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CAPITOLO II LA QUALIFICA DI IMPRENDITORE AGRICOLO PROFESSIONALE (IAP)

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CAPITOLO II

LA QUALIFICA DI IMPRENDITORE AGRICOLO

PROFESSIONALE (IAP)

2.1 NOZIONE DI IMPRENDITORE AGRICOLO PROFESSIONALE

La figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale, per quasi trenta anni è stata la qualifica di riferimento adottata in sede comunitaria al fine di stabilire requisiti uniformi tra gli Stati membri per selezionare gli agricoltori alle cui imprese concedere i sostegni previsti.

Il nostro paese aveva recepito quelle direttive con la Legge n. 153 del 1975, il cui art. 12, conteneva appunto la nozione di “Imprenditore agricolo a titolo principale” (IATP). Dopo che l’Unione europea già dal 2000, con il Regolamento CE n. 1257 del 17 maggio 1999, aveva abbandonato lo IATP, anche la legislazione italiana si è adeguata abrogando l’art. 12 della Legge n. 153/1975. La definizione d’imprenditore agricolo professionale è contenuta nel Decreto legislativo del 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal Decreto legislativo del 27 maggio 2005, n. 101 (“Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori dell’agricoltura e delle foreste”).

Secondo il suddetto decreto, è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro. Per l'imprenditore che operi nelle zone svantaggiate di cui all'articolo 17 del regolamento CE n. 1257/1999, tali requisiti sono ridotti al 25%.

Qualunque riferimento della legislazione vigente all’imprenditore agricolo a titolo principale, s’intende riferito all’imprenditore agricolo professionale.

Risulta subito evidente che le due definizioni di IATP e IAP sono pressoché identiche. Esse differiscono per gli elementi quantitativi dei requisiti: l’art. 12

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75 della legge n. 153 del 1975 richiedeva che lo IATP si dedicasse alle attività per almeno i 2/3 del proprio tempo di lavoro complessivo, ne ricavasse almeno i 2/3 del proprio reddito globale da lavoro, e fosse in possesso, per pratica o studio, di specifiche capacità professionali.

Allo IAP persona fisica, se iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, sono riconosciute le agevolazioni tributarie in materia d’imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La perdita dei requisiti nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di IAP, determina la decadenza delle agevolazioni stesse.

L’imprenditore agricolo professionale persona fisica, anche ove socio di società di persone o cooperative, ovvero amministratore di società di capitali, deve iscriversi nella gestione previdenziale e assistenziale per l'agricoltura.

Ai soci lavoratori di cooperative si applica l'articolo 1, comma 3, della Legge 3 aprile 2001, n. 142, in base al quale dall’instaurazione dei rapporti associativi e di lavoro, derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte.

L’accertamento del possesso della qualifica di IAP è demandato, a ogni effetto di legge, alle Regioni, fatta in ogni caso salva la facoltà dell’INPS di svolgere, ai fini previdenziali, le verifiche ritenute necessarie.

Le disposizioni relative all'imprenditore agricolo professionale si applicano anche ai soggetti persone fisiche o società che, pur non in possesso dei requisiti previsti, abbiano presentato istanza di riconoscimento della qualifica alla Regione competente che rilascia apposita certificazione, nonché si siano iscritti all'apposita gestione dell'INPS. Entro ventiquattro mesi dalla data di presentazione dell'istanza di riconoscimento, salvo diverso termine stabilito dalle Regioni, il soggetto interessato deve risultare in possesso dei requisiti previsti, pena la decadenza degli eventuali benefici conseguiti. Le Regioni e l'Agenzia

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76 delle Entrate definiscono le modalità di comunicazione delle informazioni relative al possesso dei requisiti relativi alla qualifica di IAP.

Nella Regione Toscana, il soggetto presenta la richiesta di riconoscimento della qualifica di IAP alla Agenzia Regionale Toscana per le Erogazioni in Agricoltura (ARTEA), dichiarando sotto la propria responsabilità, il possesso dei requisiti richiesti oppure l’impegno a realizzarli. L’ARTEA iscrive il soggetto nell’anagrafe regionale delle aziende agricole di cui all’articolo 3 della Legge regionale 8 marzo 2000, n. 23, in una sezione specifica per gli imprenditori agricoli professionali, con effetti che decorrono dalla data di presentazione della richiesta. L’ARTEA comunica, tramite il proprio sistema informativo, alla provincia o alla comunità montana competente l’iscrizione del soggetto ai fini della verifica a campione delle iscrizioni, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla predetta comunicazione. Nel caso in cui la verifica dia esito negativo, non regolarizzabile, l’ARTEA procede alla cancellazione, con effetto retroattivo, dell’iscrizione.

La provincia o la comunità montana competente, effettua periodicamente controlli, sia amministrativi sia in loco, sulla permanenza dei requisiti dei soggetti iscritti nella sezione specifica per gli imprenditori agricoli professionali. In caso di accertamento negativo della qualifica di IAP, è disposta la revoca delle risorse finanziarie eventualmente assegnate, nonché la sanzione dell’esclusione, totale o parziale, da un minimo di un anno a un massimo di tre anni, dall’assegnazione di risorse finanziarie.

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77 2.1.1 Requisito della professionalità

Per ottenere la qualifica d’imprenditore agricolo professionale sono necessari tre requisiti:

A) Requisito della professionalità. B) Requisito del tempo di lavoro. C) Requisito reddituale.

