• Non ci sono risultati.

Capitolo 3 La multifunzionalità del bosco

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 3 La multifunzionalità del bosco"

Copied!
165
0
0

Testo completo

(1)

192

Capitolo 3

(2)

193

3.1. Il bosco come bene di produzione

Con il tempo, come già si è avuto modo di far emergere nel nostro excursus normativo multilivello, le funzioni assolte dai boschi e dalle foreste, che la società è venuta a riconoscere ed a ritenere opportuno tutelare e migliorare sono progressivamente aumentate. Se oggi, infatti, sono indiscutibili le molteplici esternalità (oltre che produttive anche protettive, ambientali e naturalistiche, paesaggistiche e turistiche), generate dai boschi in termini di beni e servizi, materiali ed immateriali, di fondamentale importanza per l’umanità508

, le primogenite funzioni ad essi riconosciute sono state quella produttiva e, in parte, quella protettiva509.

Con la riscoperta di tale ruolo polifunzionale, elaborare per i boschi un unico quadro normativo di riferimento, in grado di cogliere i molteplici profili che li contraddistinguono, è diventato alquanto arduo: ciascuno dei loro profili, infatti, viene a delinearsi su interessi eterogenei da tutelare e a ricondursi ad un contesto alquanto rilevante510. Risulta pertanto opportuno trattare e approfondire ciascuna funzione dei boschi, con la rispettiva normativa di riferimento, in un apposito paragrafo di quest’ultimo capitolo.

Seguendo l’evoluzione normativa del diritto forestale, l’analisi partirà proprio da una delle prime funzioni riconosciute dall’uomo al bosco, quella produttiva,

508

Programma quadro per il settore forestale, p. 47.

509 Già, per esempio, nelle fonti normative italiane preunitarie

abbiamo rinvenuto una tutela dei boschi volta a garantirne, oltre alla funzione produttiva, la funzione protettiva, attinente all’assetto idrogeologico del territorio; un tale riscontro si ha, inoltre, anche nel primo diritto forestale europeo ed internazionale.

510

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, Manuale di diritto forestale e

(3)

194

funzione che lo ha visto approcciarsi allo stesso ai fini dell’utilizzazione diretta dei prodotti forestali legnosi511

, ma anche della loro lavorazione e trasformazione512, nonché della raccolta dei prodotti forestali non legnosi513; si giungerà poi, via via, alla funzione più recentemente riscoperta, ossia quella paesaggistico-ambientale. Prima ancora, però, di tracciare i profili giuridici di questo primo anello della multifunzionalità del bosco, nonché di quelli successivi, si traccerà, attraverso una sorta di introduzione allo stesso, un quadro dei boschi italiani in qualità, appunto, di beni produttivi.

Ebbene, della funzione produttiva del patrimonio forestale nazionale, in particolare della capacità di questo di offrire, per mezzo dei suoi prodotti, legnosi e non, oltre che il possibile soddisfacimento dei fabbisogni personali degli

511

Oggetto indiscutibile di interesse è il frutto principale del bosco, il legno, sia per la sua destinazione a combustibile che per la sua multiforme lavorazione industriale; di interesse esclusivo, però, potranno essere anche singole componenti della stesso, quali la corteccia, o più diffusamente solo il sughero di questa, la polpa di cellulosa per la realizzazione della carta. Credo che, in un certo senso, debbano intendersi come “prodotti forestali legnosi” anche le biomasse derivanti dalla selvicoltura: esse, infatti, indubbiamente non possono esser classificate come “prodotti forestali non legnosi”.

512

Il Programma quadro per il settore forestale del 2008 (p. 47) della complessa filiera “foresta-legno”, in particolare, individua 2 entità separate: quella delle utilizzazioni forestali e quella delle lavorazioni industriali del legname. La prima riguarderebbe il taglio dei boschi ai fini dell’ottenimento di legno e, cioè, del prodotto forestale per eccellenza che, senza alcuna trasformazione, viene usato come combustibile; la seconda, invece, riguarderebbe 3 principali sottofiliere: quella dell’utilizzo del legname nell’industria mobiliare, per le costruzioni e gli altri impieghi strutturali; quella della produzione di carta e cartone da materia prima legnosa; quella dell’uso del legno per fini energetici. In tali sottofiliere, tuttavia, oltre all’impiego di materia prima legnosa, proveniente dalle utilizzazioni forestali o da impianti colturali specifici, assume una certa rilevanza anche l’impiego di materia prima proveniente dal riciclo dei prodotti di origine lignea.

513

Questi ultimi, come riporta il Programma quadro (p. 60), vengono spesso considerati “prodotti forestali minori/secondari/accessori” o “sottoprodotti forestali”, ma la realtà dei fatti mostra un interesse sempre crescente verso questi prodotti, in grado di costituire, a volte, l’oggetto esclusivo della relazione uomo-funzione produttiva dei boschi con l’esercizio di un’attività d’impresa o soltanto ricreativa.

(4)

195

individui, anche un’importante fonte di reddito e di occupazione per la popolazione, soprattutto del mondo rurale e montano, il Programma quadro per il settore forestale del 2008 registra un ruolo sempre meno rilevante nell’economia nazionale, dalla metà del secolo scorso514

. Tale circostanza sarebbe la risultanza di una serie di fattori che ci accingiamo a richiamare.

Della filiera foresta-legno, in particolare, il Programma515 riporta un progressivo arresto delle utilizzazioni forestali a fronte di un aumento considerevole della superficie forestale nazionale disponibile al prelievo legnoso516, che costituirebbe conseguenza dell’abbandono delle aree rurali e montane. Il fenomeno troverebbe giustificazione, innanzitutto, nella difficile struttura dei boschi italiani e nella loro localizzazione (per il 59% in montagna), che insieme condizionerebbero pesantemente le scelte colturali e il grado di meccanizzazione delle relative operazioni selvicolturali517; vi concorrerebbero, però, anche l’inadeguata viabilità dei boschi, l’alto costo della manodopera e il conseguente notevole ricorso al lavoro nero, la polverizzazione della proprietà terriera, la stagionalità del lavoro delle imprese di utilizzazioni forestali e la loro scarsa specializzazione, l’eccessiva burocrazia che queste ultime incontrerebbero nell’acquisto di lotti boschivi, nel complicato iter amministrativo previsto nell’autorizzazione dei tagli e, da ultimo, nel trend non positivo dei prezzi di mercato del legno518.

514

Cfr. Programma quadro per il settore forestale, 2008, p. 47.

515 Cfr. Programma quadro per il settore forestale, pp. 47 ss. 516

Il Programma quadro, nello specifico, calcola l’81% del patrimonio forestale nazionale come disponibile al prelievo legnoso.

517 Esse verrebbero effettuate con motoseghe e difficoltosi esboschi e

trasporti; tali fattori vincolerebbero la fattibilità degli interventi al punto tale da non permettere altro che rese lavorative molte basse.

518

(5)

196

Da questa progressiva caduta di interesse per le utilizzazioni forestali, discenderebbero, come emerge dal Programma, oltre che evidenti conseguenze negative sull’assetto del territorio, anche una maggior convenienza,

per le nostre industrie di trasformazione,

nell’approvvigionarsi dall’estero di legname. Tutto ciò fa dell’Italia il paese dell’Ue con il più basso grado di autosufficienza nell’approvvigionamento di materia prima legnosa, che viene importata con un tasso annuo pari quasi al doppio della produzione interna519.

All’interno della filiera foresta-legno, maggiore rilevanza per l’economia nazionale avrebbero, invece, i 3 sottosettori relativi alle industrie di trasformazione del legname: negli ultimi anni, infatti, si sarebbero registrati un aumento delle esportazioni nel settore legno-arredo520 ed importanti opportunità di sviluppo per la sottofiliera foresta-legno-energia; una sostanziale stagnazione riguarderebbe, piuttosto, la produzione nel settore cartario521.

