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II CAPITOLO L’Unione Europea: quale attore e in quale scenario?

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II CAPITOLO

L’Unione Europea: quale attore e in quale scenario?

In una tesi che ha per oggetto l’Unione Europea nell’ambito della politica estera e di difesa, ho ritenuto importante, per una lettura più profonda del tema, dedicare un capitolo alla questione del ruolo dell’Unione Europea come potenza “diversa”, intendendo la sua specificità di attore sulla scena internazionale, da alcuni definito civilian power, da altri normative power, da altri ancora structural power.

In molti, giustamente, reputano ormai l’Unione Europea non solo un’entità regionale sui generis, che esercita influenza solo per il fatto di esistere, ma un attore che agisce e condiziona lo scenario internazionale.

Diversi sono i motivi per cui si può definire l’Unione come attore poliedrico:103

• l’allargamento a ventotto paesi indica un’entità di cooperazione regionale riconosciuta come “modello”e che contribuisce alla governazione globale;

• l’UE è un rilevante attore commerciale, sia per quanto riguarda l’esportazione che l’importazione di beni;

• la moneta unica ha creato una zona di stabilità dei cambi;

• l’UE è il primo contribuitore alle politiche di sviluppo e di aiuto umanitario;

• l’UE è leader nella politica ambientale;

• l’UE esercita un’influenza esterna a partire dalle sue politiche interne, si pensi alla politica agricola comune, ma anche alle disposizioni in materia di immigrazione, asilo, lotta alla criminalità.

103M. Telò, L’Unione europea nel mondo: scenari alternativi tra declino, impero e potenza inedita, in G. Laschi e M. Telò (a cura di), L’Europa nel sistema internazionale. Sfide, ostacoli e dilemmi nello sviluppo di una

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38 Tuttavia, le sfide cui l’Unione è chiamata a rispondere sono complesse e interdipendenti: dall’avanzata dei paesi asiatici e latino americani, alla decrescita del tasso demografico europeo, all’incremento del ruolo di altri paesi nella cooperazione allo sviluppo e agli aiuti umanitari, fino alla mancanza di un suo definito ruolo strategico internazionale.

Tenendo presente l’evoluzione storica internazionale post guerra fredda, alcune critiche hanno evidenziato l’esistenza di un sistema unipolare imperniato sul ruolo e l’egemonia statunitense, per cui l’Ue non è una potenza, ma un’entità prepolitica impotente di fronte alle minacce di sicurezza, alla proliferazione di armi di distruzione di massa e alle potenze dittatoriali.104 Un esempio di ciò, sono gli attributi di Venere e di Marte, che Robert Kagan individua rispettivamente per l’Unione Europea e gli Stati Uniti, a significare la divergenza di visioni nell’impegno sulla scena internazionale. “It is time to stop pretending that Europeans and Americans share a common view of the world, or even that they occupy the same world. On the all important question of power, the efficacy of power, the morality of power, the desirability of power, American and European perspectives are diverging. Europe is turning away from power, or to put it a little differently, it is moving beyond power into a self-contained world of laws and rules and transnational negotiation and cooperation. It is entering a post-historical paradise of peace and relative prosperity, the realization of Immanuel Kant’s “perpetual peace”. Meanwhile, the United States remains mired in history, exercising power in an anarchic Hobbesian world where international laws and rules are unreliable, and where true security and defense of liberal order still depend on the possession and use of military might. That is why on major strategic and international questions today, Americans are from Mars

and Europeans from Venus: they agree on little and understand one another less and less.105”

Considerando, invece, una realtà internazionale multipolare, dove attori emergenti come Cina, India, Brasile, Russia…creano l’esigenza di una riedizione della balance of power, l’Unione europea sarebbe una potenza politico-militare convenzionale.106

Certamente, il dibattito sulla natura e sul tipo di ruolo dell’Unione Europea come attore internazionale con delle caratteristiche proprie è articolato e ampio. In particolare, Sonia Lucarelli individua tre versanti principali in cui questo si sviluppa:107

104 Ivi, pag. 24.

105 R. Kagan, Of paradise and power, New York, Alfred A. Kopf, 2003, pag. 3. 106 M. Telò, L’Unione europea nel mondo…op. cit.,pag. 27.

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39 ! la reale specificità dell’UE come attore internazionale qualitativamente diverso: qui rientrano gli studi volti a testare, se e quanto l’UE esporti coerentemente i propri valori e assolva al ruolo di potenza “diversa”;

! chi sostiene la specificità dell’UE si interroga su quali siano le sue caratteristiche e quale concetto le incarni meglio, come dicevo all’inizio, potenza civile, strutturale o normativa;

! lo sviluppo delle capacità militari, quali implicazioni può avere sulla condotta europea nella politica internazionale?

Proprio la domanda Military or Civilian power?è indicata da Stephan Keukeleire come una delle aree di tensione nella politica estera europea, assieme all’oscillazione tra integrazione europea e solidarietà atlantica, approccio intergovernamentale e comunitario, obiettivi esterni e interni.108

Prima di procedere ad illustrare le principali teorie su questo tema, è interessante conoscere quale sia l’identità dell’UE e quali siano i valori e i principi su cui è nata e si fonda. È, infatti, da questi che si può tracciare il cammino che ha portato l’Europa ad assumere la sua specificità internazionale. Credo che sia proprio la storia, che aiuta a comprendere le ragioni e a darci gli strumenti, per affrontare ciò che viviamo oggi.

Cap. 2.1

Identità europea: uno, nessuno, centomila?

Il termine identità è un concetto che ritroviamo in molte discipline ed assume un valore basilare per la definizione del proprio essere. Se facciamo riferimento all’uomo, l’identità è ciò che ci dice chi è, quali sono le sue caratteristiche e ciò che lo individua.

