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Capitolo II Sicurezza e informazione del consumatore.

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Sicurezza e informazione del consumatore.

Sommario: 1. Sicurezza alimentare: norme e regolamenti. - 1.1. il diritto alimentare europeo. – 1.2. il regolamento CE 178/2002 e il “pacchetto igiene”. – 2. Etichettatura dei prodotti agroalimentari. – 2.1. I marchi e i regimi di qualità. - 2.2. Il MADE IN ITALY nel settore alimentare e la scarsa tutela giuridica nei mercati internazionali - 2.3. Il sistema normativo in materia di etichettatura. Reg. UE 1169/2011. – 2.4. Italian Sounding.

1. Sicurezza alimentare: norme e regolamenti

Il diritto alimentare, come vedremo, è una materia complessa, non soltanto per la specificità delle questioni emergenti, ma soprattutto per le difficoltà legate alla stratificazione di norme spesso diverse fra loro, per epoca di creazione, per rango, per tecnica normativa, per differenti finalità, che rispondono a bisogni di tutela di diversa natura e che si sovrappongono nelle multiformi dinamiche del mercato globalizzato.

1.1. Il diritto alimentare europeo.

Dopo aver esaminato, nel capitolo precedente, le problematiche relative agli illeciti alimentari, andiamo ora ad analizzare quelli che possiamo considerare i

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rimedi posti dal legislatore a garanzia delle imprese e a maggior ragione dei consumatori.

Il diritto alimentare comprende al suo interno norme nazionali, europee e internazionali.1 Si caratterizza, principalmente, per la sua trasversalità: la disciplina è infatti capace di intersecare diverse materie tanto a livello nazionale (ove interessa, ad esempio, l’agricoltura, la tutela della salute, la regolamentazione del commercio) quanto a livello dell’UE2

(ove il diritto alimentare concerne la disciplina del mercato interno, il commercio internazionale, la politica agricola comune e la tutela della salute3 del consumatore). Non dobbiamo trascurare il

1 L.C

OSTATO,P.BORGHI, S.RIZZOLI, Compendio di diritto agroalimentare, Ferrara, CEDAM, 2011, p. 33 ss.

2 Principali riferimenti normativi europei relativi al settore dei prodotti alimentari:

Regolamento n.2081/1992/CEE del Consiglio, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, GUCE L 208, 24.7.1992.

Regolamento n.104/2000/CE del Consiglio, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, GUCE L 17/22, 21.1.2000.

Regolamento n.178/2002/CE del Parlamento e del Consiglio, relativo ai principi e requisiti generali della legislazione alimentare, istituzione dell’ Agenzia Europea per la sicurezza alimentare e procedure nel campo della sicurezza alimentare, GUCE L 31/1, 1.2.2002.

Regolamento n.509/2006/CE del Consiglio, relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari, GUCE L 93/1, 31.3.2006.

Regolamento n.510/2006/CE del Consiglio, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, GUCE L 93/12, 31.3.2006. Regolamento n.834/2007/CE del Consiglio, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento n.2092/91/CEE, GUCE L 189/1, 20.7.2007. Regolamento n.889/2008/CE della Commissione, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) N. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli, GUCE L 250, 18.9.2008.

Regolamento n. 271/2010/UE della Commissione, che integra e modifica il regolamento (CE) N. 889/2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) N. 834/2007 del Consiglio, e che introduce il nuovo logo di produzione biologica dell’Unione Europea, GUUE L 84/19, 31.3.2010. Regolamento n.1169/201/UE del Parlamento e del Consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/469/CEE del Consiglio, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n.608/2004 della Commissione, GUUE L 304/18, 22.11.2011.

Regolamento n. 1151/2012/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, GUUE L 343/1, 14.12.2012.

Regolamento n.608/2013/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle Autorità doganali, GUUE L 181/15, 29.6.2013.

3

L.TUMMINELLO, Sicurezza alimentare e diritto penale: vecchi e nuovi paradigmi tra prevenzione

e precauzione, in riv. Diritto penale contemporaneo, p 272 ss. La sicurezza alimentare si pone

quale interesse funzionale alla salute. Si tratta di un bene giuridico intermedio, a carattere strumentale, che si viene a porre tra la sfera di tutela della salute pubblica, intesa quale bene di categoria, e «lo scopo ultimo della tutela stessa»: in altri termini, la garanzia della sicurezza degli alimenti si pone quale interesse la cui protezione ad hoc è strettamente giustificata dall’intima

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principio che il diritto dell’UE ha prevalenza rispetto al diritto nazionale degli stati membri: le disposizioni europee in materia di produzione e commercio degli alimenti prevalgono e condizionano la produzione normativa nazionale. In sintesi, il legislatore nazionale ha il compito di recepire il diritto UE, assicurandone il rispetto da parte dei singoli, anche attraverso la previsione di sanzioni. Logicamente, in caso di assenza di legislazione dell’UE, gli Stati membri mantengono la competenza ad introdurre norme tecniche specifiche sulla composizione, forma, denominazione, qualità, condizionamento, etichettatura dei prodotti alimentari. Fatto salvo il principio fondamentale, che il prodotto legittimante ottenuto e commercializzato in uno Stato membro, può essere commercializzato liberamente in tutti gli Stati membri, ad eccezione dei casi in cui prevalga l’interesse nazionale alla tutela della salute e alla difesa dei consumatori, messa a rischio dal prodotto importato; c’è da dire che il contenuto delle normative nazionali vanno sempre più ricalcando quelli delle norme comunitarie, con l’avallo della corte di giustizia della comunità europea. In effetti esiste un vero e proprio diritto alimentare europeo, la cui espressione più significativa è rappresentata dal citato regolamento CE 178/2002 (“Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare4 e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”), al quale dedicheremo un’analisi particolare.

connessione che la aggancia ai fini di difesa e promozione della salute collettiva ed individuale. La salute, pertanto, si colloca quale «referente di valore ‘finale’» della disciplina sulla sicurezza alimentare.

4

TRECCANI, <www.treccani.it/enciclopedia> Il termine sicurezza indica «Il fatto di essere sicuro, come condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli». La sicurezza alimentare è «l’insieme delle misure amministrative, legali, tecniche e degli apparati di controllo che mirano ad assicurare alla collettività il cosiddetto cibo sicuro (ovvero a minimo o nullo rischio microbiologico, chimico, radioattivo, ossia tossicologicamente accettabile)». La risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2011, sul riconoscimento dell’agricoltura come settore strategico nel contesto della sicurezza alimentare, al considerando n. 4 definisce la sicurezza alimentare «un diritto fondamentale, che si realizza quando tutti dispongono, in qualsiasi momento, di un accesso fisico ed economico ad un’alimentazione adeguata, sana (sotto il profilo della salute) e nutriente, per poter soddisfare il proprio fabbisogno nutrizionale e le proprie preferenze alimentari per una vita attiva e sana». Nella risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 2011, cit., lett. L), si rileva «che la sicurezza alimentare non comporta soltanto la disponibilità delle risorse alimentari, ma comprende anche, secondo la FAO, il diritto al cibo e l’accesso ad un’alimentazione sana per tutti, e che, diventando sempre più competitiva, l’Europa può contribuire alla sicurezza alimentare globale».

