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Modellazione di strutture in muratura.

3.1 Aspetti generali.

Per gli edifici storici non alterati che hanno subìto interventi secondo le regole premoderne, il concetto di “verifica globale” è da intendersi con un significato molto differente da quello delle moderne costruzioni intelaiate, ovvero che l’analisi della struttura ai fini della valutazione della sicurezza deve essere effettuata mediante verifiche di dettaglio dei singoli elementi.

In altre parole ciò significa che non è realistico analizzare l’intera struttura muraria come se fosse pluriconnessa: è necessario, piuttosto, ricercarne il suo punto debole.

Ecco allora che l’analisi sismica globale sta a significare l’analisi dell’intero edificio al fine di individuare i possibili meccanismi di collasso che l’azione sismica è in grado di produrre in ogni parte della struttura.

In quest’ottica il complesso strutturale è da ritenere come un assemblaggio di elementi staticamente determinati, non perfettamente elastici e vincolati in maniera monolatera: ciò significa che i carichi agenti sugli elementi vengono trasferiti agli altri elementi nei punti di appoggio. Senza dubbio il comportamento è quindi molto discosto da quello di una struttura con comportamento elastico e pluriconnesso.

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Nella schematizzazione della struttura è necessario operare delle semplificazioni in maniera tale che risulti contemporaneamente semplice e soddisfacente. Per questo motivo va tenuto conto:

- che il complesso strutturale non deve essere ritenuto come un unico organismo ma come l’unione di più elementi collegati in maniera incerta;

- che il materiale costituente possiede scarsa o trascurabile resistenza a trazione;

- dei possibili meccanismi di collasso che possono manifestarsi;

- dell’incerta valutazione del coefficiente di sicurezza nei confronti dell’azione sismica.

Alla luce di tutto ciò è facile capire che le costruzioni storiche evidenziano grandi differenze nei confronti delle nuove strutture in muratura intelaiate. Malgrado ciò va sottolineato che anche le metodologie di calcolo delle strutture esistenti sono comunque inserite negli approcci noti che operano nell’ambito della Scienza delle Costruzioni.

3.2 I metodi di analisi.

La scarsa resistenza a trazione della muratura non consente l’utilizzo diretto dei modelli elastici lineari nella previsione del danneggiamento di un edificio soggetto ad azioni sismiche.

Il comportamento della struttura soggetta ad un sisma violento è fortemente influenzato dalla non linearità della risposta; in molti casi è possibile giustificare la resistenza dell’edificio all’evento sismico solo tenendo conto delle deformazioni anelastiche che la struttura è in grado di esibire.

Di ciò ne fu tenuto conto già a partire dagli anni Settanta, a seguito del terremoto del Friuli nel 1976, introducendo nelle normative l’analisi non lineare, sotto forma di metodi semplificati di tipo statico equivalente. Il metodo POR progenitore del metodi suddetti, proposto originariamente da ricercatori sloveni, si diffuse velocemente e fu ripreso nella circolare esplicativa al D.M. 02/07/81

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“Norme per le riparazioni ed il rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata, Campania e Puglia”.

Questo metodo si fonda sul presupposto che il meccanismo di collasso predominante è dato dalla rottura dei maschi di un piano valutando la risposta taglio-spostamento per ciascun interpiano. In esso le pareti sono suddivise in pannelli paini (maschi, fasce, nodi) a cui sono attribuite opportune proprietà di resistenze e rigidezza. Il metodo si basa su una procedura iterativa incrementale (analisi statica non lineare) in cui si valuta il carico di collasso sismico dell’edificio.

Un altro modello a macroelementi è il metodo PORDIN di derivazione POR, il quale esegue l’analisi dinamica non lineare, con tecnica al passo, di strutture in muratura aventi orizzontamenti rigidi nel proprio piano e congruenti con i setti murari.