L’identità dell’Europa è un’identità non unitaria, ma plurale: infatti si è costituita in una dialettica continua e lontana fra idee, storia, politica, religione ecc…, incontrando anche ciò che Europa non era. Lucien Febvre, così, scrive: “L’Europa non si definisce in base a stretti confini

107 S. Lucarelli, La politica di sicurezza e difesa: fine della “potenza civile?”, in G.Laschi, M. Telò (a cura di),

Europa potenza civile o entità in declino?, Bologna, il Mulino, 2007, pag. 237.

108 S. Keukeleire, J. Macnaughtan, The foreign policy of the European Union, New York, Palgrave Macmillan, 2008, pag. 9.

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40 geografici […]con l’aiuto di mari, di monti, di fiumi e di laghi. Si definisce dall’interno, col suo stesso manifestarsi, con le grandi correnti che non cessano di attraversarla, e che la percorrono da lunghissimo tempo: correnti politiche, economiche, intellettuali, scientifiche, artistiche; correnti spirituali e religiose.”109

In effetti, l’Europa come la intediamo oggi, anche da un punto di vista geografico, dall’Atlantico agli Urali, dalla penisola scandinava alle coste settentrionali del Mediterraneo, era sconosciuta nell’antichità. Le civiltà antiche avevano il proprio centro nel mare, nel “mare di mezzo”. È qui, che sono fiorite la cultura micenea, fenicia, greca e sulle sue sponde sono nate le città più importanti come Troia, Atene, Roma, Alessandria. Le principali vie di comunicazione erano marittime e fluviali, i traffici commerciali nel Mediterraneo erano molto intensi e permettevano scambi di risorse di ogni tipo, ma allo stesso tempo circolazione di idee e tradizioni di popoli diversi.

Biagio De Giovanni individua come evento decisivo per l’Europa, il suo legame con la grecità e la nascita della filosofia, ed afferma: “Nasce un pensiero che vuole attraversare tutta l’infinita ricchezza delle cose, rimanendo se stesso; un pensiero, che vuol essere insieme filosofia e storia, coscienza dell’unità e movimento delle molteplicità (…). Questa mobilità dell’Europa, che attiene alla sua originaria identità, e che ne incardina l’autorappresentazione in un divenire, si manifesta dunque attraverso la centralità-insieme della filosofia e della coscienza storica, e della loro connessione nel rapporto tra lotta e armonia.”110

L’idea di Europa è andata sviluppandosi nel tempo, recependo le influenze di popoli, gli usi e i costumi, così come gli eventi politici, storici e religiosi, che hanno portato all’affermazione di una civiltà europea, anche se intrisa di diversità. Con “civiltà europea” è da intendersi la coscienza di appartenere ad una comunità civile, ad una tradizione collettiva e ad una storia che ci caratterizza. Dalle conquiste dell’antica Roma, alle invasioni barbariche, alla spiritualità cristiana, alla nascita degli Stati moderni, fino ai progressi culturali e tecnico-scientifici, sono state molte le tessere che hanno gradualmente arricchito questo variegato mosaico.111

109 L. Febvre, L’Europa. Storia di una civiltà, Roma, Donzelli, 1999, pag. 4.

110 B. De Giovanni, La filosofia e l’Europa moderna, Bologna, il Mulino, 2004, pagg. 20-21. 111 Per un maggiore approfondimento dell’evoluzione storico-politica dell’idea di Europa si veda:

B. De Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa, Napoli, Guida editori, 2002; C. Curcio, Europa storia di un’idea, Firenze, Eri, 1978;

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41 Non potendo affrontare in questo lavoro un’analisi completa dello sviluppo storico dell’idea di Europa, mi concentrerò sulla rilevanza che il tema dell’identità europea e la sua definizione hanno acquisito per molti studiosi contemporanei, per giungere ad analizzare la definizione dell’Unione Europea come “potenza civile”.

Cap. 2.1.1

La necessità di un’identità politica comune

“Adesso è venuta l’ora di dare un’anima all’Europa”, così disse nel 1992 il Presidente della Commissione europea Jacques Delors. Cosa significa per l’Europa avere un’anima? Perché dovrebbe avere o scoprire una sua identità?

Primariamente, per definire il proprio essere in relazione con sé e con gli altri, ma allo stesso tempo per diffondere nella coscienza dei propri cittadini il processo di radicamento delle istituzioni europee.

L’Europa ha bisogno di occuparsi della sua identità, perché “questa è indispensabile alla democratizzazione del suo governo.”112

Furio Cerutti individua l’identità europea come un problema politico: “Senza identità (politica) non c’è Europa politica, e senza la maturazione politica del percorso di integrazione il progetto europeo rimane monco e non dà tutto quello che potrebbe dare a noi europei e agli altri, in termini di pace, prosperità e promozione dei diritti umani113”. L’identità politica rientra nelle identità di gruppo, cioè in quella serie di elementi che sono condivisi da più individui, che sono riconosciuti come comuni e li tengono uniti.114 Quella europea è un’identità politica, in quanto

D. Pasini, Riflessioni sull’Europa, Roma, Istituto di Studi Europei, 1979; E. Paolini, L’idea di Europa, Firenze, La Nuova Italia editrice, 1979;

• F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Bari, Laterza, 1995;

• M. G. Melchionni, Europa unita sogno dei saggi, Venezia, Marsilio editori, 2001; • P. Rossi, L’identità dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2007.

• Y. Mény, Tra utopia e realtà. Una costituzione per l’Europa, Firenze, Passigli editori, 2000.

112 F. Cerutti, E. Rudolph (a cura di), Un’anima per l’Europa. Lessico di un’identità politica, Pisa, Ets, 2002, pag. 24. Si veda anche: F. Cerutti, R. Ragionieri, Rethinking European Security, New York, Taylor & Francis, 1990.

113 F. Cerutti, L’identità europea: un problema politico, in S. Lucarelli (a cura di), La polis europea, Trieste, Asterio, 2003, pag. 131.

