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2. Il Contesto Bancario

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2. Il Contesto Bancario

2.1 Revisione della Letteratura

In questa prima parte vengono presentati degli studi sull’impatto della Csr su determinati aspetti all’interno del contesto bancario. Si parla di grado di disclosure e quindi di come la divulgazione di informazioni della Csr influisca sulle perfomance aziendali e come vari a seconda del contesto economico e sociale di un paese; di come le attività di responsabilità sociale condizionino il rapporto con la clientela e migliorino la fidelizzazione; del legame presente tra la Csr e la performance finanziaria evidenziando un’eterogeneità dei risultati in quanto sono state rilevate relazioni positive, negative e assenti; dell’impatto positivo della Csr sull’efficienza e sulla stabilità bancaria; infine del rapporto tra le pratiche di Csr e la determinazione dello spread sui prestiti bancari e quindi sul collegamento con il rischio.

2.1.1 Grado di disclosure

Per disclosure si intende il grado di informativa, ovvero di divulgazione, delle pratiche di Csr.

Le società, specialmente quelle quotate, si sono sentite sempre più in dovere di rilevare le loro informazioni sulla Responsabilità Sociale, al fine di fornire informazioni sufficienti e adeguate per il rispetto delle norme sociali e sicuramente le relazioni annuali e i siti web sono considerate le più importanti fonti di informazioni di ogni tipo sulla società, da quelle qualitative e quantitative, finanziarie e non finanziarie, attuali e future.

Questa esigenza nasce dalla creazione di numerose organizzazioni non governative che stabiliscono delle regole che tutte le imprese devono rispettare, come l’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO) 26000 nata nel 2010 con l’obiettivo di delineare delle linee guida per tutte le società al fine di operare in modo responsabile e rispettando standard etici al fine di migliorare il benessere collettivo e il Global

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Reporting Initiative (GRI) che promuove la Triple Bottom Line, ovvero il conseguimento dei tre obiettivi di equità sociale, qualità ambientale e prosperità economica.

Divulgare informazioni di Csr comporta sicuramente dei vantaggi, come ad esempio la dimostrazione di rispetto delle norme sociali (Gray et al., 1995), il miglioramento della gestione finanziaria (Ruf et al., 2001), la riduzione dei problemi di agenzia (Healy e Palepu, 2001); la valorizzazione dell'immagine di marca e la reputazione (Rashid e Ibrahim, 2002), l'incremento degli utili e la fidelizzazione del cliente (Mohr e Webb, 2005) e l'aumento della capacità di assumere e mantenere i propri dipendenti (Luce et al., 2001).

Nella letteratura ci sono molti studi riguardanti l’effetto delle divulgazioni delle pratiche di csr esaminato tramite le relazioni annuali rese disponibili.

Nel settore bancario, Jizi et al. (2014) hanno esaminato l’impatto della corporate governance sulla divulgazione delle pratiche di csr tramite report annuali delle banche degli Stati Uniti dopo la crisi dei mutui sub-prime. Usando un campione di 193 banche nel periodo 2009-2011, hanno dimostrato la correlazione positiva presente nel legame tra l’operato del CdA e l’effetto della divulgazione della csr in quanto produce come risultato la percezione di una forte protezione degli interessi degli azionisti.

Nelle banche islamiche Hassan and Harahap (2010) verificano la divulgazione della csr tramite la visione di 7 relazioni annuali di 7 banche provenienti da paesi diversi, hanno costruito un indice di divulgazione di csr che copre più dimensioni come ad esempio il comportamento etico, il coinvolgimento degli stakeholder, le relazioni con i clienti, il buon governo ecc. e hanno notato che la divulgazione è bassa e non di grande preoccupazione per la maggior parte delle banche islamiche.

Sempre nello stesso contesto dell’islam Farook et al. (2011) esaminano le divulgazioni della csr nelle relazioni annuali di 47 banche di 14 paesi verificando che le divulgazioni di csr variano in modo significativo e questo è spiegato in ragione della variazione delle caratteristiche del CdA dei vari paesi.

Aribi and Gao (2010) hanno esaminato l’influenza delle divulgazioni in csr facendo un confronto tra 21 banche convenzionali e 21 banche islamiche, ovviamente le

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differenze sono dovute al diverso modo di operare delle banche islamiche che si incentra molto sulla concessione di prestiti senza interessi e donazioni di beneficienza. In uno studio recente di Ellili and Nobanee (2017) è stato esaminato l’impatto della divulgazione in csr sulle prestazioni bancarie utilizzando dati di banche quotate sui mercati finanziari degli Emirati Arabi Uniti nel periodo 2003-2013. E’ stato misurato il grado di informazioni di csr per determinate categorie: informazione ambientale, sui dipendenti, informazioni integrative e comunitarie, informazioni sull’energia, sui prodotti e infine sulle performance della banca. I risultati mostrano che il livello di divulgazione proveniente dai siti web risulta essere superiore rispetto a quello proveniente dalle relazioni annuali; le banche convenzionali, rispetto a quelle islamiche, hanno un livello di informativa di csr più elevato e infine hanno dimostrato che le divulgazioni di csr hanno un impatto positivo e significativo sulle prestazioni delle banche.

Un’altra categoria di studi valuta l’impatto delle istituzioni economiche e socio-culturali sulle pratiche di divulgazione della Csr, gli effetti del tempo e delle aspettative di informazione di Csr soprattutto a seguito delle crisi bancarie.

Le aziende come unità economiche operano all’interno di contesti socio-culturali che ovviamente influenzano il loro comportamento e impongono delle aspettative. La teoria istituzionale sostiene che l’istituto è al centro della struttura sociale, spiega le dinamiche di evoluzione delle interazioni sociali e come possono cambiare nel tempo e nello spazio. Gli attori sociali, ovvero le organizzazioni e gli individui, sostengono le strutture sociali in un quadro istituzionale ampio attraverso vari processi di socializzazione. Le aziende, come gli attori sociali, operano all’interno di un insieme di istituzioni tra cui istituzioni economiche, giuridiche e culturali che hanno tutte un impatto sui loro comportamenti. Le differenze di istituzioni portano a variazioni nei comportamenti degli attori, alcuni studi hanno dimostrato come queste accadano. Muller (1967) e Nobes (1998) hanno suggerito che le differenze nella natura delle istituzioni economiche sono rilevanti per le diverse pratiche contabili nei vari paesi, La Porta et al. (1998) hanno sostenuto che le differenze di origine legale e l’applicazione

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potrebbero spiegare le variazioni nei sistemi di governance, l’evoluzione del mercato e la crescita economica, Hofstede (1980; 83) ha riportato le sue scoperte sugli effetti della cultura (individuandone quattro dimensioni) sul comportamento degli attori, mentre Whitley (1998) ha sostenuto che il comportamento economico delle imprese nazionali si riflette nelle operazioni e nelle strutture delle imprese che operano all’interno del loro territorio.

E’ presente uno studio condotto da Adelopo and Moure (2010) su un campione di 14 grandi banche Europee, la scelta è ricaduta sulle più grandi perché hanno un maggior impatto sul sistema in quanto gli studi hanno dimostrato che esiste una relazione diretta tra la dimensione aziendale, le prestazioni e l’informativa di Csr.

Il dibattito intellettuale si è concentrato su due questioni rilevanti: le recenti crisi finanziarie hanno spinto le banche, soprattutto quelle più grandi, ad aumentare l’informativa della Csr? Le istituzioni legali e culturali di uno specifico paese influenzano la divulgazione dell’informativa di Csr da parte delle banche più grandi? Un primo passo è stato quello di misurare le reazioni delle imprese in termini di aspettative di informativa di Csr, sono state esaminate le divulgazioni in due punti temporali: nel 2005 quando il livello di aspettative sociali era più basso nelle banche e nel 2008 quando, a seguito della crisi finanziaria, le aspettative sociali potevano essere giudicate più alte. Viene sostenuta questa tesi perché ovviamente le crisi finanziarie imponevano maggiori aspettative sul settore bancario, infatti secondo quanto esprimevano Apostolakou and Jackson (2010) le aspettative della società sulle imprese possono “essere diverse in base alle attività delle imprese e quindi a seconda del settore”.