In realtà, però, di tutti i prodotti forestali, quelli che vengono ritenuti in grado di costituire le più importanti fonti di reddito sono i prodotti forestali non legnosi: essi, infatti, in Italia e in certi casi, arrivano a superare di gran lunga la redditività dei prodotti legnosi; il rapporto prezzo/kg, in particolare, premia nettamente i tartufi, i funghi e, in misura minore, i piccoli frutti (fragole, mirtilli, lamponi, castagne, nocciole, ecc.); sul mercato, però, si

519

Programma quadro per il settore forestale, p. 51.

520

Le esportazioni in questione, secondo quanto riporta il Programma quadro per il settore forestale (p. 54), esprimerebbero i livelli più alti di esportazione nell’industria manifatturiera italiana e farebbero riferimento ai 2 pilastri del settore: uno relativo alla trasformazione del legno, per l’ottenimento di prodotti semilavorati e per l’edilizia e di componenti per l’industria dell’arredamento, l’altro relativo specificamente all’arredamento.

521

(6)

197

vedrebbero molto apprezzati anche prodotti di qualità quali il miele di bosco, in particolare quello di castagno e i diversi tipi di melata522.

L’impegno a migliorare l’offerta sul mercato dei prodotti forestali non legnosi è, ormai da un po’ di tempo, risuonato a livello europeo523, e stato assunto a livello nazionale: manifesto è, infatti, il loro contributo allo sviluppo socio-economico delle aree rurali, attraverso il mantenimento delle attività economiche tradizionali e la creazione di nuove opportunità produttive, con la promozione e la valorizzazione loro e dei servizi turistico- ricreativi offerti dal bosco come prodotti di nicchia524. Dopo le considerazioni e i dati introduttivi sulle attività dell’uomo connesse alla funzione produttiva dei boschi, nel caso specifico italiani, eccoci giunti alla disamina della disciplina giuridica delle stesse. L’attenzione sarà volta, innanzitutto, all’istituto dell’impresa forestale, attinente alle utilizzazioni forestali, ma anche alle operazioni di trasformazione del legname che possano qualificarsi come attività connesse alla principale, ai sensi dell’art. 2135, 3° comma, C.C.; di tale impresa si evidenzieranno peculiarità e multifunzionalità per poi poterla distinguere dalle diverse attività di arboricoltura da legno e di produzione di biomasse; infine, ci si dedicherà alla disciplina dei frutti

522

Le statistiche ISTAT, che il Programma quadro per il settore forestale riporta per i prodotti forestali non legnosi, riguardano unicamente i prodotti suddetti, nonché sughero, pinoli e ghiande. Hanno perso di importanza, infatti, negli ultimi 50 anni, e non sono, quindi, più oggetto di rilevamento statistico, tutta una serie di altri prodotti: foglie ed erba per la produzione di foraggio, piante officinali, corteccia per tannino, resina, bacche di ginepro, foglie e ramoscelli per tannino, faggiole, frutti di corbezzolo, manna e carrube.

523 Punti di riferimento, in particolare, sono: la Strategia forestale

dell’Ue del 1998; le politiche sullo sviluppo rurale; la II e la III Risoluzione della IV Conferenza MCPFE di Vienna del 2003.

524

(7)

198

spontanei, che regola le attività che hanno per oggetto i prodotti forestali non legnosi.

3.1.1. Tipicità e multifunzionalità dell’impresa forestale: i contratti agro ambientali; i contratti di usufrutto e di affitto di bosco nonché di vendita delle piante in piedi. La disciplina dell’impresa forestale è contenuta essenzialmente nell’art. 2135 del Codice Civile e nei D.lgs. nn. 227 e 228 del 2001, dedicati all’ “orientamento” e alla “modernizzazione”, rispettivamente, “del settore forestale e del settore agricolo”. Il primo di tali riferimenti normativi, l’art. 2135 C.C., appunto, sarà, in ragione della sua importanza, delineato attraverso la vecchia e la nuova configurazione perché riformato proprio dal secondo dei decreti citati.

Nel dettaglio, l’art. 2135 del Codice Civile delinea il moderno concetto giuridico del genus di “impresa agricola”, o più propriamente di “imprenditore agricolo”, di cui l’impresa forestale e l’imprenditore forestale rappresentano una species525: la silvicoltura, difatti, rappresenta una delle tre attività definite “essenzialmente agricole”526, capaci, cioè, di esprimere l’essenza dell’agrarietà e di qualificare chi esercita almeno una di esse come imprenditore agricolo527.

Sin dalla sua formulazione originaria, antecedente, per l’appunto, la novella del 2001, il legislatore, all’art. 2135 del C.C., attribuiva autonoma rilevanza alla selvicoltura

525

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. p. 427.

526 Le altre due, come noto, sono l’attività di coltivazione del fondo e

quella di allevamento degli animali.

527

M. GOLDONI, Commento all’art. 1 del D.lgs. n. 228/2001, in Rivista di Diritto Agrario, 2002, fasc. 2-3, p. 216.

(8)

199

rispetto alla coltivazione del fondo528. Secondo la dottrina, tale scelta si sarebbe giustificata con la natura peculiare dell’oggetto della selvicoltura: questa, infatti, pur rappresentando una sorta di attività di coltivazione del fondo, nello specifico un’attività di coltivazione del fondo a bosco529, viene ad insistere su un bene molto particolare quale è, per l’appunto, il bosco, che si caratterizza per cicli naturali molto dilatati nel tempo, per un frutto principale, il legno, non costituente una parte morfologicamente diversa dalla cosa madre quanto piuttosto una porzione omogenea della stessa e, infine, per l’assolvimento di una molteplicità di funzioni di interesse pubblico530.

Tali ragioni di carattere tecnico, strutturale e politico, che avevano imposto una considerazione specifica della selvicoltura, come si accennava, non sono venute meno neppure con la riforma dell’articolo nel 2001, che adotta la teoria del ciclo biologico531 e una nozione ontologica

528

Il vecchio art. 2135 c.c., in 2 commi, così recitava: ‹ E’ imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. ›.

In sostanza, punti nodali della norma erano innanzitutto la distinzione tra le prime tre attività, definite “essenzialmente agricole”, e quelle connesse e, poi, la connotazione della seconda tipologia di attività come l’insieme di quelle attività funzionalmente collegate a quelle essenzialmente agricole, complementari alle stesse nonché tendenti allo stesso fine delle prime (cosiddetto requisito oggettivo), svolte dallo stesso soggetto che svolge una delle attività principali e, in quanto attinenti all’esercizio normale dell’agricoltura, da dover esser ricomprese in ciò che la maggior parte degli agricoltori, nel periodo temporale e nell’area geografica di riferimento, svolgono.

529 M. GOLDONI, cit. p. 217. 530

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. pp. 422, 427.

531

Tale teoria, affermatasi agli inizi degli anni “70 per opera di Antonio Carrozza, fa consistere l’agricoltura in un’attività volta allo svolgimento o alla cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso (di un intervallo di tempo, cioè, che segni un passaggio da uno stato all’altro), concernente, nello specifico, l’allevamento di animali o di vegetali, in vista dell’ottenimento, attraverso lo sfruttamento diretto o indiretto delle forze e delle risorse naturali, dei loro frutti, da destinarsi al consumo diretto, in quanto tali o

(9)

200

dell’agricoltura532

, nonostante il fatto che selvicoltura e coltivazione del fondo risultassero ancor più riferibili ad un’unica attività, quella, cioè, dell’allevamento di esseri vegetali, seppur di specie diverse533.