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42 consiste nell’insieme coerente di valori civili e politici, di principi morali e giuridici e di finalità generali che, “in qualità di cittadini europei, siamo inclini a considerare come nostri, come qualcosa che ci costituisce in comunità politica.”115 Così dare un’anima, sottolinea ancora Cerutti, significa: “far emergere in un continuo dibattito pubblico i valori, i principi giuridici ed i fini politici che meglio esprimono le ragioni per le quali stiamo costruendo una nuova entità politica.”116

Anche Sonia Lucarelli definisce l’identità politica: “come un processo attraverso cui gli individui si riconoscono come parte di un gruppo che condivide una serie di valori e principi sociali e politici”.117

Molto stretto è il legame tra identità e comunità, che vede proprio nella condivisione, l’elemento che unisce e salda i rapporti tra i componenti.118 L’etimologia latina di comunità è con-munio, che significa stringo, unisco, fortifico, e così la comunità diviene il simbolo di un legame identitario molto forte, fondato sui valori che i componenti condividono e di cui sono portatori.

Considerando l’Unione europea, una “comunità” di Stati peculiare, meno di uno Stato, più di un’organizzazione internazionale, potremmo definirla una polis119, che ha conosciuto fasi di sviluppo graduale sia a livello internazionale, che interno. In particolare, sono evidenti tre aspetti per cui l’Unione europea è considerata un sistema politico sui generis: la sua modalità di trasformazione cioè la sua evoluzione, il suo corpus giuridico, rappresentato dai Trattati istitutivi, dalle loro revisioni e dalle interpretazioni della Corte di giustizia europea, infine, il modo in cui la sovranità è delegata, diffusa e trasferita.120 Anche l’identità è un punto che sicuramente rende l’Europa qualcosa di originale, ma forse l’incertezza ancora presente tra gli europei nei confronti di un’identità nazionale affievolita ed una europea, direi non ancora resa

115 F. Cerutti, L’identità…op. cit., pag. 131.

116 F. Cerutti, E. Rudolph ( a cura di), Un’anima…op. cit., pag. 23.

117 S. Lucarelli, Mirrors of us. European political identity and the others’image of the Eu, in S. Lucarelli, F. Cerutti, V. A. Schmidt, Debating Political Identity and Legitimacy in the European Union, Oxon, Routledge, 2011, pag. 149.

118 Per un approfondimento sul tema della comunità si veda: C. Bonvecchio, Ripensare l’identità. Per una

geopolitica dell’anima europea, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 2009.

119 S. Lucarelli, La polis…op. cit., pagg. 25-26. 120 Ibidem.

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43 consapevole e sviluppata, non permette la sua piena comprensione. Ma, è solo avendo ben distinto il senso di chi si è, che si possono sviluppare rapporti di dialogo con il vicino al di là della siepe.121 La definizione della propria identità politica ha, infatti, due importanti conseguenze122: la prima è permettere il riconoscimento come soggetto politico, con una sua

storia e un suo progetto; la seconda è il conferimento della legittimità da parte dei cittadini e di altri Stati.

È necessario creare una comune identità politica, per trovare elementi su cui condividere un’appartenenza comune. Questo non è necessariamente collegato ad una comune identità culturale123, anzi quest’ultima come bacino di immagini, memorie, significati, tradizioni, costumi124 è una fonte da cui l’identità politica attinge, ma con cui non si identifica. Pur esistendo alcuni valori che si possono definire “comuni”, l’Europa è un continente ricchissimo di culture e tradizioni diverse, e quando si parla di trovare un’identità politica non vuol dire ridurre ad unum un così vasto patrimonio, la cui diversità è proprio il punto di forza, e per questo non deve essere resa omogenea. È significativa, a questo proposito, il termine “uniti nella diversità”. Nel Preambolo del Trattato di Lisbona troviamo l’espressione: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose, umanistiche, dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto […]”.

La nostra polis non è nata da un’accumulazione di culture, da una fusione d’identità diverse o da una volontà di omologazione, ma sorge da bisogni, principi e decisioni che emergono da esperienze storiche comuni e da scambi di diversi tipi. Questo potrebbe sembrare un concetto astratto, invece, è molto concreto. Ci sono delle “forze unificanti”, come suggerisce Furio Cerutti, che devono essere considerate: la memoria delle due guerre, cioè il ricordo di Verdun e di Auschwitz, la sfida della globalizzazione che fa toccare con mano ai paesi europei l’impossibilità di soluzioni unilaterali e l’importanza di rimanere uniti, l’esperienza della

121 R. Brague, Confini, in F. Cerutti, E. Rudolph (a curadi), Un’anima…op. cit., pag. 188. 122 F. Cerutti, L’identità…op. cit., pag. 135.

123 S. Lucarelli, European political identity, foreign policy and others’image , in F. Cerutti, S. Lucarelli, The

search for a European Identity. Values, policies and legitimacy of the European Union, Abingdon, Routledge,

2008.

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44 moneta unica, che come mezzo di pagamento per la vita quotidiana, ha elevato il senso di unità tra i cittadini europei.125

Perché l’identità politica diventi realtà, Cerutti individua due condizioni:

a) “che gli europei sentano, che quegli elementi comuni non possono ormai affermarsi altro che tramite comuni istituzioni politiche”126, cioè la traduzione di un valore culturale comune in una norma europea.

b) “che avvengano atti politici e si stabiliscano istituzioni, in cui quella consapevolezza trovi attuazione e insieme continuità127”, ovvero, radicare l’identità negli animi dei cittadini attraverso atti politici comuni che aiutino a costituire l’essere “noi”.

Sulla costruzione di un’identità politica anche Vivien A. Schimdt afferma: “Constructing identity is a complex process in which a sense of belonging derives not only from the presence of a “we feeling” based on common values, culture, or ethnicity, but also from citizens’ active participation in a political community and the articulation – generally by political elites- of what constitutes that identity. This means that identity is a political construction, that involves

not just being, but also doing and saying.128”

Si evidenzia ancora una volta come l’identità non sia un monolite, un blocco uniforme, ma una serie di aspetti, che tenuti insieme, ne costituiscono l’essenza.