Ovviamente le reazioni delle banche non possono essere note ex ante, secondo Merkl-Davis and eBrennan (2007) e Clatworthy and Jones (2006), le banche reagiscono positivamente alle aspettative del pubblico e diventano quindi più responsabili oppure possono essere indifferenti e agire sulla base dell’idea che le informazioni sociali debbano essere costanti e che debbano cambiare solo se si hanno buone notizie da diffondere.

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Sono state effettuate analisi statistiche per verificare se erano presenti differenze statisticamente significative ed è stato riscontrato che non ci sono differenze significative nelle rilevazioni di csr delle banche del campione nel 2008 a confronto con il 2005. È stato dimostrato che le prestazioni delle imprese sono correlate positivamente alla divulgazione di informativa di Csr, mentre la dimensione dell’impresa non è stata una variabile rilevante.

Una giustificazione alternativa per la divulgazione costante è l’intervallo di tempo tra gli eventi e le loro relazioni nei report annuali, oppure si può sostenere che le banche preferiscono concentrarsi sul riposizionamento delle loro imprese per evitare di essere coinvolte in altre crisi finanziarie che preoccuparsi delle lacune di legittimità che possono spingerle a fare più rivelazioni sociali.

Per analizzare invece l’influenza dei fattori istituzionali sulle pratiche di divulgazione della Csr nelle banche, Adelopo and Moure (2010) hanno classificato i paesi utilizzati nel loro studio sulla base dei fattori istituzionali utilizzando gli studi di Hofstede (1978), Gray (1980), Nobes (1998), Whitley (1998) e La Porta et al. (1998), al fine di identificare le somiglianze nei quadri istituzionali dei paesi di origine delle imprese del campione. Vi sono due classificazioni, una basata sull’origine legale dei paesi, l’altra basata sulle dimensioni culturali delle istituzioni.

I paesi europei hanno le stesse caratteristiche di origine e quindi affinità culturali ma hanno differenti origini legali. Mentre il Regno Unito ha un'origine diritto comune che incide sull'organizzazione, la struttura delle istituzioni ed i risultati, paesi come la Francia, la Spagna, l'Italia e Paesi Bassi hanno un'origine diritto civile nel codice napoleonico francese, con diverse strutture istituzionali e risultati. La Porta, Lopez-de-Silanes and Shleifer (1999) hanno dimostrato che le differenze di origine legale e la storia influenzano le istituzioni economiche, strutture di governance e risultati di queste istituzioni.

I paesi di origine common law tendono ad avere istituzioni più formali e più forti meccanismi di applicazione della legge. Essi hanno anche leggi più articolate sulla protezione degli azionisti, tendono ad avere una struttura proprietaria più dispersa e l'intervento del governo nel mercato è piuttosto raro. Al contrario, i paesi con

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un'origine di diritto civile hanno un coinvolgimento del governo significativo nelle strutture aziendali, le strutture di mercato non sono così attive e robuste come nei paesi di origine di diritto comune come il Regno Unito e gli Stati Uniti, il mercato del controllo societario non è così attivo nel possesso di azioni, con le banche e le istituzioni finanziarie che giocano ruoli dominanti nella proprietà aziendale.

I paesi scandinavi hanno invece un sistema giuridico distintivo costruito sulla vecchia legge tedesca, con poca o nessuna influenza dai sistemi comuni.

Questi accordi istituzionali hanno un impatto sulle pratiche di divulgazione.

Inoltre, mentre i paesi di common law hanno leggi di protezione degli azionisti più sviluppate, paesi di origine di diritto civile sembrano avere più sviluppate le leggi di protezione sui dipendenti.

A causa di queste caratteristiche distintive, si è ipotizzato che le banche nei paesi di common law hanno una maggiore necessità di fare più rivelazioni sociali rispetto alle imprese dei paesi di civil law a causa di richieste di reporting dei loro diversi stakeholders. La stessa struttura proprietaria e gli argomenti di domanda di reporting dei diversi stakeholder dovrebbero anche motivare le banche nei paesi di common law a rendere maggiore informativa sociale agli azionisti rispetto alle banche nei paesi di civil law. D'altra parte, è probabile che le banche dei paesi di diritto civile abbiano incentivi a rendere più divulgative le informazioni sociali relative ai dipendenti rispetto

alle banche nei paesi di common law a causa della più avanzata natura delle loro leggi

e delle protezioni di lavoro. Per esempio, Ferner e Quintanilla, (1998) hanno suggerito che, mentre i datori di lavoro anglo-sassoni vedono i dipendenti come un fardello dei costi, i loro omologhi in Germania, e in una certa misura in Europa continentale, vedono i dipendenti come parte della forza strategica e le risorse delle imprese, e sono più disposti a spendere per la loro formazione e sviluppo. Infatti, i dipendenti in alcuni di questi paesi giocano un ruolo più attivo nella corporate governance grazie anche alla presenza nel consiglio dei lavoratori e nei sindacati.

Per l’effetto delle differenze nelle istituzioni giuridiche, è risultato che le banche dei paesi con leggi civili hanno maggiori probabilità di rivelare informazioni di csr rispetto

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alle banche nei paesi di common law e questo non è coerente con le aspettative e la letteratura esistente.

È stato previsto che le banche con sede nei paesi di common law avrebbero un maggiore incentivo a rivelare a causa della diversa natura della loro partecipazione e la giusta protezione dei loro azionisti. Tuttavia, una spiegazione plausibile per la scoperta potrebbe essere che, mentre le banche nei paesi di common law possono avere maggiori incentivi a rivelare la performance finanziaria e le relative informazioni finanziarie degli azionisti, a causa della loro struttura di proprietà e per altri motivi, questo potrebbe non essere applicabile a divulgazioni CSR. D'altra parte, anche se le banche con sede nei paesi di civil law hanno assetti proprietari concentrati, ci potrebbero essere altri fattori istituzionali che potrebbero spiegare in modo efficace l'incentivo apparentemente più elevato per l'informativa di csr in queste economie. Inoltre, il risultato ha anche mostrato una relazione negativa marginalmente significativa tra le banche con sede in giurisdizioni legali scandinavi e le informazioni di CSR totali.

Una relazione positiva significativa esiste tra la dimensione d'impresa e le comunicazioni sociali da parte delle banche in tutti e tre i gruppi, tranne che nel caso delle banche nei paesi scandinavi. Anche se, questo dimostra anche una relazione positiva, non è statisticamente significativa. Questo risultato indica che maggiore è la dimensione di una banca maggiore è la probabilità che faccia rivelazioni sociali. Inoltre, tutti i gruppi di paesi mostrano una relazione positiva tra la performance aziendale e l’informativa sociale da parte delle banche nel campione. Ciò suggerisce che più alto è il rendimento di una banca più è propensa a fare rivelazioni sociali.

Per esaminare le differenze nelle istituzioni culturali si fa riferimento a due dimensioni individuate da Hofstede (1980; 83): avversione all’incertezza e individualismo/collettivismo.

La prima dimensione, evitare l’incertezza, fa riferimento al fatto se un paese mette in atto tutte le misure possibili per evitare incertezze e sicurezze, tramite norme regole e procedure.

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Le società che presentano un avversione all’incertezza elevata, utilizzano la legislazione e quindi stabiliscono delle leggi o dei codici di comportamento specifici per gli attori sociali, in quanto in queste culture vi è la necessità di stabilire regole e modalità per strutturare la vita perché sono meno tolleranti al cambiamento e all’innovazione. Quindi è naturale come le banche che operano in questi paesi siano più propense a fare rilevazioni di Csr perché sono presenti leggi o altre forme di meccanismo giuridico che lo impongono, viceversa i paesi che presentano una bassa avversione all’incertezza dovrebbero essere meno rigidi sui temi della Csr.

Per quanto riguarda la seconda dimensione si fa riferimento al fatto se gli attori sociali agiscono come singoli oppure come soggetti appartenenti a una collettività.

In una società individualista prevale l’istinto di sopravvivenza e alcuni diritti sono più sviluppati rispetto ad altri, come quello di proprietà, mentre in una società collettivista si agisce nell’ottica di appartenere a un gruppo.

