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CAPITOLO 3 MAPPING

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3 MAPPING

1. Costruzione del Significato

Da questo punto in poi prenderemo come riferimento principale l’analisi delle teorie che Gilles Fauconnier approfondisce all’interno del suo saggio “Mappings in Thought and Language” del 1997, e che sviluppa anche in altri studi, spesso in collaborazione con Mark Turner.

Partiamo da una definizione del concetto di mapping ricavata dall’ambito matematico:

Un processo di mapping, in senso matematico generale, è una corrispondenza fra due insiemi che assegna ad ogni elemento del primo una controparte all’interno del secondo. 1

Partendo da questa definizione Fauconnier vuole portare avanti l’idea con cui definisce le operazioni di mapping fra domini di spazi mentali intesi come capacità cognitive al centro dell’attività umana finalizzata a produrre, trasferire, e processare il significato. In questo senso la costruzione del significato può essere considerata come la pietra angolare della scienza cognitiva.

Fauconnier vuole sfruttare al massimo l’operazione del mapping, egli la ritiene infatti efficace in due sensi: da un lato rende possibile adottare procedure e principi generali da applicare ad un ampio insieme di significati e fenomeni speculativi. Dall’altro lato ci fornisce le intuizioni necessarie a comprendere l’organizzazione dei domini cognitivi della nostra mente, ai quali non possiamo avere un accesso diretto.

La costruzione del significato si riferisce dunque a complesse operazioni mentali di alto livello, che si applicano all’interno e attraverso i domini degli spazi mentali, sia quando pensiamo, sia quando agiamo o quando comunichiamo. I domini degli spazi mentali includono modelli di background cognitivo e concettuale, così come gli spazi mentali locali, che però possiedono solamente una struttura parziale. Uno degli obiettivi principali della linguistica cognitiva è stato proprio quello di specificare la costruzione del significato, le sue operazioni, i suoi domini, e come questi si riflettono nel linguaggio. Con questo tipo di ricerca gli studiosi di scienze cognitive hanno provato a scoprire gli intricati schemi che stanno alla base della grammatica quotidiana, la ricchezza della struttura concettuale sottostante, e

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la complessità della configurazione degli spazi mentali all’interno dei discorsi ordinari. 2 Il linguaggio

visibile è soltanto la punta emergente dell’iceberg al di sopra della struttura di costruzione del significato, che procede inconsciamente mentre pensiamo e parliamo. La struttura cognitiva nascosta, che si trova nel retroscena della nostra mente, definisce la nostra vita sociale e mentale. Il linguaggio è “solamente” una delle sue più evidenti manifestazioni esterne.

A cavallo fra gli ambiti scientifici di fisica astronomica, chimica e biologia è piuttosto noto il paradosso secondo il quale avremmo più conoscenze a riguardo delle galassie lontanissime rispetto a quelle che abbiamo a riguardo del nucleo interno del nostro pianeta. Possiamo pensare ad un analogo esempio cognitivo, sembra infatti che ne sappiamo molto di più per quanto riguarda il mondo che ci circonda rispetto a ciò che sappiamo sulla nostra mente e sul nostro cervello.

La scienza procede in modo indiretto, mette in relazione i fenomeni superficiali interpretandoli in un certo modo ad un primo livello di osservazione, per poi fare ipotesi più profonde, e più generali, sulle relazioni e sui principi sottostanti al fenomeno preso in esame. Se prendiamo ad esempio la nostra conoscenza dell’universo, possiamo considerarla indiretta nel senso che inferiamo una ricca e complessa struttura di geografia astronomica sulla base di dati molto poveri e parziali. La scienza cognitiva procede in modo analogo. Sebbene il cervello sia un organo chiuso ed inaccessibile, la maggior parte delle cose che possiamo supporre sul modo in cui procede la sua categorizzazione, sia a livello neurobiologico che a qualsiasi livello di cognizione più astratto, vengono apprese indirettamente, osservando le varie tipologie di input ed output che derivano da esso.

Nel caso della mente umana, un tipo di segnale è particolarmente diffuso e liberamente accessibile: il linguaggio. Dato che sappiamo che il linguaggio è intrinsecamente connesso ad alcuni processi mentali piuttosto rilevanti, avremo in linea principio una sorgente di dati ricca e virtualmente inesauribile sulla quale possiamo investigare per capire alcuni aspetti dei processi mentali. Il nostro modo di procedere seguirà dunque le direttive del canonico metodo scientifico, al fine di utilizzarle per il riconoscimento e l’interpretazione dei segnali che la mente ci offre tramite le sue manifestazioni esterne.

C’è una sola, fondamentale, differenza fra lo studio di galassie e stelle supernove, e lo studio dei fenomeni linguistici che ci apprestiamo ad analizzare: nel caso del linguaggio e del pensiero studieremo tali fenomeni con gli stessi mezzi che utilizziamo per adoperarlo quotidianamente. Utilizzeremo dunque il linguaggio sia come oggetto di studio, che come strumento per studiarlo. Rispetto agli astrofisici non abbiamo altra scelta che comportarci così: un astrofisico può utilizzare computer, 2 Per approfondimenti su questo argomento Fauconnier ci rimanda alla lettura di Lakoff (1987), Fauconnier and Sweester (1996), Langacker (1987, 1991)

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cannocchiali, apparecchi elettronici e così via, noi non possiamo fare altro che studiare l’organizzazione e l’utilizzo del linguaggio tramite l’utilizzo di altro linguaggio finalizzato a darne spiegazione. La linguistica cognitiva, così come gran parte della linguistica in generale, è una materia “auto-referenziante”: non può distaccarsi dal suo oggetto di studio per poter studiare in modo indipendente l’oggetto di studio stesso.

Sorge dunque naturale una domanda. Possono il linguaggio ed il pensiero essere strumenti adatti ad analizzare se stessi?

Quasi tutti gli studi scientifici odierni si sono dotati di strumenti e sistemi “esterni” utilizzati per analizzare i fenomeni che prendono in esame, ma in fondo anche il linguaggio ha ricevuto una considerevole attenzione da parte di grammatici, retorici, linguisti, filosofi, psicologi, studiosi legali, esperti di comunicazione e molti altri, che ne hanno sviluppato innegabilmente tanto la comprensione quanto il modo di utilizzarlo. C’è stato un forte progresso nel comprendere la complessità strutturale del linguaggio, nel tracciare le sue sottigliezze semantiche e pragmatiche, e nel legare le sue manifestazioni con altre forme del comportamento umano.

Questo è certamente vero, ma se consideriamo i dati linguistici come segnali che operano su costruzioni cognitive meno accessibili, allora è più giusto dire che la ricerca linguistica si è focalizzata sulla struttura stessa del segnale, piuttosto che sulle costruzioni linguistiche a cui il segnale è connesso. E’ dunque vero che dobbiamo capire il segnale se desideriamo usarlo in modo induttivo per inferire i suoi domini di applicazione. Ma è ugualmente vero che, anche se rimaniamo interessati solamente al segnale in sé, il suo dominio di applicazione e la sua funzione divengono comunque rilevanti in modo cruciale, di conseguenza non si può prescindere dall'analisi dei dati linguistici.

I linguisti moderni, strutturalisti o generativi che siano, hanno trattato il linguaggio come un autonomo oggetto di studio. Non c’è stato un vero interesse nell’usare i dati linguistici all’interno del più ampio progetto di migliorare l’accesso alle ricche costruzioni di significato sulle quali opera il linguaggio.

D’altro canto però, in filosofia, si è venuta a definire la consapevolezza che l’organizzazione del linguaggio potesse rivelare più dei suoi soli principi strutturali, da ciò ne sono derivate molte argomentazioni interessanti. Molti linguisti pensano che i suggestivi problemi posti rimangano ancora disattesi dai risultati concreti. Si pensa che la gamma di dati esaminati sia ancora insufficiente e selezionata in modo improprio, ed inoltre che la gamma di ipotesi interessanti sia spesso fortemente vincolata da ipotesi teoretiche aprioristiche, che ricevono poca attenzione esplicita. Tutto ciò è fonte di circolarità, dal momento che le stesse ipotesi in questione sono contemporaneamente anche un

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importante obiettivo di ricerca.