Alternativamente sono stati proposti altri metodi di analisi non lineare di pareti caricate nel piano come ad esempio le analisi per macroelementi bidimensionali riferiti a materiale non resistente a trazione (Braga e Liberatore, 1991, D’Asdia e Viskovic, 1994) metodi basati sulla schematizzazione mediante bielle o puntoni equivalenti (Calderoni, Lenza e Pagano,1989), metodi basati sull’analisi limite (Abruzzese, Como e Lanni, 1992), schematizzazioni a telaio equivalente fondati sui concetti fondamentali del metodo POR (Magenes e Della Fontana, 1998).

Le analisi non lineari risultano particolarmente onerose dal punto di vista computazionale e della lettura dei risultati.

I modelli semplificati sopracitati consentono di effettuare un’analisi non lineare, sicuramente meno accurata ma certamente più gestibile a fronte di un ridotto onere computazionale.

Notevoli progressi si sono riscontrati anche nella schematizzazione del comportamento ciclico attraverso modelli ad elementi finiti (Gambarotta e Lagomarsino, 1997), sia mediante macroelementi ( Brencich e Lagomarsino, 1997).

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I metodi di analisi possono essere raggruppati in tre classi distinte:

- Analisi limite o rigido-plastica, - Analisi lineare elastica,

- Analisi non lineare,

per le quali sono stati proposti i relativi modelli di calcolo.

Nella figura che segue è riportato lo schema dei vari modelli di calcolo impiegati nelle analisi.

Figura 1: Schema dei possibili modelli di calcolo.

3.3 I modelli di calcolo impiegati nell’analisi lineare e

non lineare.

Un possibile approccio da seguire nella determinazione della risposta sismica di un edificio sia basa su una serie di modelli operanti in campo elastico ed eventuali deformazioni in campo post-elastico.

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Questi modelli si suddividono in due gruppi: da un lato è possibile schematizzare la struttura attraverso modelli esatti agli elementi finiti, dall’altro sono rese disponibili schematizzazioni semplificate definite “a macroelementi”.

3.3.1

Il modello agli elementi finiti.

Attualmente lo strumento di calcolo strutturale più potente è quello degli elementi finiti.

Il suo impiego nell’analisi degli edifici storici fornisce una rappresentazione molto fedele che riesce a cogliere anche forme geometriche complesse di ossature di strutture esistenti.

Il metodo agli elementi finiti consiste nella discretizzazione della struttura attraverso elementi piani o solidi (è il caso di pareti) oppure tramite elementi monodimensionali nel caso di travi e di orditure secondarie dei solai.

Le applicazioni del metodo si possono suddividere in analisi lineari e non lineari.

L’analisi lineare si fonda su una perfetta congruenza delle connessioni e su un comportamento elastico lineare e isotropo. Solitamente essa è impiegata per l’analisi sia della distribuzione delle tensioni sia delle zone di concentrazione che nascono sotto l’azione dei carichi verticali sollecitando la muratura prevalentemente a compressione. E’ da sottolineare che i collegamenti delle pareti murarie tra loro e con il solaio assumono un ruolo decisamente meno importante in quanto il regime delle tensioni è dominato dalle compressioni.

L’analisi lineare è poco utile nel caso di murature soggette ad azione sismica. Nei casi in cui le tensioni di trazione e di taglio diventano determinanti, anche la natura delle connessioni ed il comportamento del materiale oltre la fase elastica assumono un ruolo importante, è naturale indirizzare la scelta verso analisi in campo non lineare.

In questi casi emergono i limiti di questo metodo che mettono in luce le incertezze sulla congruenza delle connessioni, sui parametri costitutivi introdotti,

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sul comportamento scatolare globale adottato, tali da sovrastimare, nella maggioranza dei casi, la resistenza.

Attraverso una relazione matriciale, che si fonda sulla costruzione della matrice di rigidezza dell’intera struttura, vengono messi in relazione gli spostamenti nodali con le forze corrispondenti.

La matrice di rigidezza globale è costruita a partire dalla matrice di rigidezza dei singoli elementi. Essa rappresenta la matrice dei coefficienti di un sistema lineare, ovvero è possibile passare da equazioni differenziali a problemi lineari.