Riassumendo, una base comune di valori e principi è presente e riconosciuta; ancora nel Trattato sull’Unione Europea, all’art. 2, si legge: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto, e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

125 F. Cerutti, E. Rudolph (a cura di), Un’anima…op. cit., pagg. 31-32. 126 F. Cerutti, L’identità…op.cit., pag. 133.

127 Ibidem.

128 V. A. Schmidt, The problems of identity and legitimacy in the European Union: is more politics the answer?, in S. Lucarelli, F. Cerutti, V. A. Schmidt, Debating Political Identity…op. cit., pag. 18.

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45 Forse la sfida per la definizione di un’identità politica sentita, è proprio quella di rendere consapevoli gli europei di questa eredità che ci accomuna, nonostante le nostre differenze, per sentire più “nostra” questa casa.

Cap. 2.1.2

Identità e ruolo internazionale

Identità e politica estera sono strettamente interconnesse, infatti, la particolare essenza dell’Unione, la caratterizza anche come attore internazionale. Non solo, riaffiora il concetto della presentazione della propria immagine agli altri attori del sistema, ma la stessa individuazione di interessi, aspettative e posizioni, rispetto alle issues dell’agenda internazionale.

Abbiamo già detto che ormai in ambito internazionale l’Unione Europea gioca un suo ruolo, e su varie questioni ha saputo sfidare gli altri attori internazionali assumendo posizioni e scelte proprie, anche in controtendenza rispetto alle idee predominanti negli altri ambienti diplomatici. Alcuni esempi sono: l’attenzione data alla protezione ambientale, all’uso delle energie alternative, il ruolo europeo nella protezione dei diritti umani, nell’assistenza elettorale e nella tutela dello Stato di diritto, nella concessione di aiuti allo sviluppo129…

Mario Telò afferma: “più che a controverse eredità culturali, la costruzione graduale dell’identità internazionale della potenza civile europea viene verificata in relazione a tre fattori costitutivi: la forza espansiva e l’attrattività dell’idea e della pratica di integrazione regionale tra Stati, confermata dal successo in Europa e dalla sua diffusione nel mondo; la rinnovata competitività del modello economico e sociale nel quadro della globalizzazione; ed infine, la peculiare combinazione di sovranità e sovranazionalità che caratterizza la struttura politico-istituzionale.”130

La definizione di un’identità internazionale dell’Unione europea è stata oggetto di un ampio dibattito tra i teorici delle relazioni internazionali, soprattutto con lo sviluppo di una politica estera europea progressivamente più influente e complessa.131

129 S. Lucarelli, I. Manners, Values and Principles in European Union foreign policy, Abingdon, Routledge, 2006, pag. 20.

130 M. Telò, L’Europa potenza civile, Roma-Bari, Laterza, 2004, pag. 3. 131 Per un approfondimento sulle dottrine delle relazioni internazionali si veda:

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46 Per politica estera intendo il complesso delle azioni, che rientrano in tre ambiti: nelle materie dell’ex primo pilastro cioè le relazioni esterne, nelle materie dell’ex secondo pilastro (PESC), e le singole politiche estere degli Stati membri. È stata chiamata politica “multilevel”, infatti, le caratteristiche della politica estera dell’Unione europea sono la molteplicità, la diversità e l’interdipendenza tra i diversi aspetti, interessi e attori.132 Keuleleire l’ha definita “structural foreign policy”, proprio per sottolinearne il carattere globale. “Structural foreign policy refers to a foreign policy which, conducted over the long term, seeks to influence or shape sustainable political, legal, socio-economic, security and mental structures. These structures characterize not only states and interstates relations, but also societies, the position of individuals, relations

between states and societies, and the international system as a whole.”133

Mario Telò riconduce il significato internazionale essenziale dell’unità europea nella c.d. “politica estera interna.”134 All’inizio della guerra fredda, il contributo dell’allora piccola Comunità europea alla stabilità internazionale si è concretizzato nello stabilire la pace fra la Germania e i paesi vicini, in particolare con la Francia. Il suo apporto è stato, così, “di realizzare in una regione del mondo all’origine di due guerre mondiali, la pace fra ex nemici.”135 Questo processo, grazie all’allargamento con il tempo ad altre nazioni, ha permesso di portare avanti un processo di democratizzazione, che ha superato i confini originari. La nascita e lo sviluppo dell’Unione si sono compiuti agli occhi degli altri attori in modo pacifico, lasciando un segno vivo e indelebile sulla scena mondiale.

Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si tendeva a tenere separati gli ambiti in cui l’Unione europea interveniva. In particolare, sottolinea ancora Telò, l’apporto dell’Ue alla “governazione del mondo” non avviene tanto attraverso la sua embrionale politica estera, pur riconoscendo i progressi degli ultimi dieci anni, ma attraverso le molteplici relazioni con cui essa esplica la sua azione civile. Sono relazioni, che riguardano quello che era chiamato il

F. Attinà, Il sistema politico globale. Introduzione alle relazioni internazionali, Roma, Laterza, 1999; K. Waltz, Theory of International Politics, New York, Random House, 1979.

V. E. Parsi, J. G. Ikenberry, Teorie e metodi delle relazioni internazionali, Roma, Laterza, 2001. 132 E. Krahmann, Multilevel networks in European foreign policy, Aldershot, Ashgate, 2003, pagg. 5-8. 133 S. Keukeleire, The foreign policy…op. cit., pagg. 25-26.

134 M. Telò, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, pag. 210. 135 Ivi, pag. 212.

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47 primo pilastro, che l’UE ha condotto fin dal Trattato di Roma, anche se con quello di Maastricht si sono molto rafforzate136:

• Le implicazioni esterne del mercato unico e delle politiche comuni;

• La politica commerciale comune;

• Le implicazioni internazionali dell’unione monetaria;

• La politica di cooperazione allo sviluppo;

• La politica di aiuto umanitario,

• La partecipazione a conferenze e organizzazioni internazionali;

• La politica di associazione e di conclusione di trattati internazionali.

