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Capitolo 1

Microfluidica e gradienti di

concentrazione

1.1 Introduzione

Negli ultimi anni la ricerca biologica ha affrontato, con nuove modalità, il problema della percezione dei segnali chimici da parte dei tessuti biologici; è stato notato, infatti, che, in molti casi, i tessuti non rilevano le molecole in funzione della loro concentrazione istantanea e puntuale, ma rispondono ad esse in base all’andamento della concentrazione nel tempo e nello spazio circostante.

Secondo questa teoria quindi, una molecola è in grado di fornire ad un tessuto molte più informazioni di quanto si ritenesse in precedenza; si viene ad aggiungere quindi una nuova variabile legata alla variazione della concentrazione nel tempo e nello spazio, oltre alla semplice concentrazione istantanea [1].

Questa teoria è nota da circa metà secolo ma solamente di recente, grazie ai nuovi mezzi di ricerca, è stato possibile indagare accuratamente quali siano gli effetti dei gradienti molecolari negli organismi e nelle colture cellulari. Vari sono gli esempi “pratici” che hanno alla base tale teoria:

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l’embriogenesi, la morfogenesi, la chemiotassi, lo sviluppo del sistema nervoso.

Nella prima parte di questo capitolo verranno riportati degli esempi di dispositivi microfluidici e le loro applicazioni. Successivamente saranno analizzati gli effetti dei gradienti di concentrazione sui sistemi biologici.

1.2 I sistemi microfluidici

La microfluidica è una tecnologia che richiede un approccio interdisciplinare con conoscenze nell’ambito della fisica, chimica, ingegneria e biochimica per lo sviluppo di dispositivi utilizzati per la ricerca di base, per la diagnosi e per lo screening di biomolecole.

I sistemi microfluidici, in generale, consistono in dispositivi capaci di trasportare e manipolare dei fluidi attraverso una rete di canali con dimensioni dell’ordine dei micrometri creata, di norma, su un supporto di tipo polimerico.

Molteplici sono le tipologie e gli utilizzi che i sistemi microfluidici stanno avendo nel campo della ricerca [2], la loro versatilità e soprattutto la loro facile realizzazione, mediante tecniche fotolitografiche, hanno fatto sì che questi sistemi abbiano ormai sostituito vecchi protocolli di trattamento e diagnostica in vitro, permettendo di condurre ricerche in vari settori:

• genomica e proteomica: sequenziamento rapido ad elevata densità, analisi combinatoriale, test su espressione genica;

• analisi cliniche: analisi del sangue e dei flussi corporei, analisi su esperimenti immunologici ed enzimatici;

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• high-throughput screening: sintesi e test di farmaci per analisi tossicologica;

• test sull’ambiente: analisi in situ della contaminazione ambientale; • dispositivi per rilascio di farmaci in vivo e per il monitoraggio di

patologie;

• sistemi per ricerca di base per poter comprendere meglio i fenomeni alla base dell’attività cellulare e quindi dello sviluppo della vita;

• studi di reazioni chimiche enzima-substrato.

Tra le caratteristiche che hanno permesso un elevato sviluppo di questa metodologia di ricerca ci sono:

• il limitato costo di produzione del dispositivo stesso;

• la riduzione dei costi di sperimentazione dovuta a una riduzione dei reagenti utilizzati;

• la riduzione dei tempi; • l’automatizzazione dei test; • la portabilità del dispositivo.

Un altro aspetto importante legato all’utilizzo dei sistemi microfluidici è quello legato al minor numero di cellule necessarie per gli esperimenti e, di conseguenza, alla riduzione del numero di cavie animali necessarie per ottenere le cellule d’interesse.

Come detto precedentemente molti sono i sistemi microfluidici utilizzati nell’ambito della ricerca; di seguito sono stati riportati degli esempi con le loro possibili applicazioni.

Il primo esempio di dispositivo che è stato analizzato consiste in una piattaforma per la fusione cellulare, capace di selezionare la tipologia di cellule da fondere, in modo da evitare la formazione di complessi omologhi

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(fig. 1.1). Il sistema consiste in un insieme di microcanali, costruito in PDMS mediante tecniche di soft-litografia, dove all’interno sono inseriti degli elettrodi, che permettono la fusione cellulare attraverso la generazione di una scarica elettrica. Le cellule vengono portate nella camera di fusione attraverso un flusso laminare e, una volta nella camera, viene liberata la scarica che induce la fusione. Riattivando successivamente il flusso, si espelle la nuova cellula ottenuta.