Quando lavoriamo in campo non lineare la matrice di rigidezza diventa funzione degli spostamenti così come i carichi: è necessario applicare un procedimento iterativo che di volta in volta aggiorni sia la matrice di rigidezza che quella dei carichi.

Il metodo FEM è impiegabile nel campo della ricerca scientifica, nella calibrazione di modelli meno accurati o nella modellazione di dettagli costruttivi: ne sono un esempio i modelli accurati malta mattone (fig. 2):

Figura 2: Modello accurato malta-mattone.

Nel caso di analisi di edifici eseguita attraverso modelli omogenei equivalenti è importante definire preventivamente il tipo e la dimensione della mesh nonchè il

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legame costitutivo del materiale e il criterio di resistenza da assumere nelle verifiche.

Figura 3: Schematizzazione dell’edificio mediante elementi omogenei.

Al fine di cogliere nella maniera più opportuna la risposta dell’edificio è necessario adottare la mesh sufficientemente fitta per garantire una soluzione più accurata nelle zone caratterizzate da una maggiore variazione dello stato tensionale; allo stesso modo la mesh non deve essere eccessivamente fitta per evitare la complicazione nella gestione dei risultati.

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3.3.2 I modelli semplificati.

I modelli semplificati consentono l’analisi di interi edifici attraverso un onere computazionale ridotto.

A questa categoria appartengono:

• i modelli monodimensionali rappresentativi di elementi murari quali fasce e maschi schematizzabili come travi tozze a comportamento non lineare ovvero come bielle (puntoni);

• i modelli bidimensionali rappresentativi di pareti piane;

• una terza categoria di modelli, classificati come tridimensionali, che simulano il comportamento dei setti murari non solo nel piano ma anche al di fuori di esso.

3.3.2.1

I modelli monodimensionali.

I modelli monodimensionali sono ulteriormente divisibili in due gruppi:

I. Modelli a bielle compresse.

I modelli con elementi monodimensionali basati sull’idealizzazione a biella o a puntone (Calderoni e al., 1987 e 1989) schematizza il pannello murario attraverso un elemento biella in cui l’inclinazione e la rigidezza sono assunti sulla base del comportamento del pannello.

Questi metodi sono detti “a geometria variabile” in quanto l’inclinazione della biella e la sua sezione variano in funzione dell’aumento della parzializzazione della sezione.

La parete è in grado di resistere all’azione sismica con la formazione di un sistema di isostatiche di compressione congiungenti i punti di applicazione delle forze sismiche orizzontali con i vincoli a terra. Al sistema di isostatiche si fa corrispondere un sistema resistente di puntoni obliqui di muratura.

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Figura 4:Modellazione del pannello murario con bielle equivalenti.

Il peso proprio dell’edificio sovrastante e quello della muratura compressa sottostante equilibrano la componente verticale del puntone.

L’equilibrio orizzontale dell’azione sismica è garantito dalla reazione del terreno e dai tiranti quali catene o cordoli collocati ai piani. In mancanza, le spinte orizzontali provocano il distacco di parti, nella zona superiore delle pareti, di forma triangolare o trapezoidale. I tiranti quindi assorbono le spinte, le quali vengono poi distribuite ai puntoni giungendo così a terra.

Il collasso della singola parete è associato al raggiungimento di una configurazione limite di equilibrio o alla rottura per compressione del puntone.

II. Modelli che utilizzano l’elemento trave con deformazione a

taglio.

Nell’ambito della schematizzazione attraverso elementi trave con deformazione a taglio, gli elementi sono stati proposti con rigidezza variabile in funzione della parzializzazione della sezione (Braga e Dolce, 1982) ovvero con rigidezza costante in fase elastica seguita da una fase a deformazione plastica, (Tomazevic,1978, Dolce,1989,Tomazevic e Weiss,1990), in cui la non linearità di comportamento deriva dal raggiungimento di una condizione limite di resistenza.

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Il metodo più noto appartenente a quest’ultima classe di modelli è il metodo POR (Tomazevic, 1978); ne sono poi susseguiti altri il PORFLEX, il POR90 , ecc.