Nell’accingerci ad approfondire meglio la definizione di impresa forestale contenuta, appunto, nell’art. 2135 C.C., deve innanzitutto ricordarsi che presupposto fondamentale della stessa è la nozione di imprenditore di cui all’art. 2082 C.C., secondo cui «è imprenditore colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi». Come chiarisce la dottrina534, l’attività del selvicoltore si concretizza pertanto nell’insieme di tutte quelle operazioni utili all’ottenimento di legno, con tagli periodici del bosco, e alla cura, al mantenimento e all’incremento della capacità produttiva di questo. Il ciclo produttivo legnoso del bosco, che abbiamo detto esser molto dilatato nel tempo (e si consideri che lo è ancor più per i boschi d’alto fusto capaci di offrire un maggior profitto), costringe il selvicoltore a mantenere il capitale immobilizzato, per tutta la sua durata, sostanzialmente senza raccoglierne il frutto, e ad organizzare di conseguenza i modi di esercizio e di gestione della sua impresa. Circa quest’ultimo aspetto è, difatti, evidente che il bosco non richiede una costante presenza del selvicoltore, quanto piuttosto (specie per

previa trasformazione. Corollario fondamentale è, in sostanza, innanzitutto la svalutazione del fondo, che non è più elemento indefettibile dell’agrarietà: l’utilizzazione del fondo viene vista solo potenziale e non effettiva e concreta; in altre parole, le produzioni vengono qualificate come agricole se possono esser utilmente effettuate anche attraverso lo sfruttamento del fondo e questo, quindi, non è più necessario. Ciò che è necessario, invece, per l’agrarietà è la presenza di un rischio biologico che l’attività di allevamento deve sopportare, la presenza, cioè, di un rischio che sia attinente ai meccanismi biologici della materia vivente (V. GOLDONI, cit. pp. 217 ss.).

532

M. GOLDONI, cit. p. 217.

533

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. p. 422.

534

(10)

201

motivi climatici) una sua concentrazione stagionale535. Per tale caratteristica, un consolidato indirizzo interpretativo, sia dottrinale536 che giurisprudenziale537, ritiene che non possa in alcun modo risultare inficiata la natura imprenditoriale dell’attività selvicolturale: perché possa dirsi esercitata “professionalmente”, essa deve essere abituale e non occasionale, ma non necessariamente continua o ininterrotta, né esclusiva o preminente rispetto ad altre attività svolte dal medesimo imprenditore.

Per la dottrina538, invece, non si può dire che integrano gli estremi di un’impresa selvicolturale né la semplice messa a dimora di specie vegetali arboree, con operazioni che si esauriscono una tantum, né la mera estrazione del legname: entrambe, infatti, si configurano come avulse da alcuna sorta di operazione diretta a garantire la conservazione e la produttività del bosco.

Quanto detto finora, però, non è tutto: l’attività del selvicoltore deve essere, altresì, un’attività che abbia come sbocco finale il mercato e che, in quanto “organizzata”, sia capace di realizzare un’efficiente combinazione dei fattori produttivi, essenzialmente di capitale e lavoro, con una loro gestione secondo criteri di economicità539. Condicio sine qua non per la costituzione di un’impresa forestale è, allora, secondo la dottrina540, anche l’elemento spaziale, la possibilità, cioè, di avere a disposizione un’ampia superficie di bosco che consenta di avere una produzione continua, mediante il taglio annuale di solamente una

535 L. COSTATO- N. FERRUCCI, cit., p. 427. 536

V., per esempio, BUONOCORE, Manuale di Diritto Commerciale, Giappichelli, 2011, pp. 14-15, e www.itisalbenga.it/dowloand/appunti/diritto/modulo%20impresa.pd f, consultato il 10/05/2014.

537

V. sentenze nn. 6395/1981 (I Sezione Civile), 2321/1997 e 9102/2003(Sezioni Unite) della Corte di Cassazione.

538

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. p. 427.

539

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., pp. 427-428.

540

(11)

202

percentuale della stessa. In sostanza, attraverso la predisposizione di un apposito piano economico, cadenzato in base ai ritmi di crescita propri delle specie arboree che costituiscono il bosco, si dovrebbe realizzare, secondo la dottrina, una programmazione nel tempo delle utilizzazioni legnose tale per cui, al termine del ciclo, la superficie boscata ne risulterebbe completamente ricostituita: l’imprenditore, cioè, ogni anno, procederebbe al taglio solo di quella percentuale del bosco che può dirsi corrispondente all’ “interesse” e lascerebbe, invece, costante il “capitale” pari al bene di partenza541

. La sussistenza di un piano di assestamento forestale, quale quello ora descritto, viene a costituire, così, secondo la dottrina542, un ulteriore indice a favore del riscontro dell’esercizio di attività selvicolturale in forma di impresa, secondo, cioè, un’organizzazione razionale e sistematica del bene ai fini della produzione del legno.

Per la dottrina, si porrebbe fuori, invece, dall’alveo dell’esercizio di un’impresa forestale la mera estrazione del legname, attuata a conclusione del ciclo produttivo del bosco e secondo turni di taglio previsti in sede regionale: si ritiene, infatti, che tale situazione costituisca piuttosto una semplice modalità di godimento del bene bosco; sicché il selvicoltore contrariamente a quanto si è detto essere necessario per la costituzione di un’impresa forestale, come per un qualsiasi altro bene fruttifero, ancorché a scadenza pluriennale, si limita esclusivamente a far propri i frutti relativi543.

541

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 428.

542

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. p. 428.

543

(12)

203

L’ultimo carattere dell’impresa forestale attiene all’“economicità”544 che, per la dottrina545, assumerebbe connotati decisamente peculiari. In effetti, l’acquisita multifunzionalità del bosco e il conseguente ampliamento del concetto stesso di impresa forestale, secondo quanto a breve si dirà, hanno imposto, oggi, di apprezzare la valenza economica dell’attività del silvicoltore anche attraverso la valutazione dei servizi che il bosco offre in favore della tutela ambientale o di quella idrogeologica o in funzione turistico- ricreativa, nonostante il fatto che in questi casi, differentemente da quanto avviene per i beni riferibili esclusivamente alle attività produttive del silvicoltore, si tratti di servizi di non immediata percezione per la logica di mercato in senso stretto546.

Se finora si è detto della selvicoltura come attività essenzialmente agricola, come attività, cioè, di coltivazione del bosco al fine di produrre legno, occorre ora dedicarsi a quelle che l’art. 2135 C.C., nella sua versione attuale, ma anche in quella precedente seppur attraverso formulazioni parzialmente diverse547, qualifica

544

Per tale, tradizionalmente, si intende lo scopo di lucro dell’impresa o, comunque, l’idoneità dell’attività produttiva, organizzata in forma di impresa, a rimborsare, mediante il corrispettivo dei beni e dei servizi prodotti, i diversi fattori di produzione impegnati.

545 A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit. p. 429. 546

E’, d’altronde, a mio parere, fin da ora utile constatare la stretta connessione che si cela tra i diversi possibili beni e servizi offerti dall’attività selvicolturale: un selvicoltore responsabile che gestisca i boschi secondo le regole di una selvicoltura moderna, corretta e multifunzionale, anche con la realizzazione e la manutenzione di opere di sostegno e di sistemazione del suolo, consente e garantisce al bosco l’assolvimento, oltre che della funzione produttiva, anche delle altre sue funzioni: il presidio del territorio, la corretta regimazione del flusso delle acque, la cura dell’aspetto paesaggistico, ricreativo e naturalistico, tutti fattori questi che permettono di considerarlo un ecosistema multifunzionale.

547

Molto approssimativamente, chiarendo, poi, nell’interno del testo, gli aspetti evidenziati, caratteristico della nuova formula dell’art. 2135 C.C., rispetto alla precedente, è, innanzitutto, un incremento delle attività connesse “nominate” e, secondariamente, l’attribuzione di un valore meramente esemplificativo a tale elenco: l’uso

(13)

204

come attività agricole “connesse”, in qualità dello stretto e particolare rapporto intercorrente tra esse e la selvicoltura. Secondo quanto sostiene unanimemente la dottrina548, le “attività agricole per connessione” sono quelle attività che, se fossero organizzate e svolte in forma autonoma rispetto alla selvicoltura o ad altra attività essenzialmente agricola, sarebbero da qualificarsi come attività imprenditoriali commerciali o industriali, di cui all’art. 2195 C.C., ma che, in virtù della loro “connessione” vengono assoggettate alla disciplina propria dell’impresa agricola. Si ricordi che un’attività per essere connessa, secondo la dottrina549, deve potersi ritenere funzionalmente collegata o complementare ad una delle attività essenzialmente agricole o, ancora, volta a realizzare lo stesso fine perseguito dall’imprenditore con la principale.

