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Il professionista delegato nell’esecuzione forzata è obbligato a emettere fattura in nome e per conto? Facciamo il punto. - Judicium

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Academic year: 2022

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Massimiliana Battagliese

Il professionista delegato nell’esecuzione forzata è obbligato a emettere fattura in nome e per conto? Facciamo il punto.

Si tratta di una tematica che è stata molto dibattuta e che ha determinato diversi interventi della Amministrazione Finanziaria, attraverso le risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate, probabilmente nel tentativo di colmare il vuoto legislativo che si è in particolare creato all’indomani dell’entrata in vigore della legge 302/98, istitutiva della vendita mediante delega al Notaio, che, tuttavia, aveva pretermesso di introdurre ogni previsione con riferimento ai profili fiscali dell’attività delegata.

Infatti, nel caso in cui l’immobile aggiudicato è soggetto al regime IVA si poneva il problema su chi dovesse gravare l’obbligo di fatturazione del tributo che doveva essere versato dall’aggiudicatario, per garantire gli adempimenti di carattere fiscale facenti capo al debitore esecutato. L’Agenzia delle entrate, che si era già espressa sulla diversa ipotesi della riscossione dei canoni di locazione da parte del custode, ed in detta occasione aveva individuato il medesimo ausiliario del giudice obbligato ad emettere fattura in luogo del debitore che fosse irreperibile (Risoluzione del 11.11.2005 N. 158/E), ha esteso l’ambito operativo dell’attività del professionista delegato in ogni caso, pure a prescindere dalla irreperibilità del debitore pignorato.

Con la Risoluzione del 16.5.2006 N. 62/E, l’Agenzia, chiarito che il debitore esecutato permane pur sempre soggetto passivo d’imposta, ha tuttavia dichiarato che “obbligato ad emettere fattura in nome e per conto del contribuente, sia il custode giudiziario” ed ha precisato “che se da un lato il custode giudiziario non assume la titolarità del bene oggetto di espropriazione forzata, che va riconosciuta pur sempre in capo al debitore, quest’ultima non si delinea come una titolarità piena nel suo esercizio, in quanto priva, appunto, del potere dispositivo sul bene”

e poi ha proseguito “cosicchè anche sotto il diverso profilo della necessità della tutela degli interessi dell’erario, i medesimi obblighi di fatturazione e versamento del tributo, non solo nell’ipotesi di irreperibilità del contribuente, ma in ogni caso, devono ritenersi accentrati nella procedura stessa, anziché in capo al debitore esecutato”, e ha concluso ritenendo che “obbligato ad emettere fattura in nome e per conto del contribuente e a versare l’IVA incassata all’amministrazione finanziaria sia il professionista delegato delle operazioni di vendita”.

Già in questo primo provvedimento amministrativo l’Agenzia delle Entrate ha statuito un obbligo e tuttavia si può ritenere che la costituzione dell’obbligo possa essere legittima se collocata nell’ottica di un caso concreto in cui il soggetto dell’ordinamento abbia chiesto come risolvere una specifica questione alla quale si è risposto con lo strumento della risoluzione, che, appunto, non ha efficacia vincolante al di fuori delle specifiche circostanze su cui sia avanzata l’istanza di interpello disciplinata dall’art. 11 della Legge 212/2000.

Tuttavia l’”obbligo” individuato dalla Agenzia delle Entrate, e vincolante nel solo caso specifico, ha finito per sortire effetti con portata vincolante all’esterno della P.A., in particolare per il soggetto a cui si rivolge, il professionista delegato, destinatario di un principio esteso con portata generale: con una successiva Risoluzione, del 19.6.2006 N. 84/E, ha addirittura vincolato il detto professionista delegato ad uno specifico regime fiscale, istituendo il codice

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tributo da utilizzare per il versamento mediante modello F24, specificando l’ultilizzabilità dell’ordinario codice tributo relativo all’IVA, per il caso di esecutato reperibile, e individuando il codice tributo 6501, per il caso di irreperibilità dello stesso e con Risoluzione 21.4.2009 N.