Sulla base di questo ci si aspetta che in una società collettivista prevalga la maggiore disponibilità a rivelare temi di Csr in linea con i principi del bene generale e benefici delle azioni collettive.

Per l’effetto delle istituzioni culturali, in linea con le aspettative si è mostrata una relazione positiva tra le banche che operano in paesi dove la dimensione “evitare l’incertezza” è alta e la divulgazione delle informazioni di csr, mentre viceversa c’è una relazione negativa tra le banche che operano in paesi dove la dimensione “evitare l’incertezza” è bassa e la divulgazione delle informazioni di csr.

Per quanto riguarda l’altra dimensione invece non c’è alcuna relazione significativa tra la dimensione “individualismo/collettivismo” e la divulgazione delle informazioni di csr.

2.1.2 Influenza delle iniziative di responsabilità sociale sulla clientela

Le banche sono sempre più spinte a trasferire denaro in diversi tipi di iniziative a responsabilità sociale con lo scopo di rafforzare la loro reputazione e di ottenere associazioni con gli stakeholders, aggiungendo così valore sociale e ambientale alle operazioni commerciali. Le pratiche di responsabilità sociale non vanno a beneficio

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solamente degli attori sociali direttamente interessati ma ne beneficia tutta la collettività in generale.

Le politiche di microfinanza, progetti di microcredito, pratiche etiche all’interno dei luoghi di lavoro, investimenti nella costruzione di infrastrutture sociali stanno sempre di più aumentando.

I vantaggi della responsabilità sociale per le banche fanno crescere gli utili e la fidelizzazione della clientela, per cui le banche hanno iniziato a porre in essere vere e proprie strategie di responsabilità sociale.

Secondo McDonald and Lai (2011) ci sono tre tipi di iniziative di csr: 1. Iniziative di protezione ambientale

Queste includono varie misure come: -ridurre elettricità e consumo energetico -uso di prodotti ambientali non chimici -utilizzo di materiali eco-compatibili

Nello svolgimento della loro attività è necessario per le banche includere anche queste misure. Molte organizzazioni internazionali come Il Fondo monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’OCSE sono impegnate nel sostenere queste iniziative.

2. Iniziative di tipo cliente-centrico -forza lavoro competente e affidabile

-personale con capacità di risolvere i reclami

-risposta positiva e rapida del dipendente verso le richieste della clientela -il personale efficiente e educato

-estensione della rete di filiali -connettività atm

-veloce elaborazione interna

-utili più alti e commissioni più basse -internet e mobile banking

-ambiente all’interno della filiale confortevole

Secondo Rashid (2010) le strategie globali di un’organizzazione sono legate direttamente alla soddisfazione di un cliente, gli investitori infatti non investono solo

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sulla base del profitto che può essere realizzato da un’impresa ma anche sulla base della soddisfazione dell’operatività aziendale percepita dalla clientela, che aggiunge valore all’impresa. Carrol (1979) stabilisce che il fine delle operazioni commerciali è la stabilità economica, la quale può essere ottenuta anche da iniziative di tipo cliente-centrico.

Rashid (2010) elenca quali, secondo lui, sono gli aspetti dell’iniziativa cliente-centrica coinvolti nelle attività aziendali di responsabilità sociale delle banche:

-spendere di più per il miglioramento della qualità e dell’innovazione -impostare le operazioni quotidiane secondo criteri etici

-contribuire a un cambiamento sociale fruttuoso -rispettare le norme giuridiche

3. Iniziative filantropiche

-concessione spettacoli e concerti -concedere fondi alle mostre d’arte

-organizzare seminari gratuiti per diffondere la consapevolezza nell’uomo comune di un’adeguata pianificazione finanziaria

-sostenere gli orfanotrofi

-finanziamenti per costruzioni di scuole per fornire istruzione gratuita ai bambini poveri in aree remote

Caroll (1991) sostiene che è indispensabile fare donazioni a livello nazionale, soprattutto in quelle attività che contribuiscono ad aumentare gli standard di vita della società, le organizzazioni non sono obbligate ad assolvere obiettivi filantropici ma sicuramente hanno un interesse nel realizzarli in quanto sono presenti pressioni da parte della società, sono i clienti stessi che richiedono e sentono il desiderio di donare i loro servizi, tempo e denaro alle attività di volontariato.

Inoltre, come sostiene Farell (2004), le attività filantropiche non sono come le responsabilità etiche, dipendono solo dal consenso dei dirigenti e non hanno lo scopo di aumentare il profitto di quella organizzazione. Lo scopo infatti è solo quello di pubblicizzare la responsabilità sociale delle imprese, queste attività non danno benefici nel breve periodo ma sono necessarie per una crescita sostenibile.

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Una banca, come una qualsiasi impresa, deve rispondere della sua attività nei confronti dei vari gruppi di stakeholders, ognuno dei quali ha ovviamente interessi diversi e si approccia alla banca in modo diverso, per cui la banca stessa deve svolgere le proprie operazioni verso gli stakeholders in modo indipendente. Secondo Bhattacharya (2009) se la società vuole ottenere dei buoni rendimenti tramite politiche di responsabilità sociale deve anche fornire dei buoni rendimenti verso le parti interessate.

Rashid (2010) sostiene infatti che per ottenere profitti migliori, la struttura etica, legale e sociale dell'organizzazione dovrebbe essere sviluppata in conformità con gli interessi delle parti interessate. Ovviamente deve essere stabilito quale gruppo di stakeholders ha un’influenza rilevante sull’attività dell’impresa poiché altrimenti si rischia di perdere il focus strategico aziendale e si crea insoddisfazione, bisogna cioè scegliere quale gruppo ha un interesse che se viene soddisfatto soddisfa anche la generalità degli interessi degli altri stakeholders. Nella maggior parte dei casi sono i clienti i soggetti principali poiché sono i principali cittadini della società, quindi la strategia orientata al cliente sarà in grado di soddisfare la domanda sociale complessiva dei soggetti coinvolti.

Per quanto riguarda gli studi nel settore bancario McDonald and Lai (2011) hanno studiato e sono arrivati alla conclusione che le iniziative orientate al cliente hanno un impatto positivo forte sul comportamento del cliente stesso rispetto ad altre iniziative di csr.

Alcuni studi hanno poi definito l’efficacia di un determinato comportamento nel campo della responsabilità sociale delle imprese, Sen et al. (2006) hanno scoperto che le persone che hanno consapevolezza di un’iniziativa di filantropia sono più intente ad investire e ad acquistare.

Ci sono diversi studi che hanno classificato le preferenze del cliente verso iniziative di responsabilità sociale. McDonald and Lai (2011) hanno studiato le risposte fornite dai clienti dei servizi bancari al dettaglio delle banche di Taiwan verso le iniziative di Csr e hanno concluso che i clienti preferiscono molto di più le iniziative effettuate verso la clientela rispetto alle iniziative legate all’ambiente e a quelle comunitarie.

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I clienti preferiscono le iniziative come la connettività atm, una maggiore velocità di elaborazione interna, maggiori utili e tasse più basse, internet e mobile banking, un eccellente trattamento da parte dei dipendenti e naturalmente un migliore ambiente all’interno della filiale (Rashid, 2010).

Secondo Murry and Vogel (1997), vari programmi di responsabilità sociale incidono sui clienti come un ambiente amichevole, un'iniziativa incentrata sul cliente e includono anche la sicurezza del cliente (un programma di consumer board).

Mcdonald and Lai (2011) hanno condotto uno studio su due forme di marketing sociale nel settore bancario a Taiwan e hanno concluso che i consumatori favoriscono il concetto di marketing sociale.

Uno studio condotto nel settore bancario al dettaglio della Spagna, prelevando un campione di 800 clienti, ha ispezionato che le iniziative sia etiche che filantropiche hanno un impatto positivo sulla fidelizzazione dei clienti (De Los Salmones et al., 2009). Letteratura e studi precedenti hanno raccomandato che le iniziative orientate al cliente possono incoraggiare l'approccio positivo della clientela, quindi le banche possono ottenere il vantaggio competitivo, dando maggiore preferenza a iniziative orientate al cliente (McDonald and Rundle-Thiele, 2008). Concludendo si può dire che le iniziative di Customer Centric sono le più incisive al fine di migliorare gli atteggiamenti e i comportamenti dei clienti rispetto alle iniziative filantropiche e ambientali.

