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Academic year: 2021

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INTUIZIONE E SISTEMA

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INTRODUZIONE

L’intuizione non è una nozione che viene generalmente associata alla filosofia hegeliana.

Così se, ad esempio, nel paragrafo 244 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, nel quale si conclude e culmina l’intera esposizione logica, l’idea è determinata da Hegel come idea intuente (anschauende Idee), la singolare rilevanza attribuita in tale paragrafo all’intuire non è passata inosservata, ma il motivo di tale fatto è stato più che altro che vi si è letta la chiara testimonianza del fallimento dell’idealismo di Hegel nella sua versione sistematica. Già per Schelling, in un’argomentazione critica successivamente ripresa da Feuerbach e da Marx, la pretesa intuitività dell’idea (insieme alla sua “decisione”) certificava senza dubbio una ricaduta in rappresentazioni mistiche a cui Hegel sarebbe stato condannato a causa di un pensiero chiuso in se stesso, dalle velleità panlogistiche e incapace di aprirsi al mondo.

Sebbene una simile critica sia stata a sua volta oggetto di numerose critiche e interpretazioni, essa ha tuttavia monopolizzato l’attenzione nella lettura del paragrafo citato: anche consultando velocemente la letteratura scientifica recente sul tema, non sarà difficile accorgersi di come essa sia in primo luogo intenta a difendere o a negare la tenuta logico-teorica del passaggio, piuttosto che a spiegare i motivi della comparsa dell’intuire in un momento centrale per l’architettura sistematica e a indagarne quindi il significato complessivo per la filosofia hegeliana.

Del resto, più in generale, la celebre Prefazione della Fenomenologia dello spirito, nella quale lo stesso Hegel, prendendo esplicitamente le distanze da Schelling e criticando le tendenze romantiche, squalifica con asprezza - quasi con disprezzo - il procedere intuitivo come metodo di conoscenza, non ha contribuito a far spostare l’attenzione sulla possibile valenza positiva della nozione di Anschauung all’interno del suo pensiero: al netto del riconoscimento e dello studio della sua operatività in ambiti precisi e ben delimitati, quest’ultima è piuttosto vista con sospetto1, alternativamente

come un lascito schellinghiano di cui sbarazzarsi al più presto o come un modo

1 Di “sospetto” e di “paura” verso l’intuizione nel pensiero filosofico contemporaneo parla A. Ferrarin, Chi

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infelice di esprimersi, che nasconde passaggi logici non del tutto trasparenti e che – nel migliore dei casi – può essere parafrasato in altri termini.

Allo stesso modo, nel momento di ricomprensione filosofica e sistematica si enfatizza in genere il ruolo della memoria – o interiorizzazione – (Erinnerung), come quel movimento capace di elaborare, riassumere, strutturare organicamente e dare forma razionale ai contenuti: l’intuizione sembra non avervi luogo. Questo avviene anche nonostante il fatto che, per restare all’Enciclopedia, la comprensione della filosofia come momento dell’identità tra soggetto e oggetto, nel quale, secondo la nota citazione aristotelica che Hegel appone a conclusione del suo sistema, il pensiero pensa se stesso, sembri completamente assimilabile, per quanto il termine sia accuratamente evitato, a una comprensione intuitiva.

In questo modo, in parte complice lo stesso Hegel, notare la rilevanza della Anschauung nella filosofia hegeliana ha spesso equivalso a criticare Hegel sulla base di una nozione tradizionale o comunque presupposta dell’intuizione, mentre veniva trascurata la possibilità che in Hegel si potesse trovare una elaborazione originale del concetto. Così, per riportare due esempi paradigmatici, da una parte Heidegger, proprio appuntandosi sui passaggi appena menzionati e in genere sull’impostazione logica hegeliana, riconduce il filosofo di Stoccarda all’intera tradizione della filosofia occidentale per la quale verità e intuizione sarebbero inestricabilmente legate e interpreta quest’ultima come una forma di comprensione meramente teoretica, che rende presente un oggetto2. Dall’altra, in un quadro di riferimento completamente

diverso, Ernst Bloch, dopo aver messo in evidenza e valorizzato il carattere produttivo del pensiero in Hegel, ritiene che la nozione hegeliana di filosofia sia ciononostante improntata a una mistica intuitiva dell’annullamento della differenza tra soggetto e oggetto.3

Il presente lavoro, al contrario, nasce, in primo luogo, dall’idea che la nozione di intuizione – la quale, al pari di molte altre categorie, pur all’interno di un medesimo

2 Faccio riferimento in particolare al corso di Logica del 1925-26. M. Heidegger, Logik. Die Frage nach

der Wahrheit, a cura di W. Biemel, V. Klostermann, Frankfurt am Main, 1976; traduzione italiana a cura

di U. M. Ugazio, Logica. Il problema della verità, Mursia, Milano, 1986.

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orizzonte di significato, assume sensi diversi a seconda della diversa collocazione sistematica – non solo giochi un ruolo importante in momenti specifici della riflessione hegeliana (dalla temporalità naturale, alla critica di alcune posizioni del pensiero coevo, alla psicologia) ma, soprattutto, si integri con la nozione di pensiero e sia quindi necessaria per comprendere alcuni caratteri fondamentali delle nozioni di sistema e di filosofia. La comprensione di tale posizione è però possibile solo a patto di avvicinarsi alla nozione di Anschauung in Hegel a partire da Hegel stesso: egli, muovendo in particolar modo da Kant, sviluppa una elaborazione personale del concetto di intuizione, che ho cercato di ricostruire nei suoi passaggi essenziali. A tal fine, in un certo senso in una necessaria introduzione allo studio delle posizioni hegeliane mature, la presente ricerca si concentra sul concetto di intuizione nella produzione jenese nella quale il ruolo sistematico della Anschauung è più evidente e facilmente rintracciabile, e può quindi essere intesa in primo luogo come una preistoria della formulazione enciclopedica citata: l’auspicio è che, alla fine del percorso qui ricostruito, il paragrafo 244 dell’Enciclopedia e altre analoghe espressioni non appaiano – per rimanere in tema – “come un colpo di pistola”, ma possano essere comprese come il frutto di una lunga elaborazione e disvelino in pieno il loro significato.

La delimitazione dell’ambito di ricerca al periodo jenese non ha però solo una funzione propedeutica rispetto alla comprensione delle posizioni più tarde, ma consente di mettere a fuoco alcuni precisi nuclei tematici: in un percorso che muove dallo scritto sulla Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling e termina con la cosiddetta Filosofia dello spirito jenese del 1805/06 e con la Fenomenologia è infatti possibile rintracciare una vera e propria evoluzione della nozione di Anschauung, che si intreccia con lo sviluppo del sistema nascente.

In via preliminare, si possono qui identificare due significati fondamentali di intuizione, che mi permettono di anticipare la suddivisione in capitoli: in primo luogo, in particolare nella Differenza, l’intuizione, la quale è inizialmente intuizione trascendentale, significa il movimento assoluto, autocontraddittorio e “bewusstlos” dell’unità che si differenzia – un movimento che il pensiero ordinario (da Hegel ritenuto in questo momento ancora solo riflessivo) non può attingere e che dà conto

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dell’apparire di soggetto e oggetto. Di tale primo significato della Anschauung mi occupo prevalentemente nel primo capitolo.

In secondo luogo, l’intuizione, in una linea che va idealmente da Spinoza a Goethe e che Hegel, in un confronto serrato con Kant, elabora e fa propria con Fede e sapere e con i testi successivi, è invece il sapere che comprende le forme della realtà come immanentemente dotate di significato e che, specularmente, intende il principio di senso come ciò che è presente nella natura e nelle varie forme della vita umana, anziché come un principio trascendente. Nella elaborazione hegeliana, un simile sapere intuitivo è possibile solo a patto che ogni forma del reale – che sia naturale, logica o storico-spirituale – venga compresa come essenzialmente in movimento.

