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CAPITOLO 1 – DESCRIZIONE DELLE MALATTIE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1 – DESCRIZIONE DELLE MALATTIE

PESTE DEI PICCOLI RUMINANTI

In passato denominata febbre catarrale o pneumoenterite delle capre, la Peste dei Piccoli Ruminanti (PPR) è una malattia acuta contagiosa causata da un virus appartenente al genere Morbillivirus, incluso nella famiglia dei

Paramyxoviridae. Allo stesso genere appartengono anche i virus del cimurro

del cane e della Peste Bovina, con i quali è antigenicamente correlato (13, 20).

Eziologia

I Paramyxoviridae sono virus a RNA monocatenario lineare e non segmentato a polarità negativa. Hanno un diametro di circa 150 nanometri, forma sferica o pleomorfa, sono provvisti di envelope che deriva dalla membrana plasmatica della cellula ospite e di due o tre glicoproteine di transmembrana con proiezioni esterne (8,13).

Essi infettano mammiferi e volatili e presentano uno spettro d’ospite piuttosto limitato in vivo e più ampio in vitro (13).

La trasmissione è di tipo orizzontale ed avviene prevalentemente per via aerogena (13). Questi virus sono molto labili nell’ambiente esterno, alle radiazioni ultraviolette, ai disinfettanti comuni e ai solventi dei lipidi, a valori di pH minori di 4 e maggiori di 10. Nel pulviscolo atmosferico vengono inattivati rapidamente a valori di umidità compresi tra 50-60% (8, XVI).

Del virus della PPR è stato isolato un solo sierotipo e non sembrano esserci variazioni della patogenicità, come avviene invece per il virus della Peste Bovina (20).

Sono recettivi all’infezione numerose specie di piccoli ruminanti domestici e selvatici, bovini e suini (2, 8, 20, XVI).

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Epidemiologia

La PPR fu segnalata per la prima volta come patologia ben precisa in Costa d’Avorio, nel 1942. Negli anni ’80 fu diagnosticata in gran parte della penisola arabica (Yemen, Oman, Kuwait), in Sudan ed in Egitto (1989). In seguito la sua diffusione è andata sempre più aumentando nei paesi africani equatoriali e in Medio Oriente (20).

Attualmente è presente in Africa, nei paesi della costa atlantica tra l’equatore e il Sahara, nella penisola arabica, soprattutto nei paesi del medio oriente e nel sud-est dell’Asia (2, 8, XXXVII). Non ci sono evidenze cliniche che la PPR esista a sud della linea tra Camerun ed Etiopia, ad eccezione dello Zaire e del Gabon (8, XXX). Inoltre, sebbene la sequenza cronologica dei focolai di infezione sembri indicare uno spostamento del virus dall’Africa verso oriente, è stato evidenziato con studi molecolari che il virus della PPR africano presenta alcune differenze rispetto a quello isolato nella penisola arabica (8).

In Senegal, negli ultimi anni, sono stati riportati i seguenti focolai (XXXV):

ANNO FOCOLAI CASI MORTI SPECIE COLPITA

2000 12 537 288 ovini

2001 9 182 71 ovini e caprini 2002 21 553 118 ovini e caprini 2003 15 1620 877 ovini e caprini

Sono recettivi all’infezione i piccoli ruminanti, i bovini, i suini e numerosi ruminanti selvatici anche se con una differente sensibilità. Gli animali più sensibili sono pecore e capre, con sintomatologia più marcata in queste ultime (20, XVI). La mortalità è molto elevata, le perdite economiche

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sono notevoli e rappresenta la malattia dei piccoli ruminanti economicamente più importante nelle aree dove è presente (2, 20).

In genere i bovini si infettano solo in forma sub-clinica ma, in condizioni di carenze nutrizionali e scarse condizioni igieniche, è possibile che questi manifestino segni clinici che possono essere confusi con quelli della Peste Bovina. Nel 1995 il virus è stato isolato da un focolaio simile alla Peste Bovina che ha colpito i bufali in India (2). Sembra comunque esclusa la possibilità che questi animali abbiano un ruolo epidemiologico importante nella diffusione del virus (20).

Anche i suini sono recettivi all’infezione ma non manifestano sintomatologia clinica e non sono escretori virali (13, XVI).

Nel 1995-1996 in Etiopia si sospettò la presenza dell’infezione anche nel dromedario poiché si ritrovò, nel materiale patologico prelevato, gli antigeni e l’acido nucleico di questo virus. Non si ottenne, però, l’isolamento virale (2).

La malattia clinicamente manifesta è stata riportata anche in ruminanti selvatici come gazzelle ed antilopi (2, 20).

Anche la razza ha influenza sullo sviluppo della malattia: le razze di pecore dell’India meridionale sembrano essere più recettive di quelle africane. Tra le razze caprine degli stati africani più prossimi all’equatore e quindi più umidi (Camerun, Nigeria, Togo e Benin ) si manifesta un ciclo epidemico ogni 3 o 4 anni con un’elevata morbilità (circa il 90%) e altrettanto elevata mortalità (circa il 50-70%). Viceversa nei paesi più aridi, come appunto il Senegal, l’infezione si presenta in forma endemica con focolai sporadici di malattia e sieroconversione nel 70-80% degli animali. Tali focolai sono più frequenti durante la stagione delle piogge e subito dopo nei mesi secchi e freddi (20).

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lacrime, espettorato e scolo nasale. Risultano escretori di virus sia i soggetti con sintomi che quelli con infezione in fase di incubazione (8, XVI)

Patogenesi, sintomatologia e lesioni anatomo-patologiche

Una volta che il virus è penetrato nell’organismo per via respiratoria, si ha una prima replicazione nei linfonodi regionali. Quindi si ha il passaggio in circolo e la localizzazione nei tessuti linfoidi e negli epiteli dei vari organi (8, 13).

La malattia in forma clinicamente manifesta somiglia alla Peste Bovina (20). Il periodo d’incubazione varia da 3 ai 10 giorni e si distinguono 3 forme cliniche: iperacuta, acuta, subclinica o inapparente (20, XVI).

Le prime due forme sono le più gravi. I sintomi sono inizialmente generici: febbre, malessere generale, apatia, depressione, anoressia. Dopo circa 24-48 ore compaiono scolo oculo-nasale di tipo sieroso, starnuti, costipazione a cui fa seguito la diarrea (20).

Nella forma iperacuta la morte sopraggiunge in 3-5 giorni, nella forma acuta si ha congestione gengivale che esita in stomatite erosiva e che tende a coinvolgere tutta la mucosa della cavità buccale, fino alla laringe. Successivamente possono presentarsi formazioni crostose sulle labbra e intorno alle narici. Se entro 8-10 giorni non sopraggiunge la morte, inizia una lenta guarigione (20, XVI). Queste due forme, ed in particolare quella iperacuta, si manifestano nei caprini dei paesi più prossimi all’equatore, nel Golfo di Benin (20).

Nella forma subclinica si possono osservare pustole simili a quelle all’Ectima contagioso. Questa forma si manifesta maggiormente nelle regioni del Sahel (20).

Alla necroscopia sono presenti lesioni su tutto l’apparato digerente. In particolare si riscontrano: aree necrotiche a livello della mucosa oro-faringea, congestione dell’abomaso, erosioni sulla valvola ileo cecale, lesioni

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caratteristiche a zebra nel grosso intestino. A carico dell’apparato respiratorio si osserva broncopolmonite (8, 13, 20).

Diagnosi

Per la diagnosi differenziale si prendono in considerazione Peste Bovina, Bluetongue, afta ed Ectima contagioso (20, XVI).

Si può ricorrere all’isolamento del virus da linfonodi, milza, polmoni e sangue. Si utilizzano monostrati cellulari di cellule di rene ovino su cui il virus provoca effetto citopatogeno caratterizzato da formazione sinciziali e corpi inclusi citoplasmatici e nucleari (2, 20, XVI).