2.1.3 Collegamento tra csr e performance finanziaria

Al giorno d’oggi le aziende sul mercato internazionale per essere competitive devono essere anche socialmente responsabili, il coinvolgimento all’interno dei programmi di utilità sociale fornisce certamente dei vantaggi competitivi e stimola la crescita dell’azienda. Soprattutto le imprese che operano in più nazioni devono svolgere un ruolo significativo nelle questioni sociali, come problemi ambientali, sfruttamento del lavoro e tutto ciò che comporta dei costi notevoli in termini anche di reputazione. Sicuramente la Csr può essere vista come un elemento di aumento della redditività d’impresa a lungo termine e di sostenibilità aziendale.

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Per misurare la csr si utilizzano generalmente due metodi: il primo è un indice di reputazione tramite il quale le imprese vengono valutate sulla base di una o più dimensioni sociali, il primo indice fu generato da Moskowitz (1972) che ha osservato un certo campione di imprese per diversi anni classificandole come buone, onorevoli o pessime. Il secondo metodo è l’analisi dei contenuti, si fa riferimento all’analisi delle pubblicazioni aziendali e in particolare della relazione annuale, questo secondo metodo ha riscosso più successo ed è stato utilizzato in vari studi come quelli di Bowman and Haire (1975), Abbott and Monsen (1979) , Anderson and Frankle (1980), Ingram (1978).

Le variabili di misurazione della Csr sono: CSP (Corporate Social Performance), la dimensione dell’impresa, il rischio (misurato dall’indice di indebitamento), la ricerca&sviluppo, l’intensità della pubblicità, la performance ambientale, la performance finanziaria, le rivelazioni sulle performance sociali.

Per misurare le performance finanziarie, anche qui abbiamo una divisione in due grandi categorie: rendimenti degli investitori e rendimenti contabili. Nel primo caso, il ritorno finanziario deve essere percepibile da parte degli azionisti e deve creare valore per loro, nel secondo caso il ritorno finanziario è misurato sulla base di come gli utili dell’impresa si manifestano rispetto alle politiche gestionali adottate.

Le variabili di misurazioni delle performance finanziarie sono: ROA (Return on Asset), ROE (Return on Equity), ROI (Return on Investment), ROS (Return on Sales), EPS (Earning per Share), P/E (Price/earning), rendimenti delle azioni, totale attivo, crescita delle vendite, crescita dell’attivo, numero di dipendenti, valutazione di mercato, obsolescenza dell’attivo, fatturato dell’attivo, guadagni operativi derivanti dall’attivo, guadagni derivanti dalle vendite.

Vari studiosi hanno effettuato varie ricerche sul possibile collegamento tra la CSR e le performance economiche-finanziarie (CFP), ottenendo risultati negativi, positivi, misti e neutri. Ci sono più di due tipi di studi esistenti, alcuni utilizzano la metodologia event study per valutare l’impatto finanziario di breve periodo, individuando quindi i rendimenti anomali, quando le imprese realizzano attività socialmente responsabili. Teoh et al. (1999) non ha riscontrato alcuna relazione, Wright and Ferris (1997) hanno

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trovato invece una relazione negativa, Posnikoff (1997) ha trovato invece una relazione positiva, mentre McWilliams e Siegel (1997) non sono riusciti a trovare risultati coerenti per spiegare questo rapporto. Altri studi utilizzano un indice che misura le performance sociali d’impresa tramite il quale Waddock and Graves (1997) hanno analizzato l’esistenza di una relazione positiva tra la performance sociale e quella finanziaria e il risultato ha confermato le loro ipotesi.

Alcuni ricercatori hanno identificato la Csr come una sorta di circolo virtuoso in quanto non solo influenza il risultato finanziario ma viene anche influenzato da questo. In proposito, McWilliams and Siegel (2000) hanno scoperto che, se i fattori di ricerca e sviluppo e di industria vengono esclusi dall’attività d’impresa, il coefficiente della performance sociale dell’ impresa è positivo e statisticamente significativo, mentre se questi fattori sono compresi, il livello del coefficiente diminuisce e non è più considerato significativo, concludendo che le perfomance sociali hanno un effetto neutro sulla profittabilità.

La relazione negativa può essere spiegata in ragione del fatto che le imprese socialmente responsabili hanno degli svantaggi perché sostengono più costi che portano alla riduzione dei profitti e del benessere degli azionisti; con la conseguenza che vengono ridotte le spese in csr e incrementati i profitti a breve termine, questa teoria è sostenuta dagli economisti neoclassici, in particolare Friedman (1970).

La relazione positiva viene spiegata considerando che la csr fa aumentare la reputazione e guadagnare fiducia da parte delle parti interessate e il tutto si traduce in un aumento dei profitti (Amole et al. (2012), Simpson and Kohers (2002)).

L’assenza di una relazione veniva spiegata invece come una non possibilità di trovare una relazione semplice e diretta tra le performance sociali e finanziarie in quanto le interrelazioni sono troppo complesse da poter essere spiegate in una così riduttiva relazione (Soana, 2009).

Si può concludere che, piuttosto che escludere qualsiasi relazione possibile, si può dire che il legame esistente dipende da vari fattori e caratteristiche specifiche dell’impresa stessa.

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Nel settore bancario gli studi sul rapporto tra performance finanziarie e sociali non sono molti. Chih et al. (2010) hanno svolto un’indagine su 520 imprese finanziarie in 34 paesi tra il 2003-2005 concludendo che non c’è alcuna relazione, anche se tra le 520 imprese, di cui 160 americane, solo 8 presentavano dei punteggi di csr. Wu and Shen (2013) analizzano 162 banche nel periodo 2003-2009 e trovano una relazione positiva considerano come performance finanziarie il ROA, ROE, interessi attivi netti, reddito derivante da commissioni.

Uno studio è stato realizzato da Ahmed, Islam and Hasan (2012) ed è stato condotto su un campione di banche del Bangladesh, da questo studio è emerso che il rendimento medio degli attivi nelle banche che hanno implementato la csr è più alto rispetto alle banche che invece non adottano tali misure, tuttavia questo non può essere dimostrato statisticamente in quanto i risultati ottenuti non sono significativamente rilevanti.

Per misurare le prestazioni di Csr è stato utilizzato un indice di reputazione ed è stato stilato un questionario compilato da tutte le banche sulle quali è stata condotta l’indagine (venti banche).

La csr è stata misurata in cinque categorie: valori e trasparenza, posto di lavoro, pratiche di corporate governance, ambiente, comunità; il punteggio più alto è stato ottenuto nella categoria delle pratiche di governo societario e il punteggio più basso è stato ottenuto nella categoria delle pratiche ambientali e del posto di lavoro. Questo risultato potrebbe essere dovuto al fatto che le banche devono ancora integrare gli aspetti ambientali nelle loro attività e garantire condizioni di lavoro più adeguate. In seguito, sulla base del livello di responsabilità sociale individuato le banche sono state divise in due categorie, quelle che praticano attività di Csr e quelle che invece non le praticano.

Hanno misurato Il ROA, L’EPS e il P/E di entrambe le categorie e in tutti e tre i casi è risultato che questi indicatori sono più elevati nelle banche che adottano la CSR, facendo concludere che vi è un impatto positivo sulle performance finanziarie ed economiche dell’impresa. Tuttavia in tutti questi casi i risultati statistici non sono riusciti a supportare queste osservazioni e quindi i risultati non possono essere

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considerati significativi. Non si può però in ogni caso escludere qualsiasi legame tra le performance finanziarie e quelle sociali.

Un altro studio è stato realizzato da Kamal (2013) sulle banche egiziane, il quale ha formalizzato un’equazione per indagare il rapporto tra performance sociali e finanziarie.

La variabile dipendente usata è costituita dagli utili realizzati, mentre le variabili indipendenti sono:

-il rapporto tra capitale proprio e le attività è stato usato come proxy per l’adeguatezza patrimoniale

-per la liquidità sono state utilizzate tre proxy di liquidità: rapporto tra prestiti e totale dei depositi, rapporto tra titoli e media degli attivi, rapporto tra depositi e media degli attivi

-per la qualità degli attivi sono state utilizzate due misure: rapporto tra riserve su crediti e totale crediti, rapporto tra riserve e media degli attivi

-rapporto tra crediti del settore privato e pil al fine di indicare la capacità delle banche di fornire finanziamenti al settore privato (considerata come una dimensione della csr) -la densità bancaria calcolata come popolazione in migliaia per ogni unità bancaria (considerata come una dimensione della csr).

