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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

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1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Attraverso la semplice consultazione dei dati ufficiali relativi all'andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali nell’anno 2015 presentati dall’INAIL (1) èpossibile comprendere l’importanza, la drammaticità, la serietà e la costante attualità del tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Dall’altro lato, gli artt. 2, 32 e 41 Cost., l’art. 2087 c.c. ed ancora l’art. 6, comma 2, lett. d della Direttiva 89/391/CEE (2) evidenziano la netta presa di posizione dell’ordinamento contro la monetizzazione della salute e rifiutano, in tal modo, “di concepire la realtàdi fabbrica come immutabile luogo di pena”(3).

Proprio il tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro risulta essere “il terreno sul quale emerge in massima misura la fondatezza della constatazione secondo cui nel rapporto di lavoro, a differenza delle altre relazioni contrattuali, èimplicata la persona del lavoratore”(4).

La legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro in Italia èstata oggetto di un’importante e complessa evoluzione, la quale ha coinvolto da un lato i livelli di tutela e dall’altro, il suo oggetto, progredendo dal concetto di riparazione dei danni da infortunio sul lavoro (o da malattia professionale) al concetto di prevenzione degli stessi (5) e non ricomprendendo

1 Sono poco meno di 637.000 le denunce di infortuni accaduti nel 2015 registrate dall’INAIL. Gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono stati poco più di 416.000. Gli infortuni mortali “accertati” sono stati 694 in relazione alle 1.246 denunce di infortunio con esito mortale presentate all’istituto. Si conferma l’andamento crescente del numero delle malattie professionali, infatti le denunce di malattia sono state circa 59.000. I lavoratori deceduti nel 2015 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.462. Cfr. Fonte Open Data Inail - Rilevazione 30 Aprile 2016, consultabile in www.inail.it.

2 Il menzionato articolo indica tra i principi generali di prevenzione che il datore dovrà seguire nell’attuazione degli obblighi generali su lui gravanti, quello di “adeguare il lavoro all'uomo, in particolare per quanto concerne la concezione dei posti di lavoro e la scelta delle attrezzature di lavoro e dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute”.

3

MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1976, 46 ss. 4

MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2016, 534. 5

Ed inoltre, successivamente, la Dir. 89/391/CEE ha previsto per il datore di lavoro l’obbligo di “predisposizione delle misure di prevenzione tenendo in considerazione

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solo la dimensione dell’integrità fisica del lavoratore ma anche la sfera psichica e della personalitàmorale.

Nonostante l’evoluzione e il progresso del quale è stato oggetto, il tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, si configura ancora oggi, come un tema di frontiera, proprio in virtù dell’incessante necessità di attuare un costante aggiornamento alle possibili nuove forme di rischio, alle situazioni socio economiche, all’evoluzione tecnologica e al progresso delle misure di protezione, le quali sono suscettibili di divenire anacronistiche in periodi molto brevi.

Ed infatti “la questione della salubrità degli ambienti di lavoro e delle misure (tecniche, sociali e giuridiche) dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ebbe a porsi fin dagli albori dell’industrialismo, anche se solo a cavallo tra Ottocento e Novecento, si ebbero in Italia i primi timidi segnali di attenzione”(6).

L’obbligo di sicurezza trova le proprie basi in un complesso, copioso e differenziato quadro normativo, composto dall’art. 2087 c.c., dalla legislazione prevenzionistica degli anni cinquanta del secolo scorso (v. Cap. I, par. 4), dalla legislazione di derivazione comunitaria recepita dal legislatore nazionale (v. Cap. I, par. 6), poi riformata in un “unico testo” (v. Cap. I, par. 7) con il quale è stata risistemata l’intera materia e dalle competenze del legislatore regionale (v. Cap. I, par. 8).

La “frantumazione in una pluralità di fonti concorrenti” ed eterogenee nelle quali si inserisce la disposizione codicistica e “l’opera di risistemazione messa in atto dal legislatore impone all’interprete il compito di operare un delicato lavoro di raccordo sistematico che eviti, per un verso, rovinose spinte centrifughe dall’art. 2087 c.c. e, per l’altro, l’accreditamento di un policentrismo

non solo le caratteristiche oggettive dell’organizzazione del lavoro, ma anche alle condizioni soggettive di salute di ciascun lavoratore”, passando, in tal modo, da una legislazione e e modello di prevenzione strettamente tecnico ad una prevenzione nella quale dovranno emergere anche i fattori soggettivi ed inevitabilmente, le caratteristiche specifiche e fattori di rischio peculiari di ogni singola realtà lavorativa.

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normativo votato inesorabilmente a riflettersi in negativo sulla effettività della tutela”(7).

L’introduzione dell’art. 2087 c.c. ha rappresentato sicuramente un intervento di fondamentale importanza (8), attraverso il quale è stato riconosciuto un pieno ed effettivo diritto alla salute nei luoghi di lavoro ed è stato predisposto l’obbligo per l’imprenditore di “adottare nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integritàfisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La norma codicistica pare in tal modo, aver stabilito i criteri generali di estensione dell’obbligazione ed il risultato da raggiungere senza tuttavia specificare gli adempimenti a cui è tenuto il datore di lavoro nei concreti e specifici ambienti di lavoro, dimostrando così una certa genericità nella sua formulazione.

In realtà, la disposizione in esame risulta essere solo apparentemente generica, in quanto obbliga il datore di lavoro, ad aggiornare, sviluppare e migliorare le misure di sicurezza in rapporto al costante progresso tecnologico e all’evoluzione realtàsocio-economica .

L’art. 2087 c.c. come vedremo, viene definito infatti quale “norma di chiusura del sistema prevenzionistico”, espandibile dunque anche a situazioni concrete non ancora espressamente considerate dal legislatore al momento della sua formulazione, obbligando, il datore di lavoro, non solo al rispetto delle specifiche misure di sicurezza disposte dalla legislazione speciale, ma ampliando l’oggetto dell’obbligazione anche a situazioni non contemplate e garantendo in tal modo, la completezza del sistema a fronte di eventuali lacune di una normativa di dettaglio che non puòprevedere ogni fattore di rischio.

7

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 77 ss.

8 Tale disposizione è stata anche definita come, “architrave”, “zoccolo duro” dell’intera legislazione in tema di sicurezza, costituendo un sostegno indispensabile per la materia. NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, 5. L’art. 2087 c.c. viene dunque considerato ancora oggi “il nucleo minimo di riferimento della protezione del lavoratore nell’ambiente di lavoro”. Così MAZZOTTA, in Diritto del lavoro, Milano, 2016, 535.

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Con la finalità dunque di evitare che il policentrismo normativo incida negativamente sull’effettività della tutela, la dottrina lavoristica ( 9 ) ha ricostruito il rapporto intercorrente tra l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. e quello che trova nel corpus normativo prevenzionistico riformato poi dal d.lgs. n. 81/2008 il proprio fondamento positivo, in termini di relazione tra norma generale e norme speciali, di genus e species.

Nel quadro evolutivo della legislazione in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro, l’emanazione dell’art. 2087 c.c. rappresenta, come detto, “un significativo salto di qualità rispetto al passato” (10). Tale importante svolta è stata accentuata con l’entrata in vigore della Costituzione, la quale ha fornito una chiave di lettura ancora più avanzata alla disposizione codicistica. Invero, la Carta Costituzionale è riuscita a porre fine al netto scarto emerso tra le formali potenzialità espresse dal principio ex art. 2087 c.c. e la modesta applicazione o addirittura non applicazione della norma stessa in concreto, riuscendo così a

rivitalizzare l’elemento prevenzionale dell’articolo de quo.