La diagnosi sierologia viene fatta mediante sieroneutralizzazione e immunofluorescenza indiretta. Per differenziare gli anticorpi della PPR da quelli della Peste Bovina si usa un test di ELISA competitivo con anticorpi monoclonali (2, 20, XVI).

Profilassi

Per il controllo della malattia, l’unica possibilità è la vaccinazione delle specie sensibili, mentre il blocco della movimentazione animale è difficilmente applicabile. Si può utilizzare il vaccino per la Peste Bovina che conferisce un’immunità che dura dai 2 ai 3 anni, a volte per tutta la vita produttiva (20). Attualmente si produce anche un vaccino vivo attenuato partendo dal virus omologo (20). In Senegal la vaccinazione è obbligatoria e si utilizza un vaccino omologo (XXXV). Personalmente, nelle mia esperienza diretta in campo, ho potuto constatare che molti allevatori non praticano la vaccinazione.

In Africa, per controllare le infezioni secondarie respiratorie, è prassi normale l’utilizzo di antibiotici (terramicina, spiramicina e tilosina) (20) a fronte di soggetti con sintomatologia respiratoria.

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PESTE BOVINA

La Peste Bovina (PB) è una malattia virale altamente contagiosa che colpisce prevalentemente i bovini, caratterizzata da alta morbilità e mortalità (13,20).

Eziologia

E’ provocata da un virus appartenente al genere Morbillivirus, incluso nella famiglia dei Paramyxoviridae. Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche e strutturali e la sensibilità agli agenti fisico-chimici si rimanda alla descrizione fatta per la Peste dei Piccoli Ruminanti, data la loro stretta somiglianza (8, 13).

Attraverso l’uso della biologia molecolare è stato possibile distinguere tre genotipi di virus: “Lineage Africa 1” (presente in Etiopia e Sudan), “Lineage Africa 2” (presente in Africa orientale) e “Lineage Asia 1” (presente in Asia). Africa 1 e Asia1 provocano la forma classica della malattia, mentre l’Africa 2 causa una forma subclinica nei bovini ma una forma acuta nei selvatici (2, 8, 20).

La malattia colpisce prevalentemente bovino, bufalo e zebù. All’infezione naturale sono anche recettivi: ovini, caprini, suini, raramente i cammelli e numerose specie di selvatici (cervi, antilopi, giraffe, ippopotami) (2, XVI).

Epidemiologia

La trasmissione avviene per contatto diretto principalmente per via inalatoria, mentre il contatto indiretto, attraverso vettori meccanici, è una possibilità più teorica che concreta, data la scarsa resistenza del virus all’ambiente esterno (13). L’animale inizia ad eliminare il virus circa un giorno prima del rialzo termico (primo sintomo evidente) e continua per i 9-16

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giorni successivi. Il virus è presente in tutti i secreti e gli escreti dell’animale infetto: urina, feci, espettorato, lacrime, secrezioni nasali e saliva. Il suino può infettarsi anche per via digerente tramite l’ingestione di carni contaminate (20, XVI, 13).

L’origine dei focolai di PB nei paesi indenni è sempre stata riferibile all’importazione di animali infetti in forma asintomatica, ma comunque escretori virali. Questo accade quando il virus in causa presenta una bassa virulenza o quando gli animali sono parzialmente immuni o poco recettivi (13).

La gravità di un’epidemia è determinata dalla virulenza dello stipite in causa e dalla sensibilità degli animali recettivi. Quest’ultima varia in relazione alla specie animale ed alla razza. Ad esempio il suino domestico europeo è più resistente alla malattia rispetto a quello asiatico e non manifesta sintomatologia evidente. Questi animali possono perciò fungere da disseminatori inapparenti del virus (20).

Gli ovini generalmente manifestano la malattia in forma più lieve, ma alcuni stipiti virali possono provocare una forma più grave di malattia. In India esistono ceppi virali adattati agli ovi-caprini e che possono comunque infettare i bovini. Tale possibilità non sembra verificarsi in Africa (20).

Nelle zone dove la PB è presente in forma endemica il virus si diffonde tra gli animali giovani che stanno perdendo l’immunità passiva. Inoltre la continua circolazione virale crea uno stato immunitario capace di rendere gli animali resistenti all’infezione. Oltre alla resistenza acquisita esiste anche una resistenza di tipo genetico associata a determinate razze (20).

Il virus colpisce anche numerose specie di selvatici, ma non sembra che questi abbiano un ruolo importante come ospiti serbatoio poiché non presentano infezione persistente (20).

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dell’OIE fu stimolata da un focolaio di PB in Belgio (20, XXIV). Nel ‘900 la malattia si diffuse tra il 1921e il 1930 a tutta l’Asia, l’Africa equatoriale e l’Egitto. Nel 1962 iniziò la prima campagna di eradicazione, il Joint Project 15, che terminò nel 1976 quando la malattia era presente in forma saltuaria in Etiopia, Sudan, Mauritania e Mali (20).

Dopo questo anno la situazione peggiorò e alla fine degli anni ‘80 la malattia era presente in numerosi stati dell’Africa. Così si attuarono nuove campagne di eradicazione in particolare il PARC (Pan African Rinderpest

Campaign) e WAREC (West Asia Rinderpest Eradication Campaign) (8, 20).

Attualmente la malattia è presente in forma endemica in alcuni paesi dell’Africa (Sudan, Etiopia, Uganda, Kenia e probabilmente Somalia), in India e in Medio Oriente. Negli altri paesi è stata eradicata mediante campagne di vaccinazione. Queste restano ancora l’unico mezzo efficace d’intervento per controllare ed eradicare la malattia nelle zone dove è ancora presente (20).

Il Senegal ha ottenuto la qualifica di paese indenne nel Maggio 2005 (XIV).

Patogenesi, sintomatologia e lesioni anatomo-patologiche

Una volta penetrato, il virus si localizza nella mucosa delle prime vie respiratorie. Segue una replicazione nelle tonsille palatine e nei linfonodi faringei e mandibolari e quindi, associato ai mononucleati, passa in circolo determinando la viremia che precede di 1-2 giorni la comparsa dei sintomi. Il virus arriva così agli organi linfoidi e alle mucose degli apparati digerente e respiratorio, che rappresentano i bersagli secondari del virus (13).

Le manifestazioni cliniche variano secondo le caratteristiche della zona colpita. In una zona indenne la malattia assume la forma più grave. L’incubazione è di 6-9 giorni e la letalità può raggiungere il 90%. In una zona in cui la malattia è presente in forma endemica, l’incubazione è di circa 2 settimane e la letalità varia dal 5 al 35% (20).

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Si distinguono 3 forme cliniche di malattia: la forma iperacuta, la forma acuta (o classica) e la forma subacuta (20, XV).

Nella forma iperacuta la malattia si manifesta in modo improvviso. La febbre, che può raggiungere i 42°C, è l’unico sintomo evidente. L’animale, che resta vigile per il breve decorso della malattia, viene a morte improvvisamente per collasso cardio-circolatorio (20, XV).

La forma acuta è quella più frequente. I sintomi iniziali sono: febbre elevata, depressione del sensorio, tachicardia, tachipnea e congestione delle mucose. Segue essudazione oculo-nasale, prima sierosa poi purulenta, inappetenza e costipazione. In presenza di ceppi particolarmente virulenti, gli animali giovani possono venire a morte senza manifestare ulteriori sintomi. Se questo non accade, la malattia evolve e si ha la formazione di aree emorragico- necrotiche sulle mucose del primo tratto del digerente. Asportando il tessuto necrotico vengono messe in evidenza aree erosive confluenti. Questo processo interessa anche il tratto uro-genitale. Dopo circa 5-6 giorni compare diarrea profusa e nelle feci liquide possono essere presenti frammenti di mucosa intestinale. Le condizioni generali peggiorano rapidamente e l’exitus si ha per disidratazione e squilibrio elettrolitico. Se l’animale non muore seguirà una convalescenza di 2-10 settimane (20, XV).