Con questo secondo significato, che ingloba e supera il primo, intuizione e pensiero non sono più due attività o facoltà distinte, ma vengono a integrarsi sia nella formulazione logica del giudizio, sia nel momento della comprensione filosofica: all’evoluzione della nozione di intuizione sono dedicati il secondo e il terzo capitolo. Mentre il secondo capitolo, facendo riferimento al contesto di una contrapposizione tra Glauben e Anschauen che chiama in causa Goethe e Jacobi, si concentra su Fede e sapere e su quello che mi è sembrato essere il primo passo di una progressiva integrazione tra intuizione e pensiero, il terzo procede allo studio della nuova funzione dell’intuizione nel quadro della filosofia dello spirito, con una particolare attenzione al suo ruolo nel sapere assoluto.

Infine, prima di procedere alla ricerca vera e propria, una captatio benevolentiae e alcune avvertenze: nonostante la delimitazione della presente ricerca sembri apparentemente ridurre il campo d’indagine a confini tutto sommato ragionevoli e ristretti, che si possano facilmente abbracciare in uno sguardo e riprodurre in modo coerente, in realtà, chi intendesse confrontarsi direttamente con la nozione di Anschauung, anche solo nei testi jenesi, scoprirebbe in fretta di trovarsi di fronte a difficoltà impreviste. Una prima difficoltà consiste nel reperire e nel sistematizzare le informazioni fornite dalla letteratura, che, paradossalmente, sono allo stesso tempo troppe e troppo poche: da una parte, almeno relativamente alla Differenza e ai primi anni di Jena, pressoché ogni studio che abbia affrontato i testi hegeliani non ha potuto fare a meno di notare e commentare la rilevanza del concetto di intuizione: ci si trova davanti a un materiale

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potenzialmente infinito. Dall’altra parte, forse anche a causa delle già menzionate critiche contenute nella Fenomenologia – e comunque nella convinzione che il concetto di intuizione (spesso ricondotto a una semplice, giovanile influenza schellinghiana) sia presto superato –, non esistono lavori che abbiano esplicitamente, direttamente e organicamente a tema la questione dell’intuizione come una questione interna alla filosofia hegeliana; viceversa, ci si trova per lo più a sezionare testi che hanno altri scopi e altri punti di osservazione e che, inoltre, sono spesso eterogenei fra loro per interessi, culture e impostazioni teoriche di riferimento4.

Una seconda difficoltà, ancora maggiore, è però situata nei testi hegeliani. Innanzitutto, il termine Anschauung ricorre con una frequenza sorprendentemente alta in contesti diversissimi: dalla teoria politica all’indagine logica, dalla riflessione sul tempo alla tematizzazione dell’arte, dal confronto con le più importanti filosofie coeve alla ricerca sulle facoltà psicologiche sembra non esserci un ambito in cui l’intuizione non giochi un qualche ruolo. Come se non bastasse, è sufficiente una breve comparazione tra tali occorrenze per rendersi conto di come il termine abbia significati simili ma non immediatamente sovrapponibili; inoltre, a rendere ancora più arduo il compito di identificare un nucleo teorico coerente, con il passare del tempo, il ruolo sistematico e il senso teorico della Anschauung mutano in modo macroscopico. Stante una simile situazione, credo che i compiti di questo lavoro siano fondamentalmente due: in primo luogo, anche solo per una prima, necessaria opera di informazione, dare conto, per quanto possibile, di un tale ampio ventaglio di usi e significati del termine e del concetto.

In questo senso – tanto più a fronte della difficoltà di rintracciare coordinate consolidate nella letteratura secondaria, che rimangono sostanzialmente ancora da costruire –, lasciare la parola a Hegel mi è sembrato doveroso e, in ogni caso,

4 Di fronte a tale quadro, nell’impostazione complessiva e nella delineazione delle coordinate di riferimento

del lavoro ho scelto di attenermi soprattutto a testi che vengono generalmente intesi come punti di riferimento fondamentali nella comprensione dello Hegel jenese (solitamente di provenienza tedesca, italiana e francese); questo significa tuttavia anche che le controversie interpretative sorte nel dibattito contemporaneo (per lo più di stampo anglosassone, a prescindere dalla lingua in cui si esprime), di cui cerco, per quanto possibile, di dare via via notizia, non sono affrontate direttamente.

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necessario per rendere giustizia di un procedere che si sviluppa per molti versi in modo – si licet – incontrollato e implicito.

Sebbene mi sembri che, come spero emerga nel corso del lavoro, alla nozione di intuizione sia ascrivibile una permanente rilevanza all’interno della filosofia hegeliana, e sebbene sia possibile rintracciare una evoluzione coerente, anche se non del tutto lineare, nell’uso e nel significato del concetto – tuttavia, è innegabile che Hegel, a partire da un certo momento in poi, superando il quadro teorico in cui si muoveva inizialmente, abbandoni la riflessione generale a proposito della Anschauung che è invece facilmente rintracciabile nella Differenza. Altrettanto innegabile è però non solo che l’intuizione acquisisca funzioni specifiche in ambiti ben delimitati, ma, soprattutto, che il concetto ricompaia al di fuori di tali ambiti - e spesso in posizioni di grande rilievo per l’architettura sistematica complessiva, senza che a questo corrisponda una esplicita tematizzazione da parte di Hegel.

Questo conduce al secondo compito del presente lavoro: rendere ragione di tali usi non tematizzati, identificando una prospettiva d’insieme e, se possibile, un nucleo teorico coerente, senza i quali, del resto, la semplice opera di informazione rischia di essere sterile.

A tal fine, ho scelto di concentrarmi in particolar modo sul nesso tra intuizione e comprensione sistematica della totalità, tenendo sempre sullo sfondo una domanda: l’intuizione ha un ruolo nel sapere filosofico?

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CAPITOLO I

INTUIZIONE E ESSERE

Fra i fondamentali nodi teorici che, elaborati una prima volta nello scritto sulla Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, tornano a più riprese nell’intera produzione hegeliana, non stanno certamente, almeno a prima vista, i concetti di intuizione e di intuizione trascendentale. Per quanto nel primo scritto a stampa di Hegel l’intuizione assuma infatti un ruolo difficilmente trascurabile, ponendosi per molti versi al culmine della visione sistematica in esso abbozzata, già con Fede e sapere la locuzione «transzendentale Anschauung» scompare del tutto, mentre i noti accenti polemici della Prefazione alla Fenomenologia contro una comprensione intuitiva dell’assoluto sembrano testimoniare, senza alcuna ambiguità, non solo il definitivo abbandono della terminologia ma anche l’avvenuta deposizione di questo tipo di concettualità.

Se però già il contrasto tra il quadro dei primi anni di Jena e l’impostazione fenomenologica meriterebbe di essere spiegato, basta una semplice lettura degli scritti jenesi per constatare come il termine “Anschauung” e il nucleo speculativo ad esso associato ritornino continuamente nella produzione precedente alla Fenomenologia: ne sono testimonianza, oltre ai testi citati, il Sistema dell’eticità, le prime lezioni jenesi, le lezioni sulla filosofia dello spirito, gli articoli pubblicati da Hegel sul Kritisches Journal. Di fronte a una tale ricorrenza, in ambiti e contesti disparati – ma decisivi nell’economia complessiva del pensiero hegeliano –, sembra comunque necessaria una visione d’insieme consapevole, anche per chi volesse affrettatamente liquidare la questione come mera ripetizione di lessico e tematiche schellinghiane, superate al maturare di un pensiero autonomo5.

5 Tanto più che la ricerca ha messo in luce chiaramente come, se di “influenza” si deve parlare, essa sia

quanto meno bidirezionale, in un periodo di condivisione e collaborazione, nel quale si possono però già riconoscere posizioni autonome. Fondamentali al riguardo: K. Düsing, Spekulation und Reflexion. Zur

Zusammenarbeit Schellings und Hegels in Jena, in «Hegel-Studien», 5 (1969), pp. 95-128; Id., Idealistische Substanzmetaphysik. Probleme der Systementwicklung bei Schelling und Hegel in Jena, in Hegel in Jena,

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Contribuire a una prima messa a punto di tale visione d’insieme, che faccia risaltare la rilevanza e la futura incidenza all’interno del pensiero di Hegel6 della problematica

legata alla Anschauung è quindi il compito di questo primo capitolo.