Con l’introduzione dell’art. 32 Cost. il quale, come noto, attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, il diritto alla salute viene da un lato collocato nel nucleo dei diritti fondamentali ex art. 2 Cost. “manifestando così la sua repulsione verso qualunque tentativo di equiparazione tra inviolabilità e risarcibilità”, e dall’altro lato, pertanto, per una completa realizzazione necessita “non solo di proiettarsi nella dimensione risarcitoria ma anche di inverarsi mediante soluzioni rimediali che ne garantiscano l’effettivo godimento e che inibiscano l’insorgenza di comportamenti offensivi o che siano in grado di paralizzare tali comportamenti una volta posti in essere, limitando ragionevolmente gli effetti pregiudizievoli per la salute umana”(11).

9

In particolare v. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 78 ss.

10

MAZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, 37.

11

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 48 ss.

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In altri termini, la disposizione costituzionale evidenzia il fatto che “non potrà esistere una nozione astratta di tutela della salute che non implichi la predisposizione di mezzi e risorse necessarie” (12), presupponendo dunque, per una tutela effettiva del diritto alla salute, l’approntamento di numerose strumenti di garanzia, articolati e differenziati.

Trasferendo le considerazioni effettuate in ordine all’art. 32 Cost. nel tessuto dell’art. 2087 c.c., risulta facile comprendere come la disposizione codicistica, nell’ambito del rapporto di lavoro, venga in questo modo proiettata verso la direzione dell’effettività della tutela e verso l’esatto adempimento dell’obbligo di sicurezza e dei rimedi idonei a realizzarlo, relegando sotto un profilo residuale la dimensione risarcitoria.

La tutela effettiva della salute nel rapporto di lavoro è affidata dunque, non ad un unico meccanismo di garanzia, ma alla convergenza di molteplici azioni e strumenti diversi, prevedendo, in tal modo, oltre ai rimedi attivabili dal lavoratore in sede giurisdizionale anche una complessa legislazione prevenzionistica alla quale si unisce una tutela repressiva predisposta dal diritto penale comune.

Occorre inoltre, evidenziare il rapporto intercorrente tra il diritto alla salute e il diritto alla tutela della personalità morale con la libertà di iniziativa economica privata prevista dall’art. 41 Cost..

Il secondo comma di quest’ultima disposizione stabilisce infatti che la libertàdi iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. La dottrina lavoristica è concorde nel ritenere questi ultimi, come limiti esterni alla libertà di iniziativa economica, riconoscendo la preminenza del diritto del lavoratore a svolgere la propria attività in un ambiente di lavoro sicuro e salubre rispetto al diritto dell’imprenditore di organizzare liberamente la propria attività economica.

In altri termini, l’articolo menzionato, sancisce una limitazione alla libertà di iniziativa economica privata e non un coordinamento tra principi di pari rango, poiché il diritto alla salute e il diritto alla personalità morale appartengono al

12

SIMONCINI, LONGO, sub art. 32, in BIFULCO-CELOTTO-OLIVETTI (A cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, 659.

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nucleo dei diritti inviolabili, mentre non sono ritenuti inviolabili diritti come la proprietà o il diritto di iniziativa economica privata, in quanto “estranei alla sfera del suo essere umano, quindi alla sua personalità”(13).

In altri termini, le previsioni costituzionali, e in particolare l’art. 32, (v. Cap. I, par. 3), se da un lato rappresentano la fonte primaria del diritto alla salute (e di conseguenza anche del diritto all’integrità psico-fisica nei luoghi di lavoro), dall’altro lato, hanno restituito all’art. 2087 c.c., insieme al recepimento delle direttive comunitarie, quella centralità sistematica (14) che nel corso degli anni aveva perduto, riuscendo a riempire di contenuto la generica formulazione impiegata dalla disposizione codicistica e individuandone i beni tutelati.

Nella trattazione emergerà (v. Cap. I, par. 2.2) che la dottrina prevalente e la giurisprudenza maggioritaria affermano la natura contrattuale dell’obbligo di sicurezza; in altri termini “il dovere di sicurezza ex art. 2087 c.c., lungi dal collocarsi a latere o in una zona marginale del rapporto di lavoro, vi penetra sino al punto da condizionare e influenzare l’adempimento delle obbligazioni fondamentali e, in ultima analisi, da modellare lo stesso sinallagma contrattuale” (15).

Come rilevato “non sembra dunque eccessivo parlare oggi di un ampliamento della causa del contratto di lavoro, non più limitata allo scambio prestazione-retribuzione, ma piuttosto a quello prestazione sicura-retribuzione”(16).

13 NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 66. 14

BRANCA, Sicurezza del lavoro e progresso tecnico nel diritto italiano, in Riv. infortuni e mal. prof., 1970, I, 8, il quale giustamente afferma, a proposito dell’art. 2087 c.c., che “per lungo tempo non è stato valorizzato nella sua portata prevenzionistica, mentre proprio la lettura di esso dimostra come l’enunciazione del dovere medesimo sia anzitutto in funzione di apprestamento dei mezzi di sicurezza e non in chiave di responsabilità”.

15

MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986, 75. 16 CAPECE, Obbligazione di sicurezza, inadempimento e mora credendi del datore di

lavoro, in Comparazione e diritto civile, 13, disponibile in

www.comparazionedirittocivile.it. L’A. sottolinea come “L’impressione generale che si ricava dalla complessiva lettura del testo unico che, come visto, produce l’intensificazione dei profili di responsabilità del datore di lavoro, è quella di un riequilibrio degli interessi sottesi al rapporto di lavoro e di un sostanziale conseguente ampliamento del sinallagma del contratto, nel quale irrompe l’obbligazione di sicurezza, divenuta, senza più limitazioni di sorta (…), obbligazione primaria al pari di quella retributiva in capo al datore, ma con significative proiezioni anche sul prestatore di lavoro che, nel nuovo quadro, non è più solo un creditore di sicurezza, ma è tenuto a propria volta a partecipare attivamente alla gestione dei rischi, assumendosi obblighi

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Una volta esaurito l’esame delle ragioni poste a sostegno della responsabilità contrattuale del datore di lavoro in caso di inadempimento dell’obbligo di sicurezza, risulterà necessario analizzare i mezzi di tutela esperibili dall’interessato contro i comportamenti idonei ad arrecargli pregiudizio, prendendo atto che “gli strumenti attualmente utilizzabili non si rilevano idonei a fronteggiare appieno fenomeni e sollecitazioni sociali di così vasto respiro” (17).

L’applicazione giurisprudenziale dell’art. 2087 c.c. riguarda prevalentemente il risarcimento del danno quale conseguenza della violazione di diritti inviolabili della persona. La tutela risarcitoria però, se da un lato costituisce sicuramente un profilo rimediale ammissibile e importante, dall’altro rappresenta un approccio riduttivo e parziale al tema. Essa infatti, ad avviso della dottrina, dovrà assumere una valenza rimediale residuale e secondaria, rappresentando dunque solo uno dei possibili profili rimediali (18).

