipende. La sua funzione si esplica impiegando

in modo economico le risorse che le sono affidate dall’ente locale ed il suo pareggio

di bilancio può essere garantito mediante trasferimenti di risorse pubbliche.

La forma gestionale dell’istituzione presenta alcune analogie, ma anche

differenziazioni, rispetto all’azienda speciale. Per quanto riguarda l’affinità, i due

modelli gestionali si identificano nella forma organizzativa40 e nell’autonomia

gestionale, mentre per quanto attiene alle differenze le due forme sono nettamente

diverse nella natura giuridica e nell’autonomia statutaria. L’introduzione di tale

modello ha segnato un momento di forte innovazione nell’ordinamento italiano e la

38

L’autonomia gestionale le consente di avere un proprio bilancio, ma è tenuta al rispetto come l’azienda speciale, dei criteri di efficacia nel senso di responsabilità del risultato, efficienza nel senso di garanzia di produttività ed economicità, nel senso di equilibrio tra risorse disponibili e costi gestionali.

39

Il regolamento deve definire il contenuto e le principali caratteristiche del servizio sociale oggetto dell’attività dell’istituzione, fissa le competenze e disciplina le modalità di funzionamento degli organi, individua il procedimento per l’approvazione degli atti fondamentali e per l’esercizio della vigilanza sulla gestione dell’istituzione, stabilisce regole per l’ordinamento degli uffici e del personale e per la sua gestione amministrativo-contabile.

40

(25)

realtà comunale conta un numero crescente di casi di utilizzo di questa nuova forma

di gestione. Per la natura del servizio e per la mancanza di imprenditorialità non

sempre, nonostante i dettami legislativi, si riescono ad individuare le condizioni per

costituire un’istituzione.

L’istituzione è una forma di gestione, in cui l’ente locale e il soggetto gestore del

servizio sono entrambi organismi pubblici, le cui finalità devono essere definite

esplicitamente nel regolamento e nei documenti di programmazione dell’ente stesso.

Anche questa forma di gestione ha risentito della riforma ex art. 35 legge 448/2001:

infatti quest’ultima normativa ha previsto l’utilizzo dell’istituzione per tutti i servizi

pubblici privi di rilevanza industriale e non più solo per quelli sociali. La nuova

disciplina introdotta dal d. l. 269/03 (art. 14) ha confermato tale previsione mutando

solo la dizione dei suddetti servizi da privi di rilevanza industriale, in servizi privi di

rilevanza economica.

1.4.4 L’azienda speciale

L’azienda speciale è un vero ente pubblico economico, strumentale, dotato di

personalità giuridica41 e di autonomia imprenditoriale. L’azienda è dunque vista come

un soggetto distinto dall’ente locale di riferimento, con propria autonomia statutaria.

Infatti l’ente locale si limita a:

- conferire il capitale di dotazione42;

- determinare le finalità e gli indirizzi da perseguire;

41

L’acquisto della personalità giuridica comporta per l’azienda l’iscrizione nel registro delle imprese e la sottoposizione al regime fiscale proprio delle imprese private.

42

Il conferimento del capitale in dotazione si configura come atto dovuto traducendosi nel semplice passaggio in proprietà dei beni già a disposizione dell’azienda.

(26)

- approvare gli atti fondamentali;

- esercitare la vigilanza;

- verificare i risultati gestionali;

- coprire gli eventuali costi sociali.

Tuttavia, la strumentalità propria dell’azienda speciale implica che l’attività da essa

svolta sia di esclusivo vantaggio dell’ente locale e ne miri a perseguire gli interessi.

L’azienda speciale originariamente prevista e regolata dalla legge sulla

municipalizzazione dei servizi pubblici43, affonda le proprie radici nella facoltà dei

Comuni di gestire in maniera diretta servizi essenziali come i trasporti funebri, i

mercati e i macelli.

Tale forma di gestione è stata poi ridefinita dalla legge 142/90 che ha improntato

l’intera attività dell’azienda speciale ai principi di efficacia, efficienza ed

economicità44.

L’attuale azienda speciale, in base all’art. 23 della legge 142/90, presenta le seguenti

caratteristiche:

a) gestisce servizi aventi rilevanza economica e imprenditoriale quali:

farmacie pubbliche, raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani,

trasporto pubblico urbano ecc;

b) è un ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica;

c) è un ente strumentale dell’Ente Locale, pur essendo dotata di autonomia

imprenditoriale;

43

Legge 103 del 1903.

44

L’economicità della gestione consiste non nel fine di lucro in senso stretto, ma nella necessità che al termine del ciclo produttivo si ricavi la remunerazione dei fattori di produzione. E. GIANNESSI, interpretazione del concetto di azienda

(27)

d) è in possesso di autonomia statutaria attribuita alla competenza del

consiglio comunale dell’ente locale.