Una identificazione e una definizione del tema sono infatti, in primo luogo, la premessa per capire se il nucleo speculativo esplicitato dal concetto di Anschauung venga mantenuto e/o mutato negli anni e, secondariamente, per dare ragione del curioso slittamento per cui, dalla ragione intuente se stessa come principio di comprensione e di autoproduzione dell’assoluto del 1801, si passi, nel 1807, a un’aspra critica che accomuna la “concezione” intuitiva del vero, il sapere immediato, le pretese

Subjektivität. Zum Paradigmenwechsel Hegels in Jena, in H. Kimmerle (ed.), Die Eigenbedeutung der Jenaer Systemkonzeptionen, De Gruyter, Berlin, 2004.

6 La letteratura sullo Hegel di Jena non ha certo mancato di notare la centralità del concetto di intuizione

per quanto concerne lo scritto sulla Differenza e, in parte, Fede e sapere. Ciò di cui sembra ci sia ancora bisogno è forse invece - assieme a una sua analisi diretta e unitaria che ne restituisca anche l’evoluzione nel tempo - la considerazione della sua valenza sistematica, anche per gli anni posteriori. Per una ricostruzione puntuale e accurata della Differenza, con una particolare attenzione al rapporto tra intuizione e speculazione, si può vedere W. Cerf, Speculative Philosophy and Intellectual Intuition: An Introduction

to Hegel’s Essays, in G.W.F Hegel, The Difference Between Fichte’s and Schelling’s System of Philosophy,

State University of New York Press, Albany, 1977. Per la questione in oggetto rimangono importanti anche: H. Girndt, Die Differenz des Fichteschen und Hegelschen Systems in der hegelschen «Differenzschrift», Bouvier, Bonn, 1965 - a partire dal quale si sviluppa un lungo articolo di R. Lauth che ricostruisce e critica la “posizione speculativa” di Hegel e la sua interpretazione di Fichte: R. Lauth, Hegels spekulative Position

in seiner “Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosophie” im Lichte der Wissenschaftslehre, in «Kant-Studien», 72,4 (1981), pp. 430-489 – e W. C. Zimmerli, Die Frage nach der Philosophie: Interpretationen zu Hegels “Differenzschrift”, «Hegel-Studien», Beiheft 12, Bouvier, Bonn,

1974. È da vedere senz’altro M. Baum, Die Entstehung der hegelschen Dialektik, Bouvier, Bonn, 1989, che, nel secondo capitolo, propone un’analisi della Differenza molto attenta al ruolo dell’intuizione, interpretata generalmente come superamento della dimensione soggetto-oggettiva.

Il più recente commento di Siep, attento soprattutto alla Fenomenologia, minimizza invece la rilevanza dei concetti legati all’intuizione (che riconduce più che altro al legame con Schelling e all’ambito particolare della filosofia della natura) per lo sviluppo del pensiero hegeliano. Cfr. L. Siep, Der Weg der

Phänomenologie des Geistes. Ein einführender Kommentar zu Hegels »Differenzschrift« und »Phänomenologie des Geistes«, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 2000, pp. 43-48 in particolare. Si veda da

ultimo anche B. Sandkaulen, Hegel’s First System Program and the Task of Philosophy, in D. Moyar (ed.),

The Oxford handbook of Hegel, Oxford University Press, New York, 2017, pp 3-30 che si concentra

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del sentimento e della religione – due problemi che saranno trattati più avanti nel presente lavoro.

1. Giudizio e essere.

Per chiarire il senso di un’indagine sul concetto di intuizione nei primi anni della riflessione hegeliana – e se non si vuole che tale indagine si limiti a una analisi ripetitiva e meccanica delle occorrenze del termine – credo sia utile, prima di passare a un’analisi del testo sulla Differenza, dare conto brevemente dei principali problemi teorici, tra quelli connessi al tema della Anschauung, che occupavano la riflessione di Hegel al momento della redazione dello scritto.

Senza affrontare una ricostruzione complessiva della biografia intellettuale di Hegel in questo periodo7, è possibile isolare in particolare il nesso tra soggettività, essere,

giudizio e intuizione: nell’ambito di un dibattito ampio che coinvolgeva Fichte e Schelling e chiamava in causa una molteplicità di tradizioni, da Platone a Bruno, da Hemsterhuis a Cudworth, - ma verosimilmente soprattutto grazie alla spinta di un confronto con Hölderlin8, inizialmente Hegel si pone il problema della relazione tra

pensiero, espressione linguistica e essere.

Riassumendo brevemente e necessariamente semplificando le linee principali di un complesso nucleo teorico-concettuale che sta al centro dell’elaborazione della filosofia tedesca del tempo9 e la cui importanza speculativa - anche per il pensiero

contemporaneo - può difficilmente essere sopravvalutata, si può qui solo menzionare come Hölderlin (come noto grande amico di Hegel, che aveva ritrovato a Francoforte dopo la stretta frequentazione dei tempi dello Stift di Tubinga), nella sua opera poetica,

7 Per la quale cfr. A. Peperzak, Le jeune Hegel et la vision morale du monde, Nijhoff, La Haye, 1960; B.

Bourgeois, Hegel à Francfort, Vrin, Parigi, 1970 e H.S. Harris, Hegel’s development. Toward the sunlight

1770-1801, Oxford University Press, Oxford, 1972.

8 La cui importanza è sottolineata da F. Chiereghin, La relazione del pensare in G.W.F Hegel, Logica e

metafisica di Jena [1804-05], Verifiche, Trento, 1982; pp. 357-365.

9 Per uno studio sul pensiero filosofico di Hölderlin e sui suoi legami con la cultura dell’idealismo tedesco

cfr. Ch. Jamme, F. Völkel, Hölderlin und der deutsche Idealismus, Fromman-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt, 2003.

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in Iperione e, in particolare, in un frammento su Giudizio, possibilità e essere10 risalente al

1795, avesse enunciato la natura intrinsecamente scissa del giudizio, forma necessaria del pensiero umano.

Il giudicare, interpretato anche etimologicamente come “partizione originaria” (Ur-Theilung), viene compreso come l’atto fondante della separazione tra soggetto e oggetto, solo attraverso il quale il pensiero giunge a espressione. La partizione, tuttavia, si contrappone a un momento di unità dell’essere e del soggetto con l’essere che viene irrimediabilmente perso nel discorso. L’intuizione intellettuale (il termine è di origine kantiana) è invece la modalità di comprensione e di enunciazione dell’essere assoluto, nel quale soggetto e oggetto sono in unità.

Tale quadro logico assume, per quanto non in una forma lineare e pacifica - come si evince per esempio dalle differenze nella rappresentazione della polis nelle varie stesure de La morte di Empedocle -, anche una valenza storico-morale, per cui la civiltà greca rappresenta un modello di unità spirituale con l’essere e con la natura, che si riflette in una vita bella e in un ordinamento politico armonioso: attraverso la lente della Antike viene quindi osservato e criticato l’intero complesso della cultura e della società moderne, improntate alla divisione dei saperi e delle facoltà, alla meccanizzazione, alla sottomissione dell’intero dell’uomo sotto leggi innaturali.

Questa impostazione, inoltre, anche attraverso un riferimento alla filosofia di Spinoza11, costituisce il fulcro di una critica alle filosofie di Kant e di Fichte, le quali,

muovendosi in una separazione netta tra pensiero ed essere, tra soggetto e oggetto – alla quale corrisponde una comprensione limitante o errata dell’intuizione -, non possono che riflettere il mondo scisso della modernità.

10 Bodei, facendo propria l’indicazione di M. Franz, Hölderlins Logik. Zum Grundriss von “Seyn, Urtheil,

Möglichkeit“, in «Hölderlin Jahrbuch», 25, 1986-87, pp. 93-124, suggerisce tale titolo al posto del

tradizionale Giudizio e Essere per rendere conto del carattere logico dello scritto. Cfr. R. Bodei, Hölderlin:

la filosofia e il tragico, in F. Hölderlin, Sul tragico, Feltrinelli, Milano, 1989. F. Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe, Hrsg. von M. Knaupp, München-Wien, Hanser Verlag, 1992, vol. 2, pp. 49-50.

11 Sul ruolo della filosofia di Spinoza per una critica al kantismo nel pensiero di Hegel e Hölderlin in questa

fase cfr. Ch. Jamme, “Ein ungelehrtes Buch”. Die philosophische Gemeinschaft zwischen Hölderlin und

Hegel in Frankfurt 1797-1800, Hegel Studien, Beiheft 23, Bonn, 1983, pp. 99-101. Il libro è da vedere in

genere per un’ampia ricostruzione, storicamente dettagliata, del rapporto intellettuale tra Hegel e Hölderlin nel periodo di Francoforte.