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Il diritto europeo, ha svolto un ruolo fondamentale per la tutela della salute, collegata alle attività di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti. In sostanza, le normative europee hanno cercato di creare forme omogenee di tutela dei consumatori, in funzione della globalizzazione dei mercati e delle esigenze di sicurezza. Oltre alla protezione della salute il legislatore si è occupato della prevenzione delle frodi, della tutela dell’informazione, della qualità degli alimenti e delle attività di controllo e vigilanza.

C’è da dire comunque che, nonostante le normative europee esistenti, le emergenze alimentari degli ultimi anni (OGM, febbre aviaria, sars…) hanno dimostrato nuovi rischi5 per la salute e l’incolumità dei consumatori.

1.2. Il regolamento CE 178/2002 e il “pacchetto igiene”.

L’UE ha sempre attribuito molta importanza all’attività legislativa diretta a normare la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti con l’obiettivo primario di tutelare la salute dei consumatori, garantendo la produzione e commercializzazione di alimenti “sicuri”, ossia privi di contaminanti di natura fisica, chimica o biologica nocivi per l’uomo. Nel corso degli anni, la normativa europea ha subito numerose rivisitazioni ed aggiornamenti che possiamo distinguere in tre momenti fondamentali6:

a) L’armonizzazione con le direttive verticali: a partire dagli anni ’60 è stata sviluppata una serie di Direttive per regolare la produzione e commercializzazione di specifici alimenti; gli strumenti legislativi, denominati “verticali” perché relativi a specifiche filiere, sono stati

5

G.A. DE FRANCESCO, Dinamiche del rischio e modelli d’incriminazione nel campo della

circolazione di prodotti alimentari, cit., 10: se, da una parte, gli sviluppi tecnologici hanno

consentito una maggiore disponibilità di risorse alimentari, dall’altra, gli stessi hanno comportato il sorgere di nuovi rischi per la salute, dovuti ad una insufficiente conoscenza degli effetti avversi delle nuove tecniche via via utilizzate dagli operatori del settore.

6

CAMERA DI COMMERCIO, La normativa volontaria per la logistica nel settore alimentare <www.unioncamere.gov.it>(2008) p.7 ss

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emanati unicamente per quei prodotti ritenuti di particolare importanza per l’Unione Europea quali le carni fresche, il latte, il burro, ecc. al periodo iniziale risale anche l’introduzione del “bollo CEE” per identificare gli stabilimenti produttivi che, essendo in possesso di particolari requisiti strutturali e sanitari prescritti dalla normativa comunitaria, erano autorizzati a commercializzare i loro prodotti tra i Paesi di tutta l’Unione. Gli stabilimenti sprovvisti del bollo CEE, potevano commercializzare i prodotti solo all’interno del singolo Stato Membro; questo doppio livello di autorizzazione è stato comunemente identificato con il termime “doppio mercato”.

b) La liberalizzazione del mercato: il secondo momento storico ha avuto inizio a partire dalla fine degli anni ’80, a seguito della necessità di adeguare il commercio alimentare alle novità introdotte dal MEC (Mercato Unico Europeo). L’abolizione dei controlli alle frontiere e la libera circolazione delle merci (oltre che di persone e capitali), imponeva, infatti, il rispetto di un livello minimo di sicurezza comune tra gli Stati aderenti al circuito comunitario e la necessità di eliminare il cosiddetto “doppio mercato”. In questo periodo l’UE ha, da un lato, emanato norme comuni a tutti gli alimenti indipendentemente dalla loro natura o categoria di appartenenza e dall’altro, ha aggiornato gli strumenti legislativi di natura “verticale” dettagliando le procedure igieniche di fabbricazione con precisi requisiti tecnici. Al primo gruppo appartengono, ad esempio, le norme relative all’igiene7

degli alimenti, ai controlli ufficiali sui prodotti alimentari, all’etichettatura degli alimenti. Al secondo gruppo appartengono invece tutte le Direttive inerenti alla produzione, trasformazione, e commercializzazione degli alimenti di origine animale. c) Il nuovo approccio verso la sicurezza alimentare: la terza ed ultima fase è

iniziata a seguito delle gravi crisi alimentari che si sono verificate in

7

R. MORZENTI PELLEGRINI, Le attività Produttive, Giuffrè, 2006 p.382, per “igiene degli

alimenti” si intende quella disciplina che comprende l’insieme delle condizioni e delle misure

necessarie ad assicurare la salubrità e le caratteristiche tipiche di materie prime, prodotti intermedi e prodotti finiti in ogni punto della filiera. Da altro punto di vista può essere definita come l’insieme di precauzioni che dovrebbero essere adottate durante la produzione, manipolazione e distribuzione degli alimenti affinché il prodotto destinato al’uomo sia soddisfacente, innocuo e salutare.

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Europa a partire dal 1996 e che hanno dimostrato una non omogenea applicazione delle norme da parte degli Stati Membri e la presenza di carenze nel sistema dei controlli. Questi elementi hanno indotto la Commissione Europea ad avviare una profonda revisione della normativa della sicurezza alimentare le cui conclusioni finali sono state riassunte in due documenti principali: il Libro Verde8, pubblicato nel 1997, che definisce i principi generali della legislazione alimentare dell’Unione Europea, e il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, pubblicato nel 2000, in materia di sicurezza alimentare.

Il Libro Bianco9 sulla sicurezza alimentare è il documento ufficiale nel quale la Commissione Europea ha riassunto i principali impegni che l’agenzia europea si è posta per modernizzare la legislazione comunitaria in materia di alimentazione. Le misure individuate dalla Commissione possono essere così sintetizzate10:

La creazione di un Autorità alimentare europea autonoma, incaricata di elaborare pareri scientifici indipendenti su tutti gli aspetti inerenti la sicurezza alimentare, la gestione di sistemi di allarme rapido e la comunicazione dei rischi;

La revisione del quadro giuridico normativo affinché possa coprire tutti gli aspetti connessi con i prodotti alimentari dalla produzione al consumo (dalla terra alla tavola);

8

PMI SERVIZI SRL, La base della normativa sulla sicurezza alimentare: Il libro

verde,<http://www.manualehaccp.it>

Il Libro verde contiene i principi base della legislazione europea in materia di sicurezza alimentare. Il Libro verde è la base che da il via ai primi dibattiti in merito alla necessità di disciplinare e tutelare i diritti del cittadino in materia di gestione, igiene e qualità dei prodotti alimentari. A seguito dell’emanazione nel 1999 del Libro verde sulla sicurezza alimentare i principi e gli spunti contenuti nel trattato vengono recepiti nel Trattato di Amsterdam dove vengono messi nero su bianco le intenzioni della Commissione Europea di creare un iter legislativo apposito che serva a controllare tutto il processo di produzione alimentare, dai mangimi e i fertilizzanti usati fino alla vendita e alla preparazione di alimenti destinati al consumo umano.

9

COLDIRETTI, Il libro bianco sulla sicurezza alimentare,2009, <http://www.sicurezzaalimentare.it> (23/11/2009)

Il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare del 12 gennaio 2000 (dicitura esatta COM 99/719 definitivo) è un provvedimento comunitario redatto allo scopo di delineare l'insieme delle azioni necessarie a completare e attualizzare la legislazione dell'Unione Europea in materia, appunto, di alimentazione, di modo da garantirne la sicurezza. Ciò per ottenere un implemento della comprensione e dell'adattabilità di tale complessa legislazione, ma anche in virtù di una maggior trasparenza verso il cittadino.