L’azienda speciale ha propri organi sociali, quali:

- il consiglio di amministrazione, cui spettano funzioni deliberative ad alto livello,

quali l’attività di programmazione e controllo nonché di indirizzo gestionale e

amministrativo;

- il presidente, con funzioni prevalentemente di rappresentanza nei confronti dell’ente

proprietario, al quale spettano la vigilanza generale sulla gestione, il consiglio di

amministrazione e la direzione aziendale;

- il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale accanto a compiti esecutivi

e di rappresentanza legale dell’azienda.

L’azienda speciale acquisisce in tal modo un vera e propria struttura di tipo

imprenditoriale che dovrà operare con criteri di efficacia, efficienza ed economicità e

con l’obbligo di perseguire il pareggio del bilancio attraverso l’equilibrio dei costi e

dei ricavi compresi i trasferimenti45.

Anche l’azienda speciale come modalità di gestione dei servizi pubblici viene

progressivamente superata a favore delle società di capitale, in particolare la S.p.A.

Tale passaggio è stato definitivamente sancito dall’art 35 legge 448/01 che ha

circoscritto l’operatività dell’azienda speciale alla sola ipotesi di gestione dei servizi

privi di rilevanza economica.

45

(28)

1.4.5 Società di Capitali (S.p.A).

I servizi pubblici locali possono essere organizzati anche a mezzo di società a

prevalente capitale pubblico, costituite o partecipate dall’ente titolare degli stessi. La

ricerca di formule di gestione economico-aziendali, in grado di superare le

insufficienze della legislazione sulle municipalizzazioni, ha portato nel corso del

tempo a ritenere la società di capitali la soluzione più idonea per l’esercizio dei sevizi

pubblici. Il crescente interesse con il quale si guarda da più parti alle società di

capitali per la gestione dei servizi pubblici locali ha fatto sì che, in diversi periodi

storici, il legislatore abbia emanato norme mirate a fornire agli Enti Locali un

apparato giuridico idoneo per introdurre queste tipologie societarie. L’obiettivo del

legislatore del ‘90 era quello di avvalersi di forme di gestione privatistiche che, anche

se in mano pubblica, permettessero di ottenere flessibilità decisionale ed operativa,

eliminando o riducendo al minimo le fasi disciplinate dal diritto amministrativo46.

Il quadro iniziale di mera privatizzazione formale è mutato assai rapidamente. Già

con l’art. 12 della legge n. 498 del 1992 si è superato il vincolo della partecipazione

pubblica maggioritaria, in pratica tale articolo ha introdotto per i comuni e per le

province l’opportunità di costituire società per azioni con capitale pubblico

minoritario per “ l’esercizio dei servizi pubblici, la realizzazione di opere necessarie

al corretto svolgimento del servizio e la realizzazione di infrastrutture ed altre opere

di pubblico interesse purchè non rientranti nelle competenze istituzionali di altri

Enti”. Con lo stesso provvedimento normativo si è attribuita delega al governo per

46

L’art. 22 legge 142/90 prevedeva la possibilità di far ricorso alle società per azioni “a prevalente capitale pubblico qualora si renda opportuna in relazione alla natura del servizio da erogare la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

(29)

determinare, con successivo decreto legislativo, l’entità del capitale sociale da

conferire alla S.p.A mista e la quota di partecipazione dell’ente locale alla stessa.47.

I punti fondamentali della disciplina delle S.p.A miste a capitale pubblico minoritarie

sono:

- le società possono essere costituite da uno o più enti promotori (quindi S.p.A

comunale o intercomunale);

- che la partecipazione privata non possa essere inferiore al 51%;

- che la partecipazione pubblica non possa essere inferiore al 20%;

- che la scelta dei partner avvenga attraverso una procedura concorsuale

ristretta;

- il divieto temporaneo quinquennale agli atti dispositori.

La possibilità di ricorrere a società miste a capitale pubblico minoritario per

l’esercizio dei servizi pubblici locali ha costituito indubbiamente un’innovazione di

grande portata, che inequivocabilmente è indice del cambiamento del concetto di

pubblico servizio e, di conseguenza, delle modalità di esercizio. Si è, cioè, passati da

una visione tradizionale decisamente assistenzialista, secondo cui i servizi pubblici in

quanto tali dovrebbero essere esercitati da organismi pubblici che siano garanti

dell’interesse collettivo, ad un'altra più liberistica, fondata sulla convinzione che

anche un servizio pubblico può essere esercitato dal privato o, comunque, in forme

privatistiche.