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La questione se in Hölderlin la rottura di una unità originaria sia da intendersi come un progresso o come una decadenza, se la Sehnsucht verso tale unità originaria rimanga la nostalgia di un passato inevitabilmente perduto o dia forma a un orizzonte verso il quale tendere, se il discorso in genere sia o meno un tradimento e non rappresenti invece addirittura una precondizione per tornare a comprendere l’unità dell’essere – o se si possa addirittura parlare di una unità originaria e di una sua rottura – non può qui essere affrontata: è in ogni caso indubbio che, a questa altezza, il complesso dei problemi originati dal rapporto tra pensiero - o giudizio - e essere si presentava a Hegel in termini simili a quelli dell’amico e compagno di studi e che Hegel stesso ne comprendeva pienamente e sviluppava con originalità le implicazioni logiche, metafisiche, storiche, estetiche e politiche.

A questo proposito, nel grande numero di scritti giovanili che toccano la questione, è in particolare degno di nota, anche per la vicinanza ai termini hölderliniani, un frammento pubblicato da Nohl con il titolo di Glauben und Sein (a cui è ora stato attribuito il numero 42 nell’edizione critica), che si concentra proprio su essere, giudizio e intuizione12. Questo breve testo, infatti, non dà solo conto del perdurante

interesse di Hegel per tali temi, ma espone con chiarezza una posizione che, rappresentando per molti versi un unicum nella produzione hegeliana13, è utile a

12 L’edizione critica, basandosi su delle macchie d’acqua e sull’uso della stessa carta per un altro testo

datato 24 Luglio 1795, colloca il frammento tra il 1795 e il 1796. Cfr. GW, II, 10-13 per il testo e GW, II, 634 per la datazione. Questa indicazione contraddice e confuta definitivamente Schüler, che, in quello che è stato lo studio di riferimento a proposito della cronologia degli scritti giovanili hegeliani fino all’edizione critica, lo aveva invece attribuito – seguendo Nohl e una indagine sulla grafia – al periodo francofortese. Cfr. G. Schüler, Zur Chronologie von Hegels Jugendschriften, in «Hegel-Studien», 2, 1963, pp. 111-160, in particolare pp. 131 e 146-47.

13 In un breve ma denso saggio che, mettendolo a confronto con le posizioni sostenute in Fede e Sapere, ne

sottolinea in modo convincente il rapporto con una concettualità aristotelica, Menegoni ha definito il frammento 42 un «hapax legomenon nella terminologia e nella sistematica hegeliana» (p. 563). Cfr. F. Menegoni, Da Glauben und Sein a Glauben und Wissen, in R. Bonito Oliva, G. Cantillo, Fede e Sapere.

La genesi del pensiero del giovane Hegel, Guerini e Associati, Milano, 1998. La nuova collocazione

cronologica stabilita dall’edizione critica (non ancora apparsa al tempo del saggio di Menegoni), oltre a essere una preziosa indicazione per ricostruire il dialogo con Hölderlin (il cui frammento su Giudizio,

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illuminare la cornice di riferimento della questione e a mostrare una prima tappa del percorso compiuto da Hegel.

Nell’ambito della riflessione giovanile a proposito della religione – e in particolare di una critica della religione positiva come strumento di oppressione –, Hegel definisce l’essere come «unificazione» e porta come prova, in un contesto argomentativo che ha fatto pensare ad Aristotele come fonte di ispirazione, la funzione unificatrice della copula nel giudizio:

Unificazione ed essere sono sinonimi [Vereinigung und Seyn sind gleichbedeutend]; in ogni proposizione infatti la copula “è” esprime l’unificazione di soggetto e predicato, cioè un essere. L’essere può essere solo creduto; credere presuppone un essere […] Questa indipendenza, l’assolutezza dell’essere, è ciò contro cui si urta; esso deve sì essere, ma dal fatto che è non deriva che sia per noi […] Ciò significa che è possibile, è pensabile un qualcosa a cui tuttavia noi non crediamo […] dalla pensabilità non consegue l’essere. Certo esso è in quanto pensato; ma un pensato è un separato, opposto al pensante; esso non è un essente.14

In questo breve passo, che nella rilevanza attribuita alla fede per comprendere l’essere riflette sicuramente una lettura delle opere di Jacobi15, sono da segnalare alcuni punti.

In primo luogo, contrariamente a quanto avviene nel frammento di Hölderlin e a quanto sosterrà Hegel più tardi, qui il giudizio conduce all’unificazione degli opposti e la forma proposizionale è sinonimo dell’essere: anticipando una delle posizioni più note dello Hegel maturo, si potrebbe credere che essere e pensiero siano parificati e complementari.

rilevata da Menegoni per quanto riguarda le concezioni dell’essere e del giudizio, tra le posizioni espresse in questo testo e ciò che Hegel sostiene nei primi scritti jenesi.

Il frammento è preso a riferimento come testimonianza di un primo passo della riflessione hegeliana sull’essere, sul linguaggio e sulla metafisica anche in un importante articolo di Pöggeler su La concezione

del sistema a Jena. Cfr. O. Pöggeler, L’idea di una fenomenologia dello spirito, Guida, Napoli, 1986, pp.

157-158.

14 GW, II, 11. Traduzione italiana in N. Vaccaro, E. Mirri (a cura di), G.W.F. Hegel, Scritti teologici

giovanili, Guida, Napoli, 1977, pp. 532-533.

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In realtà, tuttavia, il senso di questo testo è ben diverso: almeno in prima battuta, in una concezione tradizionale, il pensiero è inteso come l’attività di una particolare specie animale e non come principio di movimento del reale. L’essere, specularmente, è ciò che, di fronte al pensiero e all’attività o alla coscienza dell’uomo in genere, rimane indipendente e sussiste assolutamente16.

Questa prospettiva binaria è però complicata dal fatto che, già a questa altezza, Hegel non concepisce l’essere come una datità, come un oggetto fisso, ma come attività di unificazione. Per questo motivo, anche in un testo nel quale si pone l’enfasi sul Glauben e sulla rappresentazione come modalità immediate, puntuali di comprensione dell’essere, il momento discorsivo, proposizionale è ritenuto fondamentale nella sua enunciazione e l’essere viene compreso anche come giudizio17.

Date queste premesse, si presentano però due problemi della massima rilevanza, che danno forma alla futura riflessione di Hegel sul ruolo dell’intuizione e su questi temi in genere.

Il primo problema può essere espresso nei termini seguenti: se l’essere è unificazione, se l’unificazione è espressa nel pensiero proposizionale e se il pensiero è tuttavia l’attività limitata di uno specifico soggetto – per così dire dell’animale razionale - che cosa garantisce lo statuto di assoluta indipendenza dell’essere? Come si può avere certezza che ciò che viene pensato come essere, effettivamente sia e non sia invece una mera finzione umana? Come provare che l’attività di unificazione sia un tratto del reale e non il modo di procedere di un tipo particolare di intelletto?

Prima di accennare alla soluzione prospettata in questo testo, bisogna notare come Hegel, vicino in questo alla polemica hölderliniana contro il pensiero astratto che si separa dalla vita, approfondisca ulteriormente la questione, sviluppando una analisi radicale a proposito della natura del pensiero e della sua capacità, nonostante il comune tratto unificante, di rendere presente e enunciare l’essere: il pensiero si struttura infatti nella separazione necessaria tra la propria attività, detta semplicemente “pensiero” e il risultato di tale attività, ovvero il pensato.

16 Lo testimoniano i numerosi passaggi in cui si parla dell’indipendenza dell’essere di fronte a «noi». 17 Le altre forme di unificazione dell’essere nominate in questo scritto sono l’intuizione e la fede, di cui

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In questo senso, l’attività del pensiero è ciò che produce l’unificazione tra due elementi di per sé insussistenti – soggetto e predicato – e, in quanto azione, è così identica all’essere: i due elementi di una antinomia sono comparati, avvicinati l’uno all’altro, e quindi unificati nel giudizio.