Nei moderni lavori di ricerca, sia in linguistica che in filosofia, si sta anche cercando di separare le varie componenti del linguaggio come la sintassi, la semantica e la pragmatica, tentando in questo modo di studiare la struttura semantica o grammaticale delle espressioni linguistiche in modo indipendente, sia dalla loro funzione nella costruzione del discorso, che dall’uso nel ragionamento e nella comunicazione. La configurazione del discorso è infatti altamente complessa e organizzata all’interno del più ampio contesto sociale e culturale in cui nasce, la ragion d’essere delle costruzioni grammaticali e delle parole che le compongono è quella di fornirci tracce da seguire per stabilire quale sia la miglior configurazione possibile del discorso. Un’altra conclusione della semantica cognitiva e della ricerca sugli spazi mentali consiste nell’affermare che gli stessi principi e le stesse operazioni di mapping operano tanto nella semantica elementare, quanto nella pragmatica e nel cosiddetto ragionamento di livello più alto. L’analisi dei tempi verbali, dei riferimenti, delle presupposizioni, e dei legami contro-fattuali è intrinsecamente connessa a quella del processo di mapping analogico, delle connessioni concettuali, e della costruzione del discorso, il quale è a sua volta inseparabile dalla comprensione della metafora, della metonimia, della struttura narrativa, degli speech acts, della retorica e del ragionare in generale.

2. Posizione degli Studi Linguistici Odierni

Pur tenendo in forte considerazione gli interrogativi posti fino a qui, e considerando inoltre gli sforzi effettuati dagli studiosi per aumentare le conoscenze legate alla ricerca linguistica, Fauconnier suggerisce che i dati linguistici esaminati finora siano ancora sottovalutati, e che non vengano sfruttati come un’unica e completa fonte di informazione finalizzata a ricostruire i processi cognitivi più profondi. Seguendo questa impostazione il punto fondamentale su cui interrogarci diventa un altro: possiamo considerarci oggigiorno in una posizione migliore per sfruttare i dati linguistici disponibili, come i segnali linguistici, al fine di scoprire in modo inferenziale alcuni dei processi cognitivi nascosti che utilizziamo?

In questo senso è opportuno notare che negli ultimi trent’anni i metodi di studio utilizzati all’interno degli studi linguistici hanno portato all’analisi di un enorme quantitativo di dati, grazie al lavoro degli studiosi questi dati sono stati utilizzati al fine di ricercare i principi linguistici universali, come nella miglior tradizione scientifica. L’ottimo metodo scientifico utilizzato negli ultimi decenni ha

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permesso di dirigersi all’interno della struttura del linguaggio, sezionandola ed approfondendola a tal punto da poterla interpretare quasi come un autonomo oggetto di studio. Mentre nel passato non si riusciva a trovare un metodo soddisfacente per uscire dalla circolarità perversa in cui il linguaggio non poteva essere analizzato altrimenti se non con “altro linguaggio”. Non c’è ragione per non applicare lo stesso rigore, la stessa precisione e la stessa creatività immaginativa nell’ambito di questioni più ampie.

E’ chiaro che non possiamo pretendere di aver trovato un sistema così efficiente da riuscire a scindere, in modo netto e completo, gli studi linguistici che analizzano il linguaggio dalla parte di linguaggio che viene analizzata. Più realisticamente possiamo pensare che scavare in profondità all’interno della struttura linguistica, ci possa portare ad un uso più distaccato del linguaggio, come strumento di studio da una parte ed oggetto di studio dall’altra. In questo senso è dunque logico cercare di analizzare e “vivisezionare” il linguaggio umano, per poterne prendere in considerazione soltanto alcuni aspetti alla volta. Questo ci aiuterà ad isolarli e ad analizzarli come oggetti di ricerca sempre più separati dallo strumento che utilizziamo per studiarli. Nelle nostre analisi cercheremo insomma di utilizzare una sorta di microscopio linguistico, con il quale separeremo a tal punto la stringa di lingua che stiamo studiando, da poterla considerare quasi come un oggetto autonomo dalla stessa lingua che utilizziamo per analizzarlo.

Le ricerche teoriche degli ultimi trent’anni ci inducono a pensare che non ci sia modo di rintracciare interessanti principi generali dalla sola distribuzione superficiale del linguaggio, al fine di comprendere l’organizzazione del significato. Fortunatamente non dobbiamo limitarci ad analizzare i soli dati di distribuzione delle parole in una data stringa linguistica, abbiamo anche accesso a fonti di elementi linguistici molto più ricche e pienamente legittime da un punto di vista scientifico: in primo luogo, la conoscenza delle circostanze in cui si verifica la produzione di linguaggio e la conoscenza di alcune delle inferenze che i parlanti erano in grado di fare sulla base di tali produzioni; ed in secondo luogo, le intuizioni del parlante sulla possibile comprensione delle espressioni linguistiche in diversi ambienti. Per dirla tutta però, non possiamo mai essere completamente sicuri di ottenere tali dati, ma questa non può comunque essere utilizzata come ragione per rifiutare tale tipo di approccio. Le scienze naturali impiegano infatti molte delle loro energie ad individuare le migliori modalità per raccogliere dei dati che non risultano immediatamente disponibili, la scienza cognitiva ad esempio tiene in considerazione i dati culturali e contestuali così come i dati computazionali e biologici. Il metodo linguistico che stiamo considerando ha chiaramente lo scopo di raccogliere il maggior numero di dati possibile, al fine di poter analizzare il significato delle parti di linguaggio che ci interessano.

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limitazione, il motivo è semplice: quando utilizziamo la lingua teniamo conto di diversi altri fattori, come una forte struttura conoscitiva del contesto in cui si agisce, vari tipi di ragionamento che possono interferire con l’espressione linguistica, la costruzione del significato durante l’atto linguistico (“on-line construction”), e la negoziazione del significato, cioè una sorta di compromesso che si crea fra i due parlanti durante lo svolgimento della conversazione. Per questi motivi non possiamo limitarci ad una teoria linguistica ristretta all’analisi del solo linguaggio, ma dobbiamo cercare di integrarla al meglio con gli elementi che condizionano lo svolgimento e la conseguente interpretazione semantica delle funzioni linguistiche nel loro complesso.

Quando le espressioni linguistiche riflettono gli eventi e le situazioni reali, non effettuano questo processo in modo diretto, lo fanno piuttosto attraverso elaborate costruzioni cognitive umane. Quello che oggi risulta interessante in questo senso è che stiamo iniziando a intravedere ciò che questo tipo di costruzioni cognitive potrebbero essere realmente. La speculazione filosofica in questo campo ha prodotto opere dettagliate sull’antropologia, la psicologia, la sociologia cognitiva, la semantica, e le scienze cognitive più in generale. Per farla breve, possiamo dire che stiamo iniziando a rompere col passato fatto di concezioni aprioristiche e basate sulla vita quotidiana, su come gli esseri umani ragionano, parlano ed interagiscono. Allo stesso modo stanno iniziando a venir fuori i modelli, i principi organizzativi, ed i meccanismi biologici che possono essere all’opera in questi processi, ciò che viene scoperto spesso risulta sorprendente e contrario alle credenze di senso comune, così come a volte risulta contrario anche ad altre teorie ben più sofisticate.

In questo senso tutto ci porta a considerare come estremamente interessanti i fenomeni di mapping fra domini cognitivi, questi processi vengono infatti effettuati in modo naturale sia quando pensiamo che quando parliamo. Fino ad alcuni anni fa l'occorrenza di questi eventi veniva considerata periferica, così come la metafora o l’analogia. Solo negli ultimi decenni c’è stato un profondo sviluppo degli studi su questo tipo di fenomeni, risulta infatti sempre più evidente il ruolo centrale che i vari tipi di mapping giocano all’interno della semantica naturale del linguaggio e nel modo di ragionare che applichiamo quotidianamente.

3. Descrizione Generale del Processo di Mapping

Il processo di mapping si basa principalmente sul concetto di Projection Mapping. Potremmo provare a tradurlo nei termini di Proiezione di Mappatura, ma il significato preso in questo modo

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continuerebbe a non spiegare adeguatamente il tipo di processo che stiamo analizzando.

