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Appendice 1. Il soprannome del parassita

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Academic year: 2021

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Appendice 1. Il soprannome del parassita

a. Il soprannome di Ergasilo

Ergasilo fa il suo ingresso in scena al v. 69, e si presenta al pubblico esclusivamente con l’eloquente soprannome di Scortum, che utilizza come spunto per avviare una lunga digressione. Monologa dunque per quaranta versi, nel corso dei quali commenta diffusamente e con buona dose di autoironia il proprio status di parassita, e di parassita in disgrazia: descrive con ricchezza di immagini il curioso mestiere di procacciarsi da vivere mendicando inviti a cena, si lancia in facili commenti sui mala tempora, e in più fornisce tutta una serie di informazioni “da prologo”, come il luogo in cui si svolge l'azione (l’Elide) e il nome di uno dei personaggi (Filopolemo). Per conoscere il suo vero nome, invece, bisognerà attendere

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fino al v. 138, quando esso sarà reso noto al pubblico solo per via indiretta, grazie a un’allocuzione rivoltagli da Egione.

Un tale ritardo nella comparsa del nome “Ergasilo”, insieme al fatto che esso si trovi solo 7 volte in tutta la commedia, mentre il personaggio è in scena per oltre 300 versi, può far riflettere in varie direzioni.

Una prima, facile, impostazione della questione si potrebbe risolvere in un ragionamento del genere: di Ergasilo non importa il nome, perché la figura del parassita non ha consistenza autonoma, non è dotata di individualità e ha valore solo in quanto maschera fissa, “tipo” destinato a infondere un sovrappiù di comicità allo svolgersi di una storia in cui non ricopre ha alcun ruolo effettivo. Quest’ottica, in cui si è mosso ad esempio Prescott, si rivela però poco produttiva, e finisce per ridurre l’analisi di un personaggio alla definizione del suo essere più o meno “funzionale” all’evolversi della vicenda181: le figure “organiche” vengono dunque analizzate dal punto di vista narratologico, mentre quelle “inorganiche” sono considerate semplici esche per pezzi di bravura, e spesso finiscono sotto la rubrica “elementi plautini”, categoria come abbiamo visto fortunata, ma un po’ troppo comoda e talvolta autoreferenziale.

Proviamo invece a seguire un percorso diverso, e iniziamo interpretando Plauto con Plauto.

181L’articolo di Prescott è, in fondo, poco più che una catalogazione ragionata di nomi plautini basata sulla dicotomia “organico”/”inorganico”.

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b. I soprannomi di Gelasimo

Che un personaggio disponga di due nomi non stupisce più di tanto. Nello Stichus il parassita Gelasimo entra in scena al v. 155 e non dice come si chiama. Anch’egli si presenta con un lungo monologo tutto intessuto di umorismo paradossale, in cui indica come tratti fondamentali del proprio carattere la fame insaziabile e l’essere un homo ridiculus. Finalmente, dopo quasi venti versi dall’inizio della battuta, al v. 174 leggiamo:

Gelasimo nomen mi indidit parvo pater.

Al v. 242, invece, sempre Gelasimo dirà

nunc Miccotrogus nomine e vero vocor.

Abbiamo dunque un parassita con due nomi, uno dei quali è quello di nascita, e l’altro un soprannome, proprio come nel caso di Ergasilo/Scortum. Ma vale la pena di andare più in profondità nell’analisi.

Partiamo dal nome “vero”. Nei Captivi, abbiamo visto, esso non è presentato con particolare enfasi, viene utilizzato poco e sempre in funzione fatica o strettamente referenziale. Il testo, d’altronde, non si preoccupa di chiarire se Ergasilus vada o meno

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considerato un nome parlante. Quest’ultimo problema è stato invece affrontato dagli studiosi moderni, che hanno giustamente sottolineato il senso di “faccendiere”, “maneggione”182, sicuramente appropriato sia a un generico parassita (sempre impegnato a brigare per procurarsi da mangiare), sia, nello specifico, a un personaggio che vedremo spesso intento ad esaltare le proprie abilità (cfr. p.es. vv. 482 ss., e la pantomima autocelebrativa dei vv. 768 ss.).

Torniamo allo Stichus. I vv. 174-7 recitano:

Gelasimo nomen mi indidit parvo pater quia inde iam a pausillo puero ridiculus fui; propter pauperiem hoc adeo nomen repperi, eo quia paupertas fecit ridiculus forem.