Richard G. Whitman, nel definire l’identità dell’Unione europea, diversifica tra il settore delle politiche nelle “relazioni esterne” e quello nella PESC.137

I principi su cui si basano l’identità e l’azione internazionali dell’Unione Europea sono diversi. In particolare, Ian Manners ne individua nove,138

1. Sustainable peace, ovvero, la promozione della pace attraverso politiche e iniziati 2. Social liberty, la libertà che si sviluppa all’interno del contesto sociale;

3. Consensual democracy, intesa come principio operante tra gli Stati membri e nella loro vita politica;

4. Associative human rights, comprendendo sia i diritti umani individuali che collettivi, che sono tra collegati;

5. Supranational rule of law, cioè un sistema politico fondato sulla legalità e la protezione di tutti, in una visione comunitaria, internazionale e cosmopolitica;

136 Ivi, pag. 214.

137 R. G. Whitman, From Civilian Power to Superpower? The International Identity of the European Union, Basingstoke, Macmillan, 1998, pag. 2.

138 I. Manners, The constitutive nature of values, images and principles in the European Union, in S. Lucarelli, I. Manners, Values and…op. cit., pagg. 33-38.

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48 6. Inclusive equality, la condanna della discriminazione che si concretizza in politiche

per la promozione dell’uguaglianza;

7. Social solidarity, la promozione dell’ecomonia sociale, della cooperazione sociale e della giustizia sociale all’interno dell’Unione e nelle relazione con i paesi in via di sviluppo;

8. Sustainable development, cercando di trovare un equilibrio tra crescita economica e rispetto dell’ambiente, con uno sguardo sia alle esigenze del presente che a quelle del futuro;

9. Good governance, ovvero lo sviluppo di una democrazia aperta e partecipativa, due elementi particolari per quanto riguarda l’Unione europea sono la partecipazione della società civile e il rafforzamento della cooperazione multilaterale.

Questi nove principi, insieme alle cinque prospettive europee, ovvero, cinque visioni innovative, che caratterizzano l’UE nei campi economico, sociale, ambientale, politico e dei conflitti,139 costituiscono gli elementi con i quali l’Europa definisce la propria immagine internazionale e il suo modo di agire nelle relazioni con il resto del mondo.

La condivisione di questi valori, che è alla base della comunità, mostrano il singolare assetto europeo e lo distinguono dagli altri, tanto da definire l’Europa “a civilian power”. Il particolare ruolo internazionale dell’UE è collegato alla natura stessa della sua polity. Prima di analizzare il significato di potenza civile e affrontare le varie teorie sul ruolo dell’Europa; è interessante andare alla radice dell’idea di soft power, che per il suo approccio comprensivo delle relazioni globali è destinato ad avere ampio spazio nel dibattito e nelle politiche internazionali. Inoltre, il tema del soft power è centrale per aiutarci a capire il significato dell’Europa come attore globale.

Cap. 2.2

Alle radici del concetto di soft power

“Il potere è come il tempo atmosferico: tutti vi dipendono e ne parlano, ma pochi lo comprendono. […] Il potere, inoltre, è come l’amore, più facile da provare che da definire o

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49 misurare, ma non per questo meno reale.”140 Così inizia il libro di Joseph Nye, il più importante propositore dell’idea di soft power.

Il potere nella mente di Nye ha un significato più sfaccettato e complesso, di quello che gli viene sempre attribuito. Il potere non è solo comando e coercizione, non vuol dire solo far fare agli altri cose, che altrimenti non farebbero o ottenere i risultati desiderati, ma dipende da diverse variabili: dal contesto relazionale, dalle risorse, dalle capacità degli altri ecc. Tradizionalmente la forza militare è considerata la risorsa più importante, ma sono da considerare altrettanto importanti fattori come la tecnologia, l’educazione o la crescita economica. In un mondo che è divenuto sempre più complesso, i metodi e gli strumenti devono a loro volta essere più complessi.141

“Tutti conoscono l’hard power”142, continua Nye, questo può fondarsi sia su incentivi (“carote”) sia sulle minacce (“bastoni”), tuttavia la preferenza è per quest’ultimi tipi di strumenti. Il cambiamento di visione sta proprio nel passaggio in cui si riconosce che è possibile conseguire i risultati che ci siamo proposti, anche senza minacce, ma con “l’altra faccia del potere”. Il soft power si basa sulla capacità di plasmare le preferenze altrui, sulla cooptazione, al posto della forza, sull’“attrazione” verso certi valori ed esempi, invece delle minacce. Infatti, la capacità di determinare preferenze è associata a risorse diverse e intangibili come la cultura, il carisma, la legittimità istituzionale e politica, i valori. Il soft power è concepito come opposto al potere militare e preferisce l’utilizzo di strumenti non militari per la politica estera: “Il soft power è un insieme di politiche democratiche applicate giorno per giorno.”143 È da evidenziarne il carattere progressivo e costante; il soft power fa uso di un tipo diverso di moneta per generare cooperazione: un’attrazione verso valori comuni e la consapevolezza, che è giusto e doveroso contribuire al loro raggiungimento. L’interconnessione tra gli Stati e a vari livelli richiede sforzi verso un’azione collettiva e una cooperazione internazionale.

140 J. S. Nye, Soft Power. Un nuovo futuro per l’America, Torino, Einaudi, 2005, pag. 3.

141 P. Colson, Soft power discourse and the significance of European foreign policy methods, in F. Laursen, The

Eu as a foreign and security actor, Dordrecht, Republic of Letters, 2009.