Il Projection Mapping è un processo nel quale proiettiamo parte di un dominio concettuale all’interno di un altro. 3 L’idea generale alla base di questa schematizzazione è quella di parlare e

pensare nell’ambito di un certo dominio concettuale (“Target Domain”) utilizzando la struttura di altri domini concettuali (“Source Domains”) ed il loro vocabolario corrispondente. Alcuni di questi processi di mapping possono essere condivisi da tutti i membri di una certa cultura, ad esempio tutti coloro che parlano la lingua italiana utilizzano un processo di mapping quando concettualizzano lo Spazio come Tempo. Cosa significa? Questo vuol dire che usiamo lo spazio per definire una struttura presa dalla nostra concezione comune di tempo, come quando ad esempio diciamo: “Il Natale si avvicina”, “Il passare delle settimane”, “L’estate è dietro l’angolo”. Il processo di mapping si radica così sia culturalmente che lessicalmente, fino a definire la struttura delle categorie per la lingua e per la cultura in cui viene inserito.

Sebbene il lessico renda spesso trasparente il processo di mapping, solitamente non siamo consapevoli di servirci di tale struttura mentre la utilizziamo, siamo infatti soggetti a rimanere sorpresi e divertiti quando ci viene fatto notare. In tali casi il processo di mapping, sebbene sia attivo dal punto di vista cognitivo, viene considerato opaco: la proiezione di un dominio all’interno dell’altro diventa in un certo senso automatica. Il processo di projection mapping sui domini mentali può anche essere creato localmente, all’interno del contesto, in casi di questo tipo solitamente i processi non vengono percepiti come appartenenti al linguaggio comune, piuttosto li percepiamo come “creativi”, parte cioè del ragionamento in corso e della struttura argomentativa. Non c’è comunque alcuna differenza formale fra i casi di mapping opaco, lessicalmente legati al linguaggio, e quelli che vengono consapevolmente percepiti come innovativi. Molti di questi ultimi sono infatti semplici estensioni dei precedenti.

Un’altra importante classe di connessione fra domini è la Pragmatic Function Mapping. In questo caso i due domini più rilevanti, i quali possono essere impostati localmente, corrispondono a due categorie di oggetti, che subiscono un processo di mapping l’una sull’altra, tramite una funzione pragmatica. Ad esempio gli scrittori spesso vengono fatti coincidere con il libro che scrivono, o i pazienti negli ospedali vengono fatti coincidere con le patologie per le quali sono stati ricoverati. Questo tipo di mapping fornisce i mezzi per identificare gli elementi di un dominio attraverso la loro controparte nell’altro. Nell’uso del linguaggio, le funzioni pragmatiche del processo di mapping permettono di identificare un elemento nei termini della sua controparte all'interno della proiezione. Così, quando l’infermiere dice:

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L’ulcera gastrica nella stanza 12 vorrebbe un po’ di caffè

Egli utilizzerà la malattia (l’ulcera gastrica) per identificare il paziente che ne è affetto.

Una terza classe di processi di mapping è lo Schema Mapping, il quale agisce quando uno schema generale o un modello vengono usati per strutturare una situazione all’interno del contesto. Negli studi di Langacker (1987, 1991), possiamo vedere l’elaborazione di tali schemi attraverso avanzamenti successivi nella costruzione grammaticale, come un insieme di corrispondenze fra schemi astratti.

Il processo di mapping opera per costruire e collegare gli spazi mentali. Gli spazi mentali sono strutture parziali che si moltiplicano quando parliamo o pensiamo, permettendo una dettagliata suddivisione del discorso e delle strutture di significato. Se ad esempio diciamo “Maria pensa che Luigi sia bellissimo”, costruiamo uno spazio mentale per i pensieri riportati di Maria, con una minima struttura esplicita corrispondente alla bellezza di Luigi. Nel dire: “L’anno scorso, Luigi è stato bellissimo”, costruiamo uno spazio mentale per “L’anno scorso”, e nel dire “Maria pensa che l’anno scorso Luigi sia stato bellissimo”, costruiamo uno spazio mentale per “L’anno scorso” incluso all’interno di uno spazio di supposizione, anch’esso incluso nello spazio base dove si esprimono i pensieri di Maria.

Se i processi di mapping sono così centrali nella costruzione del significato, ci si potrebbe chiedere perché siano stati quasi del tutto ignorati dai grammatici, dai logici e dai filosofi, fino a qualche decina di anni fa. La risposta può essere semplice: per fare in modo che entrino in gioco i processi di mapping ci devono essere dei domini sui quali effettuare questo tipo di processo. I matematici di epoca moderna, che partivano dagli insiemi, hanno avuto subito a disposizione i domini più adatti per effettuare il processo di mapping. In passato ci sono però voluti secoli affinché i matematici arrivassero a capire questo fondamentale concetto unificatore, e di conseguenza a stabilire una teoria che ne fosse la chiave interpretativa.

Nel caso del linguaggio, i domini di cui abbiamo bisogno per capirne il funzionamento non si trovano all'interno della struttura combinatoria del linguaggio stesso, sono invece costruzioni cognitive sulle quali il linguaggio agisce. Finché il linguaggio è stato studiato come una struttura autonoma autosufficiente, questo tipo di domini sono rimasti invisibili, ora che viene analizzato sezionando e studiando più in profondità le sue parti, questo tipo di processo emerge in modo molto più evidente dalla struttura linguistica.

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linguistico, un buon approccio è dunque quello di studiare le lingue naturali come insiemi di stringhe, in cui si cerca di vivisezionare ogni pezzo di linguaggio, per analizzarlo in profondità in ogni sua parte, creando una sorta di distacco fra le metodologie e gli strumenti di studio da una parte, e gli oggetti dello studio stesso dall’altra.

4. Esempi e Strutturazione

Partiamo con l’analizzare alcuni esempi generali in cui sono chiaramente visibili gli effetti dei processi di mapping fra i domini di spazi mentali in cui vengono applicati, il fine è quello di tirar fuori le caratteristiche principali dei dati e dei problemi legati a questo tipo di procedimento cognitivo.

Partiamo dai casi di mapping contro-fattuale, per iniziare analizzeremo un esempio che ci viene proposto da Charles Fillmore. Supponiamo che una baby-sitter arrabbiata si rivolga in questo modo verso un bambino disobbediente:

Se fossi tuo padre, ti sculaccerei

Esempi come questo vengono chiamati contro-fattuali perché creano, a fianco di una realtà presupposta (“Non sono tuo padre, non ti sto sculacciando”), una situazione immaginaria in opposizione o contraria ai fatti (“Sono tuo padre, ti sculaccio”). Le espressioni contro-fattuali non sono semplicemente dei fittizi voli immaginari, sono piuttosto destinate ad avere un impatto effettivo sulla realtà e sulla formazione degli eventi reali. Come può accadere? Ci sono più modi di costruire il significato contro-fattuale. Qui prenderemo in esame tre modi di interpretare il nostro esempio.

La prima è la cosiddetta “Interpretazione del padre clemente”. E’ certo che la baby-sitter non stia prendendo in considerazione un mondo in cui lei stessa è il padre biologico del bambino. Piuttosto, sta costruendo una situazione in cui le inclinazioni reali del padre, come la clemenza e la debolezza, vengono sostituite da inclinazioni differenti come la severità e l’autorità, che vengono personificate dalla baby-sitter stessa. In una situazione immaginaria come questa, i comportamenti e le inclinazioni del parlante vengono interpretati come desiderabili o auspicabili, non come realizzabili in ambito concreto.

La baby-sitter però potrebbe anche fare semplicemente un commento su ciò a cui le sue inclinazioni potrebbero portarla, come ad esempio a sculacciare il bambino: ciò potrebbe significare sia

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un commento positivo sull’autocontrollo del padre, sia un commento negativo sulla sua stessa impulsività.

Infine, dal momento che il processo di mapping lega in modo contro-fattuale la baby-sitter ed il padre, lo stesso processo potrebbe anche proiettare la baby-sitter all'interno del mapping contro-fattuale in modo indipendente, come in un esempio di questo tipo:

Se fossi tuo padre, pagherei meglio la mia baby-sitter

In questa situazione immaginaria la baby-sitter intende solamente avere un aumento dal padre. La seconda interpretazione è definita invece “Lettura del padre severo”. In questo caso possiamo interpretare la frase dell’esempio intendendo che la baby-sitter stia dicendo qualcosa di piuttosto differente da ciò che abbiamo affermato nella prima interpretazione. Questa volta la baby-sitter farebbe notare al bambino quanto il padre sia severo in confronto a quanto lei sia clemente, ciò equivale a far notare al bambino che si sta comportando male quanto egli sia fortunato ad avere a che fare con lei, piuttosto che col padre. La baby-sitter dunque non lo sculaccerà, laddove invece il padre lo farebbe. Qui la forma grammaticale della frase è esattamente la stessa che abbiamo preso in considerazione nella prima interpretazione, “Se fossi tuo padre ti sculaccerei”, e la baby-sitter nel mondo reale sta ancora subendo un processo di mapping verso il padre nella situazione immaginata. Questa volta però non vengono trasferite le attitudini della baby-sitter, è piuttosto il padre, con tutte le sue caratteristiche reali fra cui le inclinazioni caratteriali, che prende fisicamente il posto della baby-sitter nella situazione immaginata. In questo caso la baby-sitter viene pensata come colei che fa notare quanto sia buona, e quanto siano fortunati sia lei che il bambino per il fatto che il padre non sia presente.