La norma codicistica infatti, “già sul piano letterale si muove in una dimensione che prescinde dall’individuazione delle conseguenze risarcitorie e che, a ben vedere, non prende affatto in considerazione il profilo rimediale, lasciando aperta la questione delle conseguenze della violazione dell’obbligo di sicurezza”, proiettando in questo modo l’art. 2087 c.c. “nella direttrice dell’esatto adempimento dell’obbligo e dunque verso i rimedi idonei a immediatamente incidenti, anche sotto il profilo economico, sulla dinamica dei suoi rapporti con il datore di lavoro”.

17

Resta in auge la critica di BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 103 ss. Sempre in tale ottica di attualità si pone l’affermazione secondo la quale “partendo dalla constatazione che l’odierna linea di difesa apprestata dall’ordinamento contro tutte le situazioni di pericolo e nocività è ormai troppo arretrata, non può non condividersi l’aspirazione di chi de jure condendo augura l’individuazione di una nuova frontiera giurisdizionale della prevenzione; (…) dovendosi auspicare un rafforzamento e un’innovazione delle sanzioni e delle garanzie (anche processuali) esistenti, magari mediante la previsione di nuovi strumenti che siano agevolmente utilizzabili da parte dei lavoratori e la cui validità potrà misurarsi sulla rapidità e incisività dell’intervento giudiziale”. Cfr anche SMURAGLIA, Il problema della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori nella legge 20 meglio 1970 n. 300, in Riv. giur. lav., 1971, I, 202.

18 “Ed invece nel nostro ordinamento è la tutela risarcitoria a svolgere un ruolo centrale sul piano rimediale a fronte dell’inadempimento dell’obbligo di sicurezza. Il risarcimento assume una sorta di funzione catartica che colma il divario tra la regola e la sua violazione, che riassegna la dignità a chi l’aveva perduta”. Così ALBI, La sicurezza sul lavoro e la cultura giuridica italiana fra vecchio e nuovo diritto, in Diritto della sicurezza sul lavoro, n. 1-2016, 92 ss.

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realizzarlo, in considerazione dell’implicazione della persona umana nel rapporto di lavoro”(19).

L’indagine dunque avrà ad oggetto il rapporto tra l’ambito delle tecniche rimediali esperibili in caso di inadempimento dell’obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro e l’effettività della tutela dell’integrità psico-fisica e della personalità morale del lavoratore, ed in particolare, l’idoneità delle prime nel garantire effettivamente la soddisfazione dei diritti tutelati dalla norma codicistica in esame.

In altri termini, il prestatore dovrà essere sicuramente risarcito per i danni alla persona subiti a seguito dell’inadempimento datoriale dell’obbligo di sicurezza ma tale profilo rimediale, come anticipato, risulta riduttivo e parziale, necessario ma non sufficiente (20), residuale in quanto, per una tutela effettiva della salute del lavoratore, è necessario individuare tutti quei rimedi esperibili prima della tutela risarcitoria, non essendo quest’ultima idonea a garantire la effettiva soddisfazione del diritto in questione.

19

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 3 ss. L’A. inoltre sostiene che “non si tratta di sminuire il significato della tutela risarcitoria ma di individuarne la corretta collocazione nell’ambito della combinazione delle tecniche rimediali finalizzate a garantire l’effettività della tutela del lavoratore”. Concludendo inoltre che “l’acquis giurisprudenziale in tema di danno alla persona nel rapporto di lavoro riflette, in virtù del principio dispositivo quale cardine del processo civile, le strategie difensive messe a punto dal ceto forense, che appare in prevalenza poco incline a far uso di tecniche rimediali diverse da quelle risarcitorie”. Lo stesso A. giudica tale analisi “in controtendenza, posto che intende collocarsi nel solco di quell’orientamento, invero minoritario, che crede nella centralità dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza e nella sua prevalenza sulla tutela risarcitoria, alla quale ritiene si debba assegnare una funzione residuale”.

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In quanto, privilegiando la dimensione risarcitoria quale rimedio unico o principale e non valorizzando i profili rimediali finalizzati alla tutela effettiva dei diritti inviolabili della persona, quali la vita, la salute e la dignità umana, si otterrebbe una inaccettabile conversione di tale inviolabilità in risarcibilità, risultando dunque inappagante “la prospettiva secondo cui la tutela di diritti fondamentali della persona possa trovare il proprio inveramento nella sola corresponsione di somme di danaro, quasi a tracciare una sorta di esclusività del rimedio”. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 9, Cfr. NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 77. L’utilizzo esclusivo della tecnica risarcitoria comporterebbe dunque la sostituzione di una misura compensativa, di monetizzazione del danno alla persona del lavoratore alla tutela effettiva dei diritti inviolabili della persona, di beni non negoziabili quali l’integrità psico-fisica e la personalità morale.

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Dunque la ricerca dovrà volgere in favore di tutele di altro tipo meglio rispondenti all’effettività dei diritti da tutelare e finalizzate all’esatto adempimento dell’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c, evitando in tal modo che la dimensione risarcitoria divenga l’unica via praticabile ed evidenziando così i valori e le finalità prevenzionistiche presenti nella norma codicistica.

Infine, stante il profilo empirico, risulterà necessario constatare che “l’ascesa della tecnica risarcitoria, pur incoerente con gli obiettivi anzitutto prevenzionistici del diritto del lavoro, poggia sull’esigenza di non lasciare privi di tutela diritti della persona del lavoratore violati da comportamenti illeciti che hanno ormai esaurito la carica offensiva; situazione questa che, a causa soprattutto della macchinosità e lentezza dello strumento processuale, rappresenta ormai la regola”(21).

In quest’ottica, “la ricostruzione delle dinamiche di diffusione ed espansione dello strumento risarcitorio nell’ambito lavoristico obbliga a confrontarsi con un segnale di preoccupante involuzione del diritto del lavoro, che fallisce nell’obiettivo principale di prevenire i torti che il dipendente possa subire nell’ambiente di lavoro. Allorquando il rimedio risarcitorio diventa la principale, se non l’unica risposta che l’ordinamento è in grado di offrire, si mette inesorabilmente a nudo l’incapacità di rendere effettivi e coercibili diritti e pretese che scaturiscono dall’esecuzione del contratto di lavoro. Il rimedio risarcitorio rischia di degradare a livello secondario la tutela fondata su uno statuto inderogabile e cogente che dovrebbe, anzi, deve rimanere prioritaria” (22).

In altri termini, l’escalation del ricorso alla tecnica risarcitoria è tesa a compensare lo strappo avvenuto nel diritto dei privati e a colmare il deficit di effettivitàdella disciplina inderogabile.

Al proposito, prima di affrontare i problemi inerenti il danno alla persona nel rapporto di lavoro, risulterà necessario descrivere brevemente l’evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno (non patrimoniale), con la

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LUCIANI, Danni alla persona e rapporto di lavoro, Napoli, 2007, 16. 22

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consapevolezza che i temi indicati richiederebbero un impegno che va ben al di làdi queste pagine.

Si tratta di una rivoluzione “passiva”, attuata senza alcuna modificazione legislativa ma ottenuta attraverso la rilettura delle disposizioni normative esistenti e compiuta in numerosi arresti giurisprudenziali.