Abbiamo dunque non una, ma addirittura due spiegazioni “etimologiche” del nome proprio: la prima rimanda ai normali processi onomastici mitologico-letterari (per cui ai bambini si dà il nome sulla base di qualche caratteristica particolare183), mentre la seconda “dimostra” che nomina sunt consequentia rerum, risemantizzando lo stesso termine sulla base delle condizioni attuali del soggetto. La pregnanza comica del nome parlante risulta dunque raddoppiata, ma soprattutto esplicita: entrambe le spiegazioni sono infatti imperniate sulla voce ridiculus, che Gelasimo utilizza tre volte nel giro di sette versi, e che non è altro che un’esatta traduzione del greco

182Leach propone anche un collegamento con ergastulum. Per una diversa interpretazione cfr. infra. 183 Un esempio su tutti: Ο?δAπουE, il bambino esposto con le caviglie martoriate, e perciò “dai piedi

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γελIσιµοE184.

Un procedimento analogo opera al già citato v. 242. Vediamone il contesto:

CROC. Gelasime, salve. GEL. Non id est nomen mihi. CROC. Certo mecastor id fuit nomen tibi.

GEL. Fuit disertim, verum id usu perdidi: nunc Miccotrogus nomine e vero vocor.

Con l’entrata in scena di Crocotium, Gelasimo si trova ad avere un interlocutore per le sue querimonie, e ne approfitta per rincarare la dose: traendo spunto ancora una volta dal suo stato presente, muta il proprio nome da “Ridicolo” in “Masticapoco”. L’hapax µικκQτρωγοE (formato da µικκQE, dorico per µικρQE, e τρωγUω) non ha bisogno di tante spiegazioni, e d’altronde la connessione tra i due appellativi è già stata suggerita dall’ancella qualche verso prima, con le parole:

184 Un raffronto analogo tra latino e greco è stato proposto da Corbett p.16 e accolto da Maltby in relazione ai Captivi: il soprannome scortum e il nome Ergasilus sarebbero tra loro nello stesso rapporto di ridiculus e Gelasimus, in questo caso per il tramite del greco WργIσιµοE, un aggettivo che Corbett definisce «tipico delle prostitute al lavoro». Questa interpretazione si basa probabilmente su un passo di Artemidoro (1.78) in cui la prostituta definita WργIσιµοE è “quella che fa tutto, che non nega nessuna pratica”. Alla luce dello stereotipo comico del parassita disposto a tutto pur di compiacere colui da cui spera di ottenere qualcosa, la proposta è parecchio attraente, ma si scontra con due obiezioni: innanzi tutto, il senso più comune della voce greca (scartando il valore passivo di “lavorabile, coltivabile”) è quello di “attivo, intraprendente” (cfr. p. es. Orph., Hymn. 69.11 e 78.12), quando non addirittura di “lavoratore” sic et simpliciter (cfr. p. es. Appiano, B. Civ. 3.72, dove τ] WργIσιµον vuol dire “forza lavoro”), e quindi sostituirlo con un’accezione più rara e attestata solo nel tardo II sec. d.C. pare quantomeno azzardato; in secondo luogo, la possibilità linguistica del passaggio da WργIσιµοE a * WργIσιλοE è tutta da dimostrare (e poi, cosa avrebbe impedito di chiamare il parassita “Ergasimo”?).

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Ridiculus aeque nullus est quando esurit.

c. La iuuentus

L’“auto-soprannome” di Gelasimo non avrà comunque molto successo e non comparirà più per tutta la commedia, restando una semplice boutade tra le mille altre prodotte dal linguacciuto parassita185 . Quest’ultima affermazione vale anche per lo scortum di Ergasilo: nessuno nei Captivi lo chiama così, né si trova alcun altro accenno o rimando anche indiretto a tale soprannome. Forse proprio per questo, però, è lui stesso a spendere otto versi (69-76) per spiegarlo e commentarlo. Non solo: prima ancora di esporre il witz (effettivamente piuttosto sottile), ci informa circa la sua origine, affermando che a inventarlo è stata la iuuentus. A chi si riferisce questo collettivo? Non è difficile intuire (cfr. p. es. Capt. 470 ss.) che il riferimento è a una cerchia di giovani di buona famiglia come Filopolemo, pressoché coetanei e certamente compagni di gozzoviglie del parassita, in grado di apprezzare i suoi logos

185Lo stesso accade in Per. 101-3:

TOX. O Saturio, opportune advenisti mihi. SAT. Mendacium edepol dicis, atque haud te decet:

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ridiculos, ma soprattutto di ricambiarli elargendo generosamente cenae, potiones, prandia186.