La terza interpretazione si chiama “Lettura dei ruoli”. Possiamo pensare alla baby-sitter mentre dice che lei sculaccerebbe il bambino, nel caso in cui possedesse le stesse caratteristiche che contraddistinguono la paternità. In questo caso l'operazione contro-fattuale esegue un processo di mapping dalla baby-sitter verso la baby-sitter stessa, intesa fittiziamente con le caratteristiche e le inclinazioni caratteriali del padre, opposta dunque alla baby-sitter reale. E’ interessante notare che, da un punto di vista logico, i fattori che impediscono alla baby-sitter di essere effettivamente il padre del bambino, come il fatto che sia una donna, il fatto che non abbia legami familiari col bambino, il fatto che sia troppo giovane e così via, non precludono la costruzione di questo processo di mapping. Il motivo è ancora legato al fatto che, in questo contesto, il punto cardine del processo contro-fattuale è quello di evidenziare la disanalogia fra il ruolo reale della baby-sitter ed altre situazioni potenzialmente

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concepibili. Il punto non è dunque quello di esaminare la possibilità che la baby-sitter sia il padre biologico del bambino, in questo caso piuttosto il processo di mapping intende mettere in luce tutti i ruoli che la baby-sitter potrebbe svolgere oltre a quello che veramente svolge.

Prendiamo ora in considerazione un esempio sul quale svilupperemo ed approfondiremo l’analisi nel prossimo capitolo. Anche questo esempio si basa sul processo di mapping contro-fattuale, citiamolo:

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno.

Questo semplice esempio mette in evidenza una complessa disanalogia. Per capire questa frase è richiesta, per prima cosa, un’analogia elementare fra sistemi politici simili, quello francese e quello americano. In entrambi ci sono presidenti, cittadini votanti, opinione pubblica, occasionalmente anche scandali politici, e così via. In base a queste somiglianze è possibile effettuare un processo di mapping fra un sistema politico e l’altro. La frase del nostro esempio sta però sfruttando questa analogia per effettuare un ulteriore processo di mapping parziale, dai due domini (quello francese e quello americano) verso un terzo dominio contro-fattuale. Il terzo dominio condivide la struttura comune ai primi due: presidenti, cittadini votanti e così via, ma eredita dal dominio “Francia” la maggior parte delle sue proprietà di background, mentre dal dominio “U.S.A.” eredita le proprietà rilevanti facenti capo alla scandalo del Watergate e al Presidente Nixon. Dal momento che questi domini non sono, e presumibilmente non possono essere, specificati esplicitamente all'interno della frase, arriverà un certo punto nel processo di comprensione in cui li metteremo necessariamente in relazione l’uno con l’altro. Il terzo dominio è dunque contro-fattuale perché non fa alcun riferimento ad un vero scandalo politico avvenuto in Francia, il terzo dominio produce invece delle inferenze reali verso i due domini iniziali, in forma di disanalogia. Data invece l’analogia strutturale dei due sistemi politici, si può ipotizzare che magari ci potrebbe essere una situazione simil Watergate in Francia, ma in quel contesto lo scandalo non avrebbe gli stessi effetti che ebbe realmente nel caso statunitense.

Questo esempio verrà ripreso ed approfondito all'interno del quarto capitolo. Analizziamo ora altri esempi partendo da un punto di vista leggermente diverso, va infatti detto che una parte dei processi di mapping che studiamo sono talmente radicati all’interno del linguaggio e del pensiero quotidiano che spesso non riusciamo a riconoscerli coscientemente. L’uso della metafora ad esempio viene spesso associato all’utilizzo che ne facciamo in modo inconscio, evidenziando così gli aspetti letterari e poetici legati a tale fenomeno. Ma i principi cognitivi generali che utilizziamo con la metafora sono gli stessi

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del linguaggio quotidiano, e giocano inoltre un ruolo fondamentale a tutti i livelli del nostro pensiero. Come già sottolineato da George Lakoff 4, la metafora è una parte integrante della nostra vita

quotidiana, la utilizziamo infatti per esprimere pensieri e concetti fra i più disparati.

Consideriamo l’affermarsi della nozione di “Virus Informatico”, all’interno del contesto relativamente recente sviluppatosi all'interno delle tecnologie elettroniche. Citiamo alcuni esempi:

I Virus sono programmi sviluppati da operatori informatici disonesti che li installano di nascosto all’interno di altri programmi.

Le Infezioni possono diffondersi da computer a computer veloci quanto l’influenza asiatica. Le Cartelle sono contaminate da byte infetti.

L’unico modo in cui gli utenti possono assicurarsi che i loro programmi siano sani è attraverso un interfaccia protetta.

Possiamo vedere facilmente come il vocabolario preso dal dominio mentale della salute, della biologia, e dei medicinali venga utilizzato per parlare e ragionare a riguardo del dominio mentale dei computer e della programmazione informatica. I virus biologici hanno subito un processo di mapping verso i programmi informatici dannosi, i quali possono a loro volta replicarsi, cancellare documenti, e così via. I vaccini biologici subiscono invece un processo di mapping all’interno di programmi informatici che neutralizzano i programmi dannosi.

La struttura molto parziale del dominio mentale della salute relativo ai virus non è solamente un caso fortuito che dà vita ad uno schema come questo. E’ piuttosto un archetipo: una rappresentazione eccezionalmente valida ed accessibile dello schema astratto. Dal momento che i dati generici del contesto medico si adattano agli aspetti generici del contesto informatico, l’analogia viene sviluppata con successo: come i virus, anche i programmi dannosi riescono ad auto replicarsi, sono difficili da riconoscere all’interno del sistema in cui sono posti, richiedono contromisure difensive, e così via. Infine le analogie preesistenti fra sistemi informatici ed organismi viventi favoriscono lo sviluppo del nuovo processo di mapping.

Lo schema che sancisce l’analogia si trova ad un alto livello di astrazione. Esso ignora gli aspetti strettamente tecnici di ogni dominio concettuale, ed è proprio questa astrazione che lo rende accessibile agli utenti che non hanno conoscenza degli ambiti scientifici riguardanti la medicina o l’informatica. La loro comprensione dei domini di input è essa stessa limitata ad interfacce schematiche e non fondate sui principi tecnici delle rispettive materie.

Il processo di mapping analogico è così comune che lo diamo quasi per scontato quando lo 4 George Lakoff “Metafora e Vita Quotidiana” (1980)

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utilizziamo, rappresenta però uno dei più grandi misteri dei processi cognitivi. Come vengono estratti ed elaborati coerentemente i “giusti” schemi? Come vengono applicati ad altri processi di mapping?

In una seconda fase l’analogia si sviluppa verso la categorizzazione del dominio “Target”. A quel punto possiamo dunque assegnare alcuni programmi informatici alla categoria “virus”, ed altri alle categorie “vaccino” o “anti-virus”. L'importante è capire che il processo di mapping è un modo di ragionare sugli aspetti del dominio “Target” e sul modo di agire al suo interno, non è una riflessione diretta su una struttura oggettiva preesistente di quel dominio. Possiamo infatti iniziare a cercare “disinfettanti” e “vaccini”, possiamo pensare di rendere “immune” o “sicuro” il nostro sistema informatico, ancor prima di sapere se tutto ciò sia tecnologicamente realizzabile, e a maggior ragione ancor prima che il dominio informatico contenga effettivamente degli equivalenti reali di “disinfettanti” o “vaccini”. In casi come questo, non stiamo solamente concettualizzando un dominio mentale già dato, lo stiamo anche effettivamente costruendo in modo tale che si adatti al processo di mapping. I tecnici e gli ingegneri informatici seguono proprio la strada tracciata del processo di mapping, per trovare programmi, contro-programmi, dispositivi di blocco, che si adattino alle generiche specificazioni concettuali dell’analogia basata sulla salute del computer.