A fronte di questo quadro normativo, è possibile, quindi, individuare tre distinte

47

Al governo spettava anche definire i criteri di scelta di possibili soci, la natura del rapporto intercorrente tra l’ente locale e il privato, le forme di controllo di efficienza ed economicità dei servizi.

(30)

tipologie di società di capitali operanti a livello locale:

1. Società per azioni a prevalente capitale pubblico;

2. società per azioni a prevalente capitale privato;

3. società a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico.

La costituzione delle società di capitali può avvenire solo per la gestione di particolari

tipologie di servizi pubblici aventi rilevanza imprenditoriale giacchè, da un lato, i

compiti del comune per le attività di competenza statale48 sono esercitate nell’ambito

delle strutture comunali e le relative funzioni fanno capo direttamente al sindaco;

d’altro lato, per quelle di natura sociale, senza valenza imprenditoriale, è

espressamente prevista la formula dell’istituzione. Le società di capitali a

partecipazione comunale sono aziende a tutti gli effetti e come tali caratterizzate da

autonomia giuridica, gestionale, organizzativa e contabile. La formula privatistica

costituisce il modello gestionale dei pubblici servizi meno vincolato alle direttive

comunali, ma le scelte operative spettano, e non possono che spettare, ai responsabili

dell’azienda la quale è pubblica soltanto perché nel vincolo di compatibilità con il

principio di economicità persegue pubbliche finalità. Dal punto di vista

organizzativo, gli organi della società a partecipazione comunale sono gli stessi di

una tipica società per azioni49. La società presenta una gestione autonoma dall’ente

locale, che dovrebbe consentirle di rispondere in modo più rapido e flessibile ai

cambiamenti dell’ambiente locale in cui vive ed opera. Sono sottoposte ad un

controllo interno esercitato dal Collegio Sindacale, essenzialmente di natura tecnico

48

Liste elettorali, di anagrafe, di stato civile, di leva militare.

49

(31)

amministrativo e contabile, e ad un controllo fortemente politico da parte

dell’azionista pubblico. Hanno a disposizione maggiori alternative di finanziamento

come: la possibilità di aumentare il capitale sociale, di emettere prestiti

obbligazionari, acquisire diverse forme di finanziamenti bancari, il credito di

regolamenti ecc.

Il governo dei servizi pubblici locali tramite società di capitali vede la partecipazione,

la coesistenza e la collaborazione di soggetti pubblici e privati, cioè soggetti portatori

di interessi eterogenei e di competenze diverse atte a contribuire al miglioramento

della performance dell’azienda stessa. Il rapporto tra l’azienda controllante (ente

locale) e l’azienda controllata (società di capitali) è basato sulla reciproca autonomia

e distinzione di ruoli e di funzioni. L’Ente locale riconosce alla società di capitali una

spiccata autonomia operativa e funzionale, inerente i rapporti che essa instaura con i

terzi (fornitori, clienti, utenti), con gli azionisti, con gli amministratori e con i

dipendenti. La società per azioni opera in totale autonomia anche sotto il profilo

economico in quanto risponde con il proprio capitale delle obbligazioni assunte.

L’Ente locale dovrebbe assumere un ruolo di regia nei confronti delle aziende

controllate: coordinare gli sviluppi, verificare che i risultati conseguiti corrispondano

effettivamente agli obiettivi fissati ecc. Per concludere la società di capitali può

essere considerata una valida alternativa alla tradizionale azienda speciale; comunque

l’Ente locale, nel decidere la formula più utile per la gestione dei servizi pubblici

locali, dovrà considerare tutti gli aspetti economico-aziendali e giuridici delle due

forme di gestione valutando attentamente i vantaggi e gli svantaggi. Lo schema di

(32)

essere rappresentato nel seguente modo:

Tabella n.°2

Il “nuovo” modello di ente locale

Il Comune “Titolare del Servizio Pubblico” ne determina gli obiettivi e gli indirizzi di produzione Il Comune “Holding50” controlla l’investimento effettuato

Le aziende partecipate sono “responsabili” della gestione del servizio

Fonte: le aziende dei servizi pubblici locali. Marcella Mulazzani.

1.5. La “nuova” riforma dei servizi pubblici .

L’approvazione dell’art 35 della Legge Finanziaria 200251 ha definito un nuovo

quadro di riferimento in tema di regole e assetti per la gestione dei servizi pubblici

locali52. L’art 35 era intervenuto direttamente a modificare ed integrare le previsioni

del D. lgs. 267/2000, innovando l’art. 113 ed introducendo l’art. 113 bis. La nuova

50

Per ulteriori approfondimenti si invia al paragrafo 2.6 del II° capitolo.

51

Legge 448/01.