Essi hanno in comune la caratteristica di eseguire la verifica della struttura soggetta ad azioni orizzontali piano per piano ipotizzando un meccanismo di collasso “di piano”.

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Il metodo POR.

Il metodo POR si fonda sull’assunzione di legame costitutivo taglio-spostamento per il singolo maschio murario che si basa sulla definizione di un tratto elastico caratterizzato da una rigidezza che tiene conto sia della componente flessionale che tagliante. Il ramo plastico invece si considera limitato.

La resistenza è misurata in base al criterio di rottura per taglio diagonale. Questo metodo consente in fase elastica la ripartizione del taglio tra gli elementi di diversa rigidezza; il comportamento plastico consente invece di definire rigidezze secanti che dipendono dallo spostamento raggiunto in campo plastico;è quindi possibili ridistribuire il tagliante anche in campo plastico.

La verifica viene condotta attraverso un metodo al passo che termina con il raggiungimento della deformazione ultima dell’elemento meno deformabile.

Il metodo POR trova applicazione all’interno di un campo ristretto; al di fuori esso risulta poco affidabile e conduce a risultati poco attendibili. In particolare tale metodo non tiene conto della snellezza, che determina rotture differenti dalla crisi per taglio diagonale, sovrastimando così la resistenza.

Esso ipotizza infatti che la rottura possa avvenire solamente per taglio diagonale con conseguente schematizzazione dei traversi infinitamente rigidi e resistenti; inoltre nell’ipotizzare un solo possibili meccanismo di rottura dei maschi murari consistente nella rottura per taglio per fessurazione diagonale, non tiene conto del fatto che nel caso di edifici alti la rottura può avvenire anche per pressoflessione: questo ci consente di affermare che il metodo POR è applicabile specialmente a edifici che hanno al massimo tre piani.

Negli anni seguenti all’adozione del metodo POR sono stati prese in considerazione altre proposte di miglioramento del metodo che hanno introdotto altri possibili meccanismi di rottura ma che ancora considerano i maschi murari come unica sede di deformazioni tralasciando l’eventualità di rottura negli altri elementi quali le fasce.

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cui essa arriva a rottura, essa comporta il raggiungimento del collasso. Il metodo quindi considera come meccanismo di rottura non solo quello a taglio diagonale come il POR, ma prende in considerazione che la rottura può essere raggiunta anche con il meccanismo di presso- flessione.

Nei modelli basati sull’ipotesi di “meccanismo di piano” l’analisi taglio-spostamento è eseguita separatamente per ciascun interpiano e richiede che vengano assunte delle ipotesi sul grado di vincolo presente all’estremità dei maschi murari. Tuttavia tale vincolo dipende dalla rigidezza e dalla resistenza degli elementi orizzontali di accoppiamento quali fasce e cordoli di piano che risultano sollecitati in maniera crescente al crescere delle forze sismiche orizzontali e che quindi sono suscettibili di fessurazione o rottura. Ciò significa che solo attraverso una analisi globale dell’intera parete o dell’edificio è possibile cogliere questi fenomeni ed inoltre è possibile rispettare gli equilibri globale e locale.

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Il metodo SAM.

Il modello si basa su una schematizzazione a telaio equivalente. Esso prende in esame tutti i principali meccanismi di collasso nel piano senza tener conto dei meccanismi di collasso associati alla risposta dinamica fuori piano.

Il modello è riferito ad una parete muraria multipiano con presenza di aperture, soggetta ad azioni nel piano quali carichi verticali costanti e forze orizzontali crescenti applicate a livello dei solai con distribuzione assegnata.

Nel caso che la geometria del setto e dei vani sia piuttosto regolare è possibile schematizzare la parete attraverso un modello a telaio equivalente costituito da:

- elementi ad asse verticale, i maschi, elementi ad asse orizzontale, le fasce entrambi modellati come elementi di telaio deformabili a taglio;

- elementi nodo supposti infinitamente rigidi e resistenti, modellati attraverso opportuni bracci rigidi posti all’estremità dei maschi e delle fasce (fig. 5):

Figura 5: Schematizzazione a telaio equivalente di una parete muraria caricata nel piano.