Figura 1.1 Sequenza di foto del processo di fusione cellulare

Grazie alla possibilità di creare gradienti all’interno di questi sistemi microfluidodinamici è stato possibile individuare la percentuale di glicole polietilenico migliore ai fini della fusione e determinare la tensione ottimale per indurre la fusione cellulare senza danneggiare le cellule stesse. Tutto ciò è stato ottenuto tramite inserimento, all’interno del sistema, di una serie d’elettrodi pilotati separatamente e capaci di liberare scariche a differenti voltaggi (fig. 1.2) [3].

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Figura 1.2 Fotografia a fluorescenza di una cella di fusione 3D con elettrodi multipli e possibilità di generazione di gradienti

Il settore della microfluidica trova possibili applicazioni anche nell’ambito delle neuroscienze. Il secondo dispositivo presentato è una cella multicompartimentale (fig. 1.3), utilizzata per studi su neuroni murini.

Figura 1.3 Cella multicompartimentale per la crescita neuronale

La cella permette la coltura cellulare di diversi tipi di cellule nervose in modo da valutare e analizzarne le interazioni. Questa è costituita da due camere di trattamento, dove i flussi scorrono parallelamente, collegate da quattro microcanali perpendicolari ad esse; in questo modo, se la pressione interna alle camere risulta essere uguale, nei canali non è presente trasporto di massa per via convettiva ma sono possibili solamente movimenti diffusivi.

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Coltivando neuroni prelevati dall’ippocampo murino, è stato possibile notare che questi, se inseriti in uno dei due compartimenti, tendevano ad

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allungare il proprio neurite, attraverso i microcanali di connessione, fino all’altro compartimento dopo circa quattro giorni. In questo modo è stato possibile trattare la sola parte del neurite, arrivata nella seconda camera, con una molecola d’interesse senza che l’intera cellula ne fosse in contatto [4].

Figura 1.4 Neuroni di ippocampo murino in fase di allungamento dell’assone

Grazie a questa tecnica è possibile studiare le vari tipologie d’interconnessione neuronale e molte patologie, come il morbo di Alzheimer, dove la capacità di esporre solo parte di un neurite ad un trattamento farmacologico è di fondamentale importanza per la ricerca di un’eventuale cura.

L’ultimo dispositivo che è stato riportato è il sistema “PARTCELL” (Partial Treatment of Cells Using Laminar Flows), ideato da Takayama e Ostuni al Dipartimento di Chimica dell’Università di Harvard (fig. 1.5) [5].

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Figura 1.5 Schema dei canali del sistema PARTICELL

Il sistema PARTCELL è basato su l’utilizzo di più flussi laminari e paralleli, di differenti soluzioni, fatti scorrere attraverso una rete di capillari. I flussi sono generati dalla combinazione di diverse soluzioni, provenienti da vari ingressi, che si miscelano passando attraverso una “rete

miscelatrice”.

Le dimensioni dei canali, dell’ordine delle centinaia di micron, e le basse velocità (~1 cm/s), permettono di ottenere bassi numeri di Reynolds con la formazione di flussi laminari i quali entrano all’interno della zona di trattamento senza mescolarsi per moti convettivi o turbolenti, ma solo tramite diffusione.

Figura 1.6 Schema della cella di trattamento

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Facendo scorrere, in un unico canale, due flussi laminari e paralleli di due liquidi (uno contenente una concentrazione nota di un soluto e l’altro a concentrazione nulla), dopo una certa distanza dall’inizio del canale la differenza iniziale tenderà ad annullarsi per moti diffusivi; in tal modo si genera un gradiente lineare di concentrazione, con verso perpendicolare al moto del fluido e con concentrazione massima e minima nota (fig. 1.7).