Sono le Regioni che, con propri atti, stabiliscono e accertano il possesso di questi requisiti, ma è fatta salva la facoltà dell'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) di svolgere, ai fini previdenziali, le verifiche ritenute necessarie. Infatti, la Legge 2 agosto 1990, n. 233, rubricata “Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi”, ha introdotto l’obbligo assicurativo pensionistico per lo IATP, obbligo che poi è stato trasferito allo IAP dall’entrata in vigore del D.lgs. 7 maggio 2004, n. 99.

La Regione Toscana, con la Legge regionale del 27 luglio 2007, n. 45 (“Norme in materia di imprenditore e imprenditrice agricoli e di impresa agricola”), ha dato attuazione al D.lgs. n. 99 del 2004.

Per quanto riguarda il possesso delle conoscenze e competenze professionali adeguate, la Legge regionale n. 45 del 2007 prevede che questo requisito è realizzato in due ipotesi alternative:

1°) Capacità riconosciute d’ufficio:

a) per coloro che possiedono un titolo di studio, quale laurea specialistica, laurea, diploma universitario o diploma di scuola media superiore, attinente il settore agrario, zootecnico o forestale;

b) per coloro che abbiano esercitato attività agricola per un biennio, per un minimo di centoquattro giornate lavorate nel corso dell’anno, nei cinque anni antecedenti la presentazione della richiesta di riconoscimento, come titolari di azienda, coadiuvanti familiari, lavoratori agricoli autonomi o subordinati con inquadramento non inferiore a operaio qualificato;

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78 attestata dall’iscrizione nell’elenco regionale degli operatori dell’agricoltura biologica, dopo aver superato la prevista fase di conversione almeno per una parte dell’azienda;

d) per coloro che, unitamente all’esercizio dell’attività agricola, ai sensi del punto b), per almeno un anno documentino la frequenza con esito positivo di corsi di formazione della durata minima di cinquanta ore, sostenute non oltre i tre anni antecedenti la presentazione della richiesta di riconoscimento e attinenti per materia alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile.

2°) Capacità accertate tramite esame. In carenza delle suddette ipotesi di riconoscimento d’ufficio, il soggetto deve sottoporsi a esame delle proprie conoscenze e competenze acquisite, che la provincia effettua, istituendo un’apposita commissione d’esame e sulla base della seguente regolamentazione: - La commissione d’esame è composta da cinque membri: uno dell’ordine degli agronomi e forestali o del collegio dei periti agrari o degli agrotecnici, tre rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole o cooperative, un funzionario della provincia con funzione di presidente.

- L’esame consiste in una prova orale su una parte generale e su una parte specifica. La parte generale verte in particolare sulla conoscenza del ruolo e delle responsabilità dell’imprenditore agricolo, delle attività ricomprese nell’articolo 2135 del codice civile, degli aspetti previdenziali e fiscali, della prevenzione e sicurezza sul lavoro in agricoltura, delle opportunità agevolative e contributive comunitarie, nazionali e regionali, del ruolo e delle funzioni dei diversi enti pubblici competenti in agricoltura. La parte specifica è tecnica per tipologia aziendale (es. vitivinicola, olivicola, zootecnica).

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79 2.1.2 Requisito del tempo di lavoro

Con riguardo al requisito del tempo di lavoro, la stessa Legge della Regione Toscana stabilisce che è necessario prendere in considerazione un tempo minimo di lavoro dedicato alle attività agricole, calcolato con riferimento ad un’unica impresa agricola.

Il parametro si ricava nel modo seguente: dato il tempo annuo complessivo di un’unità lavorativa uomo (ULU), che è pari a 1.728 ore (= 48 settimane di 36 ore lavorative) potrà apprezzarsi un tempo di lavoro che sia complessivamente pari o superiore al 50% di 1728 e cioè a 864 ore.

Nel caso in cui l’imprenditore operi nelle zone svantaggiate, definite ai sensi della normativa comunitaria, con la riduzione alla percentuale del 25%, potrà apprezzarsi un tempo di lavoro che sia complessivamente pari o superiore a 432 ore.

Nel caso in cui il soggetto svolga attività lavorative extra-agricole che si configurano come lavoro dipendente o assimilato, il requisito è assolto se risulta la percentuale pari o superiore al 50% (o al 25% per le zone svantaggiate) del tempo di lavoro complessivo, il cui limite massimo assunto è di 1728 ore, comparando il tempo di lavoro calcolato come sopra con quello risultante dalle norme di legge o contrattuali riscontrabili dalle certificazioni rilasciate dal datore di lavoro.

Nel caso in cui il soggetto svolga attività lavorative extra-agricole che si configurano come lavoro autonomo, la rilevazione di un tempo di lavoro dedicato alle attività agricole pari o superiore a 864 ore annue (o 432 ore annue per le zone svantaggiate) è condizione sufficiente per l’assolvimento del requisito e si prescinde dalla comparazione con le predette attività lavorative extra-agricole.

I criteri uniformi funzionali alla valutazione delle attività agricole principali (coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali) si ricavano dall’applicazione delle tabelle contenute nell’allegato A-parte I al Decreto del Presidente della Giunta Regionale 46/R/2004 e rispettivamente nella tabella A

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80 per l’attività di coltivazione, nella tabella B per la selvicoltura e nelle tabelle C1 e C2 per l’allevamento di animali.

Sulla base dei predetti criteri, con uno scostamento percentuale nel minimo e nel massimo del 10%, ogni provincia, d’intesa con le comunità montane nei territori di relativa competenza, adotta le proprie tabelle parametriche adeguate alle esigenze dei rispettivi territori anche inserendo, sentita la struttura regionale competente, attività agricole del proprio territorio non ricomprese nelle tabelle di cui all’allegato A citato.