Il mero atto del pensiero sarebbe tuttavia indicibile se non precipitasse in un oggetto, nella proposizione che fissa e rende visibile l’unificazione: una pura attività in quanto tale non è concepibile e il pensiero dà inevitabilmente luogo a un pensato (al risultato del suo proprio agire).

Tuttavia, Hegel nota subito che mentre il pensiero «è una unificazione», è immediatamente uguale all’essere e a ciò che sta pensando, il pensato (la proposizione, ma anche il prodotto del pensiero come complesso di argomentazioni) è «un separato»18: l’attività unificante di due elementi distinti rende possibile l’enunciazione

dell’essere, ma, proprio nel fatto dell’enunciazione, produce di nuovo una singolarità, un atomo che non ha legame né con l’attività che lo ha formato né con la totalità delle connessioni in cui consiste l’essere.

Proprio questa natura di – per usare una terminologia con cui Hegel connoterà successivamente tale fenomeno – “astrattezza” del pensiero introduce il secondo problema, che si somma e si integra alle domande poste più sopra: l’essere si dice attraverso l’attività di unificazione del pensiero, ma l’unico modo in cui tale attività si esprime è quello di dar forma a qualcosa che non è19.

Hegel riproduce a questo proposito anche un’argomentazione di stampo aristotelico20, attribuendo all’atto di unificazione uno statuto diverso da quello della

18 GW, II, 11 [trad. it. 533]

19«[…] un pensato è un separato [ein Gedachtes ist ein Getrenntes], opposto al pensante; esso non è un

essente [es ist kein Seyendes]». «Ora il pensato in quanto separato deve essere unificato, e solo allora può essere creduto; il pensiero è una unificazione [der Gedanke ist eine Vereinigung] e viene creduto; ma il pensato non lo è ancora» GW, II, 11 [trad. it. 533].

20 Il riferimento è alla dottrina per cui ogni argomentazione deve procedere da un principio indimostrato.

Cfr. in particolare Aristotele, Analitici posteriori, I, 2: «Se pertanto il conoscere è quale abbiamo posto [sillogistico, dimostrativo], è necessario anche che la conoscenza apodittica proceda da cose vere, prime, immediate, più note, anteriori e cause della conclusione: ché in questo modo i principi saranno propri di ciò che si dimostra. Infatti un sillogismo potrà esserci anche senza queste cose, ma una dimostrazione non potrà esserci: ché non si farà scienza.[…] E il sillogismo deve procedere da cose prime anapodittiche, poiché

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dimostrazione: mentre quest’ultima si struttura in una serie infinita di condizioni, l’unificazione è indimostrata.

Come si vedrà più nel dettaglio da un’analisi dei testi successivi, sebbene espresso in modi diversi, questo statuto contraddittorio e paradossale del pensiero - il suo intrinseco legame con l’essere, ma allo stesso tempo il necessario irrigidimento della propria attività in una forma fissa che si separa dal movimento della vita e ne tradisce il carattere - rimarrà al fondo della filosofia hegeliana come un problema di prima importanza.

Per tornare al testo, in ogni caso, Hegel si trova di fronte a un doppio problema: da una parte, provare la fondatezza del riferimento del pensiero all’essere, dall’altra uscire dal paradosso per cui il pensiero discorsivo, attraverso il quale esemplifica e illustra la natura dell’essere, produce in realtà un «non essente».

Nella prospettiva generale del frammento, il nodo è sciolto grazie al fatto che, se l’essere è sinonimo di unificazione, tuttavia le forme di unificazione sono più di una: oltre al pensiero, vi sono infatti almeno anche l’intuizione e la fede.

Mentre l’intuizione viene nominata solo in modo cursorio come il tipo di unificazione caratteristico della religione, la fede al contrario assume un ruolo privilegiato nell’espressione dell’essere: «l’essere può solo essere creduto [Seyn kan nur geglaubt werden]»21. Il senso di tale espressione è presto detto: la fede, che si muove nella rappresentazione (Vorstellung), consente, al contrario del pensiero, una unità immediata tra il soggetto e l’oggetto, o – per parafrasare Hegel – tra il “creduto” e il “credente”. L’atto del credere non necessita infatti di nessuna attività del giudizio né tantomeno di una dimostrazione o di una limitazione a un oggetto: la sottomissione della pura fede a un oggetto o a dei principi esteriori è piuttosto la caratteristiche della «religione positiva», qui criticata da Hegel come in tutti gli scritti giovanili.

altrimenti non le si conoscerà, non avendone una dimostrazione.»; «Di un principio immediato del sillogismo chiamo tesi quella che non è possibile dimostrare». Per una lettura che riporti questi passi a una distinzione tra intuizione (nous) e argomentare discorsivo e veda quest’ultima come una chiave di lettura per la comprensione di Aristotele in genere cfr. V. Kal, On intuition and discursive reasoning in Aristotle, E. J. Brill, Leiden 1988, in particolare pp. 9-17; 21-22; 31-35.

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Se tutto sommato non sorprende che, all’interno del quadro ricostruito, Hegel, per spiegare un rapporto diretto con l’essere che non necessiti di argomentazione, faccia ricorso a modalità di comprensione altre dal pensiero e che tali modalità siano la fede e l’intuizione (i precedenti - da Aristotele a Jacobi – sono numerosi), bisogna sottolineare come questo avvenga in un senso ben preciso: il tentativo di concepire l’essere come un movimento, un’attività di unificazione.

Senza procedere oltre in una analisi approfondita di questa posizione e della sua tenuta argomentativa e senza attribuirle una portata teorica eccessiva, si può quindi iniziare una ricostruzione dei problemi che ruotano attorno all’intuizione negli anni dello scritto sulla Differenza (1801) tenendo sullo sfondo il nucleo teorico appena prospettato.

2. La critica a Kant e a Fichte.

Finalmente giunto a Jena dopo un periodo di studio nel quale un radicato interesse storico-politico aveva guidato la sua curiosità per i vari aspetti delle scienze, Hegel si interroga sulla possibilità di un sapere che riesca ad esprimere la totalità vivente del reale22.

Egli sente il bisogno di dare forma sistematica alle proprie conoscenze e di fornire loro adeguato fondamento teorico: il primo punto di riferimento filosofico per questa

22 Sulla nozione di vita e su come essa si intersechi con la nozione di pensiero nella filosofia hegeliana in

genere, si possono vedere A. Sell, Der lebendige Begriff, Karl Alber Verlag, München, 2014, e L. Illetterati,

Vita e concetto. Hegel e la grammatica del concetto, in via di pubblicazione in «Il Pensiero», che affronta

la tematica nel dettaglio per quanto riguarda lo Hegel giovanile, mostrando come essa sia al centro di tutta la cultura filosofica tedesca del tempo. Oltre ai testi menzionati qui e più sopra, per una ricostruzione complessiva degli anni di Jena, della redazione dello scritto sulla Differenza e dello sviluppo del pensiero dialettico di Hegel si possono vedere: G. Cantillo, Hegel a Jena: dall’ideale degli anni giovanili

all’elaborazione del Gesamtsystem, Napoli, 1979; K. Düsing, Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik: systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchungen Zum Prinzip des Idealismus und zur Dialektik, Hegel-Studien, Beiheft 15, 1984; O. Pöggeler, L’idea di…cit., di cui Hegels Idee einer Phänomenologie des Geistes, Alber, München, 1993 costituisce la versione aggiornata, e L. Lugarini, Hegel dal mondo storico alla filosofia, Guerini, Milano, 2000.

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nuova attività è l’amico Schelling, che lo aveva invitato a Jena e con cui condivide la casa per un certo periodo.

La filosofia kantiana è invece il vero e proprio campo di battaglia su cui si svolge la discussione filosofica, la quale raggiunge da tutte le parti toni particolarmente aspri: la polemica sul presunto ateismo di Fichte (che adombrava l’accusa di giacobinismo), risalente ad appena due anni prima, si era conclusa con le dimissioni “forzate” del filosofo dall’università di Jena; Kant stesso usa parole al veleno contro i propri pretesi successori, sconfessando Fichte; Schelling lancia accuse di «imbecillità», Hegel ritiene necessaria una «cauterizzazione» tramite manganelli e fruste per riportare sulla retta via la ricerca filosofica, mentre testi di forte tensione ideale come Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, o come le stesse invettive giovanili hegeliane contro il conservatorismo che riduceva la “rivoluzione” kantiana alla teologia, testimoniano che il dibattito teorico si sviluppava - sullo sfondo gli avvenimenti francesi - nell’ambito di un contrastato, acuto sentire politico-morale e aveva talvolta risvolti del tutto pratici.