105/E, ribadendo l’obbligo in capo al professionista delegato, ha pure dettato i termini entro cui costui deve provvedere.

In sostanza si è formato un quadro di normazione secondaria che, tuttavia, ha obbligato i professionisti delegati, altrimenti responsabili, ad effettuare le operazioni di fatturazione e versamento del tributo a prescindere dalla reperibilità del debitore esecutato.

E allora si deve concordare con la dottrina che ha individuato un uso anomalo delle circolari da parte della pubblica amministrazione, poiché queste, definite atti di natura pararegolamentare, hanno efficacia vincolante solo nei confronti dei destinatari cui sono diretti, all’interno della stessa pubblica amministrazione (si parla di circolari normative con riferimento a quegli atti di portata generale e dirette a regolamentare l’organizzazione interna degli uffici e di circolari interpretative quando si intenda rendere omogenea l’applicazione del diritto in un determinato settore).

L’Agenzia delle Entrate usa la forma delle risoluzioni, traendo spunto da un caso concreto, ma con il contenuto di una circolare normativa, allorchè, come quella da ultimo citata, pone il comando alle Direzioni regionali per la vigilanza affinchè le istruzioni impartite “e i principi enunciati” vengano “puntualmente osservati dagli uffici”.

A questo punto accade che gli uffici, legittimamente sottoposti alle direttive dell’organo sovraordinato, si sentono nel dovere-potere di esigere dal delegato il versamento diretto del tributo mediante la emissione della fattura in nome e per conto.

Ebbene, l’impostazione fornita dall’Amministrazione finanziaria può essere condivisa limitatamente alle ipotesi di debitore irreperibile ovvero inadempiente all’emissione della fattura richiestagli dal delegato, ma deve essere precisato che non può mai sorgere un obbligo di carattere cogente, cioè coercibile con le conseguenti sanzioni civili, penali o amministrative, in caso di inadempimento poiché l’obbligo giuridico, in detti termini, può essere disposto solo dal legislatore. Eppure è utile che il delegato coadiuvi gli interessi dell’Erario quando il debitore sia irreperibile o inadempiente, poiché in tal caso può ritenersi legittima l’applicazione analogica dell’art. 21 del D.P.R. 633/72 che consente al soggetto che effettua la cessione del bene di far emettere fattura per suo conto da un terzo.

Ma lo stesso art. 21 prevede espressamente che permane in ogni caso la sola responsabilità del soggetto che ha effettuato la cessione.

E’ vero che l’Amministrazione finanziaria ha un sicuro referente normativo nell’art. 5 dello Statuto dei diritti del contribuente (L.212/2000) che le consente, anzi le impone, di assumere tutte le iniziative idonee a portare a conoscenza le disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche mediante circolari e risoluzioni, ma ciò non può giustificare quella che si è andata assestando come fonte normativa di emanazione amministrativa, e non si può giustificare non solo in ragione della funzione provvedimentale propria della pubblica amministrazione che non può, dunque, svolgere attività normativa fuori delle ipotesi espressamente disciplinate per i regolamenti dalla L. 400/88, ma soprattutto in virtù dell’art 1 del citato statuto dei diritti del contribuente che vieta l’adozione di norme interpretative in materia tributaria se non ad opera dello stesso legislatore con legge di interpretazione autentica.

Diventa dunque più chiaro perché non si ritiene di condividere l’impostazione amministrativa sul tema che ci riguarda, vale a dire innanzi tutto per un difetto assoluto di competenza e poi

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per due particolari ragioni che devono rinvenirsi nei due erronei presupposti messi a base della delle decisioni dell’Agenzia delle Entrate con le risoluzioni richiamate.

In primo luogo perché l’Agenzia ha ritenuto l’esecutato privo del potere dispositivo sullo stesso bene ed invece il debitore può compiere qualunque atto dispositivo in ordine al godimento e alla circolazione del suo bene, e si tratta di atti che restano validi ed efficaci nel mondo giuridico ma sono semplicemente inopponibili alla procedura esecutiva.