Per le attività di trasformazione e di commercializzazione, si applicano ai valori dei prodotti relativi le percentuali incrementative riportate nelle stesse tabelle. Per le attività di manipolazione e conservazione, si applica, una tantum anche ricorrendo entrambe le attività, una percentuale incrementativa pari alla metà di quella applicata per la trasformazione.

La attività di valorizzazione si ritiene, ai presenti fini, ricompresa in quella di commercializzazione.

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81 2.1.3 Requisito reddituale

Per l’apprezzamento del requisito del reddito da lavoro, la Legge della Regione Toscana n. 45 del 2007, stabilisce che è necessario comparare il reddito derivante dall’attività agricola svolta con il reddito globale da lavoro del richiedente. Per accertare il reddito da lavoro derivante dalle attività agricole si fa riferimento a due metodologie di calcolo, tra loro alternative:

• Calcolo con la “Metodologia IVA”. Come reddito prodotto dall’attività agricola si considera il volume di affari dichiarato dall’impresa agricola ai fini dell’assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Al volume di affari di cui sopra devono essere sommati i contributi (aiuti, premi, indennità) pubblici (comunitari, statali, regionali) e devono essere sottratti il totale degli acquisti e importazioni ed i costi relativi al personale dipendente. La presenza di specifiche condizioni (a titolo esemplificativo: investimenti aziendali, perdita di raccolto per eventi naturali, prodotti agricoli non venduti nell’anno ma stoccati in magazzino, nuovi impianti di colture per le quali la vendita del prodotto avviene in anni successivi all’impianto) possono essere considerate come eventi particolari che, su documentabile attestazione dell’interessato, rilevano ai fini di una variazione incrementativa del reddito. • Calcolo con la ”Metodologia RLS”. Come reddito prodotto dall’attività agricola si considera il Reddito Lordo Standard (RLS) dell’azienda agricola. Il metodo di calcolo del RLS è definito dalla Decisione CEE n. 85/377 del 7 giugno 1985. Per le attività di trasformazione e di commercializzazione si applicano ai valori del RLS del prodotto relativo le percentuali incrementative riportate nelle tabelle contenute nell’allegato A–parte II al D.p.g.r. 46/R/2004.

Al RLS aziendale sono sommati i contributi (aiuti, premi, indennità) pubblici (comunitari, statali, regionali), ove non già ricompresi ai sensi della citata decisione CEE n. 85/377. I RLS applicati sono quelli pubblicati da ARTEA. Le due metodologie sono utilizzabili a scelta del soggetto, tranne che nei seguenti casi, in cui è obbligatorio l’utilizzo della ”Metodologia RLS”:

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82 a) produttori agricoli che fruiscano dell’esonero dagli adempimenti agli effetti dell’IVA, ai sensi dell’articolo 34, comma 6, del D.p.r. 26 ottobre 1972, n.633; b) soggetti che iniziano l’attività agricola.

Per accertare il reddito da lavoro derivante dalle attività extra-agricole si considera la somma dei redditi di seguito indicati, risultanti dalle dichiarazioni ai fini fiscali:

- redditi da lavoro dipendente, con l’esclusione dei redditi da pensione e gli assegni ad esse equiparati e le somme percepite per l'espletamento di cariche pubbliche ovvero in associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo;

- redditi da lavoro autonomo; - redditi di impresa;

- redditi diversi, con esclusivo riferimento a quelli derivanti da attività lavorativa. La valutazione di tali redditi va fatta considerando che le dichiarazioni ai fini fiscali registrano i redditi dell’anno precedente o di due anni prima, se prodotte prima delle scadenze determinate dal fisco e che la situazione reddituale del soggetto potrebbe nel frattempo essere mutata.

Per lo stesso motivo, il soggetto può far riferimento alla media risultante dalle dichiarazioni presentate nel triennio antecedente la richiesta.

Nel caso di impresa familiare, ai sensi dell’articolo 230-bis del codice civile, il reddito imputabile al familiare imprenditore è pari alla quota minima del 51% del reddito dell’impresa calcolato con la metodologia utilizzata.

Il reddito da attività agricole derivante dalla qualifica di socio in società agricole di persone è calcolato in base alla quota di partecipazione dello stesso alla società, rapportandola al reddito dell’impresa calcolato con la metodologia utilizzata.

Il reddito da attività agricole derivante dalla qualifica di amministratore di società agricole di persone, di capitali o amministratore-socio di società agricole cooperative è costituito dall’indennità o compenso dallo stesso percepiti per l’esercizio della funzione, cui è cumulabile l’eventuale reddito da partecipazione alla società.

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83 Il reddito da attività agricole del socio lavoratore delle cooperativa di lavoro che instaura con essa un rapporto di lavoro subordinato o assimilato o autonomo è costituito dal reddito effettivamente conseguito risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Ai fini del soddisfacimento del requisito in oggetto, la condizione di maternità, ivi compresi i profili relativi alla cura e conciliazione familiare, paternità, malattia professionale, infortunio, che comporta l’astensione da lavoro dello IAP è equiparata alla condizione lavorativa precedente all’insorgenza della causa di astensione per tutto il periodo in cui perdura e comunque per un tempo complessivo non superiore a tre anni.