Figura 1.7 In figura A si notano i flussi separati in ingresso al canale, in figura B si nota la formazione del gradiente di concentrazione

Questo gradiente, dopo il transitorio iniziale, se non vengono cambiati i parametri dell’esperimento, si può ipotizzare essere costante poiché dipendente esclusivamente dalla velocità del fluido, dalle dimensioni geometriche dei canali, dalla concentrazione massima e minima e dalla diffusività del soluto nel mezzo [6]. Queste variabili sono facilmente controllabili dall’utente e pertanto risulta molto semplice creare varie tipologie di gradienti in grado di adattarsi a molteplici esigenze sperimentali.

La tecnica PARTCELL è stata utilizzata per diverse tipologie di esperimenti: dalla colorazione selettiva di diverse popolazioni di mitocondri della stessa cellula, al distaccamento dal substrato di una sola parte della cellula, all’analisi della struttura del citoscheletro mediante distruzione di filamenti di actina selezionati.

Regolando accuratamente la portata dei fluidi in ingresso e il posizionamento delle cellule, Takayama ed Ostuni hanno fatto scorrere

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l’interfaccia tra due fluidi paralleli sopra un unica cellula, in modo tale che, parte di questa fosse sottoposta ad un flusso contenente la molecola d’interesse mentre l’altra ad un flusso dove la molecola non fosse presente (fig. 1.8). In questo modo trattando una cellula endoteliale con “Mitotracker Green FM” per un periodo abbastanza lungo (5, 11 e 35 min) è stato possibile colorare di verde solo una sottopopolazione di mitocondri della cellula per un periodo di tempo prolungato, tale da permetterne l’osservazione.

Figura 1.8 Colorazione dei mitocondri in una cellula endoteliale bovina dopo 5, 11, 35 minuti di trattamento

Questo dimostra come la tecnica sia in grado di identificare sottodomini cellulari con un’accurata precisione.

Ostuni e Takayama hanno utilizzato il sistema PARTICELL anche per distruggere selettivamente i filamenti di actina all’interno del citoscheletro

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di una cellula. Infatti, indirizzando verso uno specifico dominio subcellulare, latrunculin B, una molecola membrana-permeabile, si ottiene la rottura dei legami tra i monomeri del filamento di actina (fig. 1.9)

Figura 1.9 In figura A la cellula all’inizio del trattamento, in figura B dopo, si nota la migrazione a sinistra del nucleo

Trattando con la molecola la parte destra della cellula è stato visto che i mitocondri (colorati in precedenza) e il nucleo migrano verso sinistra; pur non cambiando la forma esterna della cellula. Lo spostamento dei mitocondri è associato soprattutto ai microtubuli, pertanto la distruzione localizzata dei filamenti di actina ha permesso di determinare la presenza di connessioni meccaniche tra mitocondri e i microtubuli [5].

Con PARTCELL sono stati effettuati anche degli esperimenti per il distacco dal substrato di una parte della cellula. Mediante l’utilizzo di flussi paralleli contenenti tripsina, è stato provocato il distacco di parte di una cellula endoteliale bovina dal substrato su cui era adesa; è stato così

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possibile osservare (dopo che il flusso contenente tripsina era stato rimosso) il processo di adesione al substrato come avviene nelle fasi di migrazione cellulare [5] (fig. 1.10, 1.11).

Figura 1.10 Evoluzione di una cellula endoteliale bovina sottoposta a trattamento con flusso di tripsina (in basso); le foto sono in ordine temporale

Figura 1.11 Medesima cellula in seguito alla rimozione del flusso

Questi risultati hanno dato la possibilità di analizzare eventuali differenze di migrazione tra cellule normali e cellule tumorali; permettendo quindi la sperimentazione di eventuali farmaci capaci di inibire l’iper-migrazione di queste.

Un altro esperimento effettuato con PARTICELL ha visto la generazione di un gradiente di concentrazione in un flusso di BSA utilizzando Poli-L-Lisina. In questo modo è stato dimostrato come, in un neurone espiantato dall’ippocampo murino, gli assoni tendono ad allungarsi e crescere nel senso del gradiente, e in particolare tendono ad andare verso le concentrazioni maggiori [7].