In questo quadro, la polemica contro Fichte contenuta nello scritto sulla Differenza è, tra le altre cose, la critica di un pensiero che si costituisce in contrapposizione al mondo e alla natura, e che, nel tentativo di dirsi assolutamente libero, si restringe in realtà in un campo chiuso e ben delimitato.

Le implicazioni della pretesa autosussistenza del pensiero astratto – per lo Hegel storico in erba del Cristianesimo, studioso di storia e arte greca, attento e partecipe osservatore della Rivoluzione francese e dei suoi sviluppi, lettore di Ferguson e di Adam Smith, appassionato seguace di Goethe – sono molteplici: esso non permette di concepire l’unità bella della vita né di dare forma a una morale pienamente umana o a uno Stato che non sia solo dominio meccanico23.

Questo breve accenno – a un quadro peraltro noto e consolidato da tempo, anche se non sempre ricordato – è necessario per comprendere la portata complessiva dello

23 Nella vastità dei contributi, nonostante gli inevitabili segni del tempo e qualche innegabile unilateralità,

il classico G. Lukacs, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Einaudi, Torino, 1975 resta un testo chiave per la comprensione della formazione del pensiero filosofico di Hegel nel rapporto con le tensioni della propria epoca – questo anche nonostante il fatto che, in una linea interpretativa originata con Haym e allora comune, la Differenza sia in genere letta come un testo di impronta schellinghiana.

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scritto sulla Differenza, nel quale Hegel, inserendosi per la prima volta nel dibattito filosofico contemporaneo, non solo, in polemica con Reinhold e Bardili, traccia una linea di demarcazione tra le due diverse formulazioni dell’idealismo di Fichte e di Schelling, ma, come ricostruito dalla letteratura secondaria – che si è col tempo sempre più affrancata dall’immagine tradizionale di uno Hegel semplice ripetitore di posizioni schellinghiane -, espone un primo tentativo di sistemazione autonoma del proprio pensiero.

Come si struttura, però, in modo più determinato, l’astrattezza soggettiva del pensiero di cui si è detto sopra? Quale modello speculativo le contrappone Hegel?

Dopo essersi preliminarmente richiamato a Kant, e in particolare alla deduzione delle categorie, nella quale ravvisa il puro principio speculativo di un autentico idealismo, Hegel muove a considerare l’opera di Fichte, che ritiene ispirata dal giusto compito di portare alla luce lo «spirito» della filosofia kantiana24.

Kant, si legge, ha espresso l’identità di soggetto e oggetto, il principio dell’idealismo trascendentale (che Hegel accoglie come principio della sua propria filosofia), ma, limitandolo a dodici (arbitrarie) categorie del pensiero, ne ha tradito lo spirito. Tradimento e limitazione sono dovuti al fatto che il principio unitario è pensato secondo i canoni dell’intelletto, ovvero di una facoltà operante a un livello logico subordinato, che si struttura implicitamente e necessariamente nella contrapposizione

24 GW, IV, 5. Le traduzioni italiane dello scritto sulla Differenza e di Fede e sapere sono sempre tratte da

G.W.F. Hegel, Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Mursia, Milano, 1971. Su tale richiamo a Kant è giusto insistere: il tono generalmente critico non può impedire di far notare come, in queste pagine introduttive, Hegel si dichiari implicitamente prosecutore dell’opera del filosofo di Königsberg e abbozzi una prima interpretazione della deduzione delle categorie che, pur rimanendo sotto traccia, ispira l’elaborazione teorica della Differenza. Sul problema Hegel tornerà distesamente in Fede e sapere. Su intuizione, immaginazione e Deduzione kantiana, con particolare riferimento a Fede e sapere, cfr. V. Verra, Immaginazione trascendentale e intelletto intuitivo, in V. Verra (ed.), Hegel interprete di Kant, Prismi, Napoli, 1981. E. Förster, Die Bedeutung von §§ 76,77 der Kritik der Urteilskraft für die

Entwicklung der nachkantischen Philosophie, in «Zeitschrift für philosophische Forschung», 56,2(2002),

pp. 169-190 (parte 1) e 56,3(2002), pp. 321-345 (parte 2), ricostruisce le diverse linee di evoluzione della filosofia tedesca a partire dalle diverse comprensioni dell’intelletto intuitivo kantiano e chiarisce il senso dell’intuizione intellettuale in Hegel mostrando la rilevanza della mediazione di Goethe. Sul rapporto tra i due filosofi, non immediatamente riconducibile all’immagine fornitane da Hegel, si è concentrato A. Ferrarin, Il pensare e l’io. Hegel e la critica di Kant, Carocci, Roma, 2016.

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tra soggetto e oggetto, tra pensiero ed essere, e che si trova quindi già sul piano della scissione caratterizzante il mondo presente.

Analoga è la critica al sistema di Fichte: in esso Hegel ravvisa il tentativo di porre il principio unitario al vertice dell’intera realtà e di comprendere quindi razionalmente, come pervase da una vita logica, le forme del reale. Tuttavia, con il riemergere di una logica intellettualistica, principio e sistema, principio e forme della realtà non sono pensati come un unico movimento, ma separati l’uno dall’altro e compresi secondo categorie che presuppongono e riflettono la scissione (in particolare, Hegel critica la nozione di causa).

Si intrecciano due movimenti: da una parte, l’intelletto, pretendendosi giudice su una giurisdizione che non può interpretare, si fa metro di comprensione del principio di identità e ne tradisce la validità assoluta, riducendolo ad attività del «puro pensiero»25,

separandolo dall’essere e ponendolo intrinsecamente come altro rispetto al reale. Dall’altra, tale alterità comporta necessariamente la rappresentazione di un rapporto tra principio e ambito della sua realizzazione, tra uno e molteplice, tra ragione e mondo della finitezza26. La prima diviene una facoltà pratica che tende infinitamente alla

produzione di sé nel mondo, il secondo un aggregato di singolarità insensate, che attendono l’imposizione di una legge esteriore (violenta nella polis, brutta nella natura) per essere anche solo concepite: separazione e bisogno di riunificazione si fanno costitutivi.

In definitiva, le filosofie di Kant e di Fichte, proprio in quanto non riescono a emanciparsi dalla logica dell’intelletto, costituiscono loro malgrado un momento essenziale della scissione che allontana la filosofia dalla comprensione della totalità vivente: concepire ed esporre coerentemente l’identità di soggetto e oggetto, giustificando allo stesso tempo la loro comparsa, si rivela un tratto essenziale del «compito della filosofia». Ciò sarà però possibile solo a patto di abbandonare la dimensione soggetto-oggettiva in cui si muove l’intelletto, ovvero a patto di risalire a una logica originaria rispetto alla stessa dicotomia – e quindi rispetto alla strutturazione categoriale – che gli è propria.

25 GW IV, 6.

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Tuttavia è necessario fare un passo ulteriore e comprendere il motivo per il quale la filosofia in genere corra intrinsecamente il rischio di porsi come separata e di venire meno alla sua stessa tensione unificante.

Il sapere, che, nello scritto sulla Differenza, è distinto dalla filosofia, ha un «lato negativo» (la riflessione) che consiste nell’annullamento del determinato: ogni determinato, ogni finito viene compreso come momento intrinsecamente condizionato, logicamente astratto, opposto rispetto alla condizione della sua propria esistenza e quindi in sé insussistente. Questo permette di disarticolare l’orizzonte del dato (culturale o naturale) e di riformularlo in un «intero organico di concetti, la cui legge suprema è la ragione»27. Ciò che prima si presentava come una somma di atomi irrelati

viene ricompreso in una organizzazione, in cui ogni singolo è legato agli altri e al tutto: ciò permette, secondo Hegel, di giustificare e comprendere i momenti particolari, i quali, grazie al procedere della riflessione, divengono parte di un movimento più ampio (l’assoluto). È questa la libertà e il potere del pensiero, grazie al quale l’assoluto viene «costruito per la coscienza»28.