Infine è da rilevare che in base al comma 5 dell’articolo 1 del D.lgs. n. 99 del 2004, così come introdotto dall’art. 1 del D.lgs. 27 maggio 2005, n. 101, nel caso delle società di persone e cooperative, incluse le cooperative di lavoro, l’attività svolta dai soci nella società, in presenza dei requisiti di conoscenze e competenze professionali, tempo lavoro e reddito, è idonea a far acquisire agli stessi la qualifica di imprenditore agricolo professionale e il riconoscimento dei requisiti per i soci lavoratori. Nel caso di società di capitali, l’attività svolta dagli amministratori nella società, in presenza dei predetti requisiti, è idonea a far acquisire agli stessi la qualifica di imprenditore agricolo professionale.

Le indennità e le somme percepite per l'attività svolta in società agricole di persone, cooperative, di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate come redditi da lavoro derivanti da attività agricole e consentono l'iscrizione del soggetto interessato nella gestione previdenziale ed assistenziale per l'agricoltura.

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84 2.1.4 Zone svantaggiate

Ai fini della classificazione previdenziale ed assistenziale dell’imprenditore agricolo professionale operante nelle zone svantaggiate, il legislatore ha previsto la riduzione al 25% dei requisiti di tempo, lavoro e reddito.

Le zone svantaggiate sono individuate dall’articolo 17 del Regolamento CE n. 1257 del 17 maggio 1999 e comprendono:

a) Zone di montagna.

Le zone di montagna sono quelle caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro, dovuti:

- all’esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell’altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo nettamente abbreviato;

- in zone di altitudine inferiore, all’esistenza nella maggior parte del territorio di forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l’impiego di materiale speciale assai oneroso;

- a una combinazione dei due fattori, quando lo svantaggio derivante da ciascuno di questi fattori presi separatamente è meno accentuato, ma la loro combinazione comporta uno svantaggio equivalente.

Le zone situate a nord del 62° parallelo e talune zone adiacenti sono assimilate alle zone di montagna.

b) Altre zone svantaggiate.

Le zone svantaggiate minacciate di spopolamento e nelle quali è necessario conservare l’ambiente naturale, sono composte di terreni agricoli omogenei sotto il profilo delle condizioni naturali di produzione e per esse devono ricorrere tutte le seguenti caratteristiche:

- esistenza di terre poco produttive, poco idonee alla coltivazione, le cui scarse potenzialità non possono essere migliorate senza costi eccessivi e che si prestano soprattutto all’allevamento estensivo;

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85 - a causa delle scarsa produttività dell’ambiente naturale, ottenimento di risultati notevolmente inferiori alla media quanto ai principali indici che caratterizzano la situazione economica dell’agricoltura;

- scarsa densità o tendenza alla regressione demografica, di una popolazione dipendente in modo preponderante dall’attività agricola e la cui contrazione accelerata comprometterebbe la vitalità e il popolamento della zona stessa.

c) Zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici.

Possono essere assimilate alle zone svantaggiate altre zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici e nelle quali l’attività agricola dovrebbe essere continuata, se del caso e a talune condizioni particolari, per assicurare la conservazione o il miglioramento dell’ambiente naturale, la conservazione dello spazio naturale e il mantenimento del potenziale turistico o per motivi di protezione costiera.

Per la Regione Toscana, l’articolo 5 dell’Allegato A del Regolamento di attuazione della Legge regionale 27 luglio 2007, n. 45, individua le situazioni equiparabili alle zone svantaggiate. Infatti, dispone che si applicano le percentuali ridotte al 25% per quanto concerne i requisiti del reddito da lavoro agricolo e del tempo di lavoro allo IAP che opera in azienda ubicata in un bacino produttivo ed inserita in una filiera che, a seguito di grave crisi congiunturale, è coinvolta in una riconversione produttiva in atto, riconosciuta con provvedimenti normativi o amministrativi statali. L’azienda deve avere un indirizzo produttivo tale che almeno il 50% della produzione lorda vendibile aziendale proviene da prodotti interessati dalla grave crisi congiunturale. L’equiparazione ha effetto finché dura la situazione di riconversione produttiva, in base ai provvedimenti che la riconoscono e la governano: in carenza di una specifica tempificazione supplisce un provvedimento ad hoc adottato dal competente organo regionale.

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86 2.2 IAP – SOCIETA’ DI PERSONE E SOCIETA’ DI CAPITALI

Al fine di superare le precedenti interpretazioni che limitavano il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo alla sola persona fisica e per favorire lo sviluppo delle forme societarie in agricoltura, la Legge di Orientamento 5 marzo 2001, n. 57, e le disposizioni di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 228 del 2001, hanno esteso tale riconoscimento anche alle persone giuridiche (società di persone e società di capitali).

Tuttavia, le stringenti regole contenute in tali disposizioni non permettevano un effettivo decollo delle società agricole, che invece si è verificato con l’entrata in vigore del D.lgs. 29 marzo 2004, n. 99.

Infatti, il terzo comma dell’articolo 1 del suddetto decreto, dispone che le società di persone (società in nome collettivo, società in accomandita semplice e società semplice), di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata) e cooperative, sono considerate imprenditori agricoli professionali se lo statuto prevede come oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) Società di persone: almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (per la società in accomandita semplice la qualifica si riferisce ai soci accomandatari).

b) Società di capitali o cooperative: almeno un amministratore, che sia anche socio per le società cooperative, sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale.

La qualifica d’imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell’amministratore ad una sola società.

La ragione sociale o la denominazione sociale delle società che hanno come oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, deve contenere l’indicazione di “società agricola”.