Ovviamente potrebbe anche non esserci una realizzazione concreta di una tale concettualizzazione, potrebbe essere stato creato un dominio mentale che in teoria combacia con le condizioni specificate inizialmente dal processo di mapping, ma non in concreto. A quel punto, la categorizzazione adottata potrebbe bloccarsi, per il semplice fatto di non funzionare nel momento in cui viene messa in pratica. E’ interessante notare invece, nel caso dei virus informatici, come la concettualizzazione prosegua: essa è infatti attuabile e guida il lavoro dei tecnici verso la soluzione del problema. Il linguaggio riflette dunque la presenza di una categorizzazione e di una concettualizzazione analogica, permette così al vocabolario di un dominio sorgente di rivolgersi direttamente alla sua controparte nel dominio target. Ad esempio non diciamo che un programma dannoso è “come” un virus, andiamo oltre e lo chiamiamo direttamente “Virus”. In tutti gli esempi citati, il vocabolario della salute viene applicato direttamente al dominio “Target” dell’informatica, con termini come infezioni, propagazioni, contaminazioni, immunità e così via. Quando un processo di mapping è in questa fase, il trasferimento del vocabolario viene ancora percepito soggettivamente come metaforico: nella mente del parlante i programmi non sono virus reali, e i computer non sono realmente sani o infettati. Il vocabolario metaforico evidenzia il ruolo del dominio “Sorgente” nel fornire la categorizzazione concettuale per il dominio “Target”. Passiamo in questo modo alla terzo fase del processo.

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viene nominata. Quando si verifica il processo di mapping e il trasferimento di vocabolario sta operando, il dominio “Target” si ritroverà automaticamente nominato e strutturato. Espressioni come virus, protezione, disinfettante e così via, possono essere viste come se si rivolgessero direttamente alle nuove categorie concettuali del dominio “Target”. Questo modifica la nostra concezione sincronica del vocabolario stesso: non ci sembrerà più di parlare di certi programmi “come se” fossero virus, piuttosto la nostra impressione soggettiva e quasi del tutto inconsapevole, sarà quella di usare il termine virus per parlare direttamente di questi programmi, senza pensare al contesto biologico. Questo non vuol dire che il processo metaforico si sia esaurito e che ci troviamo a concepire realmente i virus come tali, ciò che realmente accade in realtà è pressoché l’opposto: il processo di mapping analogico non solo sussiste ancora, ma si è completamente radicato nel sistema concettuale e grammaticale. Questo radicamento rende il processo di mapping meno evidente a livello consapevole, ma più presente che mai al livello del ragionamento, del trasferimento di inferenze, e dell’elaborazione concettuale. Questo ci permette di pensare direttamente ai virus informatici senza attivare coscientemente il dominio mentale sorgente, riferito all’ambito biologico dei virus. Allo stesso tempo, la parola virus, quando viene utilizzata nel dominio dell’informatica, viene dotata di attributi aggiuntivi più specifici, che non si trovano nel dominio sorgente. In questo senso avremo un’evoluzione del significato, dal momento che costruiamo e comprendiamo il nostro dominio target in aspetti più dettagliati, il termine virus in tale dominio verrà ad essere associato a svariate caratteristiche che all’inizio non erano presenti all’interno degli input. Tali caratteristiche saranno quasi sempre assenti dal dominio sorgente, e saranno quasi sempre specifiche del solo dominio “Target”.

Passiamo ora ad analizzare il quarto stadio di questo processo, sono almeno tre le strade che possono essere imboccate, partiamo da quella che più ci interessa: il processo di blending e di integrazione concettuale che analizzeremo in dettaglio all’interno del quarto capitolo.

Il blending è un’operazione cognitiva 5 che informalmente consiste nell’integrare le strutture

parziali di due domini mentali separati, al fine di formare una singola struttura all’interno di un terzo dominio, che abbia proprietà emergenti rispetto ai due domini di input. Nell’esempio del virus il blending lavorerebbe in questo modo: dal momento che il processo di mapping fra il dominio della salute (input sorgente) e il dominio dell’informatica (input target) crea un vocabolario comune, che si applica ad entrambe le controparti che prendono parte al processo, è possibile effettuare un blend delle due nozioni di virus (quella biologica e quella informatica) all’interno di una terza nozione integrata che incorpori le prime due e vada oltre ad entrambe. Nel dominio esteso che stiamo costruendo il 5 Gilles Fauconnier and Mark Turner (1994)

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termine virus sarà inserito in una categoria contenente sia gli organismi biologici che i programmi dannosi, che così verranno concepiti come “lo stesso tipo di cose”, non più soltanto come controparti di una analogia. Nel blend c’è dunque una categoria di virus, di cui i virus biologici e i virus informatici sono due sottocategorie. I membri della nuova categoria non si limitano ai membri dei due domini di input (salute e informatica). Il blend apre una possibile ricerca per effettuare un processo analogo su altri domini, per esempio si potrebbero cercare i virus sociali, o quelli mentali etc. Questo dimostra come il processo di blending possa elaborare le sue categorie in diverse direzioni, arrivando a contenere anche casi specifici, dettagli e sottigliezze particolari che vengono implicati durante il processo.

Quando un processo di blend prende corpo potrà cominciare a riorganizzare le nostre categorie concettuali, e a permettere che il nostro pensiero si muova in nuove direzioni. Ne abbiamo una prova evidente nel caso della concettualizzazione dei virus informatici, coloro che hanno iniziato ad utilizzarli li considerano ormai come una categoria concettuale a se stante. Fauconnier cita in questo senso un articolo del New York Times in cui J. Doyne Farmer, un ricercatore del Laboratorio Nazionale di Los Alamos, scrive: “Anche se i virus informatici non sono completamente vivi, impersonano molte caratteristiche della vita, e non è difficile immaginare i virus informatici del futuro come organismi viventi tanto quanto lo sono i virus biologici”.

Ciò che risulta interessante è ovviamente l’integrazione delle due controparti rappresentanti i virus, in una singola categoria soggetta ad un processo di blending. Vale anche la pena notare che il ricercatore introduce nuove problematiche: qual è la differenza fra essere “vivo” e “completamente vivo”? Questa domanda non avrebbe avuto senso se fosse stata posta ad uno stadio precedente dell’evoluzione concettuale di questo processo di mapping, a quel punto la nozione di “vivo” non era ancora stata trasferita dal dominio biologico a quello informatico / computazionale. Vale inoltre la pena notare che il ricercatore scrive all’interno di un contesto di studi che si riferisce alla “vita artificiale”. In questa ricerca, la direzione del processo di mapping analogico che lega la biologia e l’informatica è stata invertita: vengono esaminate le proprietà informatiche dell’evoluzione biologica e la simulazione dei fenomeni evolutivi attraverso algoritmi genetici, non il contrario come ci aspetteremmo. Tendiamo dunque ad elaborare i processi di mapping in due o più direzioni, e questo facilita chiaramente il processo di integrazione del blending. Se avesse successo, un blend di questo tipo potrebbe sostenere una nuova scienza in cui la vita artificiale e quella biologica non sono più fondamentalmente distinte.

Passiamo ora ad analizzare il quinto piano di analisi, dove studiamo il secondo tipo di sviluppo per un processo di mapping, in cui si può giungere a casi linguistici di polisemia motivata. In questo caso invece di produrre un blending in cui i due domini concettuali si uniscono, i domini rimangono

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separati, per poter essere distinti più marcatamente senza però perdere i loro legami analogici e linguistici. Nell’esempio del virus, questo accade quando termini lessicali come virus e disinfettante vengono applicati in modo talmente automatico al dominio “Target”, da non essere più percepiti come analogie o metafore. Al livello più superficiale di utilizzo, si produce un sentimento di polisemia, con cui la parola “virus” viene a significare due cose distinte: il microbo e il programma informatico dannoso. Ad un livello meno cosciente, comunque, i significati biologici ed informatici rimangono legati, il dominio “Sorgente” della salute e della biologia rimane in secondo piano, ma può essere usato in qualsiasi momento al fine di fornire nuove idee per elaborare il dominio “Target”.