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Figura 6: Rappresentazione dell’elemento maschio nella schematizzazione a telaio equivalente.

L’altezza della parte deformabile detta anche “altezza efficace” è definita secondo Dolce (1989) nel modo seguente (fig. 7):

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Il comportamento dell’elemento maschio è supposto elesto-plastico con limite in deformazione ovvero il comportamento è assunto elastico lineare fintanto che non si manifesta un possibile meccanismo di rottura.

In fase elastica la matrice di rigidezza risulta assegnata attraverso il modulo elastico E, il modulo di elasticità tangenziale G e la geometria della sezione.

I meccanismi di rottura che si possono manifestare nei maschi murari sono:

Rottura per pressoflessione o ribaltamento:

si manifesta quando il momento sollecitante agente in una delle sezioni estreme del tratto deformabile del maschio raggiunge il momento ultimo che corrisponde allo schiacciamento della zona compressa della sezione. Nella sezione in cui si è raggiunto il momento ultimo viene introdotta una cerniera plastica.

Rottura per taglio con fessurazione diagonale:

Si manifesta quando il taglio sollecitante nel maschio raggiunge il valore ultimo Vu corrispondente al più piccolo dei due valori associati rispettivamente

alla fessurazione diagonale per cedimento dei giunti di malta e alla fessurazione diagonale per rottura dei conci, facendo uso dei criteri di rottura proposti da Magenes e Calvi (1997) per la muratura di mattoni.

Nel caso di rottura per sollecitazioni taglianti, si ipotizza che nell’elemento si verifichino deformazioni plastiche (fig. 8) in cui si pone un limite alla deformazione angolare θ, somma della deformazione flessionale ϕ e tagliante γ (fig. 9), oltre il quale la resistenza si annulla:

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Figura 8: Comportamento anelastico del maschio murario nel caso di rottura a taglio.

Figura 9:Deformazioni angolari all’estremo i dell’elemento.

Il modello di comportamento elasto-plastico con limite in deformazione coincide con le ipotesi alla base del metodo POR. In questi metodi il modello bilineare adottato riproduce in maniera approssimata l’inviluppo dei risultati

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ottenuti da prove sperimentali cicliche e lo spostamento ultimo è associato al raggiungimento di un opportuno degrado della resistenza (fig. 10):

Figura 10:Interpolazione dell’inviluppo sperimentale taglio-spostamento di un pannello murario mediante una bilatera.

Solitamente il limite ultimo è espresso in termini di duttilità.

Con il lavoro svolto da Magenes e Calvi, si introduce un limite di deformazione angolare θu in sostituzione di un limite di duttilità in relazione al

fatto che pannelli murari con diversi rapporti di forma portati a rottura per taglio presentano una dispersione della deformazione angolare molto contenuta, mentre mostrano una dispersione maggiore della duttilità ultima in spostamento.

Rottura per taglio con fessurazione diagonale:

Si ipotizza che la rottura del maschio murario per scorrimento avvenga lungo un letto di malta in corrispondenza di una delle sezioni estreme i’ o j’ della parte deformabile dell’elemento. La deformazione anelastica associata alla rottura per scorrimento è modellata in analogia alla rottura per fessurazione, con deformazione plastica a taglio che si sviluppa secondo il grafico della fig. 8.

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I criteri di rottura fanno sì che all’annullarsi della compressione verticale si annulli anche la resistenza a flessione e a scorrimento e che la resistenza assiale del maschio murario si annulli in presenza di deformazione di trazione.

L’elemento fascia è studiato in maniera simile all’elemento maschio, mantenendo i bracci rigidi con conseguente lunghezza efficace dell’elemento, applicabile con buoni risultati nel caso di aperture allineate assegnando una lunghezza efficace pari alla luce libera della aperture (fig. 11 a).

Figura 11: Determinazione della lunghezza efficace delle fasce.

Attualmente non sono state ancora svolte analisi per aperture disallineate verticalmente ma si può pensare di assumere tale lunghezza come indicato in fig. 11 b.