La forma subacuta si ritrova nelle aree endemiche e con ceppi virali a bassa virulenza. L’animale presenta ipertermia, erosioni poco profonde e diarrea transitoria. Da sottolineare che, anche se l’animale guarisce, rimane un portatore. Il virus è stato isolato a distanza di settimane o mesi dalla regressione dei sintomi (20, XV).

Dal punto di vista anatomo-patologico, le lesioni più importanti sono localizzate nel tratto gastro-enterico. Questo appare congesto ed edematoso con emorragie ed ulcere localizzate in tutto il tratto digerente, dal palato molle fino al colon. A livello intestinale si evidenzia enterite catarrale e cieco e colon

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sono sede delle caratteristiche striature emorragiche denominate “striature a zebra”, un tempo considerate patognomoniche della malattia.

Anche a livello uro-genitale sono presenti emorragie. Nei casi di malattia a decorso prolungato, i polmoni possono apparire enfisematosi (13, 20, XV).

Diagnosi

Clinicamente la malattia va differenziata da: Afta, Diarrea virale bovina/malattia delle mucose, Febbre catarrale maligna (20, XV). La diagnosi clinica deve essere confermata dall’isolamento virale o da test sierologici.

Per l’isolamento virale si deve utilizzare materiale patologico fresco prelevato da animali vivi (biopsia linfonodale), abbattuti o morti da poco tempo (milza, linfonodi, tonsille, polmoni, fegato). Si utilizzano cellule VERO o cellule di rene di bovino. (2, 20, XV).

I test sierologici utilizzati sono l’ELISA e la sieroneutralizzazione. Gli anticorpi compaiono dopo il 7° -10° giorno post infezione è perdurano per tutta la vita (2, 20, XV).

Profilassi.

Nei paesi dove la malattia è presente l’unico mezzo di controllo efficace è la vaccinazione degli animali a rischio. Su questo principio si sono basate le già citate campagne di eradicazione.

Per ottenere la qualifica di paese ufficialmente indenne l’OIE, nel “Code sanitaire pour les animaux terrestres”, indica la procedura che gli stati membri devono seguire. Si ottiene tale qualifica attraverso due passi successivi: il primo prevede l’autodichiarazione di paese indenne da Peste Bovina e il secondo la certificazione di paese ufficialmente indenne. La prima qualifica si consegue quando, con un piano di eradicazione in atto basato sulla vaccinazione di massa, sono due anni che non si hanno focolai di malattia. A

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partire dalla data dell’autodichiarazione di paese indenne si sospende tutte le vaccinazione e, se per 5 anni non si hanno focolai di malattia e ricerche sierologiche effettuate per valutare la sieroconversione danno esito negativo, si ottiene la qualifica di ufficialmente indenne (1).

Per ottenere la qualifica di paese ufficialmente indenne il Senegal ha bloccato le vaccinazioni nel 1996 e durante questi anni ha effettuato controlli sierologici di circa 314 mandrie su tutto il territorio (14).

Nei paesi indenni si previene l’infezione importando animali solo da stati in cui la malattia è assente. In caso di un focolaio in uno di questi stati si provvede al blocco totale delle movimentazioni animali, all’abbattimento e alla distruzione di tutti gli animali infetti e sospetti infetti. Si può attuare una vaccinazione in zone cuscinetto intorno ai al focolai (20).

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BLUETONGUE

La Bluetongue (BT) è una malattia infettiva non contagiosa trasmessa da artropodi vettori (soprattutto Culicoides spp) che colpisce i ruminanti, particolarmente le pecore. E’ causata da un virus appartenente al genere

Orbivirus della famiglia Reoviridae (2, 13, 20, 8, XVIII).

Eziologia

Come gli altri generi appartenenti a questa famiglia, gli Orbivirus hanno forma sferica, diametro di circa 60-80 nm, sono privi di envelope, ma presentano un capside a simmetria icosaedrica formato da una doppia parete (13).

Il genoma è rappresentato da RNA a doppio filamento, lineare e suddiviso in 10 segmenti codificanti ognuno per 11 diverse proteine strutturali (indicate con VP da 1 a 7) e non strutturali (indicate con NS da 1 a 3 e NS3A). Le più importanti tra queste sono la VP7, VP5 e VP2. La VP7 è la più esterna del core e rappresenta l’antigene gruppo specifico. La VP2 e la VP5 sono le più esterne del capside è rappresentano l’antigene sierotipo specifico (8, 13).

I virus appartenenti a questo genere sono particolarmente soggetti a mutazioni e a ricombinazioni genetiche. Attualmente, del virus della Bluetongue, se ne conoscono 24 sierotipi distribuiti in diverse zone geografiche. Tutti presenti nel continente africano e variamente distribuiti negli altri continenti. In particolare in Asia e Oceania sono presenti i sierotipi 17, 20, 21, 22, 23; in America il 10, 11, 13,17 (8, 13, 20).

Possono circolare contemporaneamente sullo stesso territorio più sierotipi ed alcuni di loro possono essere predominanti per una o più stagioni .

E’ stata fatta una suddivisione dei sierotipi secondo il loro potenziale endemico: quelli ad alto potenziale endemico (come ad esempio i sierotipi 1,

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2, 3, 4, 5, 6, 8, 11), quelli con potenziale intermedio (il 9, 10, 12, 13, 16, 19) e quelli con basso potenziale (il 7, 15, 18, 22) (8,20).

Il virus della BT colpisce esclusivamente ruminanti domestici e selvatici (20, XVIII). Sono presenti notevoli differenze di sensibilità: gli ovini sono i più sensibili, i bovini e i bufali i meno sensibili e non manifestano quasi mai sintomi di malattia (12).

Altre specie recettive sono caprini, cervidi, ed altri ruminanti selvatici ed anche in questi animali l’infezione non è associata a sintomi apprezzabili (XVIII).

E’ comunque da sottolineare che la gravità dei sintomi è influenzata, oltre che dalla specie, anche da altri fattori, in particolare dalla razza, dall’età, dallo stress, dall’alimentazione e dalle condizioni ambientali. Negli adulti, così come negli animali sottoalimentati e stressati, lo stato della malattia è decisamente più grave. Fra gli ovini sono molto sensibili le razze europee e risultano meno sensibili le razze africane ed asiatiche (13, 20, 12).

Per quanto riguarda la recettività degli altri animali, recentemente è stata riscontrata un’infezione nel cane, dovuta all’uso di un vaccino contaminato con il virus della BT (8). Si sono inoltre evidenziate infezioni naturali in alcuni carnivori africani e si suppone che tali contagi siano dovuti ad ingestione di carcasse di ruminanti malati (8).

Epidemiologia

La prima segnalazione di questa malattia avvenne in Sudafrica alla fine del 1800. Nel 1924, la malattia si manifestò a Cipro, ma il virus fu isolato solo nel 1943. Durante gli anni ’40 la malattia si diffuse nei paesi mediorientali (Palestina, Siria, Israele, Egitto, Turchia) ed orientali (India e Indonesia). Sempre in questo periodo la patologia arrivò anche in America, in zone situate al 30° di latitudine nord, e negli anni successivi si espanse fino a raggiungere

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portò a morte, già nei primi 4 mesi, 180.000 ovini. In Australia il virus, arrivato con culicoidi trasportati passivamente con le correnti aeree, circola nelle zone del nord del paese almeno dal 1958, anche se non sono segnalati focolai di infezione perchè in quelle aree non vengono allevati ovini. Nel settembre del 2000 l’infezione ha fatto per la prima volta la sua comparsa in Sardegna e negli anni successivi si è diffusa in tutta l’Italia meridionale ed ha raggiunto il nord della Toscana (12).