Se leggessimo che alcuni virus informatici stanno infettando nuovi computer, che questi virus rimangono dormienti per settimane prima di entrare in azione, che è urgente creare centri di quarantena per i virus informatici, non li considereremmo soltanto modi di dire. Potrebbe esserci infatti una vera e propria paura fra gli scienziati ed i tecnici informatici, dato che dei virus artificiali potrebbero diffondersi attraverso i network informatici di tutto il territorio. Ciò potrebbe causare conseguenze economiche catastrofiche, per questo motivo gli scienziati prendono informazioni concettuali dalla fonte biologica del concetto di virus: per rendere la notizia comunicabile ai mezzi di informazione. Consideriamo una delle soluzioni proposte per questo problema: “Utilizzare software più eterogenei. Se infatti utilizzassimo software di diverse tipi sarebbe più difficile la diffusione dei virus informatici, così come la diversità biologica all’interno degli organismi viventi di una stessa specie impedisce ad un singolo virus “invasore” di eliminare l’intera specie che infetta. Anche in quest’ultimo caso viene applicato un processo di mapping all’enunciato, si fa riferimento alla naturale diversità biologica all’interno di una specie vivente, al fine di incentivare la diversità informatica “naturale” all’interno dei software utilizzati.

Passiamo ora ad analizzare la sesta ed ultima modalità di evoluzione del processo di mapping: Divergenza ed Estinzione. In questo caso il processo linguistico potrà concludersi con una vera e propria divergenza fra i domini concettuali: può capitare infatti che nello svolgere il processo di mapping si mantenga il vocabolario iniziale, ma il legame fra i due domini concettuali sparisca, oppure che il dominio “Sorgente” cambi il suo vocabolario mentre il dominio “Target” mantenga il vocabolario originale, cosicché il processo di mapping non risulti più trasparente dal punto di vista linguistico. Quest’ultima ipotesi è una caratteristica piuttosto diffusa e ricorrente nell’evoluzione delle lingue. 6 Nella lingua inglese moderna ad esempio, la parola “Grasp” 7 mantiene sia il significato di

6 Questo aspetto viene mostrato da Sweetser, in un suo studio del 1990 dove la visione, la manipolazione e la conoscenza dei legami nel processo di mapping vengono ritrovati innumerevoli volte all’interno dell’evoluzione linguistica.

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prendere che di comprendere, il verbo “See” 8 si può applicare sia ai campi visivi che intellettivi. La

maggior parte delle parole tendono però a specializzarsi al fine di essere utilizzate solamente nell’uno o nell’altro dei due domini mentali ad essa collegati: il verbo “Behold” 9 ad esempio viene utilizzato nel

campo visivo, pur derivando da “Hold” 10, che appartiene al campo della manipolazione, il verbo

“Perceive” 11 che deriva dal latino –cipio, che significa “Prendere” o “Afferrare”, si applica invece al

campo della percezione, mentre la parola “Idea” viene dal greco “Idein”, che significa vedere, ma si applica al dominio mentale delle idee.

Piuttosto raramente può anche capitare che ci sia un cambiamento unilaterale nella concezione del dominio “Sorgente”. Supponiamo che la nostra comprensione della biologia si evolva in modo che le nozioni come quelle di “Virus” diventino obsolete come lo è diventata ad esempio quella di “Flogisto” all'interno della lingua italiana. A quel punto il vocabolario del dominio “Sorgente” potrà rinnovarsi senza un cambiamento contemporaneo nel dominio “Target”.

L’esempio del virus informatico è stato usato perché è sufficientemente recente da essere inserito in modo semplice negli aspetti principali della sua evoluzione concettuale e linguistica. Le ricerche sulla metafora hanno mostrato che i nostri sistemi concettuali sono dominati da intricati sistemi di network di ogni genere, che cambiano anche in base all'evoluzione della lingua. Dato che i legami fra i vari network si evolvono e si radicano col tempo su diversi livelli, il processo di mapping che usiamo mentre parliamo e pensiamo quotidianamente sarà valido anche rispetto al processo di blending. L’importanza di tali processi non cessa solo perché oltre un certo livello non siamo più consapevoli di utilizzarli, al contrario sarà proprio questa inconsapevolezza a renderli talmente radicati nel nostro modo di concepire la realtà, da non poterne praticamente più fare a meno se vogliamo esprimere determinati tipi di concetti.

5. Implicazioni ed Inferenze

Proviamo a considerare ora un’espressione che implica uno svolgimento più complesso del processo di mapping. Cercheremo di sfruttare il prossimo esempio per scoprire il funzionamento dei domini mentali e delle corrispondenze ad essi sottostanti. L’esempio è il seguente:

8 Trad. Italiana “Vedere”, in inglese può significare sia “Vedere” che “Capire”. 9 Trad. Italiana “Vedere”, “Scorgere”.

10 Trad. Italiana “Tenere”, “Mantenere”. 11 Trad. Italiana “Percepire”, “Accorgersi”.

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I can’t catch up with myself. 12

Ho mantenuto la forma originale della frase in inglese perché un’espressione di questo tipo di solito non viene utilizzata con la solita valenza all'interno della lingua italiana. Per analizzare questo esempio va innanzitutto considerato che colui che pronuncia questa frase sta affermando di non essere in grado di seguire un programma di attività che ha organizzato, e di conseguenza non riesce a “raggiungersi” o a “stare dietro” al suddetto programma. Questo starà a significare che il parlante non riuscirà a svolgere tutte le attività che aveva pianificato nel breve tempo che gli rimane a disposizione. Consideriamo il significato spaziale base di “Catch up with myself”, inteso letteralmente nel senso di “Starsi dietro”. Pensiamo ad un individuo che tenta di tenere il ritmo impostogli da una sorta di ipotetico “Alter ego di se stesso”, che dovrebbe svolgere nel tempo prefissato gli impegni giornalieri in programma. Immaginiamoci dunque i due individui (il “se stesso reale” ed il “se stesso ipotetico”) che si muovono lungo lo stesso percorso, ad un certo punto ci sarà un intervallo di tempo che li dividerà, uno di loro si troverà indietro rispetto all’altro, e solo alla fine del percorso entrambi gli individui si ritroveranno nello stesso punto. E’ piuttosto intuitivo sviluppare questo tipo di elaborazioni concettuali, ma proviamo ad applicarlo alla frase del nostro esempio: in un primo momento questo tipo di concettualizzazione sembrerebbe non combaciare con il senso che intendiamo dare alla frase. “Io” e “Me stesso” dovrebbero apparentemente riferirsi entrambi al parlante, il che richiederebbe speciali poteri di ubiquità che gli permettano di gareggiare contro se stesso. In questo modo non solo avremmo un’interpretazione piuttosto bizzarra, ma non riusciremmo proprio a capire il vero significato della frase: “Avere troppe cose da fare”. Dobbiamo dunque necessariamente allargare il nostro punto di vista ad aspetti ed implicazioni diverse, più complesse ed articolate, che ci permettano di capire ciò che sta accadendo all’interno della nostra costruzione cognitiva.

Per prima cosa ci troviamo di fronte ad un processo di mapping metaforico fra Spazio e Tempo. In molte lingue è comune parlare del tempo utilizzando un vocabolario proprio del linguaggio spaziale. Gli individui e gli altri oggetti si muovono sull’asse del tempo da un “Punto temporale” ad un altro “Punto temporale”, proprio come se stessimo agendo all’interno di uno spazio. Gli esempi sono innumerevoli: possiamo trovarci “vicini al Natale”, “arrivare al fine settimana” e così via.

Per ragioni di natura presumibilmente fisica, tempo ed eventi sono anch’essi associati. Un evento viene solitamente associato ad un punto nel tempo o ad un intervallo di tempo. A questo fine verranno 12 Trad. Italiana “Non riesco a starmi dietro”, trad. letterale “Non riesco a raggiungermi”. L’esempio è tratto da Jo Rubba.

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utilizzate espressioni che indichino un momento preciso o un lasso di tempo, più breve, uguale, o maggiore rispetto al tempo che questo evento realmente richiede per essere svolto. Fauconnier propone questi esempi: “Il meccanico riparerà la sua macchina alle tre. Il meccanico lavorerà sulla macchina dalle tre alle quattro. La messa a punto della macchina sarà effettuata venerdì.” Il primo esempio rappresenta un punto nel tempo, il secondo ed il terzo rappresentano due intervalli di tempo, uno uguale ed uno maggiore rispetto al tempo che l'evento richiede per essere svolto.