Il debitore non perde né la titolarità del suo bene, né il potere di disporne, tant’è che il giudice dell’esecuzione può autorizzare preventivamente, ma anche ratificare successivamente, un contratto di locazione che lo stesso stipuli, salva la confluenza dei frutti alla procedura, per effetto dell’art. 2912 c.c., posto che non può negarsi l’interesse, giuridicamente tutelato, del debitore esecutato a compiere un tale atto dispositivo, atteso che la rendita derivante dal godimento del bene si estende a vantaggio dell’esecuzione poiché aumenta le somme che possono essere devolute ai creditori, con conseguente accrescimento della liberazione dalla responsabilità generale per l’obbligazione, posta in capo al debitore dall’art. 2740 c.c., e rendendo maggiormente possibile la realizzazione di un residuo che debba essere devoluto al debitore, come previsto nell’art. 510 c.p.c.. Il medesimo debitore, inoltre, può liberamente vendere il suo bene pur assoggettato all’esecuzione forzata ed ottenere, con la contestuale rinuncia dei creditori a proseguire l’esecuzione medesima, la liberazione dal pignoramento, con il definitivo trasferimento dell’immobile mediante un atto stipulato fuori della procedura esecutiva che, addirittura, si estingue.

In secondo luogo, l’altro presupposto erroneamente posto a base della Risoluzione N. 62/E è il dichiarato accentramento nella procedura esecutiva degli obblighi di fatturazione e di versamento a tutela degli interessi dell’Erario anche nel caso di debitore reperibile e disponibile ad assolvere all’obbligo di fatturazione ed invece la procedura espropriativa costituisce una forma di esecuzione forzata dell’obbligo gravante sul soggetto dell’ordinamento mediante sostituzione dell’autorità statuale al soggetto inadempiente; in tale ambito non possono essere considerati avocati alla medesima autorità statuale anche i diritti e gli obblighi facenti capo allo stesso soggetto con riferimento a diversi centri di imputazione di interessi astrattamente contemplati dal legislatore.

Nel caso di specie viene in rilievo il regime IVA, disciplinato dal D.P.R. 633/72 che contempla gli obblighi e le responsabilità in capo al soggetto passivo ma anche i suoi diritti, tra cui il diritto, inderogabile, alla detrazione, con la conseguenza che il detto esecutato è tenuto nei confronti dell’amministrazione finanziaria alla stregua di quanto indicato nell’art. 17, D.P.R. 633/72, vale a dire, mediante versamento cumulativo per tutte le operazioni effettuate e “al netto della detrazione prevista nell’articolo 19…”.

L’art. 19 del Decreto, ispirato al principio secondo cui l’IVA non deve mai ricadere sull’operatore commerciale ma esclusivamente sul consumatore finale, contempla il diritto alla detrazione “dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa…”.

Pertanto, non può negarsi al debitore esecutato di provvedere al regolamento delle partite IVA secondo le modalità ordinarie che gli consentono, attraverso il versamento cumulativo più sopra detto, compensazioni o detrazioni secondo quanto disciplinato dal D.P.R. 633/72.

In definitiva si deve ritenere di dover limitare l’obbligo voluto dall’Agenzia delle Entrate alle fattispecie in cui il debitore esecutato sia irreperibile ovvero, invitato ad emettere fattura, si renda inadempiente e così, ed in aggiunta alle indicazioni di massima fornite dal Ministero

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della Giustizia con Nota del Direttore Generale del 6.12.2006, il professionista delegato, nei casi di debitore reperibile si accerterà che questi emetta fattura e provvederà a riscuotere la somma dall’aggiudicatario dovuta a titolo di IVA e a versarla al debitore esecutato mentre provvederà senz’altro ad emettere fattura in nome e per conto e a versarla, mediante modello F24, con il codice tributo indicato dall’Agenzia delle Entrate, nei casi in cui il debitore sia irreperibile o, invitato ad emettere fattura in un termine congruo, si renda inadempiente.

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