Ecco, allora, rientrare nel concetto di impresa forestale, in primis550, le attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del bosco551, poste in essere dallo stesso soggetto

dell’avverbio “comunque”, come incipit del comma di riferimento dell’articolo (il 3°, dedicato, appunto, alle attività agricole per connessione) segnala, infatti, la possibilità che anche altre specie di attività, diverse, quindi, da quelle nominate e perciò chiamate atipiche, possano risultare connesse e collegate a quelle essenzialmente agricole, specificamente nel caso in cui siano rispondenti ai requisiti del nuovo rapporto di connessione.

548

V. per esempio L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, p. 775 e A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 430.

549

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, p. 776.

550

Prima della riforma, l’art. 2135 C.C. reputava, invece, connesse solo ‹ le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli… › .

551

La “prevalenza”, nonostante sia il requisito del rapporto di connessione di cui al nuovo art. 2135 c.c. qui per primo richiamato (requisito oggettivo), è, teoricamente, quello che figura come secondo, rispetto a quello soggettivo di cui si dirà nella nota successiva. Esso ha soppiantato il criterio della “normalità”, presente nel vecchio art. 2135 C.C., e si specifica diversamente per ciascuna delle due possibili tipologie di attività connesse, a cui fa riferimento il 3° comma: se la connessione riguarda la prima tipologia, quella, cioè,

(14)

205

imprenditoriale che si occupa dei quest’ultima552. Costituisce, quindi, impresa forestale, innanzitutto, l’esercizio, da parte dell’imprenditore silvano, dell’attività di coltivazione del bosco insieme con l’eventuale attività di trasformazione del prodotto forestale principale, il legno, appunto553, che sia ottenuto prevalentemente da quella che, tra le due, rappresenta l’attività principale; oltre, però, allo svolgere un’attività connessa di trasformazione, il selvicoltore potrà accompagnare l’attività essenzialmente agricola anche con altro tipo di attività connessa e, cioè, con un’attività di manipolazione, conservazione, commercializzazione o valorizzazione del legno, proprio e/o altrui, e potrà anche darsi che tali

delle attività aventi, in vario modo, come oggetto i prodotti agricoli (attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione o valorizzazione), le sole che finora abbiamo citato, occorre che i prodotti in questione provengano prevalentemente dall’esercizio di un’attività essenzialmente agricola, svolta anch’essa, come le prime, dall’imprenditore. L’imprenditore agricolo, in sostanza, conserva tale qualifica anche quando tratta, con i propri, i prodotti agricoli altrui, purché questi ultimi non siano “prevalenti” sui primi. Nonostante sia indiscutibilmente difficile determinare e definire tale prevalenza nel caso in cui la comparazione non attenga a prodotti simili o a prodotti dello stesso comparto agronomico, ovvero nel caso in cui non si possa ricorrere ad un criterio di approssimativa omogeneità tra i prodotti, ad oggi ancora non esiste, nell’ordinamento, un criterio certo di prevalenza. Esistono, piuttosto, in alcune disposizioni criteri variegati: a titolo esemplificativo, si richiama l’art. 4, 8° comma del D.lgs. n. 228/2001 che per il calcolo della prevalenza ricorre al criterio del ricavato delle vendite, da una parte, appunto, dei prodotti agricoli dell’imprenditore, dall’altro dei prodotti agricoli altrui (v. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, pp. 775 ss.).

552

Primo requisito, quindi, del rapporto di connessione tra attività essenzialmente agricole e attività connesse, è quello soggettivo: i due tipi di attività devono, cioè, essere svolte entrambe dal medesimo soggetto imprenditoriale. Questo requisito diviene esplicito, al 3° comma dell’art. 2135, con il D.lgs. 228/2001; costituiva, però, secondo la dottrina e la giurisprudenza ( M. GOLDONI, cit., p. 224), presupposto indispensabile già del rapporto di connessione di cui alla versione originaria dell’art. 2135 C.C.

553 Ci si riferisce, in particolare, a quelle attività di trasformazione

afferenti alle 3 sottofiliere foresta-legno: quella della produzione di mobili, costruzioni legnose, ecc.; quella della produzione di carta e cartone ed, infine, quella della produzione di energia e biomasse.

(15)

206

attività connesse riguardino non il legno, ma solo uno dei sottoprodotti dello stesso (cortecce, sughero, ecc.)554. Il fatto che permanga la qualifica di imprenditore forestale in capo al soggetto che tratti, assieme ai prodotti propri, anche quelli eventualmente acquistati da altri, ha indotto parte della dottrina555 a precisare che carattere indefettibile delle attività connesse di “commercializzazione”, “manipolazione”, “conservazione” e “valorizzazione” deve essere proprio la presenza dei prodotti altrui assieme ai propri: qualora riguardassero, infatti, esclusivamente i prodotti propri dell’imprenditore risulterebbero inglobate, grazie alla destinazione al mercato della produzione insita in ogni attività imprenditoriale, all’interno della stessa attività essenzialmente agricola e sarebbero incapaci di acquisire rilevanza autonoma verso i terzi556. Quanto detto non può valere, invece, per l’attività connessa di “trasformazione”, il cui carattere intrinsecamente industriale fa sì che essa possa risultare connessa anche

554

In realtà, oltre che i prodotti forestali legnosi, l’impresa silvana potrà, nei termini di cui si dirà al sottoparagrafo 3.1.3., riguardare anche i prodotti forestali non legnosi, i frutti spontanei cioè, come oggetti sia dell’attività principale che di una qualunque attività connessa.

555

V. A. Germanò e E. Rook Basile in Trattato di diritto agrario, 2011, vol. 1, pp. 778 ss.

556

Uno sbocco al mercato, sotto forma di una vendita al dettaglio, è previsto, dall’art. 4 del D.lgs. n. 228/2001, come necessario per la configurazione di un’attività di impresa agricola in senso lato e, quindi, anche silvana. Si tratterebbe, in sostanza, di una vendita al minuto che il produttore svolgerebbe nell’intento di appropriarsi di quel plusvalore generato portando il prodotto direttamente al consumatore. In questa stessa ottica si porrebbero le attività connesse di manipolazione, conservazione e valorizzazione (quest’ultima consistente, per esempio, nella surgelazione, nel congelamento, nel confezionamento, anche sotto vuoto, dei prodotti agricoli in senso stretto o dei prodotti forestali non legnosi o, ancora, in una presentazione particolare degli stessi) con cui il selvicoltore tenderebbe a dare al prodotto, destinato al mercato, un valore aggiunto.

(16)

207

qualora riguardi esclusivamente i prodotti frutto del lavoro personale del selvicoltore557.

La seconda tipologia di attività connesse, di cui alla seconda parte del 3° comma dell’art. 2135 C.C., si riferisce, in particolare, “alla fornitura di beni e servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda558

normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata559, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”. In tal contesto, in sostanza, l’ordinamento italiano viene ad accogliere il concetto, già europeo560, di “agricoltura multifunzionale”561

, di un’agricoltura, cioè, capace di svolgere, oltre che la tradizionale attività produttiva, anche altre attività, in particolare quelle di carattere ambientale, paesaggistico, ricreativo, culturale, energetico, sociale, ecc.