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Figura 1.12 Neurone in crescita in una coltura cellulare

Questo dimostra come i gradienti di molecole esterne alla cellula siano in grado di orientare, all’interno del cervello, la crescita di nuove connessioni interneuronali ma, soprattutto, come i neuroni siano in grado di riconoscere differenze di concentrazioni [8].

Dopo aver analizzato i sistemi microfluidici per la generazione di gradienti di concentrazione ed aver visto le loro possibili applicazione, passiamo adesso ad analizzare l’effetto dei gradienti di concentrazione nei sistemi biologici e in particolare: l’embriogenesi, la morfogenesi, la chemiotassi, lo sviluppo del sistema nervoso.

1.3 Gradienti di concentrazione e loro effetti biologici

1.3.1 Embriogenesi

Ogni organismo biologico è formato da un elevato numero di cellule, ognuna delle quali è specializzata ed è funzionale al determinato compito che deve assolvere.

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Ogni specie cellulare inoltre è organizzata in diversi tessuti e ognuno di questi è caratteristico dell’organo che forma.

All’interno di ogni organismo esiste quindi un preciso ordinamento anatomico e funzionale per permettere un corretto svolgimento delle funzioni vitali.

Le diverse specie cellulari hanno tutte origine dalla fusione della cellula uovo con una cellula spermatica; passando attraverso tre fasi: crescita, differenziamento e morfogenesi, l’embrione si sviluppa in un organismo adulto. Lo zigote, cellula diploide, dotata quindi di un corredo genetico pari a quello di una cellula adulta, modifica la sua attività metabolica e la sua forma al fine di accelerare i processi mitotici di duplicazione cellulare e formare un insieme di cellule non specializzate: l’embrione (fig. 1.13).

Figura 1.13 Embrione

L’organizzazione spaziale dell’embrione non risulta essere casuale, la massa di cellule infatti presenta una forma ed una distribuzione preposta allo sviluppo futuro. Durante la fase di crescita embrionale, molecole specifiche “comunicano” specifici segnali alle cellule; recepiti da una serie di recettori presenti sulla medesima e la loro codifica influenza l’organizzazione e lo sviluppo cellulare nell’ embrione.

Dopo una prima scissione dello zigote in blastomeri (cellule indifferenziate totipotenti) si ha la formazione di una massa di cellule embrionali disposte con un preciso schema spaziale: la morula.

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In questa fase risulta essere di particolare importanza lo scambio tra le cellule e l’ambiente esterno; ogni segnale chimico infatti può indurre dei cambiamenti fondamentali per lo sviluppo embrionale. Per ottimizzare la possibilità di scambio con l’esterno la massa di cellule embrionali acquisisce una particolare forma spaziale, la blastula, che è caratterizzata da uno strato monocellulare sferico cavo.

A seguito dell’influenza di fattori esterni, i tessuti embrionali si riorganizzano disponendosi su tre strati di tessuto, processo noto col termine di gastrulazione. A questo stadio inizia la specializzazione delle cellule che formano l’embrione attraverso lo sviluppo di tre foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma ed endoderma. Dal loro differenziamento si svilupperanno le cellule specializzate presenti nell’organismo adulto.

Il processo di differenziamento è regolato da geni omeotici, specifici geni presenti nel patrimonio genetico delle cellule embrionali. Questi presiedono alla sintesi di particolari proteine, che hanno un controllo sull’attività cellulare, indirizzandone la specializzazione. L’attivazione dei geni omeotici è controllata da segnali chimici specifici: i fattori di induzione o

morfogeni.

Con il termine morfogene si indica una molecola che, funzionando come un trasmettitore di informazioni, attiva precisi processi di specializzazione cellulare all’interno di un organismo.

Una volta sintetizzato e rilasciato, il morfogene diffonde dalle cellule produttrici a quelle bersaglio mediante diversi meccanismi diffusivi:

• diffusione (attiva o facilitata) attraverso la membrana della cellula produttrice verso la matrice extracellulare;

• esocitosi-endocitosi da una cellula ad un’altra;

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• contatto tra matrice extracellulare di cellule adiacenti.