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La creazione di un sistema di controllo più armonizzato;

L’avvio di un dialogo più trasparente con i consumatori e altre parti interessate.

I punti chiave del Libro Bianco sono:

 La politica della sicurezza alimentare deve basarsi su un approccio completo e integrato;

 I produttori di mangimi, gli agricoltori e gli operatori del settore alimentare hanno la responsabilità primaria per quanto concerne la sicurezza degli alimenti;

 La politica “dai campi alla tavola” si dovrà attuare sistematicamente e in modo coerente;

 Una politica alimentare efficace richiede la rintracciabilità dei percorsi dei mangimi e degli alimenti nonché dei loro ingredienti;

 L’analisi del rischio deve costituire il fondamento su cui si basa la politica di sicurezza degli alimenti11;

 Si applicherà il principio di precauzione nelle decisioni di gestione del rischio.

I risultati concreti di questa terza fase sono stati raggiunti inizialmente con l’emanazione del Reg.178/2002, pubblicato il 28/01/02, che stabilisce i principi generali della sicurezza alimentare, istituendo l’obbligo della rintracciabilità12(definita come la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. In pratica quando si ha la possibilità di definire un percorso che

11

P.BEVILACQUA, Sicurezza alimentare e paradosso dell’eccedenza, in Agr. ist. merc., 2004, p.6, giustamente sottolinea che l’alimentazione è soggetta a rischio «per una ragione di fondo [la quale] risiede in un errore originario dell’economia contemporanea: l’illusione di poter fare dell’agricoltura e dell’allevamento animale una branca qualunque dell’industria, di ridurre quel rapporto complesso di “ricambio organico” tra l’uomo e la natura a una unilaterale e semplificata pratica di produzione di merci, quasi che la creazione di beni per l’alimentazione potesse sottostare agli stessi tempi, modalità, criteri della fabbricazione dei componenti dell’automobile».

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compie la materia prima lungo una filiera, trasformandosi man mano in prodotto finito e si ha la possibilità di far seguire questo percorso ad ogni lotto produttivo identificandolo in ogni punto della filiera, il prodotto è quindi rintracciabile) per tutti gli alimenti ed i mangimi; quindi con l’emanazione di altri regolamenti che costituiscono il cosiddetto “pacchetto igiene”.

Il Regolamento 178/2002/CE, al fine di garantire un livello elevato di tutela della vita e della salute umana dei consumatori, identifica come fondamenta del sistema13:

 Analisi del rischio (adozione dei principi HACCP valutazione – gestione – comunicazione)

 Responsabilizzazione primaria degli operatori

 Rintracciabilità

Il Regolamento 178/2002/CE, che ha ridisegnato l’intero quadro giuridico comunitario, vieta l’immissione sul mercato di alimenti non sicuri, stabilendo le basi per l’applicazione del principio di precauzione, e si preoccupa di far si che l’utilizzatore del mangime o di un alimento sia correttamente informato sull’origine e tipologia dei prodotti e che l’Autorità Sanitaria di controllo abbia la possibilità di avere le informazioni necessarie in caso di eventuale rischio sanitario al fine di permettere l’attuazione delle procedure di ritiro del mangime o dell’alimento ove non fossero state già poste in essere dalla stessa ditta produttrice per quanto di competenza.

Infatti nel caso in cui venga riscontrato un rischio per il consumatore o per gli animali e l’operatore della filiera non sia in grado di rintracciare il prodotto che ha determinato il rischio sanitario si renderà necessario allargare l’azione di ritiro del prodotto fino a comprendere nell’azione tutti i prodotti potenzialmente a rischio con aumento delle ripercussioni commerciali. Lo strumento attraverso il quale il legislatore comunitario ha inteso rendere possibile tali obiettivi è, appunto, la rintracciabilità, definita come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di

13

CSIA, Sicurezza e qualità nel settore alimentare e formazione specifica,

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un alimento o di una sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”, il cui obbligo e modalità generali di attuazione è divenuto operativo a partire già dal 1 gennaio 2005.

Oltre al regolamento in questione, per riorganizzare la frammentata normativa comunitaria in materia di igiene e sicurezza alimentare, la Commissione Europea ha avviato un complesso lavoro di aggiornamento normativo che si è concluso agli inizi del 2004 con la pubblicazione del già citato “Pacchetto igiene” in applicazione dal 1°gennaio 2006. Il “Pacchetto igiene” è l’insieme di norme comunitarie che traducono in legge gli obiettivi individuati nel libro bianco. Il “pacchetto” inizialmente costituito da 4 regolamenti – 2 relativi alla produzione e commercializzazione degli alimenti (Reg. 852/04 e Reg. 853/2004) e 2 sulle modalità di controllo da parte delle autorità competenti14 (Reg. 854/04 e Reg. 882/04) – è stato in un secondo momento integrato per assicurare un più alto livello di garanzia igienico-sanitaria di tutta la filiera alimentare. 15

2. Etichettatura dei prodotti agroalimentari

2.1. I marchi e i regimi di qualità.

Le norme sull’etichettatura16

dei prodotti alimentari garantiscono (o dovrebbero garantire) al consumatore informazioni essenziali, leggibili e comprensibili per effettuare acquisti consapevoli17.

14

Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014 n. 2893. L’autorità sanitaria competente in materia di tutela, benessere e salute degli animali è l’azienda sanitaria locale e non il Sindaco, al quale spettano esclusivamente i poteri di intervento nei casi di contingibilità ed urgenza attraverso le specifiche ordinanze previste dall’art. 50 del TUEL.

15

L.COSTATO,P.BORGHI, S.RIZZOLI, Compendio di diritto agroalimentare, Ferrara, CEDAM, 2011, p. 387.

16 N.L

UCIFERO, La comunicazione simbolica nel mercato alimentare, in L.COSTATO A.GERMANÒ E.ROOK BASILE, in Trattato di Diritto agrario, Torino, 2011, La Feltrinelli, p. 322 – “La questione

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Attraverso il marchio, il consumatore sceglie un particolare prodotto piuttosto che un altro, verificandone le caratteristiche, le qualità e le proprietà.

Inoltre, proprio il marchio diventa una forma di comunicazione tra il produttore ed il consumatore, instaurando un rapporto di fiducia e consenso per le proprietà e le caratteristiche del bene posto in commercio.

Esistono marchi individuali (Pringles) che indicano un singolo imprenditore, caratterizzano il suo prodotto specifico e lo distinguono da quelli degli altri imprenditori. Possono essere distinti in marchi di fabbrica (apposti dal produttore), marchi di commercio (apposti dal rivenditore del prodotto), marchi di servizi (destinati a contraddistinguere le prestazioni che un’ impresa rende a terzi) e sono registrati e tutelati dal Codice di Proprietà Industriale, introdotto da ultimo dal decreto legislativo n. 30/2005 del 10 febbraio 2005.

Oltre a quelli individuali, abbiamo i marchi collettivi (Melinda, Marlene…) che non sono legati ad un singolo produttore e possono essere impiegati nel contempo da più imprenditori e, di solito, aggiunti ai marchi individuali dell’azienda; possono consistere in segni o in indicazioni che nel commercio possono servire per designare:

 la qualità del prodotto per le materie prime utilizzate ed il rispetto degli standard stabiliti dal titolare del marchio collettivo;

 l’origine geografica del prodotto, le cui caratteristiche sono legate al luogo di provenienza.

della comunicazione nel mercato è di primaria importanza e, unitamente alla sicurezza dei prodotti, costituisce un punto centrale nella struttura del mercato dei prodotti alimentari”.