I meccanismi di rottura che si possono manifestare sono:

Rottura per pressoflessione:

In questo caso il momento limite assume la stessa espressione adottata per il maschio murario.

Rottura per taglio:

La resistenza a taglio dell’elemento fascia è formulata con criteri simili all’elemento maschio, con la differenza che la giacitura dei letti di malta è

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disposta diversamente rispetto all’asse dell’elemento e che la compressione normale ai letti di malta al di sotto delle aperture è praticamente nulla.

Del comportamento maggiormente fragile delle fasce se ne tiene conto attraverso il comportamento riportato in fig. 12:

Figura 12: Comportamento elasto-plastico-fragile di un elemento fascia.

La deformazione anelastica associata alla rottura per taglio prevede una deformazione plastica costante seguita da un degrado di resistenza ad un valore αVu, una colta superato il valore limite di deformazione γ1. Segue poi

l’annullamento del taglio resistente per deformazioni angolari superiori a γ2.

Il comportamento marcatamente fragile può essere riprodotto attraverso l’assegnazione dei parametri di ingresso α, γ1, γ2 , potendo ad esempio far

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Figura 13: Comportamento elasto-fragile di un elemento fascia.

3.3.2.2

I modelli bidimensionali.

I modelli di tipo bidimensionali si basano fondamentalmente sull’ipotesi di resistenza a trazione nulla del materiale (comportamento monolatero) che conferisce una rigidezza variabile all’elemento in funzione della sollecitazione. La resistenza a trazione nulla può essere intesa per ciascuna giacitura oppure limitata a giaciture particolari orientate secondo i letti di malta.

L’implementazione della condizione “no tension” avviene utilizzando tecniche che modificano la geometria degli elementi in maniera tale da non considerare le zone soggette a trazione (D’Asdia e Viskovic, 1994) (fig. 14):

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Figura 14: Modello con elementi a geometria variabile (D’Asdia e Viskovic, 1994)

ovvero mediante una opportuna formulazione del campo degli sforzi all’interno del pannello (Braga e Liberatore, 1990) (fig. 15):

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Figura 15: Modello a macroelementi con campo di sforzi “no tension” (Braga e Liberatore, 1990).

Nei due modelli sopracitati, nelle zone compresse degli elementi sono mantenute le relazioni costitutive di tipo elastico lineare, quindi per tener conto dei meccanismi di rottura quali lo schiacciamento della muratura compressa è necessario effettuare la verifiche sui massimi valori delle tensioni di compressione, in quanto l’ipotesi di comportamento “no tension” non è necessariamente cautelativa nei confronti di questi meccanismi. In entrambi i modelli si introducono dei criteri di verifica della resistenza nei confronti di alcuni meccanismi possibili di rottura delle parti reagenti, interrompendo l’analisi nel caso che uno dei criteri risulti non rispettato.

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3.4 I modelli di calcolo impiegati nell’analisi limite o

rigido-plastica.

Al fine di verificare la sicurezza nei riguardi di una condizione limite di collasso è possibile fare riferimento a metodi di analisi semplici ed efficaci, che pur se non in grado di descrivere il comportamento in condizioni di esercizio, possono cogliere le condizioni ultime. Per l’analisi a collasso delle strutture murarie solitamente si ricorre all’analisi limite dell’equilibrio, utilizzando il teorema cinematico.

L’analisi per cinematismi considera la struttura come composta da blocchi rigidi. Nel caso in cui questi siano correttamente individuati, l’analisi ci fornisce in modo semplice una stime delle risorse ultime della struttura. La validità del teorema si fonda:

- sull’ipotesi di non resistenza a trazione del materiale; - sull’infinita resistenza a compressione;

- sulla limitata deformabilità; - sull’assenza di scorrimenti.

La non resistenza a trazione costituisce sempre un’ipotesi a favore di sicurezza ovvero essa porta a sottostimare la reale capacità della struttura.