In tutti i casi si verifica una situazione analoga: il segnale chimico induttore avrà un gradiente di concentrazione dalla zona di secrezione alla cellula bersaglio. Il gradiente morfogenico quindi indurrà nelle cellule differenti espressioni geniche a seconda della direzione e dell’intensità del gradiente stesso. L’idea di un gradiente morfogenico è direttamente correlato con il concetto che una cellula ha coscienza della posizione occupata [6]. Una cellula infatti, è in grado di riconoscere la sua posizione all’interno di un gradiente di concentrazione di un segnale chimico extracellulare e di determinare il suo sviluppo futuro.

In genere il campo di azione del gradiente di concentrazione può variare, a seconda della quantità di induttore prodotto e rilasciato, da distanze di 50 μm, coinvolgendo poche cellule, fino a distanze 300 μm, coinvolgendo gran parte dell’embrione.

Bisogna sempre tener presente però che la cellula è sensibile a piccole variazioni del gradiente in spazi dell’ordine di pochi micrometri.

1.3.2 Effetto dei gradienti di concentrazione su organismi

Molti sono stati gli studi effettuati su organismi biologici al fine di analizzare l’effetto dei gradienti di morfogeni sul loro sviluppo.

Per esempio per la Drosophila Melanogaster, o moscerino della frutta, gli studi si sono incentrati sull’analisi dello sviluppo delle ali e la formazione dell’asse dorsoventrale (fig. 1.14) [9, 10].

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Figura 1.14 Drosophila Melanogaster

In questo insetto è stata individuata una proteina che influenza lo sviluppo morfologico delle ali; la Drosophila infatti può presentare due o quattro ali nel moscerino adulto con lunghezza variabile. È stato dimostrato che in presenza di tale proteina la crescita delle ali presenta un ritmo riproduttivo di circa 15 cellule in 30 minuti di azione della proteina (fig. 1.15).

Figura 1.15 Individui di Drosophila Melanogaster con lunghezza di ali diversa

Un ulteriore esempio dell’importanza dei gradienti di concentrazione nei sistemi biologici si può vedere nel processo di rigenerazione della planaria; tagliando a metà il verme si può notare come i due tronchi siano in grado di rigenerare ciascuno la corretta parte mancante. Questo vuol dire che le cellule deputate alla rigenerazione della parte mancante sono in grado di determinare, sulla base di un gradiente di concentrazione di specifiche molecole, la componente da ricreare (fig. 1.16).

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Figura 1.16 Planaria

Un altro organismo biologico largamente studiato è stato lo Xenopus, soprattutto per l’analisi della formazione dell’asse dorsoventrale e della genesi del mesoderma (fig. 1.17).

Figura 1.17 Xenopus

Studi su questo anfibio hanno sottoposto singole cellule di Xenopus

blastula a un gradiente morfogenico per analizzare la capacità della singola

cellula di percepire direttamente l’intensità e la direzione del gradiente a cui è stata sottoposta. Non è ben chiaro ancora se la cellula per determinare la sua posizione all’interno di un gradiente di concentrazione abbia bisogno di un contatto diretto con altre cellule. In generale infatti negli organismi le cellule adiacenti comunicano tra loro, e grazie a questa capacità riescono a percepire l’entità del gradiente a cui sono sottoposte.

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1.3.3 Chemiotassi

I gradienti di concentrazione, come detto, giocano un ruolo importante anche nella risposta delle colture cellulari a stimoli chimici esterni.

Molti studi si sono incentrati sull’analisi della chemiotassi [11-12]; questa per definizione è il processo di migrazione cellulare attraverso gradienti di molecole solubili. Con il termine di chemiotassi positiva si intende il movimento verso una sostanza chimica; mentre con chemiotassi negativa si intense il movimento di allontanamento della cellula dalla sostanza chimica generalmente nociva in questo caso. Le sostanze che determinano una chemiotassi positiva sono definite chemioattrattori, mentre quelle che generano una chemiotassi negativa sono definite chemiorepulsori.

Il processo chemiotattico è di fondamentale importanza nelle metastasi del cancro, nell’embriogenesi e nel processo di guarigione delle ferite. I chemioattrattori e il loro recettori sono stati ben caratterizzati negli ultimi anni diventando dei possibili target terapeutici.

La risposta chemiotattica è il risultato di una risposta cellulare a una variazione di concentrazione più che alla concentrazione assoluta dello stimolo.