Calandoci nello specifico della disposizione, la locuzione “fornitura di beni e servizi” starebbe ad indicare, secondo la dottrina562, la cessione dei beni in senso lato agricoli qualificata da un servizio, ovvero una prestazione complessa di cui il prodotto agricolo e il servizio siano

557 L’attività di trasformazione, infatti, è un’attività di modifica della

forma e della consistenza dei frutti naturali, tale per cui dal prodotto agricolo allo stato naturale, da qualificarsi come bene strumentale, si giungerebbe ad ottenere un bene ben diverso che è il bene finale.

558

Ecco, allora, l’esplicazione del criterio della prevalenza in relazione alla II tipologia di attività connesse.

559

La “normalità” qui in questione non riguarderebbe lo ‹id quod

plerumque accidit›, ciò che, cioè, la maggior parte degli agricoltori fa

nel periodo storico e nell’area geografica di riferimento; essa starebbe ad indicare, piuttosto, ciò che è tipico dall’azienda agricola che si consideri di volta in volta.

560

In particolare, è con l’Agenda 2000, con, cioè, il pacchetto di riforme approvate nel 1999 e riferite al periodo 2000-2006, che l’Unione Europea, tra tante altre novità in materia agro ambientale, riconosce all’agricoltura una multifunzionalità.

561

http://www.provincia.bologna.it/territoriorurale/Engine/RAServeFile .php/f/linea_guida_agricoltura_sociale.pdf, consultato il 17/05/2014.

562

(17)

208

entrambi l’oggetto563; possono dirsi tali, per esplicito richiamo legislativo564, le “attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale”, da ricondursi alle attività di gestione e di organizzazione di musei565 o di farm shops566, nonché le “attività di ricezione e di ospitalità”, cioè le attività ricreative e culturali da svolgersi nell’ambito dell’azienda nonché le altre attività ricreative, culturali, didattiche, escursionistiche, di pratica sportiva e di ippoturismo, svolte all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa, ovvero fuori dei confini dell’azienda567

.

La multifunzionalità dell’agricoltura insita nell’intera seconda tipologia di attività connesse, appena vista, può ovviamente figurare come manifestazione anche della species di impresa forestale di nostro interesse: essa, infatti, deve dirsi indiscutibilmente di natura polivalente e naturalisticamente proiettata sul mercato non solo per

563

In sostanza, la norma sottintenderebbe, per i prodotti agricoli alimentari, un’attività agrituristica, in cui la ristorazione viene figurando non solo come vendita dei prodotti agricoli, ma anche come servizio di selezione, cottura e somministrazione degli stessi ai clienti. Per i prodotti in senso lato agricoli che non siano alimentari, quindi anche per i prodotti forestali legnosi, la “fornitura dei beni e dei servizi” certo non riguarda la ristorazione ma comunque un’offerta degli stessi in concomitanza con un servizio: gli esempi migliori risiedono in quelle attività che il legislatore richiama a titolo esemplificativo.

564

Esempi ulteriori di attività connesse qualificate come fornitura di beni e servizi potrebbero essere, per la dottrina (V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, p. 785), l’offerta a pagamento della propria opera di contoterzista, con le complesse macchine da lavoro che si possiedono e allo scopo di ammortizzarne i costi, e l’attività dell’apicoltore che sposti le proprie arnie nei frutteti altrui per favorirne l’impollinazione.

565

Esse sarebbero volte ad illustrare, ad esempio, la storia degli attrezzi forestali o delle forme di selvicoltura dell’area.

566

Queste altre, invece, potrebbero consistere, ad esempio, nella messa in vendita di oggetti o di piccole sculture in legno, nonché di vasetti contenenti petali di fiori o essenze che consentono di profumare la biancheria.

567

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, pp. 785-787.

(18)

209

l’offerta di beni ma anche di servizi ambientali, sociali, culturali, turistici, ecc.

I D.lgs. nn. 227 e 228 del 2001 si pongono entrambi nell’ottica di favorire la soddisfazione del ruolo multifunzionale da parte, rispettivamente, dell’impresa forestale e dell’impresa agricola. In particolare, il primo di essi «valorizza la selvicoltura come elemento fondamentale per lo sviluppo socio-economico e per la salvaguardia ambientale del territorio della Repubblica, nonché la conservazione, l’incremento e la razionale gestione del patrimonio forestale nazionale, nel rispetto degli impegni assunti, a livello internazionale e comunitario, dall’Italia in materia di biodiversità e di sviluppo sostenibile»568.

In sostanza, secondo Abrami569, considerato ormai indiscutibilmente come erogatore potenziale di tutta una serie di servizi, ora di interesse privato570, ora di interesse pubblico571, da doversi conciliare in una correlazione equilibrata che non lasci in subordine né gli uni né gli altri, il legislatore richiede oggi all’imprenditore silvano di esercitare la propria attività di cura del bosco stesso in modo tale da ritrarne solo quella quantità di prodotto legnoso che garantisca l’assolvimento anche delle altre funzioni boschive. Per Abrami, questo non significherebbe dover privare la selvicoltura della sua essenza, impedendo all’imprenditore forestale di percepire un reddito, dissuadendolo dallo svolgere tale attività e costringendolo ad abbandonare il fondo boscato: il danno che in tal modo

568

Cfr. art. 1, D.lgs. n. 227/2001.

569 A. ABRAMI, Commento all’art. 1 del D.lgs. 227/2001, in Rivista di

diritto agrario, 2001, I, pp. 571 ss.

570

Servizio di interesse privato è, indubbiamente, la produzione di legname.

571

La categoria abbraccerebbe servizi disparati, individuati genericamente dal D.lgs. in questione nella “salvaguardia ambientale”.

(19)

210

si arrecherebbe al selvicoltore verrebbe, infatti, a costituire un danno anche per l’interesse generale ed ambientale, in particolare; significherebbe, piuttosto, adottare cure selvicolturali tali da consentire al bosco di esprimere al meglio la propria condizione vegetazionale e di salvaguardare tutto ciò che lo costituisce, rendendolo un ecosistema complesso di beni e servizi di diversa natura e di interesse collettivo572; la selvicoltura andrebbe, quindi, razionalizzata e gestita in equilibrio con l’ambiente, secondo i canoni di quella che viene individuata come “selvicoltura naturalistica”573 o “selvicoltura

sistematica”574. A ciò, secondo Abrami, farebbe riferimento il legislatore, nella seconda parte dell’art. 1 del D.lgs. n. 227/2001, là dove esprime la necessità di valorizzare, per mezzo delle disposizioni del decreto, «[…] la conservazione, l’incremento e la razionale gestione del patrimonio forestale, nel rispetto degli impegni assunti […] in materia di biodiversità e di sviluppo sostenibile».

Alla luce di quanto detto, credo di poter affermare, senza troppe remore, che la multifunzionalità dei boschi costituisce la caratteristica fondamentale di tali beni e per

572 Questa forte dilatazione dell’interesse pubblico insistente sul

bosco non contrasterebbe, peraltro, secondo la Corte Costituzionale, neppure con il dettato costituzionale relativo al diritto di proprietà e al diritto di iniziativa economica (vedi le sentenze nn. 391/1989, 430/1999, 133/1993, 46 e 156/1995 e 345/1997 e l’ordinanza 22 luglio 1998).

573

A. ABRAMI, Rivista di diritto agrario, 2001, I, p. 575. Per tale si intenderebbe un approccio all’utilizzazione del bosco consistente in un taglio contenuto di legno rispetto a quella che è la superficie considerata, in un allungamento del turno dei tagli rispetto a quanto si prevedeva nel passato, nel rilascio di matricine del bosco ceduo in una percentuale significativa, nel divieto del taglio a raso del bosco d’alto fusto, nell’attenzione alla biodiversità, ecc.

574

Programma quadro per il settore forestale, p. 48. Per tale si intenderebbe una gestione selvicolturale fondata sui principi di sostenibilità e mirante sempre più ad assecondare, negli interventi in bosco, il dinamismo naturale della vegetazione, conciliando le esigenze produttive con il bisogno di conservazione e di tutela del patrimonio naturale.