Infine, nell’affrontare il tema della tutela della persona del lavoratore in caso di infortunio o tecnopatia, il presente lavoro, ripercorrerà ed effettueràuna sorta di viaggio esplorativo inerente lo sviluppo e l’evoluzione della categoria del c.d. danno differenziale, il quale si pone al crocevia tra il sistema assicurativo sociale dell'INAIL e la tutela risarcitoria connessa alla responsabilità civile del datore di lavoro, analizzandone il contenuto, le caratteristiche, il regime probatorio e le tecniche giurisprudenziali di liquidazione alla luce dei principali orientamenti e approfondimenti in materia svolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Emergerà nel prosieguo che “la vicenda risarcitoria connessa al rapporto di lavoro, non può essere, proprio per l’interferenza degli istituti di sicurezza sociale e delle contaminazioni previdenziali ed assicurative, trattata come quella connessa a qualunque altra forma di illecito contrattuale o extracontrattuale” (23).

Da ultimo e per completezza, risulterà pertanto indispensabile effettuare un’analisi critica avente ad oggetto “i nodi del complicato raccordo tra il regime risarcitorio di fonte civilistica e la protezione assicurativo-sociale dell’INAIL” (24), o in altri termini, “l’interazione tra il sistema di sicurezza sociale, su base assicurativa e quello piùampio della responsabilitàcivile”(25).

23

CIRIELLO, Sicurezza e infortuni sul lavoro: responsabilità e danno, in NATULLO (A cura di), Salute e sicurezza sul lavoro, Milano, 2015, 425.

24

TULLINI, Il danno differenziale: conferme e sviluppi d’una categoria in movimento, in Riv. It. dir. lav., 4, 2015, 485, 1.

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CIRIELLO, Sicurezza e infortuni sul lavoro: responsabilità e danno, in NATULLO (A cura di), Salute e sicurezza sul lavoro, Milano, 2015, 424.

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11 CAPITOLO I

L’OBBLIGO DI SICUREZZA E IL DIRITTO ALLA SALUTE DEL LAVORATORE: L’EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO

1. Evoluzione storica-sistematica dell’obbligo di sicurezza e della tutela della salute nei luoghi di lavoro. I primi interventi tra fine Ottocento e inizi Novecento.

La legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro in Italia èstata oggetto di un’importante e complessa evoluzione, la quale ha coinvolto da un lato i livelli di tutela e dall’altro, il suo oggetto, progredendo dal concetto di riparazione dei danni da infortunio sul lavoro (o da malattia professionale) al concetto di prevenzione degli stessi e non ricomprendendo solo la dimensione dell’integrità fisica del lavoratore ma anche la sfera psichica e della personalitàmorale.

Numerosi sono i soggetti, come vedremo, che hanno contribuito e svolto un ruolo di rilievo nello sviluppo e nella realizzazione di quel complesso apparato di protezione del prestatore di lavoro, dalle organizzazioni internazionali, al legislatore comunitario, dal legislatore nazionale alla dottrina lavoristica, per finire con l’apporto della giurisprudenza.

Proprio il tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro risulta essere “il terreno sul quale emerge in massima misura la fondatezza della constatazione secondo cui nel rapporto di lavoro, a differenza delle altre relazioni contrattuali, èimplicata la persona del lavoratore”(26).

Nonostante l’evoluzione e il progresso del quale è stato oggetto, il tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, si configura ancora oggi, come un tema di frontiera, proprio in virtù dell’incessante necessità di attuare un costante aggiornamento alle possibili nuove forme di rischio, alle situazioni socio economiche, all’evoluzione tecnologica, al progresso delle

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misure di protezione le quali sono suscettibili di divenire anacronistiche in periodi molto brevi (27).

Un’impostazione decisamente riduttiva caratterizzava la tutela della salute dei lavoratori nel Codice Civile del 1865 (28), nel quale la logica produttivistica e la libertà di iniziativa privata relegavano in secondo piano le esigenze di tutela dei lavoratori.

Infatti l’art. 1151 del Codice Civile del 1865, diretta derivazione dell’art. 1382 del Codice di Napoleone, ( 29 ) seguendo lo schema della responsabilità extracontrattuale per colpa e seguendo il principio dell’«agire a proprio rischio», teneva indenne il datore di lavoro per tutti quegli infortuni imputabili a colpa del lavoratore, caso fortuito o forza maggiore ( 30 ). In altri termini, l’articolo menzionato riconosceva la responsabilità civile del datore di lavoro per gli infortuni occorsi ai propri dipendenti ma su questi ultimi incombeva l’onere della prova del rapporto di causalità tra l’evento infortunistico ed il fatto illecito del datore di lavoro (31).

27

PROIA, Il diritto all’integrità psicofisica, in SANTORO PASSARELLI (A cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico, Milano, 2009, 847.

28

“A voler risalire nel tempo (…) nel codice del 1865 il ‘libero’ contratto di lavoro svolgeva tra l’altro la funzione di trasportare il prestatore d’opera dalla sfera del diritto reale a quella del diritto delle obbligazioni: a seguito dell’identificazione tra persona umana e soggetto giuridico, il lavoratore non era più considerato una res”. Proprio perché veniva valorizzata, con la personalità, la libertà del singolo, si riteneva che il lavoratore fosse pienamente in grado di autotutelarsi. “In tal modo il contratto si fermava al limite dell’organizzazione: ciò che concerneva quest’ultima rientrava nella sfera di autonomia dell’imprenditore, nella quale lo Stato non poteva e non doveva entrare, mentre al prestatore d’opera era consentito difendersi usando soltanto della sua…libertà per condizionare la libertà e l’autonomia della controparte”, profilandosi uno schema in cui i mezzi di tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore erano quasi inesistenti. Solamente verso la fine del secolo, si annoverano i primi ricorsi alla categoria dell’obbligazione di correttezza tra le parti del rapporto obbligatorio, la quale obbligava l’imprenditore a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore. BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 6 ss. Cfr. PERGOLESI, Il contratto di lavoro manuale, Roma, 1929; CASANOVA, Studi sul diritto del lavoro, Pisa, 1929, 135 ss.

29

Art. 1151 cod. civ. del 1865 “Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno”.

30

Cfr. BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 5 ss.

31

Nonostante l’affermazione in chiave protettiva di alcuni principi del diritto delle obbligazioni, la dottrina e la giurisprudenza ricavavano dalle norme civilistiche soltanto una pretesa del prestatore di lavoro a conseguire il risarcimento dei danni subiti, mentre erano ancora lontane dal riconoscere la presenza di posizioni attive e passive di tutela

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Il passaggio di numerosi lavoratori dal settore dell’agricoltura a quello dell’industria, il lavoro nelle cave e nelle miniere, lo sviluppo della civiltà industriale e l’espansione nell’utilizzo delle macchine, comportò un crescente aumento dei casi di infortunio (o malattie contratte) nei luoghi di lavoro, facendo emergere contestualmente l’interesse della collettività per il problema della sicurezza dell’integritàfisica del lavoratore.

Ed infatti “la questione della salubrità degli ambienti di lavoro e delle misure (tecniche, sociali e giuridiche) dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ebbe a porsi fin dagli albori dell’industrialismo, anche se solo a cavallo tra Ottocento e Novecento, si ebbero in Italia i primi timidi segnali di attenzione”(32).

Proprio in quegli anni, un insigne giurista, unanimemente riconosciuto come uno dei fondatori del diritto del lavoro moderno, affermava che “Il padrone […] deve costituire l’operaio in condizioni adeguate per il lavoro, dargli buoni istromenti e buoni locali. Ma si avverta che non è questo un principio generale obbligatorio per il giudice: questi deve indagare le circostanze, e conformarvisi di caso in caso secondo l’equità”(33).

Sempre nello stesso periodo, i collegi probivirali ( 34 ), con notevole lungimiranza, affermavano “Se un operaio contragga un’infermità dipendente preventiva. Cfr. BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 8 ss.