Secondo i dati riportati dall’OIE, aggiornati al 2004, gli unici paesi del continente africano in cui la malattia è presente sono il Sud Africa ed il Lesotho (XXVII). In Senegal gli ultimi focolai segnalati risalgono al 1995 (XXXII). Altri paesi in cui è presente sono Italia, Francia, Spagna limitatamente alle Baleari e l’Andalusia, Portogallo, India, USA, Canada (XXXIX). Bisogna però sottolineare che, probabilmente, “per ripercussioni di natura economica-commerciale non tutti i paesi denunciano la sua presenza”(20).

Per quanto attiene la diffusione geografica, negli stati compresi tra 0° e 23° di latitudine N e S la malattia è presente in forma enzootica e non si ha sintomatologia manifesta negli animali autoctoni. Negli stati compresi tra 23°e 35° N e S la malattia è spesso presente, ma si ha una continua circolazione di sierotipi diversi. In queste zone si alternano fasi enzootiche ad episodi epizootici, a secondo della patogenicità dei sierotipi circolanti. Infine vi sono le cosi dette “zone di incursione”, a circa 40° di latitudine N e S, dove il virus compare saltuariamente e quando arriva la malattia si manifesta in modo epizootico per ridursi progressivamente fino a scomparire (12).

Non esiste una linea di confine così precisa tra le zone con presenza del virus e zone indenni ma questa divisione geografica ci fa capire come la malattia sia largamente condizionata dai fattori climatici, poiché questi a loro volta influenzano la presenza dei vettori.

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Infatti, in una determinata zona, si può avere la diffusione del virus se sono presenti i seguenti requisiti: la presenza di animali recettivi (ovini) ma soprattutto di animali serbatoio (bovini), la presenza di vettori virus competenti e la presenza di condizioni climatiche in grado di amplificare il numero dei vettori. Ognuno di questi fattori ha uno ruolo determinante nella diffusione della malattia (12).

Gli animali serbatoio mantengono il virus in natura. Infatti, essendo meno sensibili all’infezione non vengono a morte e presentano una lunga viremia. Così i Culicoides, che preferiscono nutrirsi sui bovini rispetto agli ovini, si infettano in gran quantità. Gli ovini invece, manifestando una sintomatologia grave, rendono evidente la circolazione virale in quel territorio. Questi animali, effettivamente, non sono necessari per la permanenza del virus in natura, ma anzi “per l’ecologia del BTV rappresentano un accidente di percorso e in larga misura anche un fondo cieco”(12). In sostanza nei paesi climaticamente idonei, dove la malattia è presente in forma enzootica, il virus circola normalmente fra la popolazione bovina assicurandosi la sopravvivenza e la diffusione. Quando si ha un aumento della popolazione dei vettori questi, per necessità, si nutrono anche sugli ovini trasmettendo loro l’infezione. Deve in ogni caso essere presente un numero sufficientemente alto di ovini non vaccinati perché si abbia un’epidemia (12).

Gli ultimi due fattori, il numero dei vettori e le condizioni climatiche, fanno sì che la malattia assuma il suo tipico andamento stagionale. La patologia insorge con maggior frequenza nei periodi più piovosi e in zone dove le temperature superano i 10°-12° C, limite sotto al quale i Culicoides non possono riprodursi. Queste condizioni climatiche, ovviamente, si avranno in mesi diversi secondo la latitudine a cui si trova l’area interessata (12).

I vettori più importanti sono Culicoides imicola in Africa e nel Medio Oriente, C. variipennis e C. insignis in America settentrionale e ai Caraibi e C.

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inserite nel sottogruppo Avarizia, sono potenziali vettori di BTV (8,12, 13, XVIII).

I Culicoidi sono vettori biologici in quanto consentono la replicazione del virus, in particolare nelle loro ghiandole salivari. Altri artropodi occasionalmente possono fungere da vettori meccanici, come ad esempio

Ornithodoros coriaceus (zecca molle segnalata nell’America del Nord e

nell’America meridionale), ed insetti appartenenti all’ordine dei ditteri come

Melophagus ovinus, Stomoxys e Tabanus spp. Questi ultimi hanno però un

ruolo di minore importanza nella diffusione dell’infezione (8).

Il virus arriva in una zona indenne generalmente associato ai vettori che sono trasportati passivamente dai venti e dalle correnti ascendenti di aria calda e fredda. Questo fenomeno è più frequente dove non ci sono barriere naturali interposte. Il virus può arrivare anche con l’introduzione di animali infetti, con il seme utilizzato per la fecondazione artificiale, e con l’embryo-transfer (durante la viremia il virus si può ritrovare anche nel seme). I fattori climatici e la presenza di vettori virus competenti in loco sono quelli più importanti per consentire la diffusione e la permanenza dell’infezione in una zona (12, 20).

Patogenesi, sintomatologia e lesioni anatomo-patologiche

Il virus penetra nell’organismo attraverso la puntura degli insetti vettori. La prima replicazione virale si ha nei linfonodi regionali, nei tessuti linfatici e nei polmoni. Segue la viremia con il virus associato ai linfociti, monociti, piastrine e globuli rossi (13).

L’azione patogena principale è svolta sugli endoteli vasali. Si ha un’occlusione vasale, una stasi ematica, un’essudazione e un’ipossia tessutale (13, 20).

Dal punto di vista clinico si hanno tre diverse forme di malattia, secondo la virulenza del sierotipo in causa e della sensibilità dell’animale (13).

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La forma acuta è la più grave e colpisce generalmente le pecore molto sensibili. La fase d’ipertermia dura di solito 7 giorni ed è seguita da astenia, iperemia, edema della regione orale, oculare e saltuariamente degli orecchi. In questo caso la lingua edematosa può fuoriuscire dalla bocca e divenire cianotica tanto da apparire bluastra. Possono poi comparire piccole emorragie seguite da ulcerazioni e la regione buccale può apparire ricoperta da formazioni crostose. E’ anche presente scolo oculo-congiuntivale, prima sieroso poi mucoso e infine muco purulento. Spesso si ha infiammazione del cercine coronario con difficoltà alla deambulazione. Infine l’iperemia cutanea porta a facili emorragie, soprattutto nella zona inguinale, e a perdita del vello o produzione di lana più sottile. Secondo lo stadio di gestazione possiamo avere aborti o malformazioni fetali.

La morte varia dallo 0 al 20%, ma può arrivare fino al 40-50%.

La forma subacuta è caratterizzata da sintomatologia generale (debolezza, ottundimento del sensorio) a cui segue un lungo periodo di convalescenza (13, 20).

Le lesioni degli organi interni sono caratterizzate da edema e petecchie emorragiche localizzate in varie sedi. La lesione patognomonica è l’infarcimento emorragico alla base dell’arteria polmonare (13, 20).

Diagnosi

Clinicamente la malattia deve essere differenziata da: Peste dei Piccoli Ruminanti, Afta, Ectima contagioso, Malattia emorragica epizootica dei cervidi (20, XVIII).

I test sierologici utilizzati per la ricerca degli anticorpi anti-buetongue sono: la fissazione del complemento, l’immunodiffusione in gel di AGAR, l’ELISA indiretta e l’ELISA competitiva. Quest’ultimo è stato adottato dall’OIE come esame ufficiale per la diagnosi di BT (2, 20).

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L’isolamento virale si fa a partire da linfonodi, milza e sangue. Il virus può essere adattato alle colture cellulari ma per il primo isolamento si preferisce ricorrere alla inoculazione intravenosa di uova embrionale (13, 20).

Profilassi

Per il controllo della malattia possiamo applicare diversi sistemi.

Possiamo controllare gli insetti vettori, evitare il contatto degli animali con tali insetti o cercare di creare una popolazione immune, sia di animali serbatoio (bovini) che di animali sentinella (ovini). Per evitare il contatto con gli insetti vettori possiamo disinfestare l’ambiente dove vivono gli animali, ricoverarli in stalla nelle ore serali (quando i vettori sono più attivi) e usare repellenti verso i Culicoides. Possiamo inoltre evitare la vicinanza al pascolo tra bovini e ovini. Ovviamente tutte queste misure sanitarie sono difficilmente applicabili ed in particolare in Africa, dove l’unica forma di controllo attuabile è la vaccinazione (12, XVIII).