Va subito precisato che non si tratta di un nuovo tipo di società: le società costituibili sono sempre quelle indicate nel codice civile. Al fine di agevolare tale

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87 adempimento, il legislatore ha previsto l’esenzione del pagamento dei tributi e diritti dovuti eventualmente per l’aggiornamento della nuova ragione/denominazione sociale effettuato negli atti catastali e nei pubblici registri immobiliari e per ogni altro adempimento a tale fine necessario.

Secondo quanto stabilito al 3° comma dell’articolo 2 del D.lgs. n. 99 del 2004, l’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto di cui all'articolo 8 della Legge 26 maggio 1965, n. 590, ed all'articolo 7 della Legge 14 agosto 1971, n. 817, spetta anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall'iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese. Alla stessa società sono in ogni caso riconosciute, altresì, le agevolazioni previdenziali ed assistenziali stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto.

Alle società agricole qualificate imprenditori agricoli professionali, sono riconosciute le agevolazioni tributarie in materia d’imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La perdita dei requisiti previsti nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di imprenditore agricolo professionale, determina la decadenza dalle agevolazioni stesse.

Queste agevolazioni sono riconosciute anche alle società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto, alle società agricole di capitali con almeno un amministratore coltivatore diretto, nonché alle società cooperative con almeno un amministratore socio coltivatore diretto, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale. In ogni caso le agevolazioni, se richieste dalla società, non possono essere riconosciute anche al coltivatore diretto socio o amministratore. La perdita dei requisiti previsti nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni determina la decadenza dalle agevolazioni medesime.

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88 Dopo l’emanazione del Decreto Legislativo n. 99 del 2004, è stato approvato un nuovo provvedimento in materia, che ha completato e corretto alcuni aspetti della disciplina relativa all'imprenditore agricolo professionale e società agricola: il Decreto Legislativo 27 maggio 2005, n. 101, rubricato “Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dell'agricoltura". Questo decreto semplifica, specialmente per le società di capitali, le modalità per ottenere la qualifica di imprenditore agricolo professionale necessaria per poter usufruire delle citate agevolazioni tributarie. Il nuovo provvedimento introduce in sintesi le seguenti novità.

1°) L’attività svolta dagli amministratori di società di capitali che operano nel settore agricolo è idonea a far acquisire agli stessi la qualifica di imprenditore agricolo professionale: quindi, se l'amministratore unico o un componente del CDA dedica almeno la metà del proprio tempo lavorativo a tale carica e ricavi almeno la metà del proprio reddito di lavoro, raggiunge i requisiti previsti dall'articolo 1 del D.lgs. n. 99 del 2004. A seguito dell’acquisizione della qualifica di IAP da parte dell'amministratore, scattano le condizioni affinché tale qualifica sia acquisita anche dalla società.

2°) Scatta la limitazione secondo la quale una persona può far acquisire la qualifica di imprenditore agricolo professionale ad una sola società. Nulla vieta che il socio o l'amministratore abbia una posizione propria come impresa individuale.

3°) L’imprenditore agricolo professionale persona fisica socio di società di persone, o amministratore di società di capitali, ha l'obbligo dell’iscrizione nella gestione previdenziale ed assistenziale per l'agricoltura: quindi, gli amministratori di società di capitali dovranno abbandonare la gestione della “collaborazione coordinata e continuativa”.

4°) Le agevolazioni fiscali possono essere richieste anche da soggetti privi della qualifica di IAP, a condizione che abbiano presentato domanda di riconoscimento presso gli uffici regionali dell'agricoltura e siano iscritti nella apposita gestione INPS.

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89 Tali soggetti hanno 24 mesi di tempo, o il diverso tempo stabilito dalle singole Regioni, dalla data di presentazione dell’istanza alla competente Regione, per risultare in possesso dei requisiti previsti dal Legislatore e regolarizzare la propria posizione, pena la decadenza dagli eventuali benefici goduti.

Ne consegue che, a seguito della novellata disposizione, l'INPS deve iscrivere con riserva coloro che, anche se non in possesso dei requisiti, presentino apposita certificazione, rilasciata dalla Regione, comprovante solo l’avvenuta presentazione della domanda. Costoro, avverte l'INPS, saranno cancellati dalla gestione previdenziale se dopo 24 mesi dalla data di presentazione della citata istanza alla Regione, o dopo il diverso termine stabilito dalla Regione, non risultino in possesso della certificazione delle qualifica rilasciata dalla Regione. Gli strumenti di programmazione regionale che dispongono interventi finanziari in materia di agricoltura, foreste e sviluppo rurale possono stabilire che, per esigenze di pianificazione delle risorse finanziarie disponibili, nella formazione delle graduatorie dei beneficiari degli interventi, a parità del soddisfacimento delle condizioni di ammissibilità, sia attribuita priorità agli IAP rispetto agli IAP con qualifica provvisoria.

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90 2.2.1 Regolamento della provincia di pisa sull’attuazione della Legge Regionale Toscana n. 45 del 2007

Presso la Provincia di Pisa è istituita una Commissione preposta al riconoscimento tramite esame del requisito della capacità professionale degli imprenditori agricoli professionali ai sensi e per gli effetti della Legge regionale toscana n. 45 del 27/07/2007.

Tale commissione è così composta:

- un funzionario della Provincia, con funzione di Presidente;

- un rappresentante della Confederazione Italiana Agricoltori di Pisa;

- un rappresentante della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Pisa; - un rappresentante dell’Unione Provinciale Agricoltori di Pisa;

- un rappresentante del Collegio dei Perito Agrari di Pisa;

- membri supplenti: un rappresentante della Lega-cooperative, un rappresentante della Conf-cooperative, un rappresentante del Collegio Interprovinciale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati.