17

G.BISCONTINI, Persona e mercato, <http://www.personaemercato.it> (2012) p.163

Le pratiche di informazione di cui all’art. 7 del Reg. 1169/2011 si considerano leali se, con giudizio ex ante non sono in grado oggettivamente di indurre in errore il consumatore medio, a prescindere da qualunque valutazione del difetto volitivo del consumatore nel singolo caso concreto. Non può non mettersi in evidenza come il consumatore sia chiamato ad un ulteriore sforzo nella comprensione dell’etichetta che, sebbene debba essere il più chiara possibile potrebbe implicitamente condurlo ad una maggiore attenzione verso gli strumenti che gli vengono concessi per effettuare scelte consapevoli.

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Non rientrano fra i marchi, ma tra i “regimi di qualità”18, le scritte “Denominazione di Origine Protetta” (DOP) e “Indicazione Geografica Protetta” (IGP), perché non hanno la funzione di “distinguere i prodotti o i servizi di un’ impresa da quelli di altre imprese” come i marchi, ma “identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani o di tradizione”.

Logicamente per i regimi di qualità è prevista la registrazione, come per i marchi. La denominazione di origine protetta (DOP) individua il nome di una zona determinata, di una regione e, talvolta, anche di un singolo paese che designa un prodotto agricolo o alimentare, come originario di tale territorio, ove avviene la produzione e/o la trasformazione, le cui qualità sono da rinvenirsi esclusivamente in quel determinato ambiente geografico.

Le DOP, in relazione alla produzione di vini, si classificano in Denominazioni di Origine Controllata e Garantita (DOCG) e in Denominazioni di Origine Controllata (DOC).

Tali indicazioni sono utilizzate dall’Italia per designare i prodotti vitivinicoli DOP, come regolamentati dalla Comunità Europea.

L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) indica una regione, un luogo ed anche un singolo paese che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove ha luogo la produzione e/o la trasformazione, le qualità “possono essere attribuite” alla sua origine geografica.

Le IGP, in ordine alla produzione di vini, comprendono anche le Indicazioni Geografiche Tipiche (IGT); quest’ultima indicazione viene utilizzata dall’Italia per designare i vini IGP, come regolamentati dalla comunità Europea.

In pratica, solo una sottile differenza tra i prodotti DOP e quelli IGP.

Il regime di qualità DOP, viene attribuito a quei prodotti le cui fasi di produzione e trasformazione, hanno luogo nella zona da cui il prodotto deriva; tutte le sue

18

L.COSTATO,P.BORGHI, S.RIZZOLI, Compendio di diritto agroalimentare, Ferrara, CEDAM, 2011, p. 216.

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caratteristiche, quindi, devono dipendere dall’ambiente geografico, nonché da fattori naturali e umani. In pratica, si deve evidenziare un legame tangibile e concreto tra la qualità del prodotto e la sua origine geografica.

Il regime di qualità IGP, invece, viene concesso a quei prodotti per i quali solo alcune fasi di produzione e trasformazione avvengono nella zona dalla quale il prodotto prende il nome e, quindi, solo alcune sue caratteristiche possono essere attribuite all’ambiente geografico.

Il legame tra il prodotto e la zona geografica talvolta può consistere anche semplicemente nella notorietà acquisita dalla zona geografica.19

Altra componente da non tralasciare è quella della specialità di alcuni prodotti alimentari, per questo il regolamento CEE n. 2082/92 del 14.07.1992 disciplinava le attestazioni di specificità (AS); successivamente il regolamento CE n. 509/2006 del Consiglio del 20.03.2006 ha mutato il nome a questi prodotti, chiamandoli, Specialità Tradizionali Garantite (STG) abrogando il regolamento del 1992.

I prodotti che riportano questa sigla (STG) sono prodotti specifici, tradizionali e conformi a disposizioni nazionali o consacrati dall’uso, ovvero esprimenti la specificità del prodotto agricolo e del prodotto alimentare; non possono, cioè, essere attestate specificità per prodotti innovativi.

L’organizzazione richiedente (che può essere qualsiasi associazione, a prescindere dalla sua forma giuridica o dalla composizione di produttori e/o di trasformatori che trattano il medesimo prodotto agricolo o alimentare) deve depositare un disciplinare, ed è assoggettata a procedura di controllo.

A partire dal 03.01.2013 è entrato in vigore il Regolamento UE n. 1151/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d.“Pacchetto Qualità”)20

, il quale disciplina il regime di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Tale regolamento in sostanza istituisce, oltre ai regimi già esistenti (DOP, IGP, STG), un regime relativo alle indicazioni facoltative di qualità per agevolare nel mercato interno la comunicazione da parte dei produttori delle caratteristiche o proprietà dei prodotti

19

A. GRIPPA, Rintracciabilità ed etichettatura dei prodotti agroalimentari nel mercato

dell’Unione Europea, Cedam, 2013, p. 175 ss.

20

Al Regolamento si è aggiunto il Decreto recante le “Disposizioni nazionali per l’attuazione” pubblicato nell’ottobre del 2013 sulla gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana che aggiorna le procedure di registrazione e di controllo in tema di produzioni tipiche.

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agricoli che conferiscono a questi ultimi valore aggiunto, quali i “prodotti di montagna” e i “prodotti dell’agricoltura e delle isole”.

Lo scopo primario di assegnare tali “segni distintivi” è quello di promuovere prodotti di qualità, con caratteristiche legate al territorio, e tutelare sia i produttori iscritti che rispettano il disciplinare, sia il consumatore.

Tali diciture possono essere apposte su prodotti di aziende diverse ma che producono lo stesso bene, ognuna con il proprio marchio di impresa (Prosciutto di Parma).

L’Italia, come già accennato, è il paese europeo che dispone del maggior numero di eccellenze agroalimentari, con una certificazione geografica riconosciuta dall’Unione Europea21

.

Nel gruppo DOP troviamo specialità alimentari come: salumi, formaggi, olio e alcuni ortofrutticoli.

Nel gruppo IGP troviamo soprattutto prodotti agricoli come frutta, ortaggi, cereali e carni fresche.

Nel gruppo STG (che non fa riferimento ad una origine ma ha l’obiettivo di valorizzare una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale) troviamo solo la mozzarella e la pizza napoletana.22

A titolo esemplificativo alcuni esempi delle denominazioni italiane, iscritte nel Registro delle Denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite reperibili sul sito web del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

21

V.NARDI, Il fatto alimentare, <http://www.ilfattoalimentare.it> (18settembre2014)

22

CAMERA DI COMMERCIO FIRENZE, I prodotti a marchio registrato, <http://www.comproinfattoria.it>

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46

Esempi di:

DOP IGP STG

Asiago Mortadella Bologna Pizza Napoletana Basilico genovese Panforte di Siena Mozzarella

Chianti classico Prosciutto di Norcia Mela Val di Non Radicchio di Verona Coppa piacentina Zampone di Modena Parmigiano Reggiano Salame Cremona

Nel gruppo delle indicazioni facoltative di qualità troviamo:

Prodotti di montagna Sia le materie prime che gli alimenti per animali provengono essenzialmente da zone di montagna; nel caso di prodotti trasformati, anche la trasformazione ha luogo in zone di montagna.