In altri casi tendiamo invece ad associare il tempo agli eventi culturali che si sono svolti in una determinata epoca storica. Queste tipologie di evento o di comportamento, vengono solitamente a legare per analogia il tempo con eventi storici, culturali o sociali come: “Indossare le mini-gonne negli anni sessanta”, “Fare jogging negli anni settanta”, “Usare il personal computer negli anni ottanta” e così via. Da questo tipo di corrispondenze cognitive nascono alcuni modi di dire comuni come “Stare al passo coi tempi” o “Essere avanti rispetto al proprio tempo”.

La costruzione cognitiva di questi idiomi è molto meno banale di quanto possa apparire. Ci sono due livelli di movimento: il tempo che si muove, e l’individuo che si muove nel tempo. Ad un terzo livello troviamo gli eventi legati alle epoche a cui vengono solitamente associati. Un individuo “i” verrà dunque associato sia ad un certo tipo di evento “E” in cui egli agisce, sia ad una certa epoca “t” in cui egli vive. L’evento “E” a sua volta sarà legato al tempo “T”, che rappresenta l'epoca in cui si svolgevano generalmente quel tipo di eventi. Il caso tipico è quello in cui T = t, in cui quindi l’individuo si trova all’interno di eventi tipici dell'epoca in cui vive. Ma se “t” e “T” sono differenti ci troveremo di fronte a configurazioni mentali come quella nella Figura 3.1.

Figura 3.1 13

Ad esempio, un individuo che è indietro rispetto al suo tempo perché continua a fare jogging durante gli anni novanta, invece che fare ad esempio bungee jumping, occuperebbe invece la posizione “i” come viene mostrato nella Figura 3.2

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Figura 3.2 14

Come possiamo vedere anche dalle figure, stiamo utilizzando tre tipi di mapping concettuale, possiamo chiamarli nell'ordine F, G,ed H.

F effettua un processo di mapping portando gli individui all’interno del tempo in cui essi vivono, e possono essere indicati semplicemente con degli aggettivi possessivi come: “Il tempo dei Greci”, “Il mio tempo”, “Non sono più i tempi di una volta” e così via.

G effettua un processo di mapping portando i tipi di eventi all’interno di tempi culturalmente associati con essi, abbiamo già fatto esempi come “Indossare le mini-gonne negli anni sessanta”, “Fare jogging negli anni settanta” e così via. Nel nostro grafico in Figura 3.1, questo processo corrisponde alla mappatura di “E” su “T”.

H effettua un processo di mapping portando gli individui all'interno dei tipi di eventi in cui vengono a trovarsi concretamente, abbiamo fatto l’esempio dell’individuo che continua a fare jogging negli anni novanta. Nella Figura 3.1, questo processo corrisponde alla mappatura di “i” su “E”

Questo tipo di organizzazione porta automaticamente ad un quarto processo di mapping, di tipo composizionale. G o H infatti legano gli individui ai tempi tipici degli eventi in cui si trovano. Possiamo visualizzare questo processo nei seguenti schemi:

Figura 3.3 15

14 Gilles Fauconnier “Mapping in Thought and Language” (1997) – p.27 15 Gilles Fauconnier “Mapping in Thought and Language” (1997) – p.28

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Figura 3.4 16

Possiamo provare anche a schematizzarli in questo modo: F(i) = t

G(E) = T H(i) = E G o H(i) = t

Dal momento in cui un individuo vive cognitivamente all'interno del “suo tempo”, egli si muoverà necessariamente lungo l’asse del tempo. In questo caso il valore dell’asse varierà a seconda dei cambiamenti di F. Per quanto riguarda invece il valore assegnato da G o da H esso cambierà a seconda di come l’individuo si comporterà, e di quali attività svolgerà.

E’ chiaro che, se le posizioni vengono misurate su una scala temporale, e se la posizione dell’individuo viene fissata a seconda delle funzioni G o H, come conseguenza nel nostro esempio, l’individuo sarà nella posizione “T”, quando il “suo tempo” o la “sua epoca” saranno alla posizione “t”. L’individuo sarà perciò avanti al suo tempo, se la posizione “T” è avanti rispetto alla posizione “t”, sull’orientamento dell’asse che abbiamo preso in considerazione.

Se avessimo come esempio la frase: E’ avanti al proprio tempo

In questo caso la costruzione cognitiva che abbiamo esplicitato sopra ci darà le informazioni astratte in cui “i” (il soggetto) è posizionato da G o H ad un certo tempo “T”, posteriore a “t”, che è il 16 Gilles Fauconnier “Mapping in Thought and Language” (1997) – p.28

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tempo associato ad “i” da F. Tutto ciò produce le inferenze richieste dal mondo reale in cui il soggetto viene a trovarsi in attività tipiche di un'epoca successiva rispetto a quella in cui sta vivendo. Questa inferenza è accessibile solamente ai parlanti che sono in grado di attivare il processo di mapping necessario: dobbiamo infatti sapere che il soggetto è posizionato sulla linea temporale al punto “T” dai processi G o H, e che il tempo “proprio” del soggetto è posizionato sulla linea temporale al punto “t” dal processo F. Possiamo dunque schematizzare questa frase così:

t < T

O ancora meglio:

Ǝθ(t < θ & G o H(i) = 0)

Esiste un tempo θ successivo rispetto a “t” sul quale “i” viene mappato da G o H.

Se prendiamo in considerazione la decomposizione delle funzioni G o H, questa formula produce: Ǝθ Ǝɛ(t < θ & G(ɛ) = θ & H(i) = ɛ)

Esiste un tempo θ ed un tipo di eventi ɛ tali che θ è successivo a “t”, mentre gli eventi ɛ sono tipici del tempo θ, e l’individuo “i” si trova in eventi del tipo ɛ al tempo “t”.

A prescindere dalle espressioni con cui il processo viene schematizzato da Fauconnier, l’importante è capire che l’inferenza richiesta è complessa, e non può essere effettuata solamente sulla base dei singoli significati specifici delle parole nella lingua in cui viene scritta la frase: infatti il processo generale di mapping deve essere accessibile per i parlanti, di conseguenza non può richiedere uno sforzo mentale insostenibile. Il processo deve essere di facile accesso, malgrado la sua complessità. Inoltre i parlanti non si limitano ad usare idiomi già esistenti, anche loro sono produttivi, nel senso che implementano e creano loro stessi nuovi idiomi e nuovi modi di utilizzarli. Possono utilizzare frasi come “Lei è già nel futuro”, intesa per qualcuno che sia estremamente moderno, oppure “Sei ancora negli anni sessanta”, usata per qualcuno che mantiene il modo di vestire e di comportarsi relativo a quell’epoca. Processi di mapping come G determinano pragmaticamente anche i valori su cui anche i membri della stessa cultura, che parlano la stessa lingua, possono avere opinioni diverse o essere in

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disaccordo.

Possiamo dunque dire che, dati un processo di mapping e un’organizzazione della scala temporale di questo tipo, è possibile estendere il comune significato spaziotemporale di espressioni come “Catch up / Starsi dietro” verso i domini mentali astratti delle usanze e degli stili di vita. La tipologia di processo standard in questi casi è che il soggetto e la sua posizione sulla scala temporale coincidano, muovendosi dunque allo stesso modo all'interno della linea temporale immaginaria. Ma se stiamo parlando di un soggetto che sta cercando di “Starsi dietro”, vorrà dire che il soggetto stesso sarà scivolato indietro rispetto al punto di riferimento dato. Cercare di “Starsi dietro” implica dunque un riposizionamento sulla scala spaziale verso la presunta posizione standard. In questo caso questo riposizionamento dipende dal valore dei processi di mapping G o H. Il procedimento inferenziale corretto è dunque quello in cui l’individuo modifica le sue attività in modo che H(i) = E, e G(E) = f(i).