Ma a questo punto il campo si allarga: perché proprio questa iuuentus ritorna in un passo la cui vicinanza a Capt. 69 ss. è impressionante. Si tratta di Men. 77-8, in cui un altro parassita esordisce dicendo:

Iuuentus nomen fecit Peniculo mihi, ideo quia mensam, quando edo, detergeo.

A parte la diversa estensione della spiegazione del soprannome, che occupa un verso nei Menaechmi contro i sette dei Captivi, le prime parole ritornano praticamente verbatim. A livello contenutistico, invece, siamo probabilmente più vicini allo Stichus, in quanto il nome spiegato è quello che accompagnerà il personaggio per tutta la commedia (e in questo caso il nome d'origine manca del tutto).

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d. Soprannome / dποκQρισµα

Nel fr. 183 del Parasitos di Alessi, invece, ai vv. 1-2 si legge:

καλοfσι δ’αgτ]ν πIντεE οh νεiτεροι ΠαρIσιτον dποκQρισµα.

Al di là della conferma del ruolo dei νεiτεροι, questo testo offre due ulteriori spunti interessanti: il primo, per cui si rimanda all'appendice 2, riguarda proprio il termine "parassita"187, Il secondo concerne invece l'interpretazione di dποκQρισµα.

Normalmente tradotta come "soprannome", "nickname", l'espressione sembra avere in greco un senso più specifico, che trova riscontro anche nei testi latini che abbiamo analizzato. Uno dποκQρισµα non è semplicemente un soprannome, è piuttosto una parola che traduce un dato negativo in termini positivi (o che, se non altro, appaiono tali) [elenca paralleli]

Così il πολnoαγοE di Alessi, in sostanza nulla più che un vorace scroccone, assume il nome della figura sacrale che consuma il cibo dei sacrifici agli dei; [altri esempi greci?]. E allo stesso modo Plauto può far sì che Gelasimo, meschino e "ridicolo" un po' per natura e un po' per scelta, possa trasformare il proprio nome in

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uno dποκQρισµα descrivendosi come una vittima della povertà, o che Ergasilo, ridotto a elemosinare pasti senza la minima dignità, possa paragonarsi a una cortigiana d'alto bordo, e trasformare la bassezza di chi si "imbuca" a un banchetto nella fierezza (cfr. Capt. 72, at ego aio recte) di chi viene invocato proprio come una divinità.

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e. “Iro il pitocco”

Un percorso come quello proposto potrebbe forse sembrare azzardato, soprattutto nei tentativi di trarre dal confronto di testi (pure oggettivamente vicini) delle tracce di lettura di più ampio respiro. Eppure, al di là del ricorrere di espedienti formali e moduli lessicali, esiste a livello contenutistico un fil rouge che attraversa la letteratura greca e latina, creando per personaggi affini caratterizzazioni simili. E lo si può provare andando a scomodare addirittura Omero.

Ai vv. 5-7 del diciottesimo libro dell'Odissea leggiamo:

sρναtοE δ’uνοµ’vσκε· τ] γxρ θUτο πQτνια µzτηρ Wκ γενετ|E· Ἶρον δ~ νUοι κAκλησκον παντεE, ο€νεꒁπαγγUλλεσκε κιiν, ‚τε ποn τιE νiγοι.

Né i commenti a Plauto né quelli a Omero lo segnalano188, ma in questo passo si ritrovano gli elementi fondamentali che abbiamo finora analizzato nei comici: un nome reale, un soprannome dato dai giovani (iuuentus, νεiτεροι, νUοι), la spiegazione del soprannome (introdotta da ο€νεκ(α)). Ma andando a leggere i versi 1-4,

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immediatamente precedenti, scopriamo che le somiglianze sono ben piu' che formali:

Ἦλθε δ’Wπ„ πτωχ]E πανδzµιοE, †E κατx ‡στυ πτωχεnεσκ’ ἸθIκηE, µετx δ’vπρεπε γαστUρι µIργ‰ ζηχ~E oIγεµεν κα„ πAεµεν· οgδU οh ‹ν ŒE

οgδ~ βAη, εŽδοE δ~ µIλα µUγαE ‹ ρIασθαι.