142 J. S. Nye, Soft power…op. cit., pag. 7. 143 Ivi, pag. 8.

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50 Hard power e soft power sono in relazione tra loro, perché sono entrambi aspetti della capacità di raggiungere il proprio obiettivo influenzando il comportamento altrui, ciò che cambia è il comportamento e le risorse usate: il potere di comando usa la coercizione, quello di cooptazione una gamma più ampia di possibilità (vedi tabella riassuntiva 1). Questi strumenti possono essere la cultura, i valori politici e la politica estera. La cultura intesa come insieme di valori, usi e costumi che creano significato per una società. Si può intendere cultura alta o popolare, che può essere trasmessa attraverso il commercio, i contatti personali, gli scambi. Altro strumento importante sono i valori, che uno Stato porta avanti al suo interno, nelle istituzioni internazionali e nella politica estera. Ad esempio la democrazia, la cooperazione, il sostegno alla pace, così, da attrarre i governi attraverso il proprio esempio. Le politiche estere hanno grande influenza sul soft power, rendono visibili a tutti le scelte compiute dallo Stato, che possono influenzare altri nelle rispettive scelte.144

La varietà di strumenti che abbiamo delineato, permette di evidenziare, che è importante tenere presente il concetto di potere nel suo insieme,145 e aiuta a ridimensionare i giudizi di insufficient power e useless power.

Il libro di Nye si concentra in particolare sugli Stati Uniti, sul ruolo del soft power nella politica americana e di come questo abbia influenzato le scelte degli obiettivi e degli interessi americani. Un capitolo, però, è dedicato al soft power di altri soggetti internazionali, tra cui troviamo l’Europa. La maggior parte dei paesi europei, quelli più grandi, gode di una forte attrattiva culturale, tanto che per Nye l’Europa è il concorrente più vicino agli Stati Uniti per risorse di soft power. Nessun paese europeo può competere singolarmente con gli Usa, ma,

144 Ivi, pagg. 14-19.

145 Ernest J. Wilson ha introdotto il concetto di smart power definito come la capacità di un attore di combinare elementi di hard power e soft power in modo che possano rinforzarsi reciprocamente e far avanzare effettivamente e efficacemente gli obiettivi.

Tabella Riassuntiva

Hard

Soft

Spettro dei

comportamenti

Comando, coercizione, induzione

Cooptazione, attrazione, scelta delle priorità

Risorse

Forza, sanzioni, corruzione Istituzioni, valori, cultura, politiche

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51 presa nel suo complesso l’Unione europea racchiude in sé una grande quantità di soft power. A contribuire a questa visione vi è “ l’idea che la guerra sia oggi qualcosa di impensabile tra paesi che hanno combattuto aspramente per secoli, e il fatto che l’Europa sia diventata un’isola di pace e prosperità, ne creano un’immagine positiva in gran parte del mondo.”146 L’Unione

europea rappresenta una forza positiva per la soluzione di problemi globali. Attraverso la diplomazia, il commercio e gli aiuti allo sviluppo, sono apprezzate le politiche interne ed estere europee, da quelle economiche a quelle sociali, così come il maggior contributo apportato alla tutela dei beni pubblici globali, alla promozione della pace e dei diritti umani, alla cooperazione multilaterale.147 Questo rappresenta un esempio per altri paesi, non solo da ammirare ma da emulare, ma non vuol dire, che l’Unione non debba affrontare alcuni nodi che ancora rimangono da sciogliere. Anche il rapporto con gli Stati Uniti, i detentori per eccellenza di hard power, può essere rivalutato sulla possibilità di un soft power condiviso e utilizzato in collaborazione.148

Cap. 2.2.1

L’Europa: a Civilian power?

Giunti al cuore della questione, riprendiamo alcuni punti emersi in precedenza:

1. L’identità europea non può fondarsi su un’omogeneità culturale, o linguistica dei suoi cittadini.

2. Un’embrionale identità europea149 si fonda su una condivisa percezione di appartenere ad uno spazio economico e politico definito da valori comuni, come democrazia liberale, rispetto dei diritti umani, prosperità, progresso, uguaglianza ecc.

3. Questi principi su cui è costruita l’Unione europea costituiscono, potremmo dire, il suo “carico” di soft power, e la connotano in maniera “diversa” e singolare, rispetto agli altri attori internazionali.

In quale modo la caratterizzano? Quale immagine dà l’Europa di sé?

146 J. S. Nye, Soft power…op. cit., pag. 96. 147 Ivi, pagg. 98-102.

148 Ivi, pag. 103.

149 M. Guibernau, Towards a European Identity?, in A. Gamble, D. Lane, The European Union and world

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52 L’idea che è andata consolidandosi attorno all’Unione europea è stata quella di civilian power. Mi soffermerò a descrivere i principali contributi a questa idea, che è stata plasmata con il tempo, influenzata dagli apporti di vari autori.

Il primo a concettualizzare questo termine è stato François Duchène in due articoli del 1972150 e 1973151, evidenziando l’approccio particolare della Comunità europea agli affari internazionali. Erano i tempi della distensione internazionale, della débâcle vietnamita, del collasso del sistema monetario di Bretton Woods, ma anche del primo allargamento della Comunità. Come ha evidenziato Stelios Stavridis152 sono individuabili due dimensioni nella nozione di civilian power di Duchène: una dimensione descrittiva, che riguarda la maggiore capacità di potere economico delle potenze civili rispetto a quello militare, secondo le parole dello stesso Duchène “the European Community’s interest as a civilian group of countries long

on economic power and relatively short on armed forces153”, e una dimensione normativa,

intesa come forza per diffondere in campo internazionale gli standards democratici e civili. La Comunità europea poteva, non solo mostrarsi come un attore distinto, ma trasformare e dare una nuova forma al sistema internazionale.

Questo ha portato ad una visione “nobile” del concetto di potenza civile e dei suoi scopi. Tuttavia Duchène pensava alle relazioni internazionali, in termini “realisti”, caratterizzate da esigenze di influenza e egemonia. Così, la via del civilian power era un’alternativa strategica per mantenere i propri interessi e la propria sicurezza e non divenire vittima del potere politico dei più grandi.154 Secondo Duchène, la Comunità europea non poteva svilupparsi in uno Stato federale con un comune esercito e un comune governo, soprattutto per la scarsa capacità militare e nucleare; un’opzione più realistica ed efficace era quella di promuovere una cooperazione basata sul commercio e sull’economia, ambiti in cui la Comunità aveva un peso

150 F. Duchène, Europe’s role in world peace, in R. Mayne, Europe tomorrow, sixteen Europeans look ahead, Pregassona, Fontana, 1972.