In tale formula si trova però una contraddizione: l’opera della riflessione – ovvero del lato negativo del sapere – presuppone l’attività libera della coscienza come attore separato, prima disgregante e poi ricostituente. Paradossalmente, proprio il tendere verso la totalità si rivela massimo fattore di opposizione e di astrazione: la coscienza, per il suo potere di liberazione, si costituisce come indipendente e rivendica una autosussistenza assoluta, rimuovendo il non identico su cui riposa; essa costituisce una totalità del pensiero che si vuole indipendente e assolutamente fondata, senza tenere conto di ciò che è presupposto alla sua propria attività.

La logica soggiacente a questo procedimento e il suo possibile superamento vengono esposti attraverso la critica della possibilità che una «proposizione fondamentale assoluta», prodotta dalla riflessione, stia alla base di un sistema filosofico. La critica è introdotta da un riferimento a Spinoza, ma, sia la forma dell’argomento, sia la citazione della pura attività del pensare e della deduzione del suo contrario29, sia il

27 GW, IV, 23. 28 GW, IV, 16. 29 GW IV, 26-27.

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titolo generale della sezione (Diverse forme presenti nel filosofare attuale), testimoniano che, in un accostamento comune per la cultura del tempo30, essa è rivolta in primo luogo

a Fichte.

Compendiare il principio dell’identità in A=A, argomenta Hegel, «ha soltanto il significato dell’identità intellettuale, dell’unità pura, cioè di un’unità tale che in essa si fa astrazione dall’opposizione».31

Proprio nel dire A=A, infatti, si è fatto astrazione dalla differenza di A con se stesso (A≠A): questa tesi ha almeno due livelli di comprensione.

Il primo, formale, è che la posizione, l’identificazione, riposa necessariamente sulla distinzione, la quale viene, per così dire, allo stesso tempo nascosta e svelata nell’atto affermativo: A è logicamente impossibile (neppure aprioristicamente enunciabile) se non viene tenuto fermo, se non si distingue da sé come A che viene affermato, afferrato; se non viene espresso come soggetto-oggetto di se stesso – l’identico è in sé internamente scisso32.

Il secondo, concreto, e trascendentale è che ciò che viene pensato puramente, la pura identità, l’unità realizzata dalla coscienza, il tutto della riflessione di cui si è detto più sopra, è sempre, di necessità, astrazione da un non pensato. Hegel, infatti, non considera valida l’argomentazione sopra ricostruita solo ad un livello di logica proposizionale,

30 Non è qui possibile accennare alla complessa questione gravitante intorno a Spinoza nella filosofia

classica tedesca, né all’influsso che le jacobiane lettere Sulla dottrina di Spinoza sembrano esercitare sulla critica hegeliana al procedere della riflessione sopra ricostruita: basti rimandare, per quanto riguarda l’accostamento con Fichte, all’epistolario hegeliano (in particolare alle lettere di Hölderlin a Hegel del 26 Gennaio 1795 e di Schelling a Hegel del 4 Febbraio 1795) e alle celebri accuse di «spinozismo rovesciato» che Jacobi rivolge alla filosofia fichtiana nella Lettera a Fichte (1799). Sull’accostamento Spinoza-Fichte cfr. G. Zöller, Fichte als Spinoza, Spinoza als Fichte. Jacobi über den Spinozismus der Wissenschaftslehre, in W. Jaeschke, B. Sandkaulen (a cura di), Friedrich Henrich Jacobi: ein Wendepunkt der geistigen Bildung

der Zeit, Meiner, Hamburg, 2004. Sulla storia e sul significato teorico dello spinozismo per la filosofia

classica tedesca si possono leggere le belle pagine dedicate al tema in E. Förster, Die 25 Jahren der

Pilosophie: eine systematische Rekonstruktion, Klostermann, Frankfurt am Main, 2011.

31 GW, IV, 25.

32 La ragione «postula anche il porre di ciò da cui nella pura uguaglianza veniva fatta astrazione, il porre

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ma la ritiene fondamentale per intendere la natura stessa del pensiero riflessivo e della coscienza.

Il «non pensato» di un’unità identica (quello che nella espressione formale è il movimento che fonda A) indica così sia – per quanto in subordine – la materia33 (il

dato da cui la «pura attività» annichilente dell’io riflettente ha dovuto liberarsi per dirsi tale), sia – più in generale e fondamentalmente – la differenziazione da sé dell’assoluto. Ritorna qui la differenza sostanziale tra pensiero e pensato che si era vista a proposito del Frammento 42: l’attività dell’assoluto deve strutturarsi e fissarsi in un prodotto che la renda dicibile, il quale, tuttavia, proprio in quanto prodotto, è separato dall’assoluto stesso e astratto rispetto al suo movimento generale.

La riflessione degli anni di Francoforte non è però passata senza lasciare traccia: in un capovolgimento del quadro, il “non pensato” di ogni prodotto del pensiero, ciò da cui qui la coscienza astrae per dirsi una, non è più, come nel testo giovanile, l’unità sostanziale presupposta o l’attività di unificazione del pensiero che solo esteriormente corrisponde a quella dell’essere, ma viene invece identificato con un movimento, con la partizione in due tra pensiero ed essere che rende possibile il discorso, e quindi l’esercizio della «sintesi» della coscienza stessa.

In questo senso, bisogna notare in primo luogo come quella che era l’attività di unificazione venga qui deputata alla coscienza, di cui – sotto il nome di attività di sintesi – costituisce il tratto fondante e, secondariamente, che l’attività di sintesi o di unificazione è ormai completamente svincolata dal riferimento a una unità “sostanziale” che la preceda. Viceversa, la sintesi diventa essa stessa il momento di un movimento più ampio – quello dell’assoluto – che si esplica nelle due facce dell’identificazione e della differenza.

Conseguentemente, è superata ogni prospettiva naturalistica (o semplicemente bipartita) a proposito del pensiero e della coscienza e del loro rapporto con l’essere: se in precedenza l’essere e l’attività riflessiva dell’uomo venivano tenuti distinti e contrapposti come due entità sussistenti di per sé, nella Differenza è chiaro come essi siano due momenti della stessa attività.

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La coscienza non è infatti un primum precostituito (e quindi fatalmente opposto al proprio oggetto), ma un passaggio – necessario – di un processo più ampio attraverso il quale l’assoluto scindendosi viene detto, ovvero appare a se stesso e si fa cosciente: la coscienza è momento dell’assoluto.

Nella posizione qui ricostruita, che testimonia già di un notevole sviluppo della posizione hegeliana, sono impliciti altri due nodi teorici, che accenno adesso e approfondisco nel prosieguo del testo: il primo riguarda la comprensione hegeliana dell’indagine trascendentale.

Se salta subito all’occhio la ricorrenza dell’aggettivo “trascendentale” nella Differenza, bisogna sottolineare come, in questo testo, il sapere filosofico compiuto sia per Hegel «sapere trascendentale»34 e dare una prima spiegazione di tale espressione: nel risalire

alle condizioni della conoscenza, l’intenzione hegeliana non si discosta in genere da quella kantiana, ma tale compito viene compreso da Hegel come risolvibile solo a patto che oggetto dell’indagine siano le condizioni di possibilità del pensiero stesso. Se infatti la presupposizione acritica della distinzione tra pensiero ed essere è già un ostacolo alla comprensione del reale, il sapere trascendentale è per Hegel il sapere che ha mostrato e giustificato il sorgere di tale distinzione. In questo senso, la coscienza è compresa solo come momento di un processo più ampio e non presupposta come un dato. Come si vedrà, in un passaggio ulteriore, questa prospettiva comporta l’introduzione di una nuova dimensione logica che possa dire pensiero ed essere prima della loro distinzione.

Il secondo nodo teorico concerne lo statuto ambivalente dell’assoluto: da una parte, esso, in quanto “costruito” dalla coscienza, necessita del pensiero soggettivo per essere inteso, sviluppato attraverso la riflessione. Dall’altra, non solo, come visto, l’identificazione, l’oggettivazione condotta dal pensiero è intrinsecamente un momento di rottura rispetto all’assoluto inteso come attività, ma l’assoluto è definito come un movimento che trascende il pensiero soggettivo e la coscienza stessi: unità – non cosciente (perché logicamente prioritaria alla coscienza) e non soggettiva – di pensiero ed essere.