L’uso dei vaccini è invece sconsigliato nei paesi dove è presente un’epidemia in atto, sia per l’alto rischio di ricombinazioni genetiche tra virus vaccinale e selvaggio sia perché non vi è il tempo necessario perchè si instauri l’immunità. Anche l’abbattimento dei soggetti ammalati non ha alcuna utilità, poiché la vera riserva del virus in natura sono i culicoidi ed i bovini. Nelle zone a clima temperato le epidemie tendono ad estinguersi spontaneamente con l’arrivo dei primi freddi (12).

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PESTE EQUINA

La peste equina (PE) è una malattia infettiva non contagiosa che colpisce gli equidi, i cavalli in modo più grave. E’ causata da un virus appartenente al genere Orbivirus, incluso nella famiglia dei Reoviridae, veicolato da insetti ematofagi (i Culicoides) che hanno la funzione di vettori biologici (20, 13).

Eziologia

Le caratteristiche morfologiche e strutturali sono simili a quelle degli altri Orbivirus, già descritte a proposito della Bluetongue, quindi per la loro conoscenza si rimanda alla descrizione di tale malattia.

Di questo virus se ne conoscono 9 sierotipi dotati di virulenza variabile. Sono presenti reazioni di neutralizzazione crociata fra i vari sierotipi, in particolare tra il sierotipo 1 e 2, tra il 3 e il 7, tra il 5 e l’8, tra il 6 e il 9 (8).

In natura sono recettivi i solipedi, maggiormente il cavallo. Possono infettarsi anche muli, asini e zebre, che solitamente manifestano la malattia in forma più lieve (20).

La sensibilità, oltre che dalla specie, influenzata dalla razza e dall’età. Nei paesi dove la patologia è presente in forma endemica i cavalli di razza autoctona sono più resistenti dei cavalli importati da altri paesi (13).

Altre specie sensibili all’infezione sono il cane, le capre, le pecore, le zebre, i cammelli e gli elefanti. Fra questi però solo il cane, che si infetta per ingestione di carni contaminate, presenta una sintomatologia grave e talvolta mortale (8, 13, 20, XIX).

Epidemiologia

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Questa malattia è nota sin dai tempi antichi (la prima descrizione di una patologia simile risale al 1327, in Yemen). Nei secoli successivi furono riportate numerose segnalazioni di focolai importanti in varie zone dell’Africa e del Medio Oriente (8).

Nel ‘900 la malattia è stata presente in numerosi paesi dell’Africa (Algeria, Tunisia, Egitto Marocco e altri) e nei paesi del Medio Oriente. (Turchia, Iran; Pakistan, Afghanistan, India, Iran, Iraq, Turchia e Cipro). Nel 1966 fu segnalata anche in Spagna, dove riapparse tra il 1987 e 1990. Questi ultimi focolai furono attribuiti all’introduzione di 10 zebre infette provenienti dalla Namibia. I focolai del ’66 invece erano dovuti all’introduzione di vettori infetti trasportati fin qui dalle correnti aeree. Con quest'ultima modalità la malattia passò anche dal Senegal a Capo Verde nel 1943 e dalla Turchia a Cipro nel 1960 (8, 20).

Allo stato attuale, secondo dati dell’OIE aggiornati al 2003, la malattia è presente in Africa (Africa del Sud, Botswana, Eritrea, Etiopia, Lesotho, Senegal, Zimbabwe e per altri stati i dati sono mancati) e nei paesi orientali (Yemen) (XXVIII, LX).

In Senegal, gli ultimi focolai riportati dall’OIE sono (XXXIII):

ANNO FOCOLAI CASI MORTI 2000 5 24 12 2001 13 17 9 2002 10 18 18 2003 6 21 13

Il ciclo biologico del virus e l’ecosistema in cui si sviluppa questa malattia sono molto simili a quelli della Bluetongue.

Le condizioni necessarie perchè in una zona si abbia la diffusione di questa malattia sono: presenza di vettori e di condizioni climatiche atte al loro

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sviluppo, una popolazione sufficientemente ampia di animali recettivi e non immunizzati. Quest’ultimi si possono suddividere, come per la Bluetongue, in ospiti serbatoio e ospiti sentinella (13).

I vettori responsabili della trasmissione appartengono alla famiglia dei

Culicoides spp, fra cui C. imicola e C. bolitinos, presenti in Africa, e C. variipennis presente in USA. Nonostante i numerosi esperimenti effettuati

negli anni passati, non sono stati trovati altri vettori effettivamente importanti per la diffusione del virus. Solo la zecca del cane (Rhipicephalus sanguineus

sanguineus) trasmette l’infezione in condizioni sperimentali e una zecca che

parassita i cammelli (Hyalomma dromedarii) può essere sede di replicazione virale. Sono comunque i Culicoides i veri responsabili della trasmissione (8).

Questi artropodi si ritrovano in zone umide e con temperature superiori a 10-12° C (20).

Gli ospiti sentinella, la specie recettiva con sintomatologia manifesta, sono i cavalli. Gli ospiti serbatoio non sono ancora noti con certezza, ma si pensa che in Africa abbia un ruolo importante la zebra (13, 20).

La malattia si diffonde tra i diversi stati per mezzo di cavalli infetti e vettori trasportati dal vento (20, XIX).

La malattia ha difficoltà a rimanere allo stato endemico fuori dall’Africa poiché i cavalli che superano la malattia non restano portatori del virus. Nelle zone dell’africa tropicale la malattia si mantiene mediante cicli continui tra gli animali serbatoio e i vettori (20).

Patogenesi sintomatologia e lesioni anatomo-patologiche

Dopo l’ingresso del virione nell’ospite, si ha una prima replicazione che avviene nei linfonodi regionali. Quindi si ha una viremia primaria che porta il virus negli organi bersaglio: polmoni e organi linfoidi. Qui avviene una replicazione secondaria che determina una seconda viremia di durata variabile

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comunque è sempre inferiore ai 18, mentre nell’asino e nella zebra può arrivare a 4 settimane (XIX). Durante le fasi di viremia le particelle virali sono strettamente associate agli eritrociti. Il virus provoca danni agli endoteli vasali con formazione di edemi e versamenti in torace, addome e nel sacco pericardio, accompagnati da processi congestizi ed emorragici (8, 13).

Clinicamente possiamo distinguere 4 forme di malattia: polmonare, cardiaca, mista e febbrile. Ovviamente non esiste una divisione così netta e spesso sono presenti forme miste (13).

La forma polmonare (o acuta) è caratterizzata da un periodo di incubazione di 3-5 giorni. La mortalità è elevata (circa il 95%) è il decesso sopraggiunge dopo poche ore dalla comparsa dei sintomi o al massimo dopo 3-4 giorni. E’ la forma tipica dei cavalli estremamente sensibili (come ad esempio puledri non immuni) e dei cani. I sintomi caratteristici sono: ipertermia (fino a 41-42°C), anoressia, gravi difficoltà respiratorie con tosse, dispnea, scolo nasale prima sieroso poi schiumoso e congiuntivite. Nella fase terminale l’animale tiene gli arti divaricati, la testa estesa sul collo, le narici dilatate finché, per incapacità di mantenere la stazione quadrupedale, l’animale giace in decubito. Quindi sopraggiunge la morte che avviene per asfissia.

Le lesioni anatomo-patologiche sono localizzate soprattutto all’apparato respiratorio con edema polmonare e presenza di liquido fibrinoso in trachea, bronchi e polmoni. In cavità toracica si ritrova liquido giallastro e linfonodi bronchiali e mediastinici edematosi. In addome può essere presente liquido ascitico, la milza può presentare emorragie e la parte muscolare dello stomaco può essere congesta (8, 13, 20).