32 MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2016, 535 33

BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, 1901, 562. L’A. perviene a questa affermazione sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 1124 c.c. del 1865 in base al quale “I contratti debbono essere eseguiti di buona fede, ed obbligano non solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l’equità, l’uso o la legge ne derivano”. Nonostante l’originalità e lo sforzo creativo della menzionata interpretazione, una parte della dottrina critica tale posizione, poiché al di là delle astratte affermazioni di principio, il rilievo giuridico dell’obbligo di sicurezza veniva in tal modo circoscritto ad una fase successiva al verificarsi dell’evento lesivo, facendo emergere un mero criterio di responsabilità patrimoniale, trascurando l’aspetto prevenzionistico. Cfr. BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 9.

34 I collegi probivirali furono introdotti dalla l.15 gennaio 1893 n. 295. Era una speciale

magistratura arbitrale, la quale dirimeva le controversie secondo equità creativa di diritto considerando l’assenza di regole legali, pur ispirandosi agli usi locali. In altri termini avevano il compito di dirimere “sul campo” e con giudizio equitativo i conflitti tra padroni e operai.

La competenza conciliativa di tale organo riguardava numerose materie e controversie tra le quali la valutazione di ogni danno subito dal lavoratore nell'esercizio del suo lavoro.

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14

dal lavoro in cui si è impiegato e se il titolo del risarcimento in confronto dell’industriale non si può riscontrare nella natura dell’industria pericolosa o insalubre da lui esercitata, potrebbe ritrovarsi nella mancanza di quelle cautele e precauzioni, che la scienza e la pratica costante suggeriscono per prevenire gli infortuni e diminuirne la portata”(35) (36).

L’inquadramento della vera natura del problema era ancora lontano dall’essere acquisito, infatti, come già detto, le prime preoccupazioni sociali concernevano il risarcimento dei danni cagionati da eventi infortunistici (o da malattie professionali) e non la prevenzione degli stessi, evidenziando in questo modo l’assenza di una cultura prevenzionistica.

Il primo intervento legislativo in materia fu il risultato della menzionata visione, infatti non fu diretto alla prevenzione degli infortuni, ma attraverso I suddetti collegi, solamente dopo l'esperimento infruttuoso della conciliazione, erano competenti a decidere anche in via contenziosa. Erano composti da un ufficio di conciliazione e da una giuria.

La nomina avveniva con decreto reale, su proposta dei ministri di Grazia e giustizia e del Commercio e dell'agricoltura, nei luoghi ove sorgevano fabbriche o imprese industriali, per ogni industria o gruppo d'industrie simili.

Erano collegi paritetici, formati da un presidente nominato tra soggetti esterni alle aziende interessate e scelto tra i funzionari dell'ordine giudiziario o tra persone idonee alla carica di conciliatore, e da un egual numero di industriali e di operai scelti dalle rispettive categorie.

Il r. decr. legge 26 febbraio 1928, n. 471, abolì i collegi dei probiviri, affidando le relative competenze a pretori e tribunali. Sulla composizione dei collegi probivirali e sul loro funzionamento v. LESSONA, Codice dei probiviri, Firenze, 1894; PERGOLESI, Diritto processuale del lavoro, Bologna, 1929, 57 ss.

35

Collegio dei Probiviri di Milano, Industria meccanica, 23 dicembre 1903, Coarezza e Rebaini c. Società Nazionale Accomulatori, in EUSEBIO, Dizionario di giurisprudenza probivirale sul contratto di lavoro, Torino, 1909, 230, n. 13. Riconoscevano dunque il diritto del lavoratore ad essere risarcito delle lesioni all’integrità fisica contratte in costanza di rapporto in caso di assenza delle cautele e delle precauzioni che la scienza o l’esperienza suggerivano al fine di prevenire gli infortuni.

36

L’insigne giurista ed un Collegio di Probiviri «sono concordi nel ritenere, agli inizi del secolo, che, anche in assenza di una normativa specifica che assegni all’imprenditore l’obbligo del rispetto dell’incolumità fisica e psichica dei lavoratori dipendenti, tale obbligo possa ugualmente costruirsi attraverso il rinvio ai “principi” del diritto delle obbligazioni» e puntualizzano “il fondamentale ruolo giocato da clausole generali, quali l’equità, la buona fede, ecc., nel colmare le lacune dell’ordinamento apportando protezione ad interessi che ancora non emergono autonomamente sul piano normativo”. Così MAZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, 35 ss. Il contratto di lavoro dunque, cominciava ad emergere quale categoria autonoma nel quale tutelare il diritto all’integrità del lavoratore ma nonostante la lungimiranza delle opinioni menzionate, dovranno passare circa quarant’anni prima che questi concetti trovino concreta attuazione nell’art. 2087 c.c.

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15

l’emanazione della l. 12 marzo 1898, n. 30 ( 37 ) ( 38 ) venne introdotta l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (39). La normativa sanciva da un lato l’esonero della responsabilità civile degli imprenditori e dall’altro prevedeva l’obbligatorietà dell’adozione di determinate misure tecniche atte a prevenire gli infortuni, delegando il governo

37

Successivamente modificato con la l. 29 giugno 1903, n. 243 e risistemata nel r.d. 31 gennaio 1904, n. 51. L’art. 3 del r.d. 31 gennaio 1904, n. 51, proclamava l’esistenza di un generale obbligo di sicurezza in capo all’imprenditore, il quale veniva chiamato ad adottare tutte le misure finalizzate alla prevenzione degli infortuni e alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, previste da leggi e regolamenti. La menzionata disposizione, pur avendo un carattere non tanto prevenzionale quanto di parametro di valutazione della responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’infortunio o della malattia, rappresenta un diretto antecedente dell’art. 2087 c.c. che, come vedremo, assume un ruolo fondamentale in questa materia. “E’ vero che con l’art. 3 del T.U del 1904 sugli infortuni sul lavoro si previde, con norma generale, il principio secondo cui i capi delle imprese avrebbero dovuto adottare tutte le misure prescritte dalle leggi e dai regolamenti per prevenire gli infortuni e per proteggere la vita e l’integrità personale degli operai. Ma è anche vero, anzitutto, che tale disposizione inserita com’era all’interno di una normativa volta alla introduzione della assicurazione obbligatoria contro danni alla salute già verificatesi, mal si prestava a legittimare l’inserimento all’interno del contratto di lavoro dell’obbligo (preventivo) di sicurezza […] e che, mancando in tale norma qualsiasi riferimento alla specificità delle lavorazioni effettivamente esercitate e, d’altra parte, alla esperienza e la tecnica, poteva ritenersi indenne da responsabilità l’imprenditore che avesse strettamente osservato le (scarse) misure previste dalle leggi e dai regolamenti vigenti all’epoca”. Così MAZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, 36 ss.

38

“Può essere vista più come un espediente attraverso il quale esonerare dalla responsabilità civile il datore di lavoro (e quindi contribuire ad una razionalizzazione dei rischi e correlativamente dei costi di produzione) che come un reale intervento a tutela della salute in fabbrica”. Così MAZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, 36. Il ritardo della nascita di una complessiva normativa volta alla tutela preventiva della salute dei lavoratori deve essere ascritto a quella concezione che ancora collegava l’evento infortunistico alla c.d. teoria del fattore umano, facendone derivare la causazione da fattori di tipo soggettivo, legati alla mera imprudenza o negligenza comportamentale degli stessi lavoratori come tragica fatalità, che considerava il rischio come ineluttabile, legato al lavoro stesso e perciò ineliminabile, in virtù di una sorta di fatalismo produttivo. Inoltre a tale principio si affiancava il principio dell’assoluta libertà di iniziativa privata, la quale mal tollerava l’apposizione di limitazioni esterne al potere gerarchico e di organizzazione dell’imprenditore. Il legislatore, in virtù di queste concezioni, per molti anni non trovò altra soluzione che quella di privilegiare l’aspetto risarcitorio, facendo registrare una pesante marginalizzazione delle finalità prevenzionistiche.