(20)

211

riuscire a beneficiare di tutte le sue potenzialità occorre, innanzitutto, un’attività selvicolturale che si esprima in coerenza e nel rispetto di essa. Solo una corretta e responsabile gestione del bosco, consapevole delle potenzialità del bene, può garantire contemporaneamente tutte le funzioni e le componenti (economica, protettiva, ambientale e ricreativa) del patrimonio forestale, anche e soprattutto per le generazioni future575.

La selvicoltura, quindi, non può non essere praticata oggi sulla base dei principi di gestione forestale sostenibile definiti nel Processo Paneuropeo576 ed adottati in Italia con il D.lgs. 227 del 2001 e relative linee guida per il settore forestale; il coinvolgimento simultaneo di aspetti biologici (attinenti alla biodiversità e alla capacità riproduttiva del bosco, per esempio), propriamente selvicolturali (attinenti alla sostenibilità produttiva e ambientale del bosco), ecologici (di protezione del suolo e del territorio) e tecnologici (circa le caratteristiche qualitative e comportamentali del legno, le tecnologie innovative, i nuovi materiali, le macchine e gli utensili adoperabili), fa della selvicoltura un’attività tutt’altro che banale, necessitante, piuttosto, di conoscenze plurime e disparate (scientifiche, tecnologiche, industriali, mercantili e culturali)577.

Favoriscono una gestione sostenibile e multifunzionale del patrimonio forestale alcuni strumenti volontari578 di politica ambientale, quali la “certificazione forestale579” e

575 Programma quadro per il settore forestale, p. 47. 576

Conferenze MCPFE di Helsinki e Lisbona.

577

Programma quadro per il settore forestale, p. 48.

578 In quanto tali, quindi, devono ritenersi retti sulla solo sensibilità

degli operatori.

579

Della certificazione forestale 2 sono gli schemi più diffusi a livello internazionale: Programme of Endorsement of Forest Certification

schemes (PEFC, Programma di applicazione degli schemi di

certificazione forestale) e Forest Stewardship Council (FSC, Consiglio di amministrazione delle foreste). Entrambi tenderebbero a premiare

(21)

212

gli “acquisti pubblici verdi580”, ma non solo: il D.lgs. n.

228/2001, dal canto suo, formalizza per la prima volta a livello nazionale la dialettica negoziale tra pubblica amministrazione581 ed imprenditori agricoli582, finalizzata a convertire le esternalità positive generate sull’ambiente, da quest’ultimi, in “beni” produttivi di reddito; la possibilità di ottenere introiti costituisce, infatti, un incentivo molto importante perché vengano offerte sempre più crescenti risorse agro-forestali in grado di conservare ed ampliare la dimensione, la qualità e la gamma dei beni ambientali583. La linea appena tracciata, e lungo cui si muoverebbero i due tipi di accordi del D.lgs. n. 228584, intercorrenti tra PA ed imprenditori agricoli e di cui diremo a breve, in realtà, può dirsi tipica anche delle misure agro ambientali dell’Ue, per quanto evidenziato nel capitolo I. Sia i cosiddetti “contratti agro-ambientali” del

le performance ambientali del selvicoltore garantendoli, sul mercato, un valore aggiunto ai prodotti (V. Programma quadro sett. for., p. 55).

580

Tramite questi, invece, si mirerebbe ad integrare considerazioni di carattere ambientale nei processi di acquisto della PA, favorendo, con leva sulla domanda pubblica, lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale.

581 Il D.lgs. in questione, in realtà, negli articoli che richiameremo, fa

riferimento a contratti e convenzioni degli imprenditori agricoli con le “pubbliche amministrazioni”; l’uso del plurale sottintenderebbe il coinvolgimento più ampio possibile dei soggetti amministrativi (in tal senso, M. GOLDONI, Professore ordinario del Dipartimento di Giurisprudenza di Pisa).

582

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 561.

583

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 551.

584

In realtà, infatti, oltre ai due tipi di contratti che vedremo, il D.lgs. n. 228/2001 prevede, al 1° e 2° comma del suo art. 14, un’ulteriore tipologia di estrinsecazione della dialettica negoziale tra PA ed imprenditori agricoli: i cosiddetti contratti di collaborazione che possono dirsi strettamente attinenti al diritto agroalimentare. La loro stipula è volta a favorire ‹ la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali ›, a fronte dell’impegno, altrettanto indefinito, della PA di ‹ sostenere e sviluppare l’imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarità dei prodotti tipici, biologici e di qualità, e la considerazione dei distretti agroalimentari, rurali ed ittici ›.

(22)

213

D.lgs. n. 228/2001585 che le misure agro ambientali europee possono dirsi frutto del processo di “procedimentalizzazione” e di “democratizzazione” dell’azione amministrativa586

e capaci di offrire, per opera degli agricoltori che vi aderiscano, servizi che valorizzino il territorio; la dottrina587, però, al momento di inquadrarli nell’ambito dell’impresa agricola, sottolinea una differenza fondamentale tra essi: mentre le misure agro-ambientali verrebbero viste come possibili concorrenti nel determinare l’oggetto stesso dell’attività primaria dell’imprenditore agricolo che, provvedendo al mantenimento della produttività del terreno, sulla base dei precetti comunitari di riferimento, viene a percepire come controprestazione determinati contributi, i contratti

agroambientali dovrebbero essere, invece,

indiscutibilmente ricondotti alle attività connesse di cui all’art. 2135 c.c..

I contratti agro ambientali del D.lgs. n. 228/2001, che sono oggetto di approfondimento in questa sede e possono dirsi, fin da subito, riferiti a fattispecie diversamente articolate e

585

Essi sarebbero riconducibili alla categoria dei “contratti territoriali”, mutuata dal diritto francese (V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 561) e per cui si prevede natura privatistica e competenza giurisdizionale amministrativa. Si riconoscerebbe, invece, seppur con molte incertezze, natura pubblicistica ai contratti italiani, in cui, infatti, non può dirsi esistente una parità formale e/o sostanziale tra le parti del rapporto.

586

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 557. L’amministrazione, in sostanza, comincia a ricorrere al contratto, piuttosto che al provvedimento amministrativo, per regolare i rapporti con i cittadini ed adattarsi alla multiforme realtà economico- sociale ed istituzionale, per essa di inevitabile riferimento. In Italia, nello specifico, tale processo prende avvio con la legge n. 241/1990 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” e nota come legge sul procedimento amministrativo.

587

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 1, pp. 787-788.

(23)

214

ricche di implicazioni per i processi di sviluppo locale588, sono:

1) i contratti di promozione, di cui al 3° comma dell’art. 14 del decreto, attraverso cui «gli imprenditori agricoli si impegnerebbero, nell’esercizio dell’attività d’impresa, ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale», a fronte di aiuti concessi dalla PA «per assicurare un’adeguata informazione ai consumatori e per consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni»589;

2) le convenzioni tra PA ed imprenditori agricoli, di cui all’art. 15 e con cui si favorirebbe, invece, «lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura e al mantenimento dell’assetto idrogeologico, e promuoverebbero prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio», a fronte di diverse possibili controprestazioni della PA consistenti o in finanziamenti o in concessioni amministrative o in riduzioni tariffarie o nella realizzazione di opere pubbliche.

A differenza di quanto avviene per i contratti di promozione, per le convenzioni di cui all’art. 15 del D.lgs., secondo la dottrina590 la formulazione legislativa scelta risulterebbe contraddittoria e tecnicamente incongruente, dal punto di vista della sistematica

588 L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 562. 589

Come può evincersi, si tratta di contratti più chiaramente individuati ed individuabili rispetto ai precedenti accennati in nota numero 496, soprattutto con riferimento alla prestazione della PA nell’intero del rapporto sinallagmatico.