Prodotti dell’agricoltura e delle isole

L’indicazione può essere utilizzata unicamente per descrivere i prodotti destinati al consumo umano, le cui materie prime provengano dalle isole, inoltre, affinché tale indicazione possa essere applicata ai prodotti trasformati, è necessario che anche la trasformazione avvenga in zone insulari nei casi in cui ciò incide in misura determinante sulle caratteristiche particolari del prodotto finale.

Le sigle DOP e IGP usufruiscono della tutela della legge in base a quanto previsto dal art. 30 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, aggiornato con decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 13123 che testualmente recita:

1. salva la disciplina della concorrenza sleale, salve le convenzioni internazionali in materia e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, è vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico o quando comporti uno sfruttamento indebito della reputazione della

23

D.Lgs. 13 agosto 2010 n. 131. Modifiche al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, recante il codice della proprietà industriale, ai sensi dell’art. 19 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

(15)

47

denominazione protetta, l’uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l’uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un’indicazione geografica.

2. La tutela di cui al comma 1 non permette di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del proprio nome o del nome del proprio dante causa nell’attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da ingannare il pubblico.

Le contraffazioni e le imitazioni di tali diciture, al pari dei marchi, danno origine a danni gravissimi in termini economici per i produttori autorizzati all’uso di tali sigle, e per i consumatori che pagano per una qualità che il prodotto, di fatto, non ha, con gravi danni anche per la salute.

La contraffazione o l’alterazione di tali sigle è punita dal nuovo art. 517-quater c.p. la cui trattazione sarà affrontata nella parte dedicata al sistema sanzionatorio.

2.2. Il MADE IN ITALY nel settore alimentare e la scarsa tutela

giuridica nei mercati internazionali.

Lo strumento, senza dubbio, più utile ed efficace per contrastare la contraffazione, oltre al vigente sistema normativo e sanzionatorio, potrebbe essere rappresentato da una costante e sempre più efficace informazione a tutela del “Made in Italy” agroalimentare24

. Anche se, come vedremo, molteplici fattori rendono difficile la protezione.

24 A.D

E PIN,Rilevanza economica dell'agropirateria per il "made in Italy alimentare" nei mercati internazionali , Venezia, Dipartimento di Statistica, Universita' Ca' Foscari Venezia, vol. 1, pp.

1-31 (Rapporto di ricerca)

(16)

48

Con riferimento alle normative vigenti, potremmo dire che la funzione principale dell’espressione “made in Italy” è di tutelare “il pubblico” in ordine alla provenienza del prodotto. L’espressione made in Italy non è un marchio individuale o collettivo, e non fa parte delle indicazioni geografiche o delle denominazioni di origine protette, ma è una indicazione dell’origine del prodotto su cui è apposta (c.d. marchio d’origine), a prescindere dalle qualità e dalle caratteristiche del prodotto; in quanto non c’è un legame qualitativo con il territorio.

In base a quanto previsto dalla Legge 24 dicembre 2003, n. 35025, la indicazione made in Italy è lecitamente utilizzata se posta su prodotti e merci originari dell’Italia, ai sensi della normativa europea sull’origine26 che individua il paese di origine nel seguente modo:

Emerge che il 39 per cento degli italiani preferisce prodotti made in Italy, ritenuti con migliori caratteristiche qualitative sia finali che degli ingredienti.

25 L. 24 dicembre 2003 n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale

dello Stato (legge finanziaria 2004).

26

Regolamento n. 450/2008/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio,che istituisce il codice doganale comunitario (Codice doganale aggiornato), GUCE L 145/1, 4.6.2008.

(17)

49

a) Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.

b) Le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale (trasformazione grazie alla quale il prodotto che ne risulta presenta composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a detta trasformazione o lavorazione) 27.

Qui si fa riferimento all’origine (doganale) non preferenziale: indipendentemente dalle percentuali di merci (intesi quali prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali)28 nazionali o estere impiegate nella produzione. L’indicazione del marchio di origine non è dunque concessa se l’attività di trasformazione non è svolta in Italia o se – anche se svolta nel nostro Paese – è però marginale. Le indicazioni di provenienza o origine false o fallaci sono punite ai sensi dell’articolo 517 c.p.

In Italia, non vi è l’obbligo di usare l’indicazione made in Italy, si deve però tenere conto della normativa del paese estero di commercializzazione, perché in alcuni paesi questa indicazione è obbligatoria.29

Attualmente la tutela del Made in Italy alimentare, determinante per le imprese, per garantire redditività e continuità all’iniziativa commerciale, non risulta agevole. Nonostante l’attività di controllo svolta dagli organismi competenti (Guardia di Finanza, Carabinieri dei Nas…), la tutela si attiva, quasi esclusivamente su iniziativa privata, anche se molto spesso le imprese, grandi e piccole, non detengono sufficienti informazioni e risorse per rilevare il fenomeno e intraprendere le conseguenti azioni giudiziarie.

Gli strumenti giuridici, per la protezione del marchio di origine sono pochi, ma anche la tutela del marchio commerciale non appare semplice. La difesa in sede

27

M.FABIO, Export e tutela dei prodotti agroalimentari del Made in Italy, IPSOA, 2015.

28 Corte Giust., 10 dicembre 1968, C-7/68, Commissione c. Italia. 29

F.CORRADINI, Il made in Italy e la tutela dei prodotti agroalimentari, <http://www.re.camcom.gov.it> (2014) p.2 ss

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50

giudiziaria, è spesso preclusa, qualora “l’illecito” non risulti perseguibile ai sensi della legislazione vigente nei paesi dove il prodotto “imitato” è commercializzato.

Ci troviamo di fronte a normative incerte che quasi mai riescono ad affermare la certezza del diritto, intesa quale tutela del “nostro prodotto”.

2.3. Il sistema normativo in materia di etichettatura. Reg. UE

1169/2011.

Tutti i prodotti devono riportare a garanzia del consumatore delle indicazioni obbligatorie.

Sulla Gazzetta Ufficiale UE del 22 novembre 2011 è stato pubblicato il nuovo Regolamento UE 1169/2011 “ Food information to consumers”, FIC, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, entrato in vigore il 13 dicembre 2014.

Il regolamento 1169/2011 si riferisce e si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli destinati alla fornitura delle collettività (con la quale si intende qualunque struttura, compreso un veicolo o un banco di vendita fisso o mobile, come ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione in cui, nel quadro di un‘attività imprenditoriale, sono preparati alimenti destinati al consumo immediato da parte del consumatore finale)30.

Il regolamento, che uniforma l’etichettatura degli alimenti nei paesi UE, è il risultato di anni di lavoro all’interno del Consiglio e del Parlamento europeo e si inserisce in un contesto in cui era forte l’esigenza di realizzare una base comune

30 Art. 2, par.2, lett. d, Regolamento n.1169/2011/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio,

relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione, in GUUE L 304/18, 22.11.2011.

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51

per regolamentare le informazioni sugli alimenti e permettere ai consumatori di effettuare scelte consapevoli, in relazione agli alimenti che consumano e di prevenire qualunque pratica in grado di indurli in errore. Il regolamento, contribuisce ad uniformare le legislazioni dei singoli paesi e fa parte del lungo percorso normativo tracciato dall’Unione, per una libera circolazione di alimenti sicuri.