39

L’estensione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro anche alle malattie professionali nell’industria, fu introdotta successivamente, con il r.d. 13 maggio 1929 n. 928, entrato in vigore il 1° gennaio 1934. Nella normativa menzionata furono individuate sei malattie per le quali valeva una presunzione legale. Era dunque sufficiente la sola insorgenza della malattia in un prestatore addetto a determinate lavorazioni, dunque senza oneri a suo carico inerenti la dimostrazione del nesso causale.

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16

all’attuazione successiva di regolamenti specifici contenenti tali misure prevenzionistiche. (40)

L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali fu resa possibile dall’affermazione del principio del c.d. rischio professionale, il quale pone “a fondamento della responsabilità civile del datore di lavoro, non la colpa, ma l’esercizio di un’attività potenzialmente pericolosa per la salute e l’incolumità dei lavoratori che vi sono addetti” (41) o in altri termini “in base al quale ogni evento connesso all’esercizio di una attività lavorativa deve essere sostenuto da chi trae vantaggio dalla prestazione” (42). Dunque il datore di lavoro, essendo l’unico soggetto a trarne vantaggio è responsabile dell’esposizione al rischio e come tale tenuto a sopportarne le conseguenze negative derivanti dal verificarsi di quell’evento di rischio, facendosi totalmente carico del pagamento del premio assicurativo.

In questo modo da un lato veniva limitata la responsabilità civile dei datori di lavoro e dall’altra veniva estesa la tutela anche agli infortuni generati da caso fortuito, forza maggiore e colpa non grave del prestatore, senza più limitare la tutela ai soli casi di infortunio dovuti alla colpa del datore di lavoro.

Quanto alla regolamentazione della prevenzione degli infortuni menzionata, nella disciplina delle origini sono da segnalare solo interventi parziali e settoriali. Per opera del r.d. 18 giugno 1899, n. 230 venne introdotto il “Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni”, il quale si occupava della protezione dei lavoratori circoscrivendone peròl’ambito di applicazione al solo settore industriale ed alle sole grandi imprese, basandosi sul criterio del numero dei dipendenti.

Successivamente attraverso il r.d. 18 giugno 1899, n. 231, il r.d. 27 maggio 1900, n. 205, il r.d. 16 giugno 1899, n. 233 furono disposti alcuni interventi settoriali relativi ad attività particolarmente pericolose, rispettivamente,

40

La l. 12 marzo 1898, n. 30 conferì al Ministero per l’agricoltura, per l’industria e per il commercio, il compito di redigere i primi regolamenti per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute e dell’incolumità dei lavoratori.

41

MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2016, 535. Con l’elaborazione del principio del “rischio professionale” veniva introdotto un criterio di imputazione oggettiva della responsabilità civile, alternativo ai criteri tradizionali di dolo e colpa.

42

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17

“miniere e cave”, “imprese di costruzioni” e “industrie utilizzanti materie esplodenti”(43) (44).

Con il D.L.L. 23 agosto 1917, n. 1450, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro fu estesa anche al settore dell’agricoltura.

Dopo la Grande Guerra, venne emanato il r.d. 14 aprile 1927, n. 530, il quale introdusse la prima legislazione organica in tema di sicurezza sul lavoro, il primo “nucleo” di diritto prevenzionistico, peraltro caratterizzato da un’accentuata modernità, dimostrata attraverso l’inserimento della figura del medico di fabbrica e dell'obbligo di presidi sanitari

2.1 Il codice civile del 1942. L’obbligo di sicurezza: analisi dell’art. 2087 Cod. Civ. Rapporti con la legislazione “speciale”.

Le previsioni costituzionali, e in particolare l’art. 32, come vedremo (v. Cap. I, par. 3), se da un lato rappresentano la fonte primaria del diritto alla salute (e di conseguenza anche del diritto all’integrità psico-fisica nei luoghi di lavoro), dall’altro lato, hanno restituito all’art. 2087 c.c., insieme al recepimento delle direttive comunitarie, quella centralità sistematica (45) che nel corso degli anni aveva perduto, riuscendo a riempire di contenuto la generica formulazione impiegata dalla disposizione codicistica e individuandone i beni tutelati.

43

Da menzionare in tale ambito anche il r.d. 7 marzo 1903, n. 209 inerente la prevenzione degli infortuni nell’esercizio delle ferrovie e il r.d. 23 novembre 1911, n. 1306 per la prevenzione nell’esercizio delle tramvie extraurbane.

44 Era però

evidente il ruolo accessorio svolto dalla disciplina prevenzionistica. Quest’ultima non era finalizzata ad un reale inserimento di misure idonee a tutelare preventivamente l’integrità fisica e morale dei lavoratori ma sosteneva l’istituto dell’assicurazione obbligatoria, poiché si chiedeva all’imprenditore un minimo di diligenza prevenzionistica al fine di non contribuire a far lievitare la quota prevista e fisiologica di infortuni preventivata dagli istituti assicuratori, non aggravando quindi i costi di gestione. Tale opinione risulta rafforzata anche dalla conformità e corrispondenza dell’ambito di applicazione degli stessi regolamenti di prevenzione a quello previsto dal t.u. che ha introdotto l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.

45

BRANCA, Sicurezza del lavoro e progresso tecnico nel diritto italiano, in Riv. infortuni e mal. prof., 1970, I, 8, il quale giustamente afferma, a proposito dell’art. 2087 c.c., che “per lungo tempo non è stato valorizzato nella sua portata prevenzionistica, mentre proprio la lettura di esso dimostra come l’enunciazione del dovere medesimo sia anzitutto in funzione di apprestamento dei mezzi di sicurezza e non in chiave di responsabilità”.

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18

L’introduzione dell’art. 2087 c.c. ha rappresentato sicuramente un intervento di fondamentale importanza (46), attraverso il quale è stato riconosciuto un pieno ed effettivo diritto alla salute nei luoghi di lavoro ed è stato predisposto l’obbligo per l’imprenditore di “adottare nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolaritàdel lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integritàfisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. La norma codicistica pare in tal modo, aver stabilito i criteri generali di estensione dell’obbligazione ed il risultato da raggiungere senza tuttavia specificare gli adempimenti a cui è tenuto il datore di lavoro nei concreti e specifici ambienti di lavoro, dimostrando così una certa genericità nella sua formulazione.

In realtà, la disposizione in esame risulta essere solo apparentemente generica, in quanto obbliga il datore di lavoro, ad aggiornare, sviluppare e migliorare le misure di sicurezza in rapporto al costante progresso tecnologico e all’evoluzione della realtàsocio-economica .

