I I N N T T R R O O D D U U Z Z I I O O N N E E
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1. I gliomi: il glioblastoma multiforme
Il termine glioma viene utilizzato per indicare tutti i tumori cerebrali primari originati dalle cellule della glia, cellule deputate al sostegno e al nutrimento delle cellule neuronali.
Le più comuni neoplasie primarie del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono gli astrocitomi, i quali originano da cellule della glia, gli astrociti (fig.1), che vanno a costituire la barriera ematoencefalica prendendo contatto con la membrana basale.
Fig. 1 Cellula di astrocita
Come per tutte le tipologie tumorali, gli astrocitomi sono distinti a seconda
della loro gravità in base al sistema di classificazione dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, e sono quindi suddivisi in neoplasie di grado I, II,
III e IV. L’assegnazione del grado di malignità della massa neoplastica si
basa sull’aspetto microscopico, sulla tendenza all’infiltrazione dei tessuti
sani e sulla velocità di accrescimento. In particolare, agli astrocitomi di
grado IV appartiene il più ricorrente tra i gliomi maligni, il glioblastoma
multiforme.
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Questa forma tumorale è costituita da cellule fortemente atipiche e irregolari che si moltiplicano molto rapidamente, presenta componenti emorragiche e viene caratterizzata istologicamente dalla proliferazione dell’endotelio vascolare (angiogenesi) e da vaste aree di necrosi con conseguente alterazione della barriera ematoencefalica. Il glioblastoma può svilupparsi da un astrocitoma di grado II (diffuso) o da un astrocitoma di grado III (anaplastico) e in questi casi è detto secondario, ma, più frequentemente, si manifesta de novo, senza alcuna evidenza di precedente neoplasia ed è allora detto primario.
La caratteristica patologica del GBM è il comportamento altamente invasivo, responsabile del fallimento delle terapie chirurgiche, radioterapiche e chemioterapiche e della conseguente riduzione della prospettiva di vita a circa 12 mesi dal momento della diagnosi.
L’invasività tumorale e lo sviluppo di metastasi sono processi molto complessi che avvengono mediante vari steps e coinvolgono la degradazione proteolitica della matrice extracellulare (ECM), l’alterazione delle interazioni cellula-cellula e cellula-ECM e la migrazione delle cellule tumorali attraverso la membrana basale (Konstantinopoulos et al., 2008).
1.1 La matrice extracellulare
La matrice extracellulare è un ambiente dinamico coinvolto nei processi di rimodellamento cellulare sia fisiologici, quali sviluppo embrionale, riparazione tissutale e organogenesi, sia patologici, quali risposte infiammatorie, disordini vascolari ed autoimmuni, invasività tumorale e metastasi.
ECM è costituita da proteine, polisaccaridi e componenti fibrotici e tali
componenti sono organizzati in rete e sono responsabili delle diversità
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morfologiche e fisio-patologiche dei tessuti. Inoltre, forniscono l’appropriato substrato per la crescita e la diffusione cellulare.
Nella ECM si distinguono la matrice interstiziale e la membrana basale. La prima occupa tutto lo spazio tra le cellule mesenchimali e la membrana basale. Quest’ultima separa le cellule epiteliali dallo stroma sottostante, è costituita da matrice extracellulare organizzata in forma laminare e rappresenta la prima barriera contro l’invasività tumorale. Il principale componente della membrana basale è il collagene di tipo IV.
La capacità delle cellule maligne di distruggere la membrana basale e gli
altri componenti della ECM è associata al potenziale invasivo della
neoplasia. Il microambiente tumorale può essere regolato da enzimi che
agiscono sui componenti della ECM. Tra i moltissimi enzimi proteolitici
presenti nei tessuti umani e associati all’invasività tumorale, rivestono
grande importanza le metalloproteasi di matrice (MMPs), le quali hanno
potenzialmente la capacità di tagliare tutte le componenti della matrice
interstiziale e della membrana basale, permettendo alle cellule di penetrare
ed infiltrare i tessuti circostanti (Konstantinopoulos et al., 2008).
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2. Le metalloproteasi di matrice (MMPs)
Le metalloproteasi di matrice (MMPs) costituiscono una famiglia di oltre 25 endopeptidasi zinco-dipendenti strutturalmente correlate tra di loro.