I componenti della Commissione vengono nominati con decreto del Presidente della Provincia, restano in carica per 5 anni dalla data del provvedimento di nomina e possono essere riconfermati.

Il Dirigente del Servizio Sviluppo Rurale e Turismo provvede all’individuazione del dipendente della Provincia di Pisa incaricato delle funzioni di segreteria. Ai membri della Commissione non competono gettoni di presenza.

I componenti sono considerati decaduti in caso di ingiustificata e ripetuta assenza, intendendo per questo la mancata partecipazione a due sedute continuative della commissione.

La Commissione s’intende validamente costituita con la presenza di almeno tre componenti, il Presidente e due commissari, indipendentemente da chi essi rappresentino. Le decisioni vengono prese a maggioranza e in caso di parità prevale il voto del Presidente.

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91 Per quanto riguarda le cause di incompatibilità/conflitto di interessi con la funzione di membro della commissione, indipendentemente dalla volontà dei membri della commissione, potrebbero verificarsi tra gli stessi e i candidati situazioni di incompatibilità/conflitto di interessi nei seguenti casi:

a) partecipazioni finanziarie e patrimoniali;

b) presenza di parentela entro il quarto grado e di affinità entro il secondo grado; c) prestazione di attività professionale a favore del candidato.

Per questi motivi, prima dell’avvio delle procedure d’esame, i componenti della Commissione sottoscrivono esplicita dichiarazione, da inserire nel verbale della seduta, in merito all’esistenza o meno di situazioni di incompatibilità/conflitto di interessi con i candidati da esaminare e si astengono dal prendere parte ad ogni fase delle procedure di esame relative ai candidati con i quali si trovano in tale situazione.

La Commissione si riunisce su convocazione del Presidente, tenendo conto del numero delle domande giacenti e delle eventuali scadenze e necessità. I candidati devono essere convocati con raccomandata postale con ricevuta di ritorno almeno quindici giorni prima della data d’esame.

In caso di:

- assenza giustificata: il candidato sarà convocato per una sola volta e d’ufficio alla prima seduta della Commissione successiva;

- assenza ingiustificata: per essere ammesso di nuovo all’esame dovrà ripresentare specifica domanda;

- esito negativo: il candidato dovrà presentare una successiva istanza ad Artea, non prima che siano trascorsi almeno 90 giorni dal primo colloquio.

L’esame consiste in una prova orale, vertente su una parte generale e su una parte specifica, secondo quanto disposto dall’Allegato A del Regolamento di attuazione della Legge della Regione Toscana n. 45 del 2007.

La parte generale verte in particolare sulla conoscenza del ruolo e delle responsabilità dell’imprenditore agricolo, delle attività ricomprese nell’articolo 2135 del codice civile, degli aspetti previdenziali e fiscali, della prevenzione e

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92 sicurezza sul lavoro in agricoltura, delle opportunità agevolative e contributive comunitarie, nazionali e regionali, del ruolo e delle funzioni dei diversi enti pubblici competenti in agricoltura.

La parte specifica è tecnica, per tipologia aziendale (es. vitivinicola, olivicola, zootecnica).

Gli esami si svolgono in seduta pubblica, ad esclusione del momento del giudizio finale. La verbalizzazione della procedura di esame è garantita dall’incaricato delle funzioni di segreteria e si conclude con un giudizio di idoneità o di non idoneità del candidato.

I componenti della Commissione sono tenuti a mantenere riservatezza per quanto attiene ad informazioni e documenti riservati dei quali gli stessi possono venire a conoscenza durante lo svolgimento delle prove.

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93 2.2.2 Le società cooperative

Le società cooperative, rispetto alle altre tipologie societarie, si caratterizzano per il particolare fine perseguito, conosciuto come scopo mutualistico.

Infatti, l’articolo 2511 del codice civile dispone che le cooperative sono società a capitale variabile (ossia il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito) con scopo mutualistico, iscritte presso l’Albo delle Società Cooperative.

Anche se non esiste una definizione legislativa di mutualità, questo concetto è richiamato nell’articolo 45 della Costituzione, che riconosce l’apposita funzione sociale della cooperazione. I criteri seguiti per il conseguimento dello scopo mutualistico devono essere indicati da amministratori e sindaci della società rispettivamente nella relazione sulla gestione e nella relazione dei sindaci allegate al bilancio di esercizio.

La definizione di società cooperativa è idonea ad escludere l’ammissibilità di cooperative non mutualistiche. La dottrina individua lo scopo mutualistico nella gestione di servizio in favore dei soci.

La disciplina generale sulla cooperazione è contenuta nel codice civile, ed è stata riformata dalle modifiche apportate al diritto societario dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003 e da numerose norme dettate specificatamente per questa tipologia societaria. Il legislatore della riforma del diritto societario, ha introdotto la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente: la mutualità prevalente ha l’obiettivo di individuare le cooperative che possono accedere alle agevolazioni tributarie.

L’appartenenza alla categoria della cooperativa a mutualità prevalente è basata su due opzioni:

- Opzione statutaria: inserimento nello statuto di clausole di non lucratività che limitano il lucro soggettivo dei soci cooperatori (art. 2514 c.c).

- Opzione gestionale: raggiungimento dei parametri gestionali previsti dagli articolo 2512 e 2513 c.c.

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94 Secondo l’articolo 2512, sono società cooperative a mutualità prevalente quelle che:

1°) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;

2°) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;

3°) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.