590

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, pp. 563- 564.

(24)

215

giuridica591: difatti, per autorevole e condivisa dottrina592, le convenzioni rientrerebbero nell’ambito delle figure negoziali e volontarie, aventi per oggetto rapporti non patrimoniali e andrebbero, perciò, espunte dalla cerchia dei contratti; il D.lgs. in questione, invece, sovrapporrebbe e intreccerebbe i termini “contratto” e “convenzione”, anche con la previsione di prestazioni patrimoniali, permettendo di evidenziare della norma «aspetti tecnicamente bisognosi di ritocchi, anche intensi»593. Poiché, allora, alla fine dei conti, il contenuto della convenzione viene a ricalcare sostanzialmente quello dei contratti di promozione594, la dottrina595 cerca di

591

L’art. 15 del D.lgs. n. 228/2001 così recita: ‹ Al fine di favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, le pubbliche amministrazioni possono stipulare convenzioni con gli imprenditori agricoli (1° comma). Le convenzioni di cui al comma 1 definiscono le prestazioni delle pubbliche amministrazioni che possono consistere, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all’agricoltura, anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Per le predette finalità le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d’appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50 milioni di lire nel caso di imprenditori singoli, e 300 milioni di lire nel caso di imprenditori in forma associata (2° comma) ›.

592 Cfr. MESSINEO, “Convenzioni”, in Enciclopedia del Diritto, 1970, IX,

p. 137.

593

Cfr. COSTATO, “I tre decreti di orientamento della pesca e acquicoltura, forestale e agricolo”, in Le nuove leggi civili

commentate, 2001, nn. 3-4, p. 672.

594

La distinzione tra i 2 tipi di contratti agro ambientali, che stiamo palesando come alquanto ambigua, secondo parte della dottrina (M. GOLDONI, Prof. Ordinario del Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pisa), potrebbe in realtà chiarirsi osservando che, per i contratti di promozione, il legislatore si riferisce esplicitamente all’esercizio dell’attività di impresa: deve, perciò, in sostanza ritenersi che, nell’ambito di questi, l’agricoltore sia in grado di assolvere, contemporaneamente ad un’attività essenzialmente agricola, anche un servizio ambientale; un esempio sarebbe l’attività agricola di allevamento di una razza di animale a rischio di estinzione, con cui si tutelerebbe, in particolare, dal punto di vista ambientale, la biodiversità. Le finalità perseguite con le convenzioni di cui all’art. 15

(25)

216

interpretare l’art. 15 ritenendo probabile che il legislatore del 2001 abbia voluto, in tale occasione, riferirsi genericamente alla fattispecie delle “convenzioni amministrative”, riguardanti il manifestarsi dell’attività amministrativa non tanto in senso unilaterale, autoritario ed imperativo, ma piuttosto in senso consensuale e collaborativo con gli amministrati, in vista della stipulazione di atti bilaterali che individuino, tra le parti, linee di interesse comune ed impegni reciproci596.

Rispetto alla più diretta ed essenziale fattispecie del contratto597, secondo la dottrina, la convenzione è, tuttavia, una formula che, pur nella sua bilateralità, consentirebbe di avere un impianto analiticamente e preventivamente ben definito delle prestazioni reciproche e si adatterebbe, tecnicamente e in maniera funzionale, ad un impegno reiterato nel tempo; questo è quanto risulterebbe predisponendo, per opera dell’autorità amministrativa, un modello di un atto tipo che la convenzione può seguire, che non necessariamente è vincolante, ma piuttosto meramente orientativo, di mero ausilio e di sollecitazione per la redazione dell’atto pattizio598.

Alla fin fine, quindi, sia le convenzioni che i contratti di promozione del D.lgs. n. 228 vengono a rappresentare, per la dottrina599, una sintesi equilibrata tra la funzione di

del decreto si ritiene che riguardino, invece, l’esplicazione di un servizio ambientale per mezzo di un’attività agricola connessa.

595

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 563.

596 FALCON, “Convenzioni e accordi amministrativi; profili generali”,

in Enciclopedia Giuridica, 1988, IX, p. 1.

597

Essa, nello specifico, viene individuata, dalla dottrina come: “principale”, perché ha una sua esistenza autonoma; “tipica”, perché specificamente regolata dalla legislazione nazionale; “bilaterale”, perché generante obbligazioni per entrambe le parti; “consensuale”, perché con prestazioni esattamente individuate fin dall’inizio ed infine “ad esecuzione continuata”.

598

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 564.

599

(26)

217

indirizzo pubblico, che stabilisce le finalità e gli obiettivi da perseguire, e lo strumento contrattuale, che regola le prestazioni delle parti in vista del soddisfacimento delle finalità prestabilite; all’imprenditore agricolo si concede, ad ogni modo, il diritto di recesso unilaterale, esercitabile in qualsiasi momento della durata del rapporto, ma durante la vigenza dello stesso lo si obbliga a sottoporsi ai controlli che si rendano necessari per verificare l’ottemperanza agli impegni assunti600

.

La natura particolare del rapporto tra PA ed agricoltori, instaurato con la sottoscrizione dei contratti agro ambientali, ha portato la dottrina601 ad interrogarsi sulla possibilità di ricondurlo a quello conseguente alla stipulazione dei “contratti per adesione” ex artt. 1341 e 1342 C.C.602. Ed in effetti, la dottrina603 ritiene che nei rapporti agroambientali visti ricorrano alcuni dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza per la categoria oggetto di confronto: si tratterebbe, innanzitutto, anche nel nostro caso di contratti predisposti, da una delle parti (la PA), sulla base di una serie di condizioni generali che soddisfino la stipulazione di un numero indefinito di rapporti604; oltretutto, poi, con l’altra parte contrattuale (gli agricoltori) non intercorrerebbe alcuna sorta di trattativa605.

A negare una tale ricostruzione, però, sarebbe la circostanza che, nel nostro caso, non si tratterebbe di condizioni o di clausole che trovano la loro fonte in un

600 L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 552. 601

Tra molti: L. COSTATO, E. ROOK BASILE, A. GERMANO’.

602

Tale categoria vedrebbe una delle parti aderire ad un testo contrattuale, ad un modulo, ad un formulario predisposto dall’altra parte in vista della conclusione di più contratti e per disciplinare in modo uniforme tutti i rapporti da quelli generati.

603 L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, pp.

553-554.

604

V. sentenze nn. 1343/1976 e 1952/1977 della Corte di Cassazione.

605

(27)

218

contratto e, come sostiene autorevole dottrina606, non possono ritenersi clausole adesive quelle che originano da una legge o, comunque, da disposizioni normative. A ciò si aggiungerebbe anche un’altra, dirimente, circostanza, e cioè l’assenza nei contratti agroambientali della ratio ispiratrice dell’art. 1341 C.C.: in pratica perché possa applicarsi la disciplina dei contratti per adesione deve sussistere l’esigenza di tutelare la parte aderente, anche detta “parte debole”, che aderisce per “stato di necessità” e con il rischio di incorrere in eventuali clausole vessatorie o abusive607; un pericolo del genere, invece, secondo la giurisprudenza, non può dirsi sussistente quando parte predisponente è la pubblica amministrazione608, il cui operato è istituzionalmente ispirato a finalità di interesse generale e di connaturata imparzialità e giustizia609. E, d’altro canto, sempre in dottrina si sottolinea come nel nostro caso, sul piano giuridico, il selvicoltore non è obbligato dalle circostanze ad aderire al contratto agro-ambientale, differentemente da quanto accadrebbe nei contratti per adesione, per esempio, sul trasporto pubblico; egli, infatti, può decidere di proseguire l’attività selvicolturale, nelle sue forme tradizionali, senza alcun aggravio di costi ed, inoltre, se è vero che l’offerta della PA è generalizzata e che il contratto ha, in linea di principio, una sua unità e invariabilità, è altresì vero che il selvicoltore, dopo la stipulazione di quello, può decidere, singolarmente ed autonomamente rispetto agli obiettivi da

606

Cfr. DE NOVA, “Le condizioni generali di contratto”, in Trattato di

diritto privato, Utet, 1982, pp. 101 ss.