52

I contenuti della riforma hanno in parte ripreso quelli ampliamente dibattuti e approfonditi durante la precedente legislatura nell’ambito della proposta di legge “Vigneti”; infatti, nella XII legislatura era stato elaborato un disegno di legge per la riforma dei servizi pubblici locali, ma lo stesso non aveva però avuto l’approvazione definitiva del Parlamento per la sopravvenuta fine della legislatura. Le finalità della legge Vigneri erano la creazione di un mercato aperto alla concorrenza nel rispetto dei principi di trasparenza, economicità e parità, e al contempo un rafforzamento del sistema dei servizi pubblici con il raggiungimento di dimensioni di impresa ed il coinvolgimento di capitali privati per realizzare i necessari interventi infrastrutturali.

Azionista

Titolare del servizio pubblico

Comune Aziende

(33)

disciplina non è stata di facile analisi anche perché, sebbene fosse regolata da un solo

articolo, lo stesso conteneva ben 16 commi53. Mentre la precedente normativa

(vecchio art. 113) conteneva l’elencazione delle forme giuridiche utilizzabili per la

gestione dei servizi, nel nuovo impianto veniva recepita la distinzione, contenuta nel

disegno di legge 4014, tra due tipologie di servizi: i servizi a rilevanza industriale

(regolati dall’art. 113), ed a rilevanza non industriale (a cui era dedicato l’art. 113

bis). Indubbio merito della riforma in oggetto è stato, pertanto, l’abbandono

definitivo del riferimento al requisito dell’imprenditorialità, quale elemento

discriminante tra le diverse tipologie di sevizi pubblici locali, introducendo per contro

il concetto di rilevanza industriale e non. Tale nuova espressione utilizzata dal

legislatore non era però accompagnata dalla descrizione delle caratteristiche delle due

diverse tipologie di servizi, con conseguente emergere di problemi interpretativi. Nel

tentativo di trovare una soluzione si potevano definire i servizi pubblici a rilevanza

industriale come quei servizi diretti alla trasformazione dei prodotti naturali, con

connessa produzione di manufatti o prestazioni correlate. Tuttavia, permaneva

l’incertezza nella determinazione del termine rilevante per l’estrema difficoltà

nell’individuare quando una data attività industriale assumesse dimensioni tali da

poter essere qualificata in questo modo. Tra i servizi a rilevanza industriale sarebbero

dovuti rientrare:

- la gestione e l’erogazione di energia e gas,

53

Il primo comma conteneva una novazione del testo dell’art 113, dettando la nuova disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale; i commi 2, 3 e 4 prevedevano e regolavano un periodo transitorio prima dell’entrata in vigore della riforma; il comma 5 individuava un ulteriore modalità di affidamento per il servizio idrico integrato; i commi dal 6 al 14 contenevano, invece, una serie di disposizioni volte a regolare la fase di passaggio al nuovo sistema di gestione dei servizi; il 15° comma introduceva l’art. 113 bis del T.U.E.L. che regolava i servizi pubblici privi di rilevanza industriale, ed il comma 16 conteneva la previsione di un regolamento volto ad attuare e dare esecuzione al portato della riforma.

(34)

-la gestione del ciclo di smaltimenti rifiuti,

-la gestione del ciclo idrico integrato e dei trasporti pubblici locali.

Il legislatore, non riferendosi più al carattere imprenditoriale dell’attività per

determinare il regime giuridico da applicare al servizio da affidare, ha portato a

considerare tutti i servizi diversi da quelli a rilevanza industriale, come servizi privi

di rilevanza industriale.

La nuova disciplina dei servizi pubblici locali introdotta dall’art. 35 della legge

448/2001 era fondata anche sullo smembramento dei monopoli naturali distinguendo

tra:

1. la proprietà delle reti e degli impianti;

2. la gestione delle reti;

3. l’erogazione del servizio.

La regolamentazione prevedeva l’individuazione di soggetti differenti per lo

svolgimento delle attività indicate: il proprietario della rete, il gestore della rete, il

gestore del servizio. Ciò al fine di creare le condizioni per una maggiore efficienza ed

efficacia dei servizi, in relazione all’ampliamento dei soggetti e alla introduzione di

logiche di concorrenza per il mercato. Il principio basilare affermato dal nuovo

comma 2 dell’art. 113 era che la proprietà delle reti degli impianti e delle altre

dotazioni destinate all’esercizio dei pubblici servizi dovesse essere assegnata agli enti

locali, per i quali veniva sancito il divieto di cessione. Era prevista, tuttavia, la

possibilità alternativa che gli enti locali conferissero le reti e gli impianti a società

appositamente costituite, a controllo pubblico maggioritario, ovviamente con il

Figura

Tabella n°1: Ripartizione territoriale delle gestioni in economia

Riferimenti

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