Gli amministratori e i sindaci documentano la condizione di prevalenza nella nota integrativa al bilancio, evidenziando contabilmente i seguenti parametri: a) i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci sono superiori al 50% del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni;

b) il costo del lavoro dei soci è superiore al 50% del totale del costo del lavoro; c) il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci è rispettivamente superiore al 50% del totale dei costi dei servizi ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite.

Nelle cooperative agricole, la condizione di prevalenza sussiste quando la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al 50% della quantità o del valore totale dei prodotti.

Le cooperative a mutualità prevalente devono prevedere nei propri statuti:

- il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;

- il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;

- il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;

- l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi

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95 eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

La società cooperativa perde la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente se, per due esercizi consecutivi, non rispetta le condizioni di prevalenza o quando modifica il suo statuto.

Posto che tutte le società cooperative devono perseguire lo scopo mutualistico inteso come gestione di servizio, con riguardo alle cooperative a mutualità non prevalente nasce il problema di individuare la soglia minima di mutualità necessaria affinché possano ancora essere considerate cooperative.

Un’altra novità rispetto alla disciplina precedente, è disposta dall’articolo 2519 del codice civile, che prevede la sottoposizione delle società cooperative alle norme delle società per azioni, con eccezioni riguardanti pochi e limitati casi dove, invece, trovano applicazione le norme che disciplinano le società a responsabilità limitata. Equiparando le società cooperative alle società per azioni, il legislatore ha previsto anche per le società cooperative i nuovi sistemi di amministrazione e controllo introdotti per le altre società.

Le cooperative che hanno più di venti soci o l’attivo dello stato patrimoniale superiore a 1.000.000€ devono obbligatoriamente applicare le norme della S.p.A., mentre le altre potranno optare per l’applicazione delle norme della S.r.l. La società cooperativa deve costituirsi per atto pubblico.

L’atto costitutivo stabilisce le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica e in particolare disciplina gli aspetti riguardanti l’ammissione dei soci, i criteri per la ripartizione dei ristorni e il regime mutualistico della società.

Non c’è una misura minima del capitale sociale ai fini della costituzione: il codice civile disciplina solo la misura minima delle singole quote/azioni, pari a 25€.

Il numero minimo di soci per costituire la cooperativa è nove.

È possibile costituire una società cooperativa da almeno tre soci quando gli stessi sono persone fisiche e la società adotta le norme della società a responsabilità limitata: nel caso di attività agricola possono essere soci anche le società.

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96 Se dopo la costituzione, il numero dei soci diventa inferiore a quello stabilito, esso deve essere integrato entro un anno, trascorso il quale la società si scioglie e viene posta in liquidazione.

La legge determina il numero minimo di soci necessario per la costituzione di particolari categorie di cooperative.

Le società cooperative devono essere iscritte in un albo tenuto dal Ministero dello Sviluppo economico, Direzione Generale degli Enti Cooperativi. L’albo è formato da due sezioni: la prima per le cooperative a mutualità prevalente, la seconda per le cooperative a mutualità non prevalente. La domanda d’iscrizione all’Albo deve essere presentata dalla società cooperativa presso la Camera di commercio individuata in base alla sede legale della società.

Essendo operativa la “Comunicazione Unica”, l’iscrizione al registro delle imprese comporta l’automatica iscrizione anche all’Albo delle Cooperative. Le società cooperative possono essere classificate:

- in base alle norme applicabili: cooperative S.p.A. e cooperative S.r.l.;

- in base alla tipologia di scambio mutualistico: cooperative di lavoro, cooperative di utenza e cooperative consortili;

- in base all’oggetto sociale svolto: cooperative di produzione, cooperative sociali, cooperative di conferimento prodotti agricoli e allevamento, cooperative della pesca, cooperative di consumo, altre cooperative.

Gli scopi della partecipazione a una società cooperativa sono principalmente la realizzazione dello scambio mutualistico e il finanziamento della cooperativa, e in relazione ad essi s’individuano due categorie di soci: i soci cooperatori e i soci finanziatori.

L’articolo 2527 del c.c. dispone che non può diventare socio chi esercita in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa.

L’art. 2526 del c.c. disciplina invece i soci finanziatori, prevedendo la piena applicazione delle norme sull’emissione di strumenti finanziari delle S.p.a.: l’unico limite è previsto per le cooperative con statuto S.r.l., le quali possono

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97 emettere solo strumenti privi di diritti di amministrazione e solo offerti a investitori qualificati.

I ristorni sono uno strumento tipico della cooperazione, anche se non ne esiste una definizione legislativa. Il ristorno può essere definito come lo strumento per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o maggiore remunerazione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa. L’atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici.

Le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche.

L’assemblea è l’organo che può deliberare l’eventuale ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l’emissione di nuove azioni ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari. In sostanza, la società pratica ai propri soci delle condizioni identiche a quelle di mercato e periodicamente distribuisce agli stessi delle somme di denaro in proporzione ai rapporti di scambio di ciascun socio con la cooperativa, i ristorni, appunto. Risulta pertanto evidente la differenza con gli utili: mentre questi costituiscono la remunerazione del capitale e pertanto sono distribuiti in proporzione al capitale conferito da ciascun socio, i ristorni sono assegnati in proporzione alle prestazioni mutualistiche. L’erogazione dei ristorni è subordinata al fatto che l’esercizio si chiuda con un avanzo di gestione, cioè ai soci cooperatori può essere dato solo il surplus relativo all’attività che la cooperativa ha svolto con i propri soci.