Le novità introdotte con la nuova regolamentazione sono varie e possono essere suddivise in novità di principio e dei requisiti puntuali31.

 Per quanto riguarda la prima categoria, il legislatore ha introdotto il principio dell’elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazione, che si estende a tutti gli operatori del settore alimentare, obbligandoli a fornire ai consumatori finali informazioni qualitativamente idonee. Il legislatore in effetti introduce dei principi a cui l’operatore alimentare deve sempre adeguarsi nel fornire informazioni sull’identità, la composizione, le proprietà o altre caratteristiche dell’alimento, informazioni sulla protezione della salute dei consumatori e sull’utilizzazione sicura dell’alimento ed informazioni sulle caratteristiche nutrizionali.

 Per quanto riguarda le novità dei requisiti puntuali delle informazioni, il legislatore ha dato molto spazio alla responsabilità delle informazioni sugli alimenti. L’articolo 832

sancisce che il responsabile delle informazioni

31

A.GRIPPA, Rintracciabilità ed etichettatura dei prodotti agroalimentari nel mercato dell’Unione

Europea, Cedam, 2013, p. 150.

32Art. 8 Reg. 1169/2011/UE.

1. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione. 2. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa applicabile

in materia di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali. 3. Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli

alimenti non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni

sugli alimenti applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali. 4. Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, non modificano

le informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e le possibilità del consumatore finale di effettuare scelte consapevoli. Gli operatori del settore alimentare sono responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che accompagnano il prodotto stesso.

(20)

52

sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se questo operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione. Questo operatore ha la responsabilità di garantire la presenza e correttezza delle informazioni nel rispetto della normativa.

La funzione di rappresentare l’identità degli alimenti appartiene all’etichettatura, che fornisce preziose informazioni sugli ingredienti, sul tipo di trattamento tecnologico a cui sono stati sottoposti, sulle modalità di conservazione, sulla qualità e sul materiale che compone la confezione, ecc.

Ai sensi del nuovo Reg. UE 1169/2011 le indicazioni obbligatorie33 in etichetta sono rappresentate:

- dalla denominazione dell’alimento;

- dall’elenco degli ingredienti;

- da qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato

II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella

5. Fatti salvi i paragrafi da 2 a 4, gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di

informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività. 6. Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano che

le informazioni sugli alimenti non preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività siano trasmesse all’operatore del settore alimentare che riceve tali prodotti, in modo che le informazioni obbligatorie sugli alimenti siano fornite, ove richiesto, al consumatore finale.

7. Nei seguenti casi gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano che le indicazioni obbligatorie richieste in virtù degli articoli 9 e 10 appaiano sul preimballaggio o su un’etichetta a esso apposta oppure sui documenti commerciali che si riferiscono a tale prodotto se si può garantire che tali documenti accompagnano l’alimento cui si riferiscono o sono stati inviati prima o contemporaneamente alla consegna:

a) quando l’alimento preimballato è destinato al consumatore finale, ma commercializzato in una fase precedente alla vendita al consumatore finale e quando in questa fase non vi è vendita a una collettività;

b) quando l’alimento preimballato è destinato a essere fornito a collettività per esservi preparato, trasformato, frazionato o tagliato.

In deroga al primo comma, gli operatori del settore alimentare assicurano che le indicazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere a), f), g) e h), figurino anche sull’imballaggio esterno nel quale gli alimenti preimballati sono presentati al momento della commercializzazione.

8. Gli operatori del settore alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non destinati al consumatore finale o alle collettività assicurano che a tali altri operatori del settore alimentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso, di adempiere agli obblighi di cui al paragrafo 2.

33

(21)

53

preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata;

- dalla quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;

- dalla quantità netta dell’alimento;

- dal termine minimo di conservazione o la data di scadenza;

- dalle condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;

- dal nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore

alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;

- dal paese d’origine34 o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26;

- dalle istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe

difficile un uso adeguato dell’alimento;

- per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, dal titolo alcolometrico volumico effettivo;

- da una dichiarazione nutrizionale.

Il regolamento UE 1169/2011 pone, però, la problematica applicativa del regime sanzionatorio, atteso che le novità introdotte impongono un adeguamento del D.lgs. n. 109/199235, anche se il regolamento UE prevale sia nella gerarchia delle fonti di diritto (poiché i regolamenti europei, secondo la Consulta italiana, hanno un rango superiore addirittura alle leggi costituzionali), sia in ragione della successione temporale (in quanto normativa più recente).

Nell’ambito del Decreto legislativo 109/199236

, norma nazionale in materia di etichettatura, resta tuttora in vigore l’articolo 18 che disciplina le sanzioni applicabili alle disposizioni della normativa nazionale, e che sarà abrogato solo con l’adozione di un nuovo decreto legislativo recante il quadro sanzionatorio delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011. Al fine di assicurare continuità applicativa delle sanzioni previste dall’articolo 18 del D.lgs. 109/1992, in ogni caso, nelle more dell’adozione della nuova disciplina sanzionatoria, il

34

F.ALBISINNI, Il nuovo Regolamento UE sull’informazione ai consumatori, in riv. dir. alim., 2011. Le indicazioni relative al paese di origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese di origine o luogo di provenienza del prodotto e, comunque, dovrebbe essere fornita in modo tale da non trarre in inganno il consumatore e sulla base di criteri chiaramente definiti in grado di garantire condizioni eque di concorrenza per l’industria. Proprio per realizzare un’adeguata informazione e per attuare una concorrenza efficace e leale, in taluni casi, è consentito agli operatori del settore alimentare di scegliere di indicare su base volontaria l’origine di un alimento per richiamare l’attenzione dei consumatori sulle qualità del loro prodotto. Per una puntuale notazione sul rapporto corrente tra “paese di origine e luogo di provenienza”.

35

D.Lgs. 27 gennaio1992 n.109. Attuazione delle direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

36

L.COSTATO,P.BORGHI, S.RIZZOLI, Compendio di diritto agroalimentare, Ferrara, CEDAM, 2011, p. 265 ss.

(22)

54

Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito con circolare 6 marzo 201537 il raccordo tra le disposizioni del regolamento dell’Unione e quelle del D.lgs. 109/1992. Molte di queste disposizioni confermano i precetti contenuti nelle precedenti direttive comunitarie e recepiti nell’ordinamento nazionale per mezzo del D.lgs. 109/1992, mentre in altri casi esse innovano il precetto o dispongono ex novo. Le disposizioni sanzionatorie previste dall’articolo 18 del D.lgs. 109/1992 per la violazione delle disposizioni in esso contenute, devono intendersi applicabili soltanto ai precetti confermati dal regolamento. Le sanzioni previste dall’articolo 18 del decreto legislativo restano inoltre applicabili alle violazioni delle disposizioni del decreto medesimo che restano in vigore, in quanto riguardanti materie non espressamente armonizzate dal Regolamento, quali, ad esempio, il lotto o i prodotti non preconfezionati.