Caratteristico è il legame di uno ione Zn
2+alle 3 istidine (H) della sequenza amminoacidica HEXXHXXGXXH facente parte del sito attivo.
Tutte le metalloproteasi sono sintetizzate come pre-proenzimi e la struttura base è così costituita:
Pre: sequenza peptidica amino terminale, di 17-29 amminoacidi, che dirige l’enzima nel reticolo endoplasmatico;
Pro: sequenza pro-peptidica con circa 80 amminoacidi, altamente conservata, al cui interno si trova una cisteina che, interagendo mediante il suo gruppo tiolico (SH) con lo ione zinco del sito attivo, mantiene l’enzima nella forma inattiva di zimogeno;
Dominio catalitico: costituito da circa 170 residui amminoacidici, dove le 3 istidine (H) e il glutammato (G) del sito attivo sono conservati mentre X può essere un aminoacido qualunque. Contiene anche un residuo di metionina conservato che forma una struttura particolare detta Met-turn. Nel dominio sono presenti anche un altro zinco e 2-3 ioni calcio, necessari per la stabilità dell’enzima;
Dominio COOH-terminale: dominio variabile, costituito da circa 210
amminoacidi, è responsabile della specificità per il substrato e delle
interazioni con gli inibitori endogeni. E’ assente nelle matrilisina, la
più piccola MMP.
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Ad eccezione di un limitato numero di MMPs attivate intracellularmente, la maggior parte di esse viene secreta dalle stesse cellule tumorali o da cellule stromali come zimogeni, precursori inattivi, nella matrice extracellulare. A livello di quest’ultima avviene l’attivazione degli zimogeni, la quale consiste nell’iniziale rottura del legame Cys-Zn consentendo l’esposizione del sito attivo e predisponendo all’autolisi catalitica con conseguente rilascio del dominio pro NH
2-terminale dell’enzima maturo.
Il processo di attivazione in vitro viene indotto da proteasi e da agenti non proteolitici quali organo mercuriali, ossigeno reattivo e denaturanti. In vivo, l’attivazione della maggior parte dei pro-enzimi avviene tramite una complessa cascata di eventi proteolitici che coinvolge proteasi tissutali e plasmatiche, tra cui altre metalloproteasi, ed anche proteasi di origine batterica (Nagase e Woessner, 1999).
L’attività proteolitica delle MMPs è, tuttavia, sotto stretto controllo di
specifici inibitori tissutali (TIMPs), glicoproteine che mantengono
l’omeostasi. Sono stati isolati quattro TIMPs: TIMP-1, TIMP-2, TIMP-3 e
TIMP-4 che legano la forma attiva delle MMPs inibendole e prevenendo la
degradazione delle componenti della matrice extracellulare. Per la
prevenzione dello sviluppo di tumori primari e per impedire la successiva
invasività nei tessuti circostanti risulta indispensabile il mantenimento
dell’equilibrio tra le MMPs e i loro inibitori endogeni (Konstantinopoulos
et al., 2008).
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2.1 Classificazione delle MMPs e differenti ruoli nel cancro
Le MMPs in base alla loro funzione ed al loro substrato principale, sono suddivise in 4 classi:
1. Collagenasi: MMP-1, MMP-8 e MMP-13;
2. Stromalisine: MMP-3, MMP-10, MMP-11, MMP-7 (matrilisina, la più piccola MMP), MMP-26 e MMP-12 (anche detta metalloelastasi);
3. Gelatinasi: MMP-2 (gelatinasi A, 72 kDa) e MMP-9 (gelatinasi B, 92 kDa);
4. Metalloproteasi di membrana: MMP-14, MMP-15, MMP-16, MMP-17, MMP-24 e MMP-25 (Nagase e Woessner, 1999).
Numerosi studi in vitro ed in vivo hanno dimostrato l’implicazione delle MMPs nel processo di cancerogenesi. In riferimento a questo, la sovraespressione di alcune MMPs coincide con l’aumento del comportamento invasivo delle cellule tumorali e con la loro capacità di dare metastasi nei modelli sperimentali animali. Al contrario, l’incremento dell’espressione di altre MMPs comporta una riduzione della crescita tumorale, dell’invasività e delle metastasi. Questo fa comprendere come le diverse MMPs, sebbene strutturalmente simili e in alcuni casi appartenenti alla stessa classe, abbiano ruoli differenti nella crescita e nella diffusione dei tumori.