Dai risultati statistici è emersa una relazione negativa e statisticamente rilevante tra le due dimensioni della csr (rapporto crediti/pil e densità bancaria) rispetto agli utili, questo è coerente con le motivazioni alla base della relazione negativa tra csr e performance finanziaria, dovuta a un superamento di svantaggi competitivi rispetto ai vantaggi.

Un altro studio più recente è stato condotto da Cornett, Erhemjamts and Teheranian (2016), loro hanno raccolto i dati attingendo dal database MSCI ESG1 che calcola i

rating ambientali, sociali e di governo di oltre 3000 imprese per il periodo 2003-2013,

1 MSCI ESG Research fornisce ricerche approfondite, valutazioni e analisi delle pratiche commerciali ambientali, sociali e di governance di migliaia di aziende in tutto il mondo. La ricerca è progettata per fornire approfondimenti critici che possano aiutare gli investitori istituzionali a identificare i rischi e le opportunità che la ricerca sugli investimenti tradizionali potrebbe trascurare. I clienti utilizzano questo database per contribuire a realizzare i loro obiettivi di investimento responsabili. (www.msci.com)

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hanno poi unito questi dati ESG relativi alle istituzioni finanziarie insieme al Rapporto consolidato di Stato e di Reddito del Federal Financial Institutes Examination Council

(FFIEC). Inoltre per separare il risultato della Csr prima e dopo la crisi finanziaria sono

stati separati gli studi per gli anni 2003-2007 e 2010-2013.

In uno studio più ampio che hanno condotto sull’impatto della Csr su tutta l’attività bancaria, hanno analizzato anche il rapporto tra la Csr e la performance finanziaria utilizzando come misura principale il ROE.

Sono state distinte le banche sulla base della dimensione dell’attivo. Tutte le banche mostrano un declino in termini di prestazioni finanziarie durante la crisi, soprattutto le banche più piccole, per poi risollevarsi negli anni 2010-2013 quando la crisi è passata. I risultati migliori si sono avuti per le grandi banche che hanno visto un aumento di interesse verso le attività di CSR dopo la crisi e una diminuzione di attività non socialmente responsabili. In generale tutte le banche, sia piccole che grandi, presentano una correlazione positiva tra CSR e ROE.

Le banche più grandi, che sono state accusate di pensare unicamente al soddisfacimento dei propri interessi rispetto alla clientela, sono state invece quelle si sono maggiormente impegnate in attività di responsabilità sociale applicando un minor tasso di interesse sui depositi e garantendo maggiori servizi verso la comunità a basso reddito.

Nonostante lo status di “too big too fail” e le critiche subite prima della crisi di essere troppo attente ai profitti, queste banche hanno lavorato per migliorare la propria responsabilità sociale. Un altro aspetto da considerare è sicuramente il fatto che le grandi banche hanno speso in misura maggiore nella CSR anche in considerazione del fatto che la probabilità di un’altra crisi era molto più bassa.

2.1.4 Impatto della csr sull’efficienza e stabilità delle banche

Esiste una correlazione tra la corporate social responsibility e il grado di efficienza e stabilità della banca, due caratteristiche essenziali che un istituto di credito deve possedere. L’efficienza è intesa come una caratteristica che la banca deve possedere nel breve periodo, mentre la stabilità deve permanere nel lungo periodo.

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La csr è un importante strumento che assicura, in linea generale, lo sviluppo sostenibile di un paese e, in particolare, di ogni singola impresa. Lo sviluppo sostenibile è basato sull’approccio della Triple Bottom Line, l’influenza dell’impresa sullo sviluppo del paese viene misurata sulla base del valore economico, sociale e ecologico, quindi tramite il valore azionario e il capitale sociale e ecologico generato da ogni singola entità.

Per quanto riguarda il settore bancario, le attività hanno un impatto indiretto sulla società e l’ambiente tramite i rapporti di finanziamento instaurati con la clientela. Le pratiche delle imprese nel sociale sono diverse: dalla valutazione del rischio sociale e ambientale nella sfera finanziaria, al prestito responsabile, creazione di fondi per finanziare progetti sociali e ambientali, progetti di sicurezza ambientale, criteri socio-ecologici come fattori chiave nella selezione dei clienti, diffusione di informazioni di attività sociali e ambientali. Ovviamente tutte queste pratiche sono preponderanti in quei paesi dove le banche hanno una certa influenza e operano da lungo tempo.

L’efficienza e la stabilità sono quindi due caratteristiche che possono essere utilizzate per valutare l’intensità dell’operatività sociale delle banche.

Tra gli studi scientifici esistenti sull’efficienza delle banche grazie alla csr, uno specialmente importante è quello di Keffas and Olulu-Briggs (2011), i quali hanno scoperto l’esistenza di una correlazione tra la csr e le perfomance finanziarie delle banche di Usa, Regno Unito e Giappone, tutte le banche studiate sono state divise in due gruppi, quelle in cui era presente l’attività di csr e quelle dove non era presente. È stato notato che le banche sostenibili avevano una migliore adeguatezza patrimoniale ma un basso tasso di rendimento rispetto invece a quelle banche che non hanno implementato programmi sociali, nonostante però la riduzione di liquidità causata dalla spesa nel sociale, si è visto il beneficio nel lungo periodo derivante dai vantaggi competitivi che sono scaturiti dall’esercizio delle attività sociali.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale sono presenti dei fattori chiave che indicano la stabilità finanziaria delle banche: elementi patrimoniali riguardanti la composizione del capitale e dell’attivo e elementi economici riguardanti principalmente gli interessi attivi e passivi e le commissioni.

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Questi fattori ovviamente contribuiscono a determinare un livello di stabilità delle banche da una prospettiva finanziaria, si può determinare la capacità della banca di far fronte alle proprie obbligazioni, coprire i deflussi causati dal prelievo dei depositi ecc, ma in un contesto di responsabilità sociale risulta fondamentale espandere questi indicatori in quanto lo sviluppo sostenibile contribuisce alla stabilità bancaria. Risulta fondamentale inoltre capire gli interessi degli stakeholders che possono variare: dalla necessità di ottenere benefici nel breve periodo piuttosto che altri fattori che invece sono rilevanti nel lungo periodo come lo status sociale, la crescita della carriera, lo sviluppo della banca che porta a incrementare il benessere della società, tutti fattori non materiali.

Vasileva and Lasukova (2013) hanno effettuato uno studio su dodici banche dell’Ucraina per verificare la presenza di un impatto positivo della csr sull’efficienza e sulla stabilità bancaria. Attraverso l’utilizzo di metodologie statistiche parametriche si sono identificati i livelli di efficienza e stabilità del campione di banche.

Per verificare se la Csr ha un impatto positivo sull’efficienza bancaria è stato utilizzato come indicatore chiave dell’efficienza bancaria il profitto, in quanto lo scopo principale del business di una banca è quello di creare un utile.

La funzione obiettivo utilizzata è quella del calcolo del profitto prima delle tasse, nella quale non sono inclusi solo gli interessi dei proprietari dell’impresa (profitto netto) ma anche compensi percepiti da altri stakeholders come i dipendenti (tramite i salari) e il governo (tramite le tasse).

Nel modello parametrico questa funzione obiettivo è stata utilizzata come variabile dipendente e l’effetto dell’attività di csr come variabile indipendente al fine di determinare la presenza o meno di una correlazione positiva e il risultato è stato positivo per cui la Csr contribuisce all’efficienza bancaria.

Per verificare invece se la Csr ha un impatto positivo sulla stabilità bancaria è stato utilizzato come indicatore chiave lo Z-score il quale è in grado di determinare la bancarotta, o insolvenza, della banca.

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L’incremento di questo valore indica un incremento della stabilità bancaria, viceversa una diminuzione di questo valore provoca un incremento della probabilità di fallimento. Anche in questo caso è stata rilevata una correlazione positiva tra la stabilità bancaria e la csr, maggiori sono gli investimenti sociali e maggiore è la stabilità bancaria.