151 F. Duchène, The European Community and the Uncertainties of Interdependece, in M. Kohnstamm, W. Hager, A nation writ large? Foreign policy problems before the European Community, New York, Wiley, 1973. 152 S. Stavridis, “Militarising” the Eu: the concept of civilian power revisited, The International Spectator, vol. 36 nr. 4, 2001, pag. 44.

153 F. Duchène, The European Community…op. cit., pagg. 19-20.

154 C. Kolvraa, Image Europe as a global player. The ideological construction of a New European identity within

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53 credibile.155 Sull’esempio del suo processo d’integrazione, la Comunità europea poteva dimostrare “the influence which can be wielded by a large political co-operative formed to

exert essentialy civilian form of power” 156. In altre parole, la Comunità europea era una

potenza civile “by default”.157

Così, in un mondo dove l’interdipendenza economica ed energetica cresceva sensibilmente e la parola “distensione” echeggiava nelle relazioni tra le due superpotenze, “il concetto di civilian

power rappresentava una strategia conveniente più che una scelta morale.”158

In questa prima fase del concetto di potenza civile, un altro autore è importante: Johan Galtung. “A new superpower is gradually taking shape in Western Europe: the European

Community”159, così inizia il lavoro di Galtung. Lo sforzo è quello di far ritornare il mondo

eurocentrico e collocarne il centro nell’Europa occidentale, con riferimento ad una “pax

bruxellana.”160 Galtung distingue tre tipi di potere: ideologico, remunerativo, punitivo161, e

riscontra che la Comunità europea ha un considerevole potere remunerativo per la sua forza economica, ideologico per la sua egemonia culturale, ma sul potere punitivo le considerazioni e gli aspetti da tenere presenti sono più complessi. Così, definisce il potere della Comunità “strutturale”e si sofferma sugli strumenti e le risorse che la CE utilizza nelle sue relazioni inter e intra strutturali, chiedendosi in quali ambiti promuove una struttura di parità e in quali una struttura di dominio.162 Nonostante, sia alla fase iniziale, proprio le potenzialità e i progressi in diversi settori giustificano la definizione di superpower in the making.

155 S. Stavridis, Why the “Militarising” of the European Union is strengthening the concept of a “Civilian power

Europe”, EUI Working Papers, RSCAS 2001/17, pag. 7.

156 F. Duchène, The European Community…op. cit., pag. 19. 157 S. Stavridis, Why the “Militarising”…op. cit., pag. 7. 158C. Kolvraa, Imaging Europe…op. cit., pag. 155.

159 J. Galtung, The European Community: a superpower in the making, London, George Allen & Unwin, 1973, pag. 11.

160 Ivi, pag. 17. 161 Ivi, pagg. 33-46. 162 Ivi, pag. 55-67.

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54 Il dibattito prosegue, e agli inizi degli anni ‘80, Hedley Bull definisce il concetto di civilian

power come “ a contradiction in terms.”163 La sua critica deve essere contestualizzata al

periodo storico, ovvero, quello della Seconda guerra fredda, quando si era riaccesa la tensione tra le due superpotenze. Bull ritiene che il concetto di potenza civile sia legato ad un periodo di bassa tensione delle relazioni internazionali, ma la sua praticità diventa obsoleta, in tempi in cui le ostilità si riacutizzano. In molte problematiche mondiali, la forza ha continuato a giocare un ruolo importante. Così, è lo stesso Bull che invita alla nascita di “una politica strategica europea”che includa sia una dimensione convenzionale, sia una nucleare. Per la Comunità europea acquisire un’autosufficienza militare consentirebbe la riduzione della sua dipendenza dagli Stati Uniti e la sua affermazione nell’arena internazionale in maniera più autonoma e distinta.

Il concetto di potenza civile è rimasto nell’ombra fino alla fine della guerra fredda, quando il collasso dell’Unione Sovietica, lo scoppio del conflitto jugoslavo e la nascita dell’Unione europea hanno riportato alla luce l’esigenza di una presa di posizione della Comunità europea nel nuovo sistema internazionale. In molti si chiedevano quale ruolo avrebbe assunto l’Europa di fronte alla nuova realtà che si presentava. Le condizioni dell’arena internazionale erano cambiate: gli Stati Uniti erano la sola superpotenza rimasta, il processo di globalizzazione rendeva il mondo sempre più interconnesso, le sfide globali non erano finite però mutate, così, si rendeva indispensabile una valutazione di quale “governance” fosse necessaria. Questo compito si presentava tra incertezze e paradossi: incertezze, come le relazioni con la neonata Federazione Russa, lo status dei paesi dell’Europa centro-orientale, le difficoltà nelle aree del Sud Mediterraneo, le opportunità dell’allargamento a Est, le interazioni con le altre organizzazioni internazionali (NATO, UEO, Osce…), la cooperazione con gli Usa164 e paradossi, come il suo essere un gigante economico e un nano politico, le insufficienze del suo apparato politico, il deficit democratico, la mancanza di una politica estera comune.165

163 H. Bull, Civilian power Europe: a contradiction in terms, in L. Tsoukalis, The European Community-Past,

Present and Future, Oxford, Basil Blackwell, 1983.

164 C. Gasteyger, An ambiguous power. The European Union in a changing world, Gütersloh, Bertelsmann Foundation, 1997, pagg. 51-52.

165 C. Gasteyger, Europe and the changing world order, in W. Weidenfeld, J. Janning, Global responsibilities:

Europe in tomorrow’s world, Gütersloh, Berteksmann Foundation, 1991, pagg. 49-50. Vedi anche J. Zielonka, Paradoxes of European foreign policy, The Hague, Kluwer law international, 1998.