La forma cardiaca (o subacuta) è caratterizzata da un periodo di incubazione di 5-14 giorni e la mortalità si aggira intorno al 50%. I sintomi

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sono generici come febbre di tipo intermittente (39-40°C) e localizzati al sottocute dove possiamo trovare edemi circoscritti. Questi solitamente sono localizzati al collo e alla testa, in particolare sulle fosse sopraorbitali e sulle palpebre. Gli edemi possono estendersi anche al petto, alle spalle e alla parte prossimale degli arti. Con l’aggravarsi dei sintomi possiamo avere difficoltà respiratorie e di deglutizione. Se compaiono petecchie emorragiche sulla congiuntiva, sulla gengiva e sulla parte ventrale della lingua la prognosi è sfavorevole e l’exitus è dovuto ad arresto cardiaco.

All’autopsia possiamo ritrovare edema gelatinoso giallastro del connettivo sottocutaneo e intramuscolare della testa, collo, spalle e petto. Spesso sono presenti lesioni cardiache come idropericardio e petecchie emorragiche sull’ epicardio e l’endocardio. La congestione di cieco, colon e retto sono un reperto quasi costante (8, 13, 20).

La forma mista presenta sintomi e lesioni comuni alle due forme descritte. Il tasso di mortalità è di circa 70% (8, 13, 20).

La forma febbrile benigna è tipica delle specie scarsamente recettive, come asino e zebra, e di cavalli immuni. Si osserva solo un rialzo termico con anoressia e depressione. La guarigione avviene in pochi giorni (8, 13, 20).

Diagnosi

Il sospetto di PE va confermato con l’isolamento del virus o gli opportuni test sierologici. Per l’isolamento virale si usa sangue addizionato con eparina o campioni di milza, linfonodi e polmoni prelevati subito dopo la morte ed eventualmente conservati in soluzione tampone con glicerina al 10%. Tutti i campioni devono essere mantenuti a 4°C (2, XIX).

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Le prove sierologiche più utilizzate sono la fissazione del complemento, l’immunofluorescenza indiretta, l’AGID e l’ELISA (2, 20, XIX).

Al di fuori delle aree endemiche la maggior parte dei cavalli muore prima dello sviluppo degli anticorpi, dunque la conferma di PE può essere fatta solo con isolamento virale. Le metodiche sierologiche sono invece valide per scoprire gli animali sentinella e per verificare l’immunità di un soggetto vaccinato (13).

Profilassi

Per il controllo della PE possiamo agire sia attuando la vaccinazione delle specie recettive sia riducendo il contatto degli animali con i Culicoidi (13, 20).

In una zona in cui la patologia è presente in forma endemica il mezzo di controllo più efficace è la vaccinazione. In Sud Africa si utilizza un vaccino vivo attenuato contenente 8 sierotipi. Si somministra in due dosi vaccinali tetravalenti a distanza di 3 settimane l’una dall’altra sfruttando le reazioni crociate tra i vari sierotipi. La prima dose contiene i sierotipi 1, 3, 5, 6, la seconda il 2, 7, 8, 4. Il 9 non è compreso in tale vaccino poiché gli anticorpi contro il 6 proteggono anche per il 9 che ha scarsa patogenicità ed è raro in tale zona. Tale sierotipo è però presente nell’emisfero settentrionale (Pakistan, Iran, Africa centrale e settentrionale) (20). In particolare è l’unico sierotipo che è stato identificato in Senegal (21). In tale paese la vaccinazione è obbligatoria (XXXIII).

Nei paesi a rischio si eseguono controlli sierologici per monitorare l’andamento della malattia e vaccinazioni in zone cuscinetto per proteggere le zone di confine (8).

In caso di epidemia in un paese indenne si deve: determinare le zone da sottoporre a restrizione, bloccare i movimenti degli equini, cercare di ridurre il

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contatto con culicoidi (attuando la stabulazione notturna dei cavalli e usando insetticidi e repellenti), isolare i sospetti ed abbattere gli infetti. E’ anche importante identificare il sierotipo in causa ed allestire un vaccino monovalente da utilizzare in caso di diffusione della malattia (8, 20).

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FEBBRE DELLA VALLE DEL RIFT

La febbre della Valle del Rift (RVF) è una malattia infettiva che colpisce ruminanti domestici, cammelli e anche l’uomo, trasmessa da insetti vettori, in particolare zanzare. L’uomo può infettarsi anche per aerosol, mediante la manipolazione di visceri infetti o durante le pratiche di laboratorio (7, 10, 13).

In passato chiamata epatite enzootica, oggi deve il suo nome al luogo, la regione della valle del Rift in Kenia, dove la malattia fu per la prima volta segnalata nelle pecore nel 1931 (10, 13, 17, 20).

Eziologia

L’agente eziologico è un virus del genere Phlebovirus, appartenente alla famiglia Bunyaviridae. I virus classificati in questo genere hanno forma sferica o pleomorfa, diametro di 80-100 nm e sono provvisti di envelope. Il genoma è formato da tre filamenti di RNA a polarità negativa, ognuno dei quali contenuto in distinti nucleocapsidi all’interno del virione. Del virus della Rift Valley se ne conosce un solo sierotipo (2, 8, 13).

In natura sono recettive diverse specie animali: piccoli ruminanti, bovini, bufali domestici, dromedari e uomo, che presentano malattia di diversa gravità, e conigli, cani, gatti e suini che presentano soltanto positività sierologica senza alcun segno clinico dell’avvenuta infezione (8, 13, XVII).

Nell’ambito della stessa specie esistono differenze di sensibilità anche tra le varie razze. Infatti, bovini e ovini di razza autoctona africana sono più resistenti al virus rispetto ai soggetti di razze europee (2, 10, 20).

La gravità della malattia è influenzata inoltre dall’età e dal sesso; animali giovani e maschi sono più sensibili (13).

La letalità è elevata nei piccoli ruminanti ed in particolare è prossima al 100% in agnelli e capretti. Fra gli animali di laboratorio, il topino bianco ed il

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criceto sono molto sensibili mentre il coniglio contrae un’infezione asintomatica. La mortalità è bassa in uomo, scimmia, bovino, capra, bufalo e cammello(13).

Epidemiologia

Questa malattia è conosciuta fin dai primi del ‘900. Durante gli anni ’50, fu segnalata in Sud Africa (1952-53, 55, 59), Zimbabwe (1955) e Namibia (1955) e in breve tempo si diffuse in gran parte dell’africa meridionale e orientale (8, 20).

Negli anni ’60-70 furono riportati focolai in Sudafrica (1969-71, 1974-76), Monzambico (1969), Zimbabwe (1969-70, 1978), Zambia (1973-74, 1978), Kenia (1968, 1978-79), Madagascar (1979), Sudan (1973-1976) ed Egitto (1977-78). In Sudan l’epidemia del 1973 fu molto grave e portò a morte migliaia di pecore, capre e bovini. Altrettanto grave fu l’epidemia che colpì l’Egitto nel 1977-78 che, oltre ad arrecare ingenti perdite agli allevamenti, dette luogo a diversi casi di infezione nell’uomo. Il numero dei casi umani fu stimato intorno a 18.000, ma per alcuni Autori raggiunse i 200.000. Di questi almeno 598 casi risultarono mortali. Una seconda grave epidemia fu segnalata ancora in Egitto nel 1993. Allo stato attuale si pensa che il virus circoli in questa zona in modo endemico (8, 20, 17).

Nel 1987 la RVF fu segnalata nel Nord del Senegal e nel Sud della Mauritiana, nella zona di confine tra i due stati. Anche in questo caso si trattò di una grave epidemia che colpì anche la popolazione umana (8, 17). In Mauritiana furono stimati 232 casi mortali nell’uomo. In seguito, sempre nel Sud della Mauritiana, fu registrato un focolaio minore nel 1993 ed un altro più grave nel 1998, in cui si verificò anche un decesso nell’uomo. In Senegal, invece, non sono più stati segnalati focolai fino al 1994-95 (8).

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Nel periodo 1989-92 furono riscontrate positività sierologiche in altri paesi dell’Africa occidentale: Togo, Benin, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso (8, 16).