Quindi riassumendo si può affermare che la csr porta dei vantaggi finanziari e non finanziari alle banche in un contesto di competitività. Sicuramente la correlazione positiva presente tra la csr e la stabilità e l’efficienza bancaria rappresentano il primo passo per un implementazione di successo di ogni iniziativa sociale.

2.1.5 Influenza della Csr sull’attività creditizia

Alcuni studi esaminano l’impatto dell’attività di csr sulla determinazione degli spread applicati sui prestiti bancari sindacati, ovvero l’influenza del rapporto tra la csr e la valutazione del credito sui prestiti bancari.

La letteratura esistente presenta vari studi da parte di Goss and Roberts (2011), Harjoto and Jo (2011), Menz (2010), nei quali sono state fatte delle ipotesi circa la possibile correlazione tra la csr e il valore dell’impresa e la csr e il costo del capitale proprio e di terzi.

Gli studi di Boutin-Dufresne and Savaria (2004), Lee and Faaf (2009), e Soppe (2004) mostrano prove a sostegno della mitigazione del rischio e sostengono l’ipotesi che la responsabilità sociale contribuisce a ridurre il rischio idiosincratico delle imprese. Risulta quindi interessante e incentivante per gli istituti di credito tenere conto se un mutuatario, nello svolgimento della sua attività, pone in essere pratiche di responsabilità sociale al fine di determinare il rischio totale e l’applicazione di un giusto tasso di interesse al prestito, decidendo quindi di applicare uno spread inferiore in questo caso.

La Corporate Social Performance (CSP) sicuramente produce dei flussi di cassa futuri meno rischiosi e quindi abbassa la probabilità di cause legali costose e di incremento degli interventi regolatori o dei costi di conformità associati alle questioni ambientali e sociali. Questo porta alla naturale conseguenza che le imprese con alta efficienza

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economica e bassi problemi di inquinamento ambientale hanno dei premi per il rischio più bassi rispetto ad aziende che non tengono conto di tali questioni. Gli investimenti in Csr rafforzano la credibilità e la reputazione dei mutuatari in previsione del processo di screening effettuato dalle banche nel mercato dei prestiti sindacati dove sono presenti banche leader che effettuano tutto il processo di due diligence e il monitoraggio dei soggetti. Per i mutuatari è sicuramente conveniente comportarsi da cittadini responsabili in quanto riescono così ad ottenere finanziamenti a prezzi più bassi e quindi a incrementare lo sviluppo delle loro attività.

Studi esistenti, in particolare quello di Menz (2010), hanno rilevato che la qualità del governo societario influenza il premio per il rischio degli strumenti di credito delle società europee, il credit spread incorpora quindi anche questo fattore oltre alla compensazione aggiuntiva per l’ulteriore rischio che il creditore sopporta derivante dal rischio di default, di liquidità e di maturità. Risulta che maggiore è la qualità del governo e minore sarà la volatilità dei futuri flussi di cassa e quindi un minor rischio. La riduzione del rischio operativo e finanziario dei mutuatari comporta così, a parità di altre condizioni, un’applicazione di un più basso spread da parte delle banche e un minor premio per il rischio. Questa teoria è coerente con il modello del rischio di credito di Merton (1974), il quale afferma che la riduzione di volatilità del valore dell’impresa porta un premio per il rischio più basso. Concludendo le attività di csr riducono il rischio complessivo, per cui si può affermare la presenza di una relazione negativa tra l’impegno in csr e il valore dello spread sul credito.

Le imprese possono utilizzare l’impegno in csr al fine di ridurre i conflitti di interesse tra manager e stakeholders.

Secondo la teoria degli stakeholders di Jensen (2001), i manager devono prendere decisioni aziendali affinché queste vadano a beneficio di tutte le parti interessate, non solo verso gli azionisti quindi ma anche verso tutti quei soggetti che non sono interessati al controllo dell’impresa, come i dipendenti, i clienti e persino gli enti governativi; se la corporate governance è ben implementata ci sarà una convergenza di interessi tra tutte le parti interessate e quindi minori conflitti di interessi.

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Quindi se l’impegno in csr, assistito da un buon governo societario, rafforza la sostenibilità dell’impresa e migliora la sua immagine, contribuisce a risolvere i conflitti tra managers e stakeholders e si avrà quindi una riduzione dei costi di agenzia e dei conflitti di interesse tra i vari soggetti, inclusi i creditori, il che comporta quindi meno rischio e uno spread inferiore per i prestiti bancari.

Ci sono poi altre teorie, in particolare quella di Barnea e Rubin (2010), che studiano l’effetto della csr sulla relazione tra manager e azionisti. Loro sostengono che un manager è motivato a fare sovrainvestimenti in csr se questo comporta dei benefici privati sulla reputazione personale di buon CEO, anche a scapito degli azionisti, può infatti disporre investimenti che non sono allineati ai loro interessi. Gli azionisti vedono quindi le attività di csr come investimenti aggiuntivi che distraggono i manager dalla corretta gestione delle risorse aziendali, incidendo così sul rischio e quindi sull’applicazione di uno spread più elevato da parte degli istituti di credito. Sulla base di questo si può affermare l’esistenza di una relazione positiva tra l’impegno in csr e lo spread sul credito.

Sono presenti inoltre studi di Attiget al. (2013), Jiraporn et al. (2014) e Oikonomou et al. (2011), sull’impatto della csr sulle valutazioni da parte delle agenzie di rating. Coerentemente con quanto affermato negli altri studi, le ipotesi di mitigazione del rischio portano a una relazione positiva tra la csr e l’attribuzione del rating, maggiore è l’impegno in csr e più alto sarà il valore del rating assegnato; mentre le ipotesi dell’attività di csr vista come un sovrainvestimento portano alla instaurazione di una relazione negativa tra le due, per cui maggiore è l’impegno in csr e minore sarà il valore del rating assegnato dovuto a un maggior spreco di risorse e quindi un maggior rischio. Jiraporn et al. (2014) hanno evidenziato che l’effetto dei benefici e delle preoccupazioni della csr sul giudizio di rating è asimmetrico, ovvero i punti di forza della csr non incidono sul giudizio del rating, mentre i punti di debolezza sono correlati significativamente in modo negativo ai rating. Questa teoria è spiegata in relazione al fatto che l’attività di csr porta benefici in termini di riduzione del rischio, ma sono benefici non tangibili e quindi non visibili, mentre la non attività in csr porta visibili

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effetti negativi, come i rischi ambientali, che hanno portato pesanti effetti sull’impresa poiché le informazioni vengono trasmesse velocemente tramite i media.

Dato che vi è questa relazione asimmetrica tra la csr e il giudizio di rating, anche gli spread avranno una relazione asimmetrica con l’impegno in csr. Le preoccupazioni riguardo la csr non sono collegate agli spread sul credito in quanto si presuppone che le agenzie di rating abbiano già incluso gli effetti nel calcolo del rating, viceversa i benefici sono correlati agli spread sui prestiti in quanto le agenzie di rating non dispongono di tutte le informazioni che possono ottenere direttamente gli istituti di credito tramite i processi di istruttoria per la concessione dei finanziamenti (raccolta delle informazioni ex ante) e il monitoraggio del cliente (raccolta delle informazioni ex post). Quindi il calcolo degli spread sui prestiti incorpora l’effetto residuale dell’impegno in Csr che si aggiunge alla valutazione del giudizio del credito. Ovviamente tutto questo vale per quelle imprese che sono sottoposte alla valutazione di un giudizio di rating, in assenza di questa valutazione, gli istituti di credito incorporano l’effetto delle preoccupazioni in Csr nella determinazione degli spread.

Dallo studio di Sung C. Bae, Kiyoung Chang and Ha-Chin Yi (2017), che hanno utilizzato un campione di 5800 prestiti bancari nel periodo 1991-2008, si è evidenziato che i punti di forza della Csr sono negativamente correlati agli spread sui prestiti, questo è dovuto alla correlazione negativa presente tra gli investimenti in Csr e il costo dei prestiti. Per quanto riguarda invece i punti di debolezza è interessante come anch’essi sono correlati negativamente agli spread sui prestiti, anche se il coefficiente di correlazione risulta basso; questo può essere spiegato in ragione del fatto che le imprese più grandi hanno maggiori punti di debolezza come maggiori punti di forza della csr rispetto alle imprese più piccole, concludendo quindi che l’effetto della dimensione d’impresa influisce sul rapporto csr-spread sui prestiti.