Di seguito si riporta la tabella38 comparativa (allegata alla circolare 6 marzo 2015) tra la fattispecie prevista dal Reg. UE 1169/2011 e la fattispecie sanzionatoria prevista dall’articolo 18 D.lgs. 109/1992:

Reg. 1169/2011 D.lgs. 109/1992

ARTICOLI SINTESI DEL CONTENUTO ARTICOLI SANZIONE

applicabile al precetto confermato Art. 7 Pratiche leali di informazione Art. 2 Finalità

dell’etichettatura dei prodotti alimentari

Art. 18.1 da € 3.500,00 ad € 18.000,00 Art. 8, par. 4 Informazioni che accompagnano un

alimento e responsabilità degli operatori del settore alimentare.

Art. 2 Finalità dell’etichettatura dei prodotti alimentari Art. 18.1 da € 3.500,00 ad € 18.000,00 Art. 8, par. 6 Responsabilità degli operatori del

settore alimentare nella catena di trasmissione delle informazioni sugli alimenti non preimballati destinati al

Art. 16 Vendita dei prodotti sfusi, c. 7 Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 37

Circ. 6 marzo 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico. Applicazione dell’articolo 18, in materia di sanzioni, del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 alle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011.

38

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55

consumatore finale o alle collettività. Art. 8, par. 7 Indicazioni obbligatorie:a) quando

l’alimento preimballato è destinato al consumatore finale, ma

commercializzato in una fase

precedente alla vendita al consumatore finale e quando in questa fase non vi è vendita a una collettività;

b) quando l’alimento preimballato è destinato a essere fornito a collettività per esservi preparato, trasformato, frazionato o tagliato. Art.14 Modalità di indicazione delle menzioni obbligatorie dei prodotti preconfezionati, c. da 5 a 7 Art. 18.2 da € 1.600,00 ad € 9.500,00

Art. 8, par.8 Responsabilità degli operatori del settore alimentare nella catena di trasmissione delle informazioni sugli alimenti non destinati al consumatore finale o alle collettività.

Art. 17 Prodotti non destinati al consumatore

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00

Art. 9, par. 1 Elenco delle indicazioni obbligatorie Art. 3 Elenco delle indicazioni dei prodotti preconfezionati, c. 1 Art. 18.2 da € 1.600,00 ad € 9.500,00 Art. 10 ed Allegato III

Indicazioni obbligatorie complementari per tipi o categorie specifici di alimenti

Allegato 2, Sezione II, che richiama gli artt. 4 e 5 Art. 6 Designazione degli aromi, c.3-quater

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00

Artt. 12 e 13 Messa a disposizione, posizionamento epresentazione delle informazioni obbligatorie Art. 14 Modalità di indicazione delle menzioni obbligatorie dei prodotti reconfezionati, c. 1 e 4 Art. 18.2 da € 1.600,00 ad € 9.500,00 Art. 14, par. 1, lettera b) par. 2

Vendita a distanza. Alimenti messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati.

Art. 15 Distributori automatici diversi dagli impianti di spillatura

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 15 Requisiti linguistici Art. 3 Elenco delle

indicazioni dei prodotti preconfezionati, c. 2

Art. 18.2 da € 1.600,00 ad € 9.500,00 Art. 17, parr. da Denominazione dell’alimento Art. 4 Denominazione di Art. 18.3 da €

(24)

56

1 a 4 vendita, c. 1, 1-bis, 1-ter,

1-quater, 2

600,00 ad € 3.500,00 Art.17, par. 5 e

Allegato VI

Disposizioni specifiche sulla denominazione dell’alimento e sulle indicazioni che la accompagnano.

Art. 4 Denominazione di vendita c. 3 e 4

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 18, par. 1 Elenco degli ingredienti Art. 5 Ingredienti c. 3 Art. 18.3 da €

600,00 ad € 3.500,00 Art. 18, par. 2 Designazione degli ingredienti Art. 5 Ingredienti, c. 2

Art. 4 Denominazione di vendita, c. 5-bis Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 18, par. 4 ed Allegato VII parti A, B, C, E

Prescrizioni tecniche che disciplinano l’applicazione dei paragrafi afferenti all’elenco e alla designazione degli ingredienti.

Art. 5 Ingredienti Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00

Art. 18, par. 4 Allegato VII, parte D

Designazione degli aromi nell’elenco degli ingredienti

Art. 6 Designazione degli aromi (ad esclusione del c.3-quater) Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 21 ed Allegato II

Etichettatura di alcune sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze

Art. 5 Ingredienti, c. 2-bis, 2-ter, 2-quater e Allegato 2 sezione III

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 22 ed

Allegato VIII

Indicazione quantitativa degli ingredienti Art. 8. Ingrediente caratterizzante evidenziato Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 23 ed Allegato IX

Quantità netta Art. 9. Quantità Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 24 ed

Allegato X, punto 1

Termine minimo di conservazione Art. 10. Termine minimo di conservazione Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 24 ed Allegato X, punto 2

Data di scadenza Art. 10-bis. Data di scadenza Art. 18.2 da € 1.600,00 ad € 9.500,00 Art. 25 e Art. 27

Condizioni di conservazione o d’uso nonché istruzioni per l’uso, ove

Art. 3. Elenco delle indicazioni dei prodotti

Art. 18.2 da € 1.600,00 ad €

(25)

57 obbligatorie. preconfezionati, c. 1, lettere i) e l) 9.500,00 Art. 26, par. 2, lettera a)

Indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza nel caso in cui la sua omissione possa indurre in errore il consumatore. Art. 2. Finalità dell’etichettatura dei prodotti alimentari, c. 1, lettera a) Art. 18.1 da € 3.500,00 ad € 18.000,00 Art. 28 ed Allegato XII

Titolo alcolometrico Art. 12. Titolo alcolometrico

Art. 18.3 da € 600,00 ad € 3.500,00 Art. 36 par. 2 Informazioni sugli alimenti fornite su

base volontaria. Art. 2. Finalità dell’etichettatura dei prodotti alimentari Art. 18.1 da € 3.500,00 ad € 18.000,00

Prima di concludere, non può tralasciarsi un aspetto critico del Reg. UE 1169/2011.

L’intento del legislatore, era sicuramente quello di fornire informazioni sugli alimenti e permettere ai consumatori di effettuare scelte consapevoli.

Ma, da una lettura, dell’art. 9 si evince che è diventata facoltativa e non più obbligatoria, l’indicazione della sede dello stabilimento produttivo, se diverso dalla sede legale (del marchio o della ragione sociale) dell’impresa; anche se tale indicazione rappresenterebbe uno dei vari modi per garantire trasparenza in etichetta.

Da questa carenza normativa, il consumatore, non è l’unico soggetto leso. Le autorità preposte ai controlli, infatti, avranno più difficoltà documentali (in caso di ritiri dal mercato, o necessità di sopralluoghi), ad individuare la sede fisica dove si è verificata l’ultima trasformazione sostanziale dell’alimento.

Comunque, in difesa del legislatore, per avvalorare la bontà della norma, può essere citata la sentenza della Corte di Giustizia 10 gennaio 2006 (C-402/203, che riprende la sentenza 25 aprile 2002, C-183/00), che dispone:”il fornitore finale – distributore è responsabile per eventuali problematiche di sicurezza del prodotto solo qualora non riveli il nome del produttore”, ovviamente a partire dall’etichetta. La sede dello stabilimento in tal senso sarebbe una informazione

(26)

58

sufficientemente non ambigua per identificare il produttore se diverso dal distributore.