Le gravi epidemie riscontrate in Egitto, Senegal e Mauritania, erano caratterizzate da un alto tasso di morbilità e mortalità, sia negli animali che nell’uomo, facendo ipotizzare che la malattia avrebbe potuto espandersi facilmente al di la del territorio africano, dove era rimasta confinata fino a quel momento. Nel 2000 la malattia comparve in Arabia Saudita e nello Yemen, provocando una grave epidemia che durò fino al 2001. Morirono migliaia di pecore e capre e 245 persone. L’inchiesta epidemiologica non riuscì a chiarire pienamente come l’infezione fosse giunta in quei paesi. L’ipotesi più probabile è quella che il virus fosse arrivato con animali da macello provenienti dall’Africa orientale durante l’epidemia del 1997-98 e fosse rimasto quiescente fino al momento in cui si verificarono le condizioni climatiche favorevoli alla sua diffusione. Resta ancora da chiarire se il virus è ancora presente in questa regione in forma endemica o meno (8).

Attualmente la malattia è segnalata in Africa, Arabia saudita e Yemen (XXXI, XXXVIII).

Negli ultimi anni, secondo i dati riportati, dall’OIE in Senegal sono stati registrati i seguenti focolai (XXXVI):

ANNO FOCOLAI CASI MORTI SPECIE COLPITE 2000-2001 Informazioni non disponibili

2002 3 107 … Ovini e caprini 2003 16 332 0 Ovini e caprini

In Senegal, nei 10 anni successivi all’epidemia del 1987, furono fatti alcuni studi per capire l’andamento della malattia. Il virus fu isolato da numerosi insetti vettori, ma la prevalenza degli anticorpi nel bestiame risultò

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in diminuzione ed aumentò solamente nel 1994-95, in coincidenza con il focolaio citato in precedenza (24, 25). Questo dimostrava che la malattia probabilmente aveva assunto un andamento endemico e, in caso di situazioni climatiche favorevoli, poteva dare luogo alla comparsa di un’epidemia (25, 27).

Sicuramente il virus circola in Africa in forma endemica su tutto il continente, dove si hanno condizioni ambientali e climatiche compatibili con il ciclo biologico del vettore (20). Secondo alcuni Autori (Pini A., Prosperi S.) i piani di sviluppo agricolo realizzati in alcune aree, possono aver creato un habitat ottimale per le zanzare vettrici e contribuito al diffondersi dell’infezione (20). Casi di malattia possono verificarsi ogni anno o possono intercorrere periodi interepidemici di 5 -10 anni. In tali periodi non si osserva sieroconversione nelle specie recettive e il virus non dà alcun segnale della sua presenza fino allo scoppio di una nuova epidemia che si diffonderà rapidamente in conseguenza dei titoli virali elevati che presenta un animale infetto che può quindi infettare un numero elevato di vettori (10, 20).

I vettori biologici responsabili della trasmissione della malattia sono rappresentati da numerose specie di zanzare (ne sono state identificate più di 80) appartenenti ai generi Aedes, Anopheles, Culex, Eretmapodites, Mansonia e Coquillettidia fuscopennata (10, 13, 15, 20, 26).

Non è ancora chiaro il meccanismo con il quale il virus riesce a mantenersi in natura nei lunghi periodi interepidemici e quali siano i fattori che portano allo sviluppo di un’epidemia (13, 20). Si pensa che il virus si mantenga nei vettori (in particolare il genere Aedes è considerato ospite riserva del virus) e quando aumentano le piogge e di conseguenza la densità degli insetti si può sviluppare un’epidemia (XVII, 20).

Per Aedes lineatopennis è stata dimostrata la trasmissione transovarica ed è stato visto che il virus può sopravvivere per lunghi periodi all’interno

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20). In condizioni favorevoli le uova si trasformano in larve e queste in soggetti adulti dai quali si può isolare il virus (20). Un ruolo determinante per la conservazione del virus lo hanno anche i roditori, poiché molte specie di questi animali sono presenti in numero elevato nelle zone dove la malattia è endemica e la maggior parte risulta sieropositivo (13).

In corso di focolaio assumono grande importanza, come fonte di virus i feti abortiti i quali possono trasmettere l’infezione per contatto diretto (8, 13, 20).

Non si conoscono altre vie di trasmissione, eccetto che per l’uomo il quale può infettarsi anche per aerosol e per contatto con sangue e visceri infetti (8, 10).

La malattia giunge in un paese indenne in seguito all’importazione di animali malati o all’introduzione di zanzare infette. Queste ultime possono anche essere trasportate a lunga distanza (500-800 km a notte) dalle correnti aeree (7, 8, 10, 20)

Patogenesi, sintomatologia e lesioni anatomo-patologiche

Una volta penetrato nell’organismo, il virus replica negli epatociti e, se molto virulento, provoca morte in circa una settimana. Gli stipiti virali a bassa virulenza, non provocando una morte rapida, possono passare al sistema nervoso centrale provocando un’encefalite che si manifesta dopo 1-4 settimane. Nelle femmine gravide il virus si localizza nella placenta provocando aborto (13). La viremia è costantemente molto alta ed associata a febbre, leucocitosi e successivamente leucopenia (8, 13, 17).

La sintomatologia varia in relazione a specie, razza ed età dell’animale colpito (13).

Negli ovini, caprini e bovini, dopo un periodo di incubazione che varia da circa 24 ore a 4 giorni, subentra una ipertermia bifasica. I due rialzi termici

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sono divisi da un intervallo di circa 24-36 ore e sono accompagnati da anoressia, astenia e prostrazione. Il 40-50% degli animali muore al 5°-6° giorno dell’infezione. Se ciò non succede, la malattia si evolve e può comparire scolo nasale, ittero, vomito e diarrea. Le femmine gravide, in qualunque stadio della gravidanza si trovino, vanno incontro ad aborto. I soggetti giovani possono venire a morte in modo improvviso prima ancora di manifestare i sintomi (13, 20, XVII).

La mortalità varia: negli ovini adulti arriva fino al 20-30%, negli agnelli fino al 90%; nei bovini adulti è inferiore al 10% e nei vitelli oscilla dal 10 al 70%. La morbilità varia dal 20 al 90%, e la percentuale degli aborti può raggiungere il 100% (13, 20, XVII).

Nel bufalo non si hanno manifestazioni cliniche evidenti, ma si possono osservare aborto e mortalità neonatale (20).

Negli animali selvatici si ha infezione latente confermata dalla elevata sieroprevalenza. Cani e gatti non presentano sintomi di malattia e non rivestono un ruolo epidemiologico importante (20).

Nell’uomo la malattia si manifesta con iniziale ipertermia, dolori toracici e addominali, cefalea, diarrea, vomito ed ittero. Se non si hanno complicazioni, la guarigione sopraggiunge in 4-7 giorni. Queste sono rappresentate da retinopatia, encefalite, sindrome emorragica con ittero e possono portare a morte il soggetto colpito (20).

Le principali alterazioni sono localizzate al fegato che si presenta cosparso di lesioni emorragiche e necrotiche. Nei casi più gravi anche nei reni, nell’apparato digerente e nel cuore possono essere presenti petecchie emorragiche (13, 20, 17, XVII).

Diagnosi

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numerosi casi di aborto. Deve essere differenziata da Bluetongue, Peste dei Piccoli Ruminanti, Peste Bovina, Malattia di Nairobi ed altre malattie che provocano aborto (20, XVII).

Il sospetto deve essere confermato con i test di laboratorio. Il virus può essere isolato su colture cellulari (cellule VERO, BHK-21, culture primarie di cellule di rene o testicolo di vitello e agnello) utilizzando come materiale patologico sangue linfonodi, milza, fegato e feti abortiti (2, 20, XVII).

Le prove sierologiche consigliate dall’OIE sono l’ELISA e l’inibizione dell’emoagglutinazione. Si possono utilizzare anche l’immunodiffusione in gel di agar e la fissazione del complemento (2, 20, XVII).