L’art. 2087 c.c. come vedremo, viene definito infatti quale “norma di chiusura del sistema prevenzionistico”, espandibile dunque anche a situazioni concrete non ancora espressamente considerate dal legislatore al momento della sua formulazione, obbligando, il datore di lavoro, non solo al rispetto delle specifiche misure di sicurezza disposte dalla legislazione speciale, ma ampliando l’oggetto dell’obbligazione anche a situazioni non contemplate e garantendo in tal modo, la completezza del sistema a fronte di eventuali lacune di una normativa di dettaglio che non puòprevedere ogni fattore di rischio. La Corte di Cassazione ha precisato che “l’art. 2087 c.c. ha una funzione integratrice della normativa che prevede le singole misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro con la conseguenza che la responsabilità del datore di lavoro, o delle altre persone alle quali sono attribuite funzioni di protezione

46

Tale disposizione è stata anche definita come, “architrave”, “zoccolo duro” dell’intera legislazione in tema di sicurezza, costituendo un sostegno indispensabile per la materia. NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, 5. L’art. 2087 c.c. viene dunque considerato ancora oggi “il nucleo minimo di riferimento della protezione del lavoratore nell’ambiente di lavoro”. Così MAZZOTTA, in Diritto del lavoro, Milano, 2016, 535.

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dell’incolumità dei lavoratori, non è esclusa dall’inesistenza di una norma specifica di cautela” (47).

L’obbligo di sicurezza infatti, come vedremo meglio nel prosieguo del capitolo, trova le proprie basi in un complesso, copioso e differenziato quadro normativo, composto dalla disposizione codicistica de quo, dalla legislazione prevenzionistica degli anni cinquanta del secolo scorso (v. Cap. I, par. 4), dalla legislazione di derivazione comunitaria recepita dal legislatore nazionale (v. Cap. I, par. 6), poi riformata in un “unico testo” (v. Cap. I, par. 7) con il quale è stata risistemata l’intera materia ( 48 ) e dalle competenze del legislatore regionale (v. Cap. I, par. 8).

La “frantumazione in una pluralità di fonti concorrenti” ed eterogenee nelle quali si inserisce la disposizione codicistica e “l’opera di risistemazione messa in atto dal legislatore impone all’interprete il compito di operare un delicato lavoro di raccordo sistematico che eviti, per un verso, rovinose spinte centrifughe dall’art. 2087 c.c. e, per l’altro, l’accreditamento di un policentrismo normativo votato inesorabilmente a riflettersi in negativo sulla effettività della tutela”(49).

Con la finalità dunque di evitare che il policentrismo normativo incida negativamente sull’effettività della tutela, la dottrina lavoristica ( 50 ) ha ricostruito il rapporto intercorrente tra l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. e quello che trova nel corpus normativo prevenzionistico riformato poi dal d.lgs. n. 81/2008 il proprio fondamento positivo, in termini di relazione tra norma generale (51) e norme speciali (52), di genus e species (53).

47

Così Cass. pen., 30.11.2007, n. 44791, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 926. 48

Anche se, come vedremo, il d.lgs. n. 81/2008 non ha operato una perfetta integrazione e sistemazione dell’imponente apparato della legislazione di matrice prevenzionistica

49

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 77 ss.

50

In particolare v. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 78 ss.

51 La norma generale è

una “norma completa costituita da una fattispecie e da un comando” e rappresenta una tecnica opposta al metodo casistico. Infatti la fattispecie non descrive un singolo caso o un gruppo di casi ma una generalità di casi. Cfr. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto

(20)

20

Da ciò ne discenderebbe, che solo attraverso l’interazione tra i due poli si renderebbe effettivo il diritto alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, restituendo una corretta configurazione dell’obbligo di sicurezza.

Una diversa interpretazione del rapporto menzionato presente in dottrina e giurisprudenza ( 54 ), conferisce all’art. 2087 c.c. la funzione di “clausola generale e valvola di chiusura del sistema prevenzionistico, introducendo in esso un germe di effettività, posto che costringe il datore di lavoro ad un adeguamento costante della propria organizzazione produttiva agli standard sempre mutevoli della sicurezza” (55).

da), Milano, 2008; MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 5 ss. Cfr. anche GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, CICU-MESSINEO-MENGONI (a cura di), continuato da SCHLESINGER, Milano, 1998, 40 ss.

52

La norma speciale ha la funzione di regolare “in modo diverso, rispetto al diritto comune, solo il quid pluris che la qualifica rispetto alla norma generale, la quale continuerebbe a riguardare quella parte della fattispecie comune alle due norme”, cosicché la norma speciale non deroga a quella generale, escludendola per incompatibilità, ma “si limita a dettarne un’applicazione specifica, motivata da esigenze specialistiche ratione materiae, personae, loci”. Così, GORGONI, Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto, Torino, 2005, 48. Per una disanima tra norme speciali e norme eccezionali v. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale CICU-MESSINEO-MENGONI (a cura di), continuato da SCHLESINGER, Milano, 2011, 118 ss. dove l’A. specifica che “Date una norma N1 che disciplina la classe di fattispecie F (…) e una norma N2 che disciplina una sottoclasse di fattispecie inclusa in F (…), diremo che N1 è generale in relazione a N2 e simmetricamente che N2 è speciale in relazione a N1. Banalmente tra le fattispecie disciplinate dalle due norme intercorre una relazione da genere a specie. Ora una norma speciale può, secondo i casi costituire una specificazione della norma generale o invece fare eccezione alla norma generale. Una norma speciale fa eccezione ad una norma generale allorché dispone - per una o più fattispecie incluse nel campo di applicazione della norma generale - una conseguenza giuridica incompatibile con quella disposta dalla norma generale. A rigore, in questi casi, non di norme speciali si dovrebbe parlare ma più precisamente di norme eccezionali”.

53

La disciplina di dettaglio opera dunque come specificazione e proiezione della norma codicistica, mentre quest’ultima orienta la prima verso la proiezione finalistica rappresentata dalla tutela della persona.

54

Anche secondo parte della giurisprudenza, la clausola generale contenuta nell’art. 2087 Cod. Civ. ha la funzione di aggiornare, sviluppare e migliorare le misure di sicurezza previste dall’ordinamento in rapporto al costante progresso tecnologico e all’evoluzione della realtà socio-economica, la quale presenta una dinamicità ben più accentuata di quella dell’ordinamento giuridico, legato quest’ultimo a procedimenti di produzione giuridica necessariamente complessi e lenti. Cfr., ad esempio, Cass. sez. lav., 6.10.1988, n. 5048, in Giust. civ., 1988, I, 2871, con nota di MARINO, Sul confine tra inadempimento dell’obbligazione di sicurezza e oggettivazione della responsabilità per danno ai dipendenti, in Foro. It., 1988, I, 2849.

55 Così

MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2016, 537 ss. “Si dicono clausole generali […] tutti quei termini o sintagmi che esprimono o presuppongono valutazioni,

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21

La dottrina lavoristica (56), considera l’art. 2087 c.c. allo stesso tempo, come norma di apertura e di chiusura del sistema prevenzionistico, poiché da un lato la legislazione prevenzionistica specifica la norma generale e dall’altro lato la norma codicistica orienta le norme speciali nella direzione della tutela della persona. In altre parole la norma generale si ritiene “connotata da una irriducibile funzione prevenzionale, che riempie di contenuto la disciplina di derivazione comunitaria e che fonda un obbligo di elevata intensità e di particolare rigore per il datore di lavoro”ma che “frequentemente non èin grado di coglierne le implicazioni concrete”(57).

Attraverso questo stretto rapporto, l’obbligo di sicurezza ne esce arricchito sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.