Studi sulla chemiotassi [13] hanno analizzato la migrazione dei neutrofili in gradienti, controllati nello spazio e nel tempo, di interleuchina-8. Negli studi convenzionali di chemiotassi dei neutrofili infatti, le cellule sono poste in un punto dello spazio a una certa distanza dal chemioattrattore, il quale è libero di diffondere nel substrato provocando una migrazione cellulare. Le condizioni che si vengono a creare sono quindi quelle di un profilo di concentrazione del chemioattrattore variante nel tempo e non risultano essere ideali per un accurato studio della chemiotassi riuscendo a dare soltanto risultati qualitativi.

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L’analisi della chemiotassi in condizioni di gradiente costante nello spazio e nel tempo ha dimostrato una forte migrazione direzionale attraverso concentrazioni crescenti di interleuchina-8.

È stato dimostrato inoltre che la migrazione dei neutrofili si arresta bruscamente quando le cellule incontrano un improvvisa diminuzione a zero della concentrazione della sostanza chemiottrattiva; quando invece sono sottoposti a un incremento o decremento graduale le cellule attraversano la cresta del massimo della concentrazione e migrano ulteriormente prima di invertire la direzione.

1.3.4 Effetto dei gradienti di concentrazione sul sistema nervoso

L’effetto dei gradienti di concentrazione si nota anche a livello neurale sia nella crescita e differenziazione di cellule staminali neurali umane [14] che nello sviluppo delle terminazioni nervose.

Gli studi sulle cellule staminali neurali umane (NSCs), cioè cellule capaci di rigenerare se stesse mantenendo la capacità di differenziarsi nei tre tipi principali di cellule del sistema nervoso (neuroni, astrociti e oligodendrociti), sono di particolare importanza per lo sviluppo di applicazioni terapeutiche in patologie quali disturbi neuronali dello sviluppo e disturbi neuro-degenerativi come l’Alzheimer e il Parkinson. Gli studi si sono incentrati sull’analisi della proliferazione e della differenziazione cellulare in condizioni di un flusso continuo capace di generare un profilo di concentrazione di fattori di crescita costante nel tempo. In tali condizioni le prove hanno evidenziato una proliferazione cellulare direttamente proporzionale alla concentrazione dei fattori di crescita e una differenziazione in astrociti inversamente proporzionale alla

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stessa; le risposte cellulari sono state qualitativamente simili a quelle ottenibili con tecniche tradizionali. I vantaggi di questa tipologia di studi risiedono nel fatto che l’utilizzo di dispositivi, per la generazione di gradienti ci concentrazione, permettono di ridurre i volumi di terreno di coltura, degli agenti di crescita e del quantitativo di cellule da utilizzare in modo da ottenere una riduzione dei costi.

Per quanto riguarda invece l’effetto dei gradienti di concentrazione nella crescita delle terminazioni neuronali, è stato visto che i profili di concentrazione di alcune molecole guidano la crescita degli assoni durante la formazione del sistema nervoso.

Capire come gli assoni siano guidati durante la formazione della rete sinaptica celebrale può essere di fondamentale importanza per comprendere meglio le cause delle malformazioni celebrali.

Recenti studi hanno scoperto il ruolo di alcune molecole, come quelle appartenenti alla famiglia delle efrine/epinefrine, giungendo alla conclusione che la crescita assonica non è legata alla concentrazione puntuale delle molecole, ma ai gradienti di concentrazione da loro formati.

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Figura 1.18 Neurone con relativo assone

Gli assoni si muovono nella direzione di questi gradienti, talvolta verso concentrazioni maggiori, talvolta verso concentrazioni minori, finché la crescita viene inibita e iniziano nuovi processi evolutivi, come nel caso della connessione sinaptiche tra due neuroni.

Figura

Figura 1.1 Sequenza di foto del processo di fusione cellulare
Figura 1.2 Fotografia a fluorescenza di una cella di fusione 3D  con elettrodi multipli e possibilità di generazione di gradienti
Figura 1.4 Neuroni di ippocampo murino  in fase di allungamento dell’assone
Figura 1.6 Schema della cella di trattamento
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