Hanno inoltre verificato che a livelli molto bassi di impegno in csr, gli spread applicati sui prestiti risultano essere più elevati, via via che l’impegno in csr aumenta, gli spread si abbassano, concludendo che il livello di impegno in csr è inversamente proporzionale al calcolo degli spread. È interessante osservare però che a un livello

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molto alto di impegno in csr, lo spread aumenta in quanto il sovrainvestimento viene visto come un segnale negativo da parte dei finanziatori.

Nel loro modello sono usate molte variabili utilizzate anche da altri studiosi per ricercare il rapporto esistente tra la csr e il calcolo dello spread, guardando alle caratteristiche di un mutuatario si fa riferimento alla grandezza dell’impresa, potenziale di crescita, alti profitti, alta spesa in ricerca e sviluppo, pagamento dei dividendi, minor rischio di bancarotta e un maggior numero di analisti, sono tutte caratteristiche che contribuiscono a un abbassamento dello spread; mentre un alto indice di indebitamento e una maggiore volatilità nell’andamento delle azioni contribuiscono a un aumento dello spread.

Per quanto riguarda invece le caratteristiche del prestito, alcune come il prestito garantito, un prestito di maggiori dimensioni, un prestito non investment grade portano a un alto livello di spread, mentre i prestiti investment grade e prestiti con scadenza lunga portano al calcolo di uno spread più basso.

Dal loro modello hanno evidenziato che i punti di forza e di debolezza della csr hanno un impatto significativo ma opposto su calcolo dello spread sul prestito, maggiori sono i punti di forza rispetto a quelli di debolezza e minore è lo spread applicato. L’effetto dei punti di forza della csr è significativo per tutte le imprese, mentre per quanto riguarda i punti di debolezza l’effetto è maggiore per le imprese non rating piuttosto che per le imprese rating. Quindi per un mutuatario che non è sottoposto a un giudizio di rating, gli investimenti in csr sono percepiti come meno efficaci da parte degli istituti di credito e quindi contribuiscono ad abbassare i costi sul prestito in misura minore rispetto ai mutuatari che hanno una valutazione, al contrario le preoccupazioni in csr di un mutuatario senza rating contribuiscono ad aumentare il rischio e quindi gli spread applicati sono più alti.

Il loro studio fornisce un contributo importante soprattutto sulla relazione tra la determinazione dello spread e l’attività in csr considerando il giudizio fornito dalle agenzie di rating. Oltre alle evidenze già riportate in letteratura i loro risultati mostrano che per le imprese non rating, ridurre le preoccupazioni in csr è più importante che aumentare i punti di forza; i loro risultati mostrano che gli istituti di credito vedono le

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imprese con preoccupazioni in csr come imprese con evidenti problemi e la mancanza di un giudizio fornito da agenzie esterne aumenta la visione negativa che i creditori già hanno.

2.2 La normativa

In questa seconda parte si menzionano e si analizzano le fonti alle quali le banche attingono per mettere in atto pratiche di responsabilità sociale. Si fa riferimento al codice etico che viene redatto liberamente dalle banche, per cui non esiste un codice universale, e che contiene i principi guida dell’agire responsabilmente. Successivamente si riportano due modalità universali e tra le più diffuse di redazione di un report sostenibile: l’Integrated Reporting e le Sustainability Reporting Guidelines del GRI

,

che possono essere utilizzate non solo dalle banche ma da tutti i tipi di organizzazione che vogliono perseguire un fine etico. Si conclude con lo spiegare l’importanza crescente di questi standard internazionali anche a seguito dell’emanazione della direttiva europea che prevede, per determinati tipi di imprese, l’obbligatorietà di redazione di una dichiarazione a carattere non finanziario.

2.2.1. Adozione di un Codice Etico

La responsabilità sociale non è regolamentata da leggi giuridiche e vincolanti che, se non rispettate, portano all’applicazione di sanzioni; non esistono dei comportamenti obbligatori per tutti ma semplicemente ogni organizzazione si crea un proprio codice etico che comprende i principi e i valori che essa ritiene di dover rispettare.

Un codice etico per essere efficace deve definire le responsabilità delle organizzazioni verso le parti interessate, qual è la condotta che deve essere rispettata da ogni dipendente (Kaptein and Wempe, 2002) e stabilire cosa può essere ritenuto accettabile e cosa invece no (Stevens, 1996).

Sono chiamati anche codici di condotta, principi di business, codici etici e dichiarazioni di etica aziendale, in qualsiasi modo essi vengano chiamati, la funzione che svolgono è quella di definire linee guida di comportamento per evitare di incorrere in comportamenti vietati che creano conflitti di interesse e recano dei danni

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all’organizzazione. Quando i codici vengono accettati e rispettati da tutti si creano e si mantengono organizzazioni di successo.

Ogni organizzazione quindi è indipendente nella stesura del codice, o meglio segue determinati principi e valori radicati all’interno del territorio.

Sicuramente un codice per essere efficace deve avere una buona comunicazione, deve cioè essere accessibile e rispettato da tutti, deve essere ben incorporato nella cultura per permettere un suo migliore rispetto e deve influenzare e motivare gli atteggiamenti e le performance da realizzare.

Nel contesto bancario sicuramente la presenza di un codice etico è resa necessaria anche e soprattutto perché la clientela è sempre più informata grazie agli sviluppi della tecnologia. La condotta etica e professionale dei dipendenti sicuramente svolge un ruolo fondamentale nell’ottenimento e nel mantenimento della fiducia da parte della clientela e contribuisce quindi al mantenimento e al perseguimento dell’efficacia e della stabilità aziendale.

Degli studi hanno rilevato che a ogni dipendente viene rilasciata una copia del codice etico della banca che deve essere rispettato in quanto devono aderire alle regole per garantire una condotta professionale sul posto di lavoro; in caso di violazione, il soggetto commette un reato punibile secondo il Codice disciplinare di comportamento delle banche.

I codici etici vengono sviluppati internamente alle banche e non esiste uno standard etico comune globalmente accettato, quindi l’intensità dei codici varia da banca a banca. Diverse banche però (come ad esempio Malesia, Regno Unito, Nuova Zelanda) si stanno muovendo nella direzione di creazione di un codice etico comune, spinte dalla necessità di avere delle regole universali da seguire a causa del contesto in cui operano sempre più competitivo e turbolento.

Nonostante la mancanza di regole etiche comuni da seguire esistono comunque dei principi generali comuni che le banche seguono, degli standard morali accettati a livello mondiale e riconosciuti in letteratura.

Il rapporto KPMG sui Codici Etici pubblicato su Fortune 200 (Kaptein, 2014) che ha evidenziato quali sono i più comuni principi etici utilizzati nelle imprese:

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1. Integrità (50%) 2. Rispetto (36%) 3. Onestà (34%)

4. Responsabilità (27%) 5. Fiducia (26%)

In questo sondaggio sono state identificate le tre forze principali che spingono le imprese ad accettare un codice etico: creare una cultura comune, migliorare il comportamento dei dipendenti, proteggere e migliorare la reputazione etica e organizzativa.

Shwartz (1998) ha proposto sei standard morali universalmente accettati: 1. Attendibilità (onestà, integrità, affidabilità, lealtà)

2. Rispetto (rispettare gli altri/diritti umani) 3. Responsabilità

4. Equità 5. Cura

6. Cittadinanza.

2.2.2. Due modalità per redigere un bilancio sociale: l’Integrated

Reporting e le Sustainability Reporting Guidelines del GRI

A livello internazionale sono stati pubblicati diversi standard e linee guida per la redazione di un report sostenibile, i due standard maggiormente diffusi e che per questo costituiranno i cardini di riferimento di rendicontazione non finanziaria nel futuro sono l’Integrated Reporting e le SR Guidelines del GRI.