Riprendiamo dunque l’analisi del nostro esempio iniziale “I can’t catch up with myself”. Siamo nel contesto della scaletta di eventi programmati durante una giornata: gli eventi in programma vengono posti sulla scala degli eventi per essere svolti ad un tempo dato dall’individuo. L’individuo è associato agli eventi in due modi diversi: ad ogni momento dato, l’individuo è legato sia all’evento in cui si trova realmente in quel preciso momento sia all’evento in cui dovrebbe trovarsi in quello stesso momento, secondo il programma che si era dato. Dal punto di vista cognitivo questa situazione astratta subisce un processo di mapping su di un modello di movimento spaziale concreto: in questo modello gli eventi sono posizionati lungo una linea, i tempi in cui questi eventi vanno svolti sono posizionati su un’altra linea. L’individuo si muove sulle due linee correlate: la linea degli eventi programmati e la linea dei tempi reali in cui egli svolge queste azioni. Ciò che ci interessa è dunque vedere come questo modello si rifletta sul vocabolario “spaziale” che utilizziamo nella lingua reale: per esemplificare potremo dire “Elisa ha superato tutti gli impegni che si era programmata, ed era esausta quando è arrivata a fine giornata”. Fauconnier ci mostra un ulteriore modello visivo di questo esempio:

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Nella Figura 3.5 la velocità sulla scala temporale (quella più in alto) non può essere controllata direttamente dall’individuo, egli può controllare solo la velocità sulla scala degli eventi (quella più in basso). Nei casi standard E ed E' coincidono, e l’individuo si dovrebbe muovere in posizioni correlate su entrambe le linee, quella temporale e quella degli eventi. In altre parole, la posizione presente E' sarà valutata come davanti o dietro, rispetto alla posizione programmata E. Per via delle correlazioni fra spazio e tempo, il modello di movimento può essere considerato come un modello in cui l’individuo è associato con due punti mobili su un'unica scala degli eventi come si può vedere dalla seguente figura.

Figura 3.6

Da ciò ne segue che un individuo riuscirà a “Starsi dietro” se la proiezione di “i” associata ad E' raggiunge la proiezione di “i” associata ad E nella Figura 3.6. Ciò produce le inferenze richieste laddove, nel caso in cui la velocità nell’eseguire il programma aumenti ciò farà si che gli eventi si svolgano anche più velocemente di quanto ci si aspetterebbe, o in alternativa che l’esecuzione del programma ricalchi esattamente il tempo in cui è stato programmato che si svolgano gli eventi. In quest’ultimo caso E' ed E coinciderebbero sempre.

Arrivati a questo punto della spiegazione diventa difficile trovare un vero legame fra la costruzione mentale che abbiamo mostrato ed il concreto mondo reale, il motivo è che ogni discorso a proposito di questa situazione deve esso stesso appoggiarsi sulla stessa costruzione mentale che stiamo studiando.

Il nostro schema consente di muoversi all’interno del dominio cognitivo al fine di tracciare inferenze con il mondo reale: espressioni come “Catch up” / “Starsi dietro” specificheranno la costruzione cognitiva in vari modi, posizionando l’individuo sulla scala del tempo e sulla scala degli eventi. La configurazione sarà dunque trasferibile verso le sue controparti nel mondo reale tramite le corrispondenze evidenziate più sopra: se la proiezione di “i” si trova nel punto associato ad E',

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l’individuo si troverà all’interno nell’evento E'; se invece la proiezione di “i” si trova nel punto associato ad E, l’individuo si troverà all’interno dello stesso evento E.

Un’altra cosa importante da notare nell’esempio “I can’t catch up with myself” / “Non riesco a starmi dietro”, è il pronome riflessivo “myself” in inglese, e la particella “-mi” in italiano. I riflessivi indicano spesso coreferenze semplici, come in “Io odio me stesso”, “io” e “me stesso” sono usati per riferirsi alla stessa persona. Ma, più in generale, possiamo utilizzare un pronome riflessivo quando due elementi di una costruzione cognitiva sono legati dallo stesso segnale (“trigger”). 17 Possiamo dunque

considerare un esempio come: Ad Andrea piace ascoltarsi

In questo caso “Andrea” identifica un musicista che chiamiamo A, “-si” identifica la musica che chiamiamo B. B è connesso ad A tramite una funzione che chiamiamo F, la quale lega il musicista ai suoi lavori: F(A) = B. Il musicista in questo caso è il segnale (“trigger”), legato a B dalla funzione pragmatica F.

Il nostro esempio (“I can’t catch up with myself”) è analogo: il movimento segnalato dal verbo “Catch up” ha luogo sulla scala spaziale del tempo. I punti in cui l’individuo “i” si trova realmente (legati ad E'), e quelli in cui si dovrebbe trovare (legati ad E) sono entrambi legati allo stesso segnale (“trigger”), in questo caso “I” e la sua forma riflessiva “myself” che in italiano viene resa con la particella “-mi”.

Ciò che stiamo cercando di far capire è che in generale, l’intero processo è estremamente complesso, e non possiamo sottovalutarne le implicazioni solamente perché ci sembra “naturale” ed automatico. Convertire la nozione culturale di un programma con varie attività da eseguire in un certo lasso di tempo, in uno schema di movimento con scale immaginarie di movimento è una costruzione cognitiva realmente sbalorditiva. Ci permette di sviluppare schemi inferenziali partendo da un certo modello per arrivare ad un altro tipo di modello che è oggettivamente distante dalla natura del modello di partenza: in questo caso partiamo infatti dal modello di movimento fisico al fine di utilizzarlo all’interno del ragionamento sul modello culturale. Come abbiamo visto, il processo di mapping gioca un ruolo centrale in questo senso. Dobbiamo sottolineare che nel nostro esempio il processo di mapping non viene indicato esplicitamente dal vocabolario linguistico, ciò che viene mostrato in modo esplicito sono un modello di movimento fisico, e un individuo (qui il soggetto della frase) che diviene il segnale 17 Gilles Fauconnier (1994) – “Trigger” è la parola originale usata da Fauconnier, la difficoltà nel trovare un termine adeguato per tradurlo in italiano mi ha portato a mantenere anche il termine usato originariamente dall’autore.

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(“trigger”) per il movimento dei due punti all’interno del modello.

Probabilmente anche questa spiegazione tende a semplificare eccessivamente la reale complessità del processo cognitivo che svolgiamo, per analizzare al meglio questo esempio dovremmo introdurre il concetto di integrazione concettuale o blending, che verrà affrontato nel prossimo capitolo.

6. Illusioni Linguistiche

Dobbiamo inoltre considerare che non si può inferire l’intera complessità di un modello come quello appena analizzato, sulla base di un singolo esempio o di una piccola gamma di dati linguistici. In generale è ormai attestato che i processi di mapping fra i domini concettuali di tempo e spazio richiedono motivazioni e principi che possono variare in modo anche molto differente da caso a caso. Nel nostro esempio il legame morfologico veniva dato dal pronome riflessivo, ma ci possono anche essere segnali o dati linguistici di tipo molto diverso che portano ad utilizzare un processo di mapping per capire il significato di una frase.

Un’ulteriore importante implicazione da considerare è il fatto che spesso esempi come il nostro, in cui troviamo “Catch up” / “Starsi dietro”, risultano estremamente semplici da comprendere in prima battuta. In fondo non ci sono poi tanti modi in cui si possa esprimere il fatto di tenere il passo col programma che ci siamo prefissati, se non quello di utilizzare la frase del nostro esempio. Diventa ovvio dunque interpretarla nel modo in cui viene interpretata, ma ciò che ci interessa non è tanto capire cosa la frase significhi, tutti coloro che la utilizzano sanno cosa significa, a noi interessa capire il procedimento che effettuiamo per capire la frase. Per questo motivo la spiegazione diventa molto più complessa. L’illusione di semplicità è una conseguenza ben nota del doppio status di osservatori e utilizzatori competenti della lingua, che funge dunque sia da mezzo che da oggetto di studio. Il parlante ha una tale conoscenza ed esperienza nella manipolazione pratica delle costruzioni cognitive, che in realtà concettualizza le situazioni fino ad un punto molto avanzato della loro costruzione, e di conseguenza non trova niente di intuitivamente misterioso quando ne analizza i dati linguistici corrispondenti. L’osservatore potrà capire solo in modo lento che le cose si muovono ad un livello più profondo, e spesso dovrà sforzarsi per dissociare se stesso dal suo alter ego: il parlante esperto.

Questa illusione di semplicità è dunque una conseguenza del nostro doppio stato di osservatori e utilizzatori della lingua. Probabilmente questa illusione è ancora più forte nel caso in cui il fenomeno linguistico riguardi l’aspetto semantico: l’illusione verrà infatti rafforzata dai nostri modelli culturali

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