Nel caso in cui i piano di rottura sono scelti in corrispondenza dei giunti principali della muratura, essendo essi dotati di resistenza a trazione molto bassa, tale sottostima è relativamente contenuta. Viceversa nel caso in cui i piani di rottura interessano zone di ammorsamento, tale contributo dovrà essere adeguatamente modellato onde evitare stime eccessivamente cautelative.

L’infinita resistenza a compressione della muratura è al contrario un’ipotesi a sfavore di sicurezza, in quanto la condizione ultima non si verifica in corrispondenza di un contatto puntuale tra i blocchi (che comporterebbe una tensione di compressione infinita), ma quando la sezione reagente parzializzata è

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limite può essere ancora impiegata patto di considerare un margine geometrico nella posizione delle cerniere che definiscono il cinematismo.

La limitata deformabilità è un’ipotesi generalmente accettabile almeno nel caso della costruzioni in muratura dotate di grande massa. L’analisi limite valuta la condizione di equilibrio di una struttura labile, costituita dall’assemblaggio di porzioni di muratura rigide, ovvero si controlla che essa risulti staticamente determinata sotto i carichi assegnati, prevalentemente grazie alla propria forma. Trascurare la deformabilità significa ipotizzare che anche nella configurazione variata, non determinabile attraverso l’analisi limite, la struttura sia ancora in equilibrio.

L’assenza di scorrimenti tra i conci murari può generalmente essere assunta come ipotesi salvo poi controllare successivamente che essi non si verifichino in concomitanza alle azioni che vengono prese in considerazione nell’analisi. Solitamente le azioni mutue tra conci murari sono perpendicolari ai giunti principali sedi di possibili scorrimenti e comunque all’interno del cono di attrito relativo alle strutture murarie.

L’analisi limite può essere impiegata anche per valutare la capacità sismica di un edificio, considerando tale azione come un sistema di forze orizzontali proporzionali alle masse attraverso un moltiplicatore il quale può essere messo in relazione all’accelerazione massima del suolo. Tuttavia è noto che l’accelerazione sismica che attiva il meccanismo di collasso è inferiore rispetto a quella che produce la vera e propria crisi: l’azione sismica infatti è di natura dinamica per cui un sistema labile di blocchi rigidi può tornare nella configurazione di equilibrio se l’impulso che ha attivato il meccanismo ha energia e durata limitate e i successivi impulsi sono tali da non incrementare ulteriormente gli spostamenti. E’ quindi possibile valutare la capacità di spostamento della struttura prima del vero e proprio collasso facendo riferimento a condizioni variate del cinematismo.

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Il calcolo plastico si basa sulla definizione di condizioni staticamente ammissibili e cinematicamente sufficienti. Le condizioni sono staticamente ammissibili quando in ogni punto della struttura sono verificate le condizioni di equilibrio e le tensioni sono inferiori a quelle di rottura; si parla invece di meccanismi cinematicamente sufficienti quando sono tali da portare al collasso.

Inoltre va sottolineato che l’analisi limite può essere applicata solo nel caso di comportamento indefinitamente plastico del materiale. Nel caso della muratura, essendo un materiale a comportamento non duttile, possiamo applicare tale metodo solo a meccanismi elementari che non necessitano ridistribuzioni di sollecitazioni.

Lo studio prevede la schematizzazione delle pareti come elementi rigidi soggetti al peso proprio, ai carichi derivanti dai solai e alle azioni orizzontali definite attraverso un moltiplicatore di collasso c.

La procedura di calcolo consiste nell’ipotizzare opportuni cinematismi di ribaltamento, rottura o scorrimento attraverso l’introduzione di cerniere plastiche tali da ridurre la struttura ad una volta labile ed associando ad ogni meccanismo il corrispondente moltiplicatore di collasso.

Questo metodo è impiegato per le verifiche a collasso fuori dal piano e nel piano e fornisce, attraverso l’utilizzo del teorema cinematico, il limite superiore del moltiplicatore di collasso della struttura e quindi il valore minimo dell’azione orizzontale sopportabile.

Figura

Figura 2: Modello accurato malta-mattone.

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