In particolare, MMP-1, MMP-2 e MMP-7 sono le MMPs implicate nell’evolversi della cancerogenesi, in quanto sono responsabili della degradazione della matrice extracellulare, promuovono l’angiogenesi, stimolano la crescita tumorale e esibiscono proprietà antiapoptotiche.
Effetti totalmente opposti hanno MMP-8, MMP-12 e MMP-14, le quali
sono implicate nell’immunità innata e nella difesa dell’organismo contro il
cancro. Altre MMPs presentano entrambi i comportamenti, avendo un
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ruolo sia nella promozione sia nella protezione dal cancro, in base allo stadio di sviluppo o al tipo di tumore. Un esempio è MMP-9, la quale ha un’azione anticancerogenesi, ma al tempo stesso è la principale MMP coinvolta nel processo di angiogenesi, essenziale per la crescita della massa tumorale (Fig.2) (Konstantinopoulos et al., 2008).
Fig. 2: Differenti ruoli delle MMPs nella cancerogenesi. Figura riadattata da Konstantinopoulos et al. (2008)
MMPs con effetti cancerogenici
MMP-1 MMP-2 MMP-7
- Degradazione della ECM - Promozione dell’angiogenesi - Stimolazione della crescita tumorale - Effetto antiapoptotico
- Attivazione degli osteoclasti e riassorbimento osseo
MMPs con effetti sia cancerogenici che protettori
MMP-3
MMP-9
- Protezione contro agenti chimici cancerogenici - Promozione dell’angiogenesi
- Promozione delle trasformazioni maligne
MMPs con effetti protettori
MMP-8 MMP-12 MMP-14
- Inibizione della crescita tumorale - Inibizione dell’angiogenesi - Immunità innata contro il cancro - Inibizione delle metastasi tumorali
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3. Metalloproteasi e glioma
Le metalloproteasi sono implicate nei gliomi in quanto responsabili sia dell’invasività delle cellule tumorali nel tessuto cerebrale sano, sia dell’angiogenesi. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra il livello di espressione delle MMPs e il grado di malignità dei gliomi. In particolare, nei gliomi sono sovraespresse la gelatinasi A (MMP-2) e la gelatinasi B (MMP-9) (Groves et al., 2002).
Sebbene tutte e due queste MMPs siano coinvolte nella malignità dei gliomi, il ruolo da esse svolto sembra essere differente. Infatti, MMP-2 è la maggior implicata nel supportare la progressione e l’invasività tumorale, mentre MMP-9 partecipa al processo di angiogenesi, essendo utilizzata dalle cellule dell’endotelio capillare per degradare la membrana basale e quindi per migrare sotto stimoli angiogenici.
In condizioni fisiologiche, due inibitori tissutali delle MMPs TIMP-1 e TIMP-2 sono coinvolti nel blocco della crescita tumorale e dell’angiogenesi, in quanto vanno ad inibire rispettivamente MMP-9 e MMP-2.
L’implicazione di queste due MMPs nei gliomi è confermata indirettamente da studi condotti su modelli animali di topi mancanti delle due MMPs (topi deficienti per MMP-2 e MMP-9). I topi hanno mostrato resistenza alla crescita del tumore e alla diffusione di metastasi, senza sviluppare altre anomalie.
Tuttavia, le due gelatinasi non sono le uniche metalloproteasi sovraespresse
nel glioblastoma multiforme: infatti, mediante le tecniche Western Blotting
e Zimografia è stato dimostrato che in questa forma di tumore cerebrale
sono presenti alte concentrazioni della metalloelastasi MMP-12. Ciò
suggerisce che anche MMP-12 è coinvolta nel comportamento altamente
invasivo del glioblastoma (Sarkar et al., 2006).
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4. Trattamento farmacologico del glioblastoma multiforme
Le terapie attuali del glioblastoma multiforme si avvalgono della chirurgia, della radioterapia e della chemioterapia. Purtroppo, dopo i trattamenti iniziali che sembrano efficaci, l’elevato grado di malignità e di invasività del GBM rende praticamente impossibile la guarigione. L’intervento chirurgico viene effettuato per asportare una parte della massa tumorale, in quanto, solitamente, non è possibile rimuoverla completamente. A causa di ciò e della natura infiltrante del glioblastoma, è reso indispensabile un successivo trattamento di radioterapia o chemioterapia. Negli ultimi anni è stata sviluppata una tecnica chirurgica di chemioterapia intracavitaria che prevede l’inserimento, durante l’intervento, di un “wafer” di carmustina, un polimero biodegradabile che diffonde la nitrosurea nel tumore per 2-3 settimane. E’ stato visto che questa tecnica determina un prolungamento medio della vita dei pazienti di 8 settimane.