2.4. Italian Sounding.

Dopo aver affrontato la disciplina relativa all’etichettatura e alla tutela del made in italy, non possiamo tralasciare un fenomeno, oggi ampiamente diffuso, quello del mercato imitativo dell’Italian Sounding39

, che una certa corrente di pensiero inserisce erroneamente, nell’agropirateria, (contraffazione di un prodotto alimentare, attuata imitandone il nome, il marchio o l’aspetto).

L’Italian Sounding, nato e sviluppato soprattutto dall’esperienza e dalle conoscenze produttive di emigranti italiani, risulta diffuso all’estero e comprende tutti quei prodotti che fanno riferimento all’Italia, ovvero in massima parte prodotti imitativi (fake italian) che presentano un mix di nomi italiani, luoghi, immagini, slogan, colori, chiaramente e inequivocabilmente afferenti all’Italia.

Si stima, secondo dati diffusi dal Ministero della salute, che l’Italia perda a causa del “fake italian food”, il falso cibo made in Italy, oltre 26 miliardi di euro solo in Europa. Mentre si stima che se l’Italia riuscisse a combattere i suoi prodotti contraffatti nel mondo, arriverebbe a recuperare 60 miliardi di euro l’anno. In altre parole, più della metà del suo fatturato alimentare. 40

39 I

TALIA A TAVOLA, Etichetta, sentenza della Corte UE: “non deve ingannare i consumatori,

<http://www.italiaatavola.net> (5 giugno 2015).

L’etichetta di un prodotto alimentare non può indurre in errore i consumatori. Lo ha ribadito una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha messo al bando le indicazioni di ingredienti che in realtà non ci sono. Un nuovo importante contributo a sostegno della lotta al cosiddetto Italian Sounding.

Corte Giust., 4 giugno 2015, C-497/13, Froukje Faber c. Autobedrijf Hazet Ochten BV. Gli articoli 2, paragrafo 1, lettera a), sub i), e 3, paragrafo 1, punto 2, della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, come modificata dal regolamento (CE) n. 596/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l'etichettatura di un prodotto alimentare e le relative modalità di realizzazione possano suggerire, tramite l'aspetto, la descrizione o la rappresentazione grafica di un determinato ingrediente, la presenza di quest'ultimo in tale prodotto, quando invece, in effetti, detto ingrediente è assente, e tale assenza emerge unicamente dall'elenco degli ingredienti riportato sulla confezione di detto prodotto.

40

(27)

59

Tale fenomeno, non si riferisce ad alimenti contraffatti come nell’agropirateria, quanto piuttosto ad imitazioni di prodotti che tentano di impossessarsi (essenzialmente in termini di immagine) del valore e della qualità dei prodotti della filiera agroalimentare italiana.

Vi sono alcuni elementi ricorrenti nei prodotti Italian Sounding, ovvero quei canoni che vogliono rappresentare o far ricordare caratteristiche distintive e tipiche del nostro Paese; il tutto tramite l’impiego di strumenti e modalità diverse per richiamare al consumatore, con diversa intensità e modalità, un’origine o un legame tra il prodotto e l’Italia.

Nel momento in cui si apre lo sguardo all’individuazione di tali elementi, risultano evidenti non solo alcuni riferimenti tipici del nostro Paese, ma anche di quelle regioni che godono di fama internazionale, circa la qualità dei loro prodotti in particolari settori o per la rinomanza della loro cucina.

Le imitazioni di prodotti agroalimentari, diversi da vini ed alcolici, con le diciture: “tipo”, “stile”, “genere” e simili, accanto alla denominazione tradizionale del prodotto originale e all’indicazione anche a caratteri minuscoli, del luogo di produzione, sono consentite, non costituendo illecito poiché, se pur tali da confondere il consumatore, giuridicamente non risultano ingannevoli per il pubblico.41

Infatti sono permesse e tutelate:

- le indicazioni geografiche omonime, qualora dimostrabili non ingannevoli per il consumatore.

- i marchi omonimi e già registrati e utilizzati in buona fede.

È questa la cosiddetta “questione dei diritti acquisiti”, grazie a cui, ad esempio, in Canada le denominazioni “Parma” e “san Daniele” sono registrate come marchi legittimi, costringendo così le imprese italiane a mutare denominazione per commercializzare il prodotto nostrano (il prosciutto di Parma è venduto in Canada come “Prosciutto N°1”).

41

A.DE PIN,Rilevanza economica dell'agropirateria per il "made in Italy alimentare" nei mercati internazionali , Venezia, Dipartimento di Statistica, Universita' Ca' Foscari Venezia, vol. 1, pp.

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Al fine di offrire un quadro sintetico delle più diffuse forme di imitazioni (anche se appare sottile la linea di demarcazione tra imitazione e falsificazione e quindi tra condotte consentite e non) e di ingannevoli evocazioni del made in Italy alimentare possiamo ricordare che42:

 Per le paste alimentari: in Sud-America, Australia, Svizzera, nonché in alcuni Stati dell’ Unione Europea, vengono correntemente utilizzati, con chiare finalità imitatorie dell’origine geografica, denominazioni dei formati in lingua italiana (spaghetti, fettuccine, lasagne, maccheroni…) confezioni dotate di nomi commerciali italiani (Festa, Primavera…) emblemi, paesaggi e richiami più o meno espliciti alla bandiera del nostro Paese.

 Per le conserve di pomodoro, negli Stati Uniti ed in alcuni Stati dell’Unione Europea, particolarmente ricorrente è l’indicazione dell’utilizzazione di “pomodoro San Marzano”, di immagini chiaramente attinenti al paesaggio italiano, nelle quali è difficile notare quando vi viene apposta la dicitura “ italian style”.

 Per i salumi: negli Stati Uniti, in Australia, in Argentina ed in Canada si commercializzano insaccati con denominazioni quali salame “tipo Milano”.

Per gli oli d’oliva: negli Stati Uniti, Turchia e Spagna vengono venduti oli italian style, con immagini sulle etichette e denominazioni commerciali tipicamente italiane ad esempio nel Regno Unito è facile imbattersi in un olio Tuscan Sun , imbottigliato in loco.

 Per i formaggi: negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, Sud-America e Giappone per indicare i più disparati tipi di formaggi di produzione locale o importati non dall’Italia sono di uso corrente i nomi ricotta, mozzarella, provolone, grana padano.)

Risultano poco protetti perfino vini ed alcolici43. In molti Stati è permesso, l’uso, anche come marchio commerciale applicato ad altri prodotti, di indicazioni geografiche e denominazioni tipiche europee, con la motivazione che si tratta di nomi semigenerici. Così, i nomi di uve tipiche europee sono frequentemente utilizzati dai produttori americani. E’ consentito ai produttori americani di utilizzare denominazioni europee di alcolici (eccetto quelle oggetto di specifico

42

CNEL,Le falsificazioni alimentari del “made in italy” sui mercati nazionali ed internazionali, <www.cnel.it> (2014).

43

A.DE PIN,Rilevanza economica dell'agropirateria per il "made in Italy alimentare" nei mercati internazionali , Venezia, Dipartimento di Statistica, Universita' Ca' Foscari Venezia, vol. 1, pp.

1-31 (Rapporto di ricerca) <https://iris.unive.it/handle/10278/16952#.VzDfOYSLTIU> (2008). In California si producono e commercializzano legittimamente vini quali “San Giovese Lucca” e “Malvasia Doc”, della Napa Valley, in quanto consentito al consorzio di produttori vitivinicoli CALIT (CALifornia- Italia).

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