607 Come è noto, sono tali le clausole formulate a svantaggio della

parte aderente e a vantaggio della parte predisponente.

608

V. sentenza n. 4673/1978 della Cassazione.

609

(28)

219

raggiungere, tra un ampio spettro di comportamenti inerenti tutti al soddisfacimento degli impegni assunti610. Proprio in funzione della multifunzionalità dei boschi, di cui si è detto ampiamente, all’art. 6 del D.lgs. n. 227/2001 si regolamentano le attività selvicolturali; parte della dottrina611, evidenzia, anzi, che, in tale occasione, non sarebbe più soltanto il bene bosco ad esser visto in una dimensione sistematica, ma sarebbe la stessa attività di coltivazione del bosco ad esser valorizzata in un’ottica multifunzionale e a risultare esaltata attraverso la celebrazione dei suoi caratteri positivi, prima ancora che delineata attraverso i limiti e i divieti che ne plasmano i contenuti e le modalità di esercizio. Oltre, infatti, a riconoscere le attività selvicolturali come fattore di sviluppo dell’economia nazionale, di miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle zone montane, nonché di sostegno di nuove opportunità imprenditoriali ed occupazionali612, anche in forma associata e cooperativa613, all’art. 6, il D.lgs. attribuisce loro un ruolo fondamentale nella tutela attiva degli ecosistemi, dell’assetto idrogeologico e paesaggistico del territorio614

e nella salvaguardia della biodiversità615.

Alla luce di tali considerazioni, si vieta, perciò, la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo, salvo diverse disposizioni regionali e ad eccezione degli interventi eventualmente autorizzati dalle Regioni per motivi di difesa fitosanitaria

610

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 554.

611

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 435.

612 Il legislatore riconosce, quindi, ab origine a tali attività sia una

funzione economica, diretta alla produzione dei beni per il mercato, che un ruolo attivo di interesse pubblico, diretto al soddisfacimento di esigenze di carattere sociale.

613

Cfr. 1° comma, art. 6 del D.lgs. n. 227/2001.

614

Cfr. 1° comma, art. 6 del D.lgs. n. 227/2001.

615

(29)

220

o per altre ragioni di rilevante interesse pubblico616; e risulta altrettanto vietato il taglio a raso dei boschi, laddove le tecniche selvicolturali non siano finalizzate alla rinnovazione naturale617, ad eccezione dell’ipotesi in cui sia operativo un piano economico618 in linea con i principi della gestione forestale sostenibile619 o, ancora una volta, degli interventi disposti dalle Regioni ai fini della difesa fitosanitaria o per altri motivi di interesse pubblico620. Il ruolo del bosco, e delle attività selvicolturali, come strumento attivo di salvaguardia, in particolare, della biodiversità, viene, invece, messo in evidenza dalla disposizione che impone alle Regioni di favorire la destinazione degli alberi all’invecchiamento, a tempo indefinito: queste necromasse legnose risulterebbero, infatti, essenziali per la sopravvivenza e la conservazione di alcune specie animali da esse strettamente dipendenti621. All’ultimo comma dell’articolo 6, il legislatore preciserebbe, invece, la definizione di “taglio colturale”, ritenendo tale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 152,

616

Cfr. I parte del 2° comma dell’art. 6 del D.lgs. 227/2001.

617 Sostanzialmente, tale disposizione, secondo la dottrina, deve

ritenersi relativa al bosco d’alto fusto, per la ricostituzione del quale è necessario il reimpianto; il taglio a raso del bosco ceduo, invece, potrà sempre realizzarsi in quanto la ceduazione consente l’automatica e naturale rinnovazione del bosco e, siccome riguardo a tale tipo di gestione, nella norma, non si dice nulla si sostiene, per giunta, che la sua disciplina sia esclusivamente di matrice regionale (A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 435; A. ABRAMI, Manuale di diritto

forestale e dell’ambiente territoriale, Giuffrè, 2005, p. 47).

618

Il regime di programmazione dei tagli nel tempo, attraverso la redazione obbligatoria di un piano economico, fin dal R.D. n. 3267/1923, è imposto come regola di gestione per i terreni forestali pubblici ma, come abbiamo osservato, deve considerarsi idoneo strumento di gestione anche della proprietà forestale privata che si possa estrinsecare su fondi di una certa estensione e ai fini dell’esercizio dell’impresa selvicolturale.

619 Trattasi, come abbiamo avuto modo di spiegare, di quella

metodica produttiva che, programmando nel tempo l’utilizzazione legnosa, su superfici di idonea dimensione, consente il prelievo di una certa percentuale di accrescimento del bosco, senza per questo intaccare l’entità del patrimonio boschivo nel complesso.

620

Cfr. II parte, 2° comma, art. 6 del D.lgs. n. 227/2001.

621

(30)

221

1° comma, lettera c) del D.lgs. 490/1999622, ogni taglio eseguito in conformità di tutte le prescrizioni della norma viste e delle specifiche norme regionali vigenti.

Dal complessivo dettato dell’art. 6 può evincersi, così, che non può esser considerato taglio colturale il taglio a raso del bosco d’alto fusto623

né la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo; il taglio colturale rappresenterebbe, in sostanza, secondo la dottrina624, il mezzo tecnico attraverso il quale il gestore della foresta farebbe propri i frutti derivanti della sua attività di impianto e di cura del bosco; il limite a tale taglio consisterebbe nel rispetto delle norme tecniche appropriate che, elaborate dalle scienze forestali, risultino recepite a livello normativo. Alle normative regionali spetta identificare specificamente le tipologie di taglio colturale, sia come taglio c.d. d’utilizzazione del bosco ceduo che come taglio di sfollamento, diradamento, espurgo o ripulitura, nonché determinarne tempistica e modalità625. Ecco allora chiarito il significato di una delle locuzioni dell’art. 152 del D.lgs. 490/1999626, particolarmente di quella che è stata oggetto, in passato, di numerose incertezze applicative, generando una copiosa messe di precedenti giurisprudenziali legati alla relativa interpretazione627.

622

Il D.lgs. n. 490/1999 è il “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre, n. 352” (oggi inglobato nel D.lgs. n. 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”), che prevede all’articolo sopra citato una serie di interventi non soggetti a preventiva autorizzazione paesaggistica e tra essi figurerebbe, appunto, anche il taglio colturale.

623 A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 436. 624

L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., vol. 2, p. 117.

625

A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 437.

626 Circa tale norma si dirà approfonditamente nel paragrafo 4 di

questo capitolo conclusivo.

627

Sull’espressione “taglio colturale” e, nello specifico, sul non sottintendere con la stessa, sulla base della terminologia tecnica

Riferimenti

Documenti correlati

Ces événements organisés autour de circuits à travers des lieux artistiques concentrés dans un espace restreint, se sont diffusés à travers le monde au sein des villes émergentes

I fondatori e finanziatori privati sono quei soggetti che erogano risorse o materiali (a titolo gratuito) all’impresa teatrale. Questa tipologia di sta- keholder assume una

secondo l’idea di Christian von Mechel del 1780.8 Agli albori infatti, come già in precedenza detto, questi musei erano destinati principalmente ad artisti, eruditi, conoscitori

Available Open Access on Cadmus, European University Institute Research Repository.... European University

In the symmetric equilibrium of the pay-as-bid auction with independent private types, each bidder shades his bid for 1 of N shares as if he competed with (N − 1)N bidders in

in Economia e Gestione delle Aziende, curriculum Management delle Imprese.. Internazionali Tesi

In questo capitolo andremo a parlare di alcune progettualità che si impegnano a contrastare la povertà educativa, innescando, nei genitori e nella comunità, dei processi di