Qualche beneficio è stato ottenuto a seguito del trattamento radioterapico dopo l’asportazione parziale della massa tumorale. La radioterapia determina il danneggiamento del DNA delle cellule tumorali rimaste dopo l’intervento chirurgico.
Anche gli agenti chemioterapici agiscono sul DNA, provocandone una disorganizzazione che porta la cellula tumorale verso il processo apoptotico.
Negli ultimi anni, insieme alla radioterapia, viene spesso utilizzato come
agente chemioterapico, la Temozolomide, un agente alchilante del DNA,
ben tollerato e con elevata biodisponibilità orale. In seguito a questo
co-trattamento è stato osservato un prolungamento della sopravvivenza dei
pazienti affetti da GBM, che, tuttavia, in media non supera i 12 mesi dal
momento della prognosi. Infatti, dopo trattamenti prolungati, i farmaci
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chemioterapici perdono efficacia a causa dello sviluppo di resistenza da parte delle cellule tumorali.
Per evitare l’insorgenza della resistenza da parte delle cellule di glioma verso gli agenti chemioterapici, la ricerca si è focalizzata su terapie basate sull’associazione di diversi farmaci, così da aumentare la prospettiva di vita dei pazienti, ridurre il dosaggio farmacologico e, di conseguenza, l’insorgenza della chemioresistenza.
4.1 Inibitori delle metalloproteasi
In seguito alla scoperta dell’importante ruolo che rivestono le MMPs nella crescita, progressione e diffusione dei gliomi, sono stati sintetizzati e testati vari inibitori a largo spettro delle MMPs, tra i quali Marimastat, Batimastat, CGS_27023A ed altri. Gli inibitori delle metalloproteasi (MMPIs) mimano i substrati delle MMPs e chelano lo zinco in modo da inibirne l’attività. In base al gruppo che lega e chela lo zinco, gli MMPIs sono stati suddivisi in diverse classi: idrossammati, carbossilati, amminocarbossilati, tioli e derivati dell’acido fosforico. In particolare, i composti appartenenti alla famiglia degli idrossammati, tra cui Batimastat e Marimastat, hanno mostrato un’attività significativa in vari modelli animali (Konstantinopoulus et al., 2008).
Anche in trials clinici si sono osservati miglioramenti a seguito del
trattamento con Marimastat associato a Temozolomide e questi studi hanno
mostrato che, rispetto ai trattamenti classici, aumentava il numero di
pazienti che rispondeva al trattamento e che non presentava peggioramenti
nei 6 mesi successivi alla terapia. Tuttavia, nei soggetti trattati si
presentavano notevoli effetti collaterali, soprattutto sottoforma di dolore
alle articolazioni e ai tendini.
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Infatti, lo sviluppo clinico di questi inibitori a largo spettro è risultato problematico, in quanto hanno un basso indice terapeutico, presentando, a basse dosi, una marcata tossicità a livello muscolo-scheletrico (dolore ed infiammazione). Benché questi effetti siano reversibili in seguito alla
cessazione della somministrazione degli MMPIs, il dolore muscolo-scheletrico permane anche dopo il trattamento con analgesici
narcotici, comportando una limitazione nella durata del trattamento e nella possibilità di incrementare le dosi (Groves et al.,2002).
Questa tossicità muscolo-scheletrica sembra essere dovuta alla
compromissione del normale rimodellamento tissutale regolato dalla
MMP-1, e, proprio in seguito a questa osservazione, per ridurre gli effetti
collaterali dei MMPIs si è cercato di evitare l’azione sulla MMP-1. Alla
luce di questo la ricerca si è focalizzata sullo sviluppo di nuovi agenti
antitumorali che presentino una buona potenza e selettività verso MMP-2 e
MMP-9, che sembrano essere le responsabili del comportamento invasivo
del GBM (Rossello et al.,2005).
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