Profilassi

Nelle regioni dove la malattia è endemica la profilassi è di difficile attuazione.

Il controllo degli insetti vettori è di difficile attuazione. Grazie alle previsioni meteorologiche possiamo immaginare, con una certa approssimazione, quando si svilupperà un’epidemia e, conoscendo la vegetazione di una zona e il livello di umidità, possiamo stabilire anche dove si verificherà in modo da attuare dei piani di controllo specifici (20).La misura di controllo più efficace è la vaccinazione delle specie a rischio. Esistono due tipi di vaccini, uno a virus inattivato e l’altro a virus attenuato (20, XVII).

In Senegal non si pratica la vaccinazione se non in zone cuscinetto intorno ad un’area dove si è verificato un focolaio. Nelle zone più a rischio si utilizzano “mandrie sentinella” che vengono sottoposte a controlli sierologici periodici (22).

Nelle zone indenni è vietata l’introduzione di animali provenienti da zone a rischio, ma talvolta questa misura non è sufficiente perchè l’infezione può sopraggiungere attraverso zanzare infette trasportate passivamente con le correnti aeree (13, 20).

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WEST NILE

La West Nile (WN) è una malattia infettiva virale non contagiosa, veicolata da insetti vettori, prevalentemente zanzare (generi Culex e

Mansionia). Colpisce sia gli animali, maggiormente il cavallo nel quale si

manifesta con paraplegia e paralisi generalizzata, sia l’uomo, nel quale prevalgono manifestazioni similinfluenzali seguite da encefalite con esiti anche infausti (8, 13, 2).

Eziologia

E’ causata da un virus appartenente al genere Flavivirus, incluso nella famiglia Flaviviridae, di cui fanno parte anche i Pestivirus e i “virus

dell’epatite C-like”. I Flavivirus hanno forma sferica di 40-50 nm di diametro,

e sono provvisti di un envelope strettamente aderente al nucleocapside, contenente una singola molecola di RNA monocatenario a polarità positiva. WNV è antigenicamente correlato con altri Flavivirus, quali il virus dell’encefalite giapponese, della valle del Murrey, di St. Louis e Kunjin, e fanno tutti parte dello stesso sierogruppo(8, 13).

Studi genetici hanno dimostrato che esistono delle differenze significative nelle sequenze nucleotidiche tra i virus isolati nelle diverse parti del mondo. E’ stato possibile suddividere il virus in 2 linee: Lineage 1, isolato nel centro e nel nord Africa, in Israele, Europa, India, Australia e Nord America, e Lineage 2 che è endemico nel centro e nel Sud Africa e in Madagascar(2). Più recentemente, usando sia sieri policlonali che monoclonali, si è dimostrato che esiste una significativa variazione antigenica anche tra linee isolate all’interno della stessa regione geografica (8).

Colpisce l’uomo e numerosi animali domestici e selvatici: equini, bovini, bufalini, piccoli ruminanti, cani, coniglio, roditori, diverse specie di

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Non tutte queste specie manifestano la malattia, solamente il cavallo e l’uomo possono presentare una sintomatologia marcata. Nei volatili solitamente non si ha la malattia manifesta, ma alcuni uccelli come il corvo americano (Corvus brachrhynchos) and Blue Jays (Cyanocitta cristata), muoiono in seguito a una patologia sistemica (2, 8).

Epidemiologia

Questo virus fu isolato per la prima volta nel distretto nord occidentale del Nilo, in Uganda, nel 1937. Le prime epidemie tra gli uomini furono registrate in Israele, durante il 1951-1954 e ancora nel 1957. In seguito, altre epidemie comparirono nel Sud della Francia (1962), in Sud Africa (1974), nel Sud-Est della Romania (1966 e nel 1996), nel centro-sud della Russia (1999), in Israele e Nord America (2000). Altri focolai, che interessarono maggiormente i cavalli, furono riportati in Egitto e in Marocco durante gli anni ’60. Dopo il 1998 focolai di encefalite equina furono registrati in Italia (1998), Francia e Nord America (4, 5, 8).

In America, il virus fece la sua comparsa nel 1999, nella città di New York, e da allora la sua diffusione si è allargata molto interessando la costa orientale e molti stati interni del continente, sia americani che canadesi (18).

Attualmente il virus ha una diffusione geografica ampia che comprende numerosi stati dell’Europa, Africa, Asia, Australia, Nord America (8).

Il virus viene trasmesso da Culicini appartenenti a generi Culex (C.

modestus, C. antennatus, C. univittatus, C. pipiens ) e Mansonia (M. metallica, M. aurites) (13).

WNV si mantiene allo stato endemico instaurando un ciclo biologico tra differenti specie di zanzare e uccelli selvatici, che cambiano secondo le varie aree geografiche. I volatili non manifestano la malattia ma hanno una viremia prolungata, potendo così infettare un numero elevato di zanzare. Al contrario i cavalli con sintomi rappresentano un ospite a fondo cieco poiché,

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venendo a morte rapidamente, non hanno tempo di contagiare un numero elevato di vettori. Le epidemie insorgono quando si ha un aumento sensibile del numero di vettori e di uccelli portatori (2, 8).

Da uno studio condotto in America il virus è stato isolato in diversi ospiti, sia vertebrati che invertebrati. Fino al 2001 è stato identificato in 15 specie di zanzare, 55 specie di uccelli e 7 specie di mammiferi (8).

Studi sierologici hanno evidenziato anticorpi nel siero di animali in Africa ed Europa, Italia inclusa, indicando quindi una circolazione in ampie aree geografiche. Si pensa che i responsabili di tale diffusione siano gli uccelli migratori che introducono la malattia in nuove zone.

I mammiferi sono considerati ospiti meno importanti nel ciclo naturale. Sono stati analizzati sieri di cammelli, cani, pecore, capre di aree endemiche ed è stato visto che hanno una sieroprevalenza che va dal 18 al 62% ma, dal momento che hanno una scarsa viremia e la loro popolazione ha una densità bassa, non sono importanti nel mantenere l’infezione in circolo (8).

Sintomatologia e lesioni.anatomo-patologiche

Circa il 10% dei cavalli sviluppa la malattia clinica dopo l’infezione. La maggior parte dei cavalli non presenta sintomi importanti. Nei casi più gravi, il segno principale che si riscontra è l’encefalomielite (8).

L’incubazione varia da 3 a 15 giorni, il primo segno è l’aumento di temperatura che coincide con la viremia. Segue depressione del sensorio, atassia e paralisi del treno posteriore. Alcune volte sono presenti fascicolazioni muscolari e deficit dei nervi craniali. La mortalità raggiunge il 25% dei colpiti.

Se l’animale perviene a guarigione l’immunità resta per tutta la vita (5, 8).

Le lesioni, rappresentate da poliomielite, sono localizzate alle corna ventrali del midollo spinale, particolarmente nel tratto posteriore della corda.

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Diagnosi

Si ha il sospetto ogni volta che si ha una sintomatologia di tipo nervoso negli equini. La conferma si trova tramite l’isolamento del virus e la ricerca degli anticorpi.

L’isolamento del virus si fa partendo dall’encefalo e dal midollo spinale utilizzando cellule VERO o inoculando il materiale su uova embrionale.

Le prove sierologiche utilizzate sono l’ELISA, inibizione dell’emoagglutinazione, o la sieroneutralizzazione. Gli anticorpi possono cross-reagire con quelli contro altri Flavivirus (2).

Controllo

Si cerca di evitare il contatto dei cavalli con le zanzare. E’ buona norma attuare il ricovero notturno nei box ,usare insetticidi e prodotti repellenti, cercando di allontanare i volatili e riducendo la popolazione di zanzare. Utile è un monitoraggio sierologico per capire la sieroconversione. Negli Stati Uniti, in situazioni di rischio, sono stati utilizzati vaccini per prevenire l’infezione nel cavallo (8).

Riferimenti

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