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3. L’intuizione trascendentale.

Fino a qui, schematicamente, la ricostruzione della critica alle filosofie precedenti e i principali punti della posizione hegeliana in questo momento: a partire da qui, Hegel sviluppa un diverso modello di sapere – il sapere trascendentale – in cui intervengono con un ruolo chiave le nozioni di intuizione trascendentale e sistema.

Per fugare ogni possibile fraintendimento, bisogna però fare una premessa: ciò che Hegel nomina in queste pagine con il termine “intuizione” non è una facoltà, né un modo (tantomeno un modo immediato) del rapporto tra soggetto conoscente finito e assoluto inteso come oggetto infinito del conoscere: «all’intuizione non si può chiedere neppure di essere un opposto all’idea o meglio alla necessaria antinomia. L’intuizione, che è opposta all’idea, è un’esistenza limitata, proprio perché esclude l’idea»35.

Un rapporto immediato con l’idea viene piuttosto attribuito alla fede, da Hegel esplicitamente contrapposta all’intuizione: «la fede non esprime il sintetico del sentimento o dell’intuizione […] ma ha mantenuto ancora la forma della separazione» 36. Non solo:

si trova già qui l’accenno di una polemica contro il sapere immediato che sarà ampliata in Fede e Sapere e nella Prefazione alla Fenomenologia. Hegel critica «l’immediata certezza della fede»37 e la Schwärmerei «che trasforma in un opposto l’identità assoluta»38; con

entrambe il sapere dell’intuizione non ha evidentemente niente a che fare, rappresentando invece una strada del tutto alternativa.39 Intuizione e comprensione

35 GW, IV, 29.

36 GW, IV, 21. Corsivo mio. É da notare che l’aggettivo “immediato” non accompagna mai l’intuizione

nella Differenza e che essa è invece caratterizzata qui come ciò che esprime il “sintetico”.

37 GW, IV, 21. 38 GW, IV, 63.

39 Mi sembra per questo motivo complessivamente fuori fuoco la polemica intorno alla distinzione tra

intuizione e concetto nata da M. Wildenauer, The Epistemic Role of Intuitions and their Forms in Hegel’s

Philosophy, in «Hegel-Studien» 38 (2003), pp. 83-104 che critica R. B. Pippin, Hegel’s Idealism: The Satisfactions of Self-consciousness, Cambridge University Press, 1989. Pippin, rigettando in toto la

ricostruzione del suo proprio libro fornita da Wildenauer, nega di aver attribuito ad Hegel l’eliminazione di una distinzione tra le due facoltà e sostiene piuttosto che la novità della filosofia hegeliana rispetto a Kant

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immediata dell’assoluto, intuizione e rapporto irrazionale con il vero, intuizione e fede – è bene sottolinearlo – non hanno, almeno in questo testo, niente a che fare: si tratta di comprendere allora che cosa Hegel indichi con tale termine e perché vi accosti l’aggettivo trascendentale.

Mentre la riflessione, come visto, è il «lato negativo» del sapere e le filosofie di Spinoza, Kant, Fichte si sono arrestate ad essa, l’intuizione trascendentale costituisce il «lato positivo», che esprime la differenziazione da sé dell’assoluto, solo implicitamente presupposta dalla riflessione – della quale colma l’unilateralità –, dando quindi forma alla » e al sapere trascendentale40.

Come visto, la riflessione, che ha sempre un oggetto da analizzare, è inevitabilmente parziale, non capace di spiegare né la propria comparsa né quella di ciò che nega. Non solo: la totalità da essa riorganizzata, proprio per la forma astraente, negante, del suo apparire, si pone come un opposto rispetto al proprio non pensato.

Risulta così necessario introdurre una modalità di comprensione che risalga all’unità di pensiero ed essere e quindi dica le condizioni di possibilità del pensiero riflessivo.

Di questo compito si fa carico l’intuizione trascendentale: quali sono i caratteri di quello che Hegel dice «lato positivo» del sapere?

Esprimere l’unità di pensiero ed essere significa, in un primo approccio, comprendere la dinamica di oggettivazione di sé dell’assoluto già vista nella critica a Fichte: pensiero

sia «nel modo in cui noi pensiamo gli oggetti non empirici e la loro oggettività» (p. 37). Egli critica inoltre l’interpretazione fornita da Wildenauer per cui l’intera logica del Dasein costituirebbe una riformulazione e una nuova fondazione delle forme pure dell’intuizione. Al netto della diverse letture dei due autori – sorte entrambe nel contesto della filosofia americana contemporanea –, colpiscono sia l’assenza del testo sulla

Differenza (non menzionato), sia la mancata considerazione della nozione di idea intuente (definizione che

rimane anche nello Hegel maturo), sia soprattutto l’attestarsi della questione intorno a una dimensione implicitamente soggettiva, alla comprensibilità o meno di oggetti, empirici e non empirici. Cfr. R.B. Pippin,

Concept and intuition. On distinguishability and separability, in «Hegel-Studien» 39/40 (2004/2005), pp.

25-40. All’interno dello stesso quadro mi sembra argomentare anche il più recente S. Sedgwick, Hegel’s

Critique of Kant, Oxford University Press, 2012 (che cita libro e articolo di Pippin).

Si noti infine che lo statuto non immediato e non soggettivo dell’intuizione comporta che le critiche alla comprensione intuitiva dell’assoluto nella Fenomenologia non possano essere immediatamente c rivolte in modo retrospettivo alla posizione hegeliana nella Differenza.

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ed essere, soggetto e oggetto, sono i momenti necessari di una identità logicamente prioritaria. Se però la coscienza, come visto in precedenza, opera già su un dato e le categorie dell’intelletto si applicano all’essere (anch’esso già dato), la logica della distinzione di soggetto e oggetto, di pensiero ed essere - una logica che la coscienza presuppone senza tematizzare - deve necessariamente essere prioritaria rispetto alla distinzione stessa, e quindi non categoriale o, secondo le parole di Hegel, «non cosciente»41. In altri termini, bisogna risalire a una modalità di comprensione che

faccia astrazione dalla dicotomia in cui si muove la coscienza, a un, per così dire, “pensiero non riflessivo”: l’intuizione è quindi precisamente il modo per definire tale dimensione pre-riflessiva, la logica per cui l’assoluto si rende oggetto a se stesso e si fa cosciente; secondo le parole di Hegel, essa è - in una caratterizzazione che approfondirò più avanti – «attività ad un tempo dell’intelligenza e della natura, della coscienza e del non cosciente», «ideale e reale», nello stesso tempo42.

A specificare più precisamente il senso di tale attività è l’aggettivo «trascendentale»: nell’intuizione trascendentale vengono alla luce le condizioni di possibilità del pensiero riflessivo e della coscienza. Nella comprensione hegeliana del trascendentale (che si differenzia qui da quella di Kant), tuttavia, per risalire alle condizioni di possibilità del pensiero è necessario allargare lo sguardo alla dinamica complessiva dell’assoluto: se il pensiero si sviluppa nella dicotomia tra pensiero ed essere, per spiegarlo bisogna fare astrazione dalla dicotomia stessa e darne ragione. Questo significa in definitiva che il compito della speculazione non è, come per Kant, spiegare come le categorie possano applicarsi a degli oggetti (un problema che, secondo Hegel, si pone già a un livello subordinato in cui essere e pensiero sono dati), ma dare conto della stessa distinzione tra categorie e oggetti, tra pensiero ed essere – chiarire l’emergere della struttura generale in cui le categorie si applicano a degli oggetti.

41 H. Girndt, Die Differenz, cit., pp. 36-41, distingue così tra intuizione “soggettiva” e “assoluta” nel testo

hegeliano, salvo poi tralasciare il carattere «non cosciente» e non categoriale di quest’ultima, criticando Hegel per essere rimasto all’interno della distinzione tra soggetto e oggetto. Tutto ciò è forse legato anche al fatto che, nell’ottica di un confronto con Fichte, Girndt parla di intuizione intellettuale anziché di intuizione trascendentale.

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