L’Integrated Reporting è stato formalizzato dall’International Integrated Reporting Council (IIRC), un ente globale di regolatori, investitori, società, standard di settore e ONG che condividono lo stesso punto di vista sulla necessità che la creazione di valore sia fondamentale nell’evoluzione del report aziendale.

Il Framework realizzato è stato rilasciato in seguito ad ampie consultazioni e test da parte di aziende e investitori in tutte le regioni del mondo, il suo scopo è quello di

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stabilire i Principi guida, gli elementi che regolano il contenuto complessivo di un report integrato e spiegare i concetti fondamentali su cui si basano.

La visione a lungo termine dell’IIRC è basata sul bisogno di integrare nelle pratiche commerciali nel settore pubblico e privato un valore aggiunto che sia costituto dall’impegno nelle attività sociali, al fine di migliorare l’allocazione di un capitale che sia più efficiente per aumentare la stabilità finanziaria e la sostenibilità.

Il report Integrato ha come obiettivo quello di:

-migliorare la qualità delle informazioni disponibili per i fornitori dei capitali finanziari per consentire un’allocazione del capitale più efficiente e produttiva

-promuovere un approccio più completo per la rendicontazione aziendale e comunicare l’intera gamma di fattori che influisce sulla capacità di un’organizzazione di creare valore nel tempo

-migliorare la responsabilità e la gestione dei capitali finanziari, intellettuali, produttivi, umani, sociali e relazionali, naturali e conoscere e comprendere le loro interdipendenze

-supportare il processo decisionale e le azioni che mirano alla creazione di valore nel breve, medio e lungo termine

Il report integrato è diverso da qualsiasi altro documento che contenga informazioni non finanziarie in quanto si concentra sulla capacità dell’organizzazione di creare valore nel breve, medio e lungo termine.

È importante pensare in modo integrato per comprendere meglio le relazioni presenti tra tutti gli elementi umani e non, al fine di rendere la gestione aziendale più efficiente e sostenibile, in particolare si fa riferimento ai capitali che vengono utilizzati e sui quali si producono determinati impatti, alla capacità di rispondere alle esigenze degli stakeholder, al modo in cui viene adattata la strategia e il modello di business per tenere conto dei rischi e delle opportunità che provengono dall’ambiente esterno, agli elementi che contribuiscono alle performance finanziarie e non.

Un report integrato offre degli evidenti vantaggi a tutti gli stakeholder interessati alla capacità di creare valore di una determinata impresa, si fa riferimento quindi ai

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dipendenti, clienti, fornitori, partner commerciali, comunità locali, legislatori, organismi di regolamentazione e responsabili delle decisioni politiche.

Il Framework internazionale adotta un approccio basato su dei principi, sono presenti dei requisiti da rispettare ma è prevista anche una certa flessibilità in modo da poter tenere conto in diversa misura dei singoli aspetti che incidono su un’organizzazione e che possono quindi essere diversi a seconda del tipo di attività svolta ma allo stesso tempo si deve poter realizzare un confronto tra le varie organizzazioni per ottenere le informazioni rilevanti. Non sono stabiliti degli indicatori di performance o delle metodologie di misurazione ma solo delle linee e dei principi guida nella redazione del report.

Un report integrato può essere previsto da normative esistenti ma può essere anche predisposto quale documento autonomo, deve includere una dichiarazione nella quale i componenti della governance riconoscono le loro responsabilità.

Il report integrato fornisce informazioni dettagliate sulle risorse utilizzate e sulle influenze sulle relazioni in conseguenza dell’operato dell’attività d’impresa; sia le risorse che le relazioni instaurate vengono chiamate Capitali, il report integrato mira a illustrare le modalità con le quali l’organizzazione interagisce con l’ambiente esterno e quali capitali vengono usati per creare valore.

I capitali sono divisi in Finanziario, Produttivo, Umano, Sociale e Relazionale, Naturale, questa divisione non è però obbligatoria e non necessariamente il report deve essere strutturato tenendo conto di questi tipi di capitale.

La capacità di creare valore non deve essere vista come un’ulteriore attività a cui un’impresa si deve dedicare solo per essere considerata responsabile e per rispettare determinati standard etici, non deve essere vista come una perdita dell’obiettivo primario di generare utili perché è proprio tramite una migliore relazione instaurata con tutti i tipi di capitali presenti e aumentando l’attenzione a tematiche non finanziarie che si ha un effetto positivo anche sul ritorno economico; in altre parole l’influenza sulla creazione di un utile è indiretta.

Il Framework definisce i principi guida e gli elementi che determinano il contenuto di un report integrato e illustra i concetti fondamentali di tali principi e elementi.

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Identifica le informazioni che vanno inserite al suo interno per valutare la capacità di creare valore, ma non definisce un benchmark per misurare la qualità della strategia o il livello delle performance. Il Framework può essere applicato a tutti i tipi di imprese, anche al settore pubblico e al no-profit, anche se risulta destinato principalmente al settore privato e a qualsiasi organizzazione a scopo di lucro.

I principi guida sono:

1. Focus strategico e orientamento al futuro: informazioni dettagliate sulla strategia dell’organizzazione e su come questa strategia influisca sulla capacità di creare valore

2. Connettività delle informazioni: la combinazione dei fattori utilizzati all’interno dell’organizzazione deve fornire un valore aggiunto e superiore rispetto al loro singolo utilizzo

3. Relazioni con gli stakeholder: devono essere fornite informazioni dettagliate sulla natura e sulla qualità delle relazioni con tutti i portatori di interesse e illustrare come e fino a che livello l’organizzazione riesce a soddisfare tutte le esigenze

4. Materialità: fornire informazioni su tutti gli aspetti che contribuiscono a creare valore nel breve, medio e lungo periodo

5. Sinteticità: il documento deve essere conciso

6. Attendibilità e completezza: devono essere contenute tutte le informazioni sulle questioni materiali, sia positive che negative, in modo equilibrato e senza errori

7. Coerenza e comparabilità: le informazioni incluse in un report integrato devono essere presentate secondo una base temporale coerente e in un formato tale da consentire la possibilità di confronto .

Un report integrato deve contenere 8 contenuti strettamente legati tra loro:

1. Presentazione dell’organizzazione e dell’ambiente esterno: spiegare cosa fa l’organizzazione e in quali circostanze opera

2. Governance: in che modo la struttura di governance crea valore nel tempo 3. Modello di business: definire quale è il modello di business utilizzato

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4. Rischi e opportunità: quali sono le opportunità e i rischi che influiscono sulla capacità di creare valore e in che modo vengono gestiti

5. Strategia e allocazione delle risorse: quali sono gli obiettivi e come intende raggiungerli

6. Performance: in che misura l’organizzazione ha raggiunto i propri obiettivi strategici e che risultati ha ottenuto

7. Prospettive: quali sfide dovrà affrontare l’organizzazione nell’attuazione della propria strategia e quali sono le implicazioni per il suo modello di business e per le performance future

8. Base di presentazione: in che modo l’organizzazione determina gli aspetti da includere nel report e come vengono valutati2

L’altro standard di sostenibilità è il GRI Sustainability Reporting Standards (GRI Standards), linee guida pubblicate dal Global Reporting Initiative (GRI) che nasce nel 1987 da un’iniziativa promossa dall’organizzazione statunitense Coalition for Environmentally Responsible Economies (CERES) e dall’United Nations Environment Programme (UNEP) al fine di accrescere l’efficacia e la qualità della rendicontazione di sostenibilità. Il GRI si è poi sviluppato nel corso degli anni come un’organizzazione internazionale globalmente riconosciuta che definisce delle linee guida per la redazione di un report sostenibile nel quale un’organizzazione riporta i suoi impatti economici, ambientali e sociali e li descrive secondo uno standard accettato a livello globale. Il Report di sostenibilità secondo questi standard dovrebbe fornire una rappresentazione equilibrata e ragionevole dei contributi positivi e negativi di un’organizzazione verso uno sviluppo sostenibile.

I GRI Standards sono strutturati come un insieme di standard intercorrelati tra loro e sono stati progettati per essere utilizzati insieme per preparare un rapporto sulla sostenibilità che si basa su dei principi e che ponga l’attenzione sugli impatti economici, ambientali e sociali.

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