Sotto il profilo quantitativo, da un lato la norma codicistica è una norma di “apertura”del sistema prevenzionistico poiché questa non esaurisce, non tipizza e non elenca i comportamenti cui è tenuto il datore di lavoro, mentre dall’altro viene considerata una norma di “chiusura”, poichéla normativa di dettaglio non “chiude” la portata dell’obbligo di sicurezza ma ne rappresenta una specificazione (non esaustiva) del contenuto (58).

quali ad esempio “danno ingiusto” (art. 2043 c.c.), “buona fede”. Così, GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale CICU-MESSINEO-MENGONI (a cura di), continuato da SCHLESINGER, Milano, 2011, 57 ss. In altre parole “impartiscono al giudice una misura, una direttiva per la ricerca della norma di decisione: esse sono una tecnica di formazione giudiziale della regola da applicare al caso concreto, senza un modello di decisione precostituito da una fattispecie normativa astratta”. Così MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 9 ss.

La tesi dell’art. 2087 c.c. come clausola generale è stata tuttavia oggetto di critiche, in quanto le clausole generali sarebbero, pertanto, “norme di direttiva che delegano al giudice la formazione della norma (concreta) di decisione, pur vincolandolo ad una direttiva espressa attraverso il riferimento ad uno standard sociale, il quale esprime una forma esemplare dell’esperienza sociale dei valori, un serbatoio cui il giudice attinge per poi tradurre, con un proprio giudizio valutativo, in una norma di decisione”. Così ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 80.

56

Anche nella giurisprudenza è consolidata tale opinione. Cfr Cass. civ. sez. lav., 30.7.2003, n. 11704; Cass. civ. sez. lav., 22.3.2002, n. 4129.

57

Così ALBI, in Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 82.; MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986, 73 ss.

58

NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, 5 ss.; BALANDI, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in Quad. dir. rel. ind., 1993, n. 14, 79 ss.

(22)

22

Sotto il profilo qualitativo, le norme di dettaglio esaltano la portata prevenzionistica della disposizione codicistica, concretizzando la priorità dell’adempimento dell’obbligo espressa nella norma generale. Mentre l’art 2087 c.c. indirizza le norme speciali sul piano della priorità dell’adempimento, del contenuto dell’obbligo, dei beni tutelati quali la salute e la dignità del lavoratore (59).

Si configura dunque un reciproco rapporto “di dare ed avere”, un “sistema circolare” (60) nel quale da un lato, la norma codicistica indirizza la normativa prevenzionistica di dettaglio alla prevenzione e alla prioritàdell’adempimento e dall’altro lato, tale normativa specificando e concretizzando nei singoli ambienti di lavoro l’art. 2087 c.c., esalta la portata prevenzionale di questo.

Solo attraverso questo sistema circolare e l’interazione fra norma generale e norme speciali, si riuscirà a rendere effettivo “il diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 32 Cost. a tutti i cittadini anche dentro i cancelli della fabbrica” (61).

2.2 Le linee interpretative sulla natura dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c.

La dottrina (62) e la giurisprudenza (63) maggioritaria ritengono che dall’art. 2087 c.c. possa derivare un duplice obbligo, cioè da un lato il dovere del datore

59

La tecnica utilizzata dal legislatore nella predisposizione dell’art. 2087 c.c. non si basa sull’identificazione, indicazione ed elencazione dei comportamenti datoriali illegittimi, bensì sull’individuazione dei beni tutelati (la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro). Attraverso tale “tecnica definitoria di stampo teleologico”, cioè basata sull’identificazione dei beni da salvaguardare più che sulla previsione dei comportamenti illegittimi, assicura una tutela più efficace rispetto ad una normativa di dettaglio. Cfr. MOTTOLA, Mobbing e comportamento antisindacale, Torino, 2003, pag. 80 ss.

60

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, in Commentario al Codice Civile, di SCHLESINGER (fondato da) e BUSNELLI (diretto da), Milano, 2008, 83

61

MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986, 73. 62

Per un confronto tra le dottrine in tema : MARINO, La responsabilità del datore per infortuni e malattie da lavoro, Milano, 1990, 71 ss.; TAMPIERI, Sicurezza sul lavoro e modelli di rappresentanza, Torino, 1999, 4 ss.; EVANGELISTA, Procedimenti e mezzi della tutela della salute in azienda, Milano, 1984; MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986, 55; BIANCHI D’URSO, Profili giuridici

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di lavoro di predisporre le misure necessarie a tutelare la salute e la personalità morale del lavoratore e e dall’altro, l’obbligo per lo stesso, di non ledere i beni tutelati dalla disposizione ( 64 ). Alla fine di una lunga evoluzione, è stata pacificamente accolta la natura contrattuale dell’obbligo di sicurezza (65). Tuttavia, come può desumersi a contrario dall’affermazione precedente, l’opinione dottrinaria e giurisprudenziale sul tema, non èstata sempre uniforme. La norma codicistica, come vedremo, grazie all’emanazione della Carta Costituzionale, prima, e al recepimento della legislazione di derivazione comunitaria, poi, ha riconquistato quella centralità sistematica nel sistema prevenzionistico che negli anni precedenti aveva perduto, a causa sia della sua generica formulazione, sia delle diverse “interpretazione riduttive”che ne erano state date. In altri termini, “il pieno dispiegarsi dei valori potenzialmente espressi da tale disposizione è stata a lungo insidiato da talune letture sostanzialmente restrittive”(66).

Risalenti linee interpretative riduttive infatti, esaltando la radice pubblicistica dell’obbligo di sicurezza (67), avevano negato la possibilità di ricavare dall’art. della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, 41 ss. Mentre sostengono la responsabilità aquiliana in caso di inadempimento dell’obbligo di sicurezza MANCINI, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Milano, 1957, 99 nota 6; PEDRAZZOLI, I danni alla persona del lavoratore, Padova, 2004.

63

Cass. sez. lav., 1.6.2006, n. 13053, in Foro it., 2007, I, 1244; Cass. sez lav., 25.5.2006, n. 12445, in Foro it., 2006, I, 2738.

64

Rispettivamente come “obbligo di fare” e “obbligo di non fare”.

Gli obblighi di fare hanno come prestazione il comportamento diretto a conseguire il bene spettante al creditore, oppure secondo altra parte della dottrina civilistica si identifica l’oggetto del diritto di credito nel comportamento del debitore. L’obbligo di non fare, come obbligo principale e non accessorio, si distingue dal principio di neminem laedere ex art. 2043 c.c., il quale è sancito nei confronti di tutti i portatori di un interesse giuridicamente meritevole dell’altrui rispetto e fonte di responsabilità extracontrattuale. Cfr. BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 120. 65

Non mancano tuttavia sentenze più recenti nelle quali si puntualizza che sul datore di lavoro grava sia il principio di neminem laedere ex art. 2043 c.c. fonte di responsabilità extracontrattuale in caso di violazione, sia l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro e fonte di responsabilità contrattuale. In alcuni casi concreti dunque, la giurisprudenza continua ad ammettere un concorso di responsabilità. Cfr. Cass. sez. lav., 24.2.2006, n. 4184, in Foro it. Rep., 2006, v. Lavoro (rapporto), n. 1305.

66

MAZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, 37.

67

“Il dovere di sicurezza deve essere perciò considerato come un obbligo posto direttamente dalla legge a tutela di un interesse generale, per la garanzia dell’integrità fisica di tutti i prestatori di lavoro; ne consegue che agli stessi lavoratori discende una

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