Compare qui sulla scena del poema un personaggio in tutto e per tutto simile ai nostri parassiti. Con loro ha in comune la povertà, e se di lui si dice che κατx ‡στυ / πτωχεnεσκ(ε), Ergasilo potrà raccontare (Capt. 470-1. 487-8):

Nam <ego> ut dudum hinc abii, accedo ad adulescentes in foro: 'Saluete' inquam. 'Quo imus' inquam 'ad prandium?' atque illi tacent. [...]

Abeo ab illis, postquam uideo me sic ludificarier: pergo ad alios, uenio ad alios, deinde ad alios: una res.

Dei parassiti Arneo ha anche il ventre insaziabile e la voglia smodata di cibo e bevande, il che è per lui addirittura motivo di gloria (µετx δ’vπρεπε γαστUρι µIργ‰ / ζηχE oIγεµεν κα„ πAεµεν). Analogamente, il più grande desiderio di Ergasilo è godere di un aeternum [...] cibum (Capt. 780)189, e il monologo introduttivo di Gelasimo è un

189Lo stesso dicasi per Saturio in Per.329-31:

Quae res bene vortat mi et tibi et ventri meo perennitatique adeo huic, perpetuo cibus

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grandioso excursus genealogico sulla Fames, madre e insieme figlia del parassita (Stich. 163-4: ego non pausillulam in utero gesto famem, / verum, hercle, multo maximam et grauissimam)190.

Il mendicante di Itaca è assolutamente inetto a qualsiasi fatica (e si vedrà che anche il suo εŽδοE µIλα µUγαE gli sarà inutile all’atto pratico). Allo stesso modo i parassiti plautini non dispongono d'altro che del loro spesso stantio repertorio di battute: la prospettiva di un lavoro concreto (ad esempio trasportare sacchi, cfr. Capt. 90) non è altro che uno spauracchio, e un Gelasimo sa benissimo che, se non riuscirà a mettere a frutto quelle, non gli resterà da dire che ego occidi planissume (Stich. 401), se non, ancora più drasticamente, pensare al suicidio (Stich. 638-9):

nam mihi intus potione iuncea onerabo gulam,

neque ego hoc committam ut me esse omnes mortuom dicant fame.

A complicare le cose ci si mette anche il terribile spettro della "concorrenza", sempre in agguato tanto nei cortili della pietrosa Itaca quanto per le strade, le piazze e i fori battuti dai parassiti di Plauto. E se Arneo ricorre alle maniere forti, tanto da venire alle mani con Odisseo, che si trova a sua volta nella condizione di mendicante (e che ovviamente lo umilierà senza colpo ferire), Gelasimo come al solito mette in moto solo la lingua, e con comica rassegnazione, alla notizia dell'arrivo di nuovi

ut mihi supersit, suppetat, superstitet.

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parassiti al seguito di Epignomo, prorompe in un disperato ei, perii, miser (Stich. 388).

Certo, in teoria esiste sempre la possibilità di tirare avanti servendosi di piccoli espedienti, ma anche in questo caso i parassiti plautini sembrano piuttosto sfortunati: Ergasilo, di ritorno dal foro, si lamenta dei "giovani d'oggi" perché, dice, ipsi opsonant, quae parasitorum ante erat prouincia (Capt. 474). Anche le piccole incombenze che sarebbero alla sua portata gli vengono sottratte, e non gli rimane che supplicare (Capt. 772).

Arneo, dal canto suo, è presentato come uno πτωχQE, termine che normalmente si tradurrebbe con "accattone". Ma il v. 7 corregge il tiro, lasciando intendere che si tratti di un tipo tutto sommato piuttosto dinamico, sempre pronto a prestare piccoli servigi (ovviamente remunerati).

Ed è proprio con questi servigi, in particolare il recapito di ambasciate e messaggi, che Arneo, si è guadagnato sul campo l’altisonante – e ridicolo – soprannome di ἾροE, improbabile forma maschile del teonimo ἾριE: un vero e proprio palese dποκQρισµα, che trasforma uno straccione grasso, crapulone e violento in paredro dell'eterea messaggera degli dei.

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