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98 2.2.3 Progetto della regione toscana “banca della terra”

La Banca della Terra è stata istituita dalla Legge regionale toscana n. 39 del 2012, al fine di valorizzare i terreni pubblici e privati, attraverso un loro uso produttivo.

La Banca della Terra è nata per mettere a disposizione di chi vuole lavorare, ma non ha la disponibilità della terra, i terreni delle aziende agricole di proprietà pubblica (ma anche privata) che possono essere dati in affitto o in concessione a imprenditori agricoli, e in particolare a giovani imprenditori. Nella banca possono rientrare anche i terreni agricoli resi temporaneamente disponibili (terreni incolti e/o abbandonati) che saranno così messi nuovamente a coltura, determinando anche, come conseguenza, un importante incremento dei livelli di sicurezza idraulica e idrogeologica del territorio.

Il progetto riguarda essenzialmente gli imprenditori agricoli soci di cooperative di conferimento, i quali se hanno intenzione di vendere o affittare l’attività agricola, potranno più facilmente conseguire il loro obiettivo attraverso l’inserimento nella Banca della Terra. Stesso vantaggio se il socio sta cercando un appezzamento in abbandono: potrà aspirare a condurne uno tra quelli che sono stati inseriti nella Banca della Terra e contattare la cooperativa che lo ha messo in rete (poiché dovrà necessariamente diventare socio di quest’ultima qualora non sia la stessa a cui conferire i prodotti attualmente).

Attraverso varie forme contrattuali, il progetto prevede l’assegnazione, ai soci attivi o ai nuovi soci della cooperativa, dei fondi rustici messi a disposizione della Banca della Terra da parte dei soci che invece vogliono dismettere l’attività, previo il loro gradimento. Tuttavia, nel caso un soggetto stia cercando di avviare un’attività agricola, oppure se l’ha già fatto e vorrebbe ampliarla, potrebbe cercare sul sito internet l’annuncio che fa per lui e contattare la cooperativa che lo ha messo in rete, ricordandosi che sarà necessario diventare socio di quest’ultima.

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99 La Banca della Terra è gestita dall’ente pubblico denominato “Terre regionali toscane” (di seguito denominato Ente), ente nato per valorizzare il patrimonio agro-forestale e le altre superfici agricole e forestali in disponibilità della regione Toscana, tramite lo sviluppo dell’economia verde in sinergia con l’imprenditoria privata e favorendo la promozione del ricambio generazionale nel settore agricolo-forestale.

L’Ente provvede al rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni di beni di sua proprietà o di beni affidatigli in gestione con convenzione dalla Regione o da soggetti privati e inseriti nella Banca della Terra.

Gli atti di autorizzazione e di concessione specificano le condizioni necessarie per la conservazione del patrimonio agricolo-forestale e prevedono, in particolare, l’uso per il quale il bene viene dato, la durata dell’autorizzazione o concessione e l’ammontare del canone o corrispettivo che deve essere corrisposto dall’usuario. Gli oneri tributari e fiscali relativi ai beni in concessione gravano sul concessionario.

Per favorire il recupero delle aree abbandonate e incolte, contenere il degrado ambientale, salvaguardare il suolo e gli equilibri idrogeologici, limitare gli incendi boschivi, favorire l’ottimale assetto del territorio attraverso lo svolgimento delle attività agro-forestali, la Regione Toscana valorizza le terre agricole incolte, coerentemente con la tutela degli interessi sociali, economici e ambientali delle comunità locali.

Si considerano abbandonati o incolti:

a) i terreni agricoli che non siano stati destinati a uso produttivo da almeno tre anni, ad esclusione dei terreni oggetto d’impegni derivanti dalla normativa europea;

b) i terreni già destinati a colture agrarie e a pascolo in cui si sono insediate formazioni arbustive e arboree, ad esclusione di quelle considerate bosco ai sensi dell’articolo 3, comma 5, lettera c), della Legge regionale n. 39 del 2000 (“Non sono considerati bosco le formazioni arbustive e arboree insediatesi nei terreni

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100 già destinati a colture agrarie e a pascoli, abbandonate per un periodo inferiore a 15 anni”).

I Comuni, con il supporto delle Unioni dei Comuni, delle Province e di ARTEA (l’ente toscano per le erogazioni in agricoltura), effettuano il censimento di terreni abbandonati o incolti presenti nel proprio territorio e lo trasmettono all’Ente che poi le inserisce nella Banca della Terra.

Una volta completata l’operazione di censimento e l’inserimento dei terreni nella Banca della Terra, gli interessati possono fare richiesta di assegnazione all’Ente Terre di Toscana, inoltrando uno specifico piano di sviluppo.

Avranno priorità, nell’ordine:

- i minori di 40 anni che siano imprenditori agricoli professionali singoli o associati e i coltivatori diretti;

- gli imprenditori agricoli professionali singoli o associati e i coltivatori diretti maggiori di 40 anni;

- gli imprenditori agricoli non professionali minori di 40 anni; - gli imprenditori non professionali maggiori di 40 anni.

Espletata l’istruttoria delle richieste, l’Ente comunicherà gli esiti al Comune che procederà alla occupazione temporanea, e non onerosa, dei terreni assegnandoli al richiedente, che è tenuto a coltivarli nei modi e nei tempi specificati nel piano di sviluppo.

Al proprietario del fondo spetterà un canone, che sarà determinato dall’Ente Terre di Toscana in base a determinati criteri. L’importo del canone, in ogni caso, potrà essere determinato anche di comune accordo fra il proprietario e l’assegnatario.

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