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55 Per gli studiosi, nonostante i limiti che il ruolo europeo giocasse nel mondo, l’approccio civile poteva risultare utile nella gestione delle relazioni internazionali. Christopher Hill166 pone l’accento sul fatto che non tutte le questioni internazionali trovano come unica soluzione il ricorso al potere militare. L’uso della forza ha portato a risultati incerti in alcuni casi, e per l’Unione Europea è più desiderabile un ruolo di potenza civile, che di superpotenza. Hill individua tre possibili vie di interpretazione delle relazioni della Comunità con i suoi Stati membri e con il sistema globale:167

1. Come Power Bloc, cioè la Comunità è un unico blocco di potere nei campi che le competono;

2. Come modello di Civilian Power;

3. Come Flop, cioè un sistema diplomatico consistente, che tuttavia produce pochi risultati per diversi motivi che Hill individua:

a. Nella natura “volontaristica” della cooperazione a livello politico; b. Nelle scarse capacità militari;

c. Nell’impatto minimo delle capacità diplomatiche;

d. Nella mancanza di alternative ai metodi civili e ai negoziati;

e. Nella presenza di altri gruppi o istituzioni (UEO, NATO…) che esercitano una forza centrifuga sulla solidarietà tra gli Stati membri.

In questi anni, sono importanti anche i contributi di Juliet Lodge, Jan Zielonka e Richard Whitmann.

Lodge aggiunge nella sua riflessione, l’elemento del controllo democratico sulla politica estera europea e la rivelazione di un volto umano e di una civilizzazione del tema della sicurezza.168 Quest’ultima è intesa globalmente, includendo molteplici aspetti, oltre a quello militare e

166 C. Hill, European Foreign Policy: Power Bloc, Civilian model or Flop?, in R. Rummel, C. Mazzucelli, The

evolution of an International Actor. Western Europe’s new assertiveness, Boulder, Westview Press, 1990.

167 Ivi, pagg. 34-53.

168 J. Lodge, From civilian power to speaking with a common voice: the transition to a CSFP , in J. Lodge, The

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56 difensivo, quello dei diritti umani, del commercio di armi, del disarmo.169 Lo sforzo di una potenza civile è, però, quello di contenere ma non eliminare l’uso della forza.

Zielonka spiega ciò che può facilitare l’emergere di una reale politica estera, identificando sia l’urgenza di una delimitazione geografica dei suoi membri, sia di una rivisitazione del concetto di civilian power.170 Sottolinea, inoltre, che il carattere civile dell’integrazione europea è stato il cuore di questo processo, scostarsene vorrebbe dire distruggere la sua anima. Zielonka ritiene dispendiosa una militarizzazione dell’Unione europea e richiama invece una maggiore democratizzazione del secondo pilastro, lasciando all’Alleanza e ai singoli paesi l’agenda della sicurezza europea171: “[…]aspiring to military power status would be an expensive, divisive,

and basically futile exercise for the Union.” 172

Diversamente, Whitman adotta un approccio che rifiuta la dicotomia tra potenza civile e superpotenza. La militarizzazione dell’UE renderebbe superato il concetto di civilian power.173 Eppure, è in questi anni che la neonata Unione europea sviluppa una Politica estera e di sicurezza comune, fino alla creazione di una Forza di reazione rapida.174 Il concetto di potenza civile è divenuto forse più rilevante oggi, quando di fronte alle sfide sempre più globali del nuovo millennio, l’UE ha ritenuto necessario aumentare lo spettro di possibilità di influenza e intervento. Come osserva Telò: “Quanto alla stagione aperta dal 2001, essa è simbolizzata non solo dal crollo delle Torri gemelle di New York e dalle nuove minacce terroristiche e di proliferazione di armi di distruzione di massa, ma anche dalle tendenze divergenti che caratterizzano i due poli dell’Occidente, Stati Uniti ed Europa. Da un lato la nuova politica internazionale dell’amministrazione Bush, espressa da una serie di dichiarazioni ufficiali, dall’impennata del bilancio militare, e dai primi episodi della “guerra totale al terrorismo”, e dall’altro, l’impossibilità per gli Usa di conseguire […] una maggioranza favorevole alla “guerra preventiva” all’Iraq, e questo principalmente a causa dell’opposizione europea. Infatti,

169 Ibidem, pagg. 236-238.

170 J. Zielonka, Explaining Euro-Paralysis: why Europe is unable to act in International Politics, Basingstoke, Macmillan, 1998, pagg. 230-235.

171 Ivi, pag. 226-227. 172 Ivi, pag. 238.

173 R. Whitman, S. Wolff, The European Union as a global conflict manager, New York, Routledge, 2012, pag. 30.

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57 per la prima volta dal dopoguerra, il nucleo dell’Unione europea, Francia e Germania in particolare, forte sia delle alleanze politiche, che del sostegno di un’opinione pubblica di cui è stata autorevolmente riconosciuta la forza, ha espresso la sua crescente volontà di autonomia politica, combinando la fermezza sul primato dell’ONU, […] e rafforzarndone il profilo politico internazionale.”175

Di fronte alla minaccia terroristica, all’unilateralismo americano, alle sfide lanciate dai paesi emergenti, è sufficiente un’Unione europea civilian power?

In questo senso, si è risvegliato un nuovo interesse per l’argomento, con due principali linee interpretative: una che ha alla base l’opinione, che nonostante la possibilità di uso della forza, l’UE resta una potenza civile in azione, l’altra, al contrario, afferma che la nozione di civilian power perda di significato, dal momento che è in atto un processo di militarizzazione.

Karen Smith sostenitrice di quest’ultima opinione afferma: “by acquiring a defence dimension,

the EU repudiates civilian power.”176 Dopo la fine della guerra fredda, Smith individua tre

condizioni che hanno incentivato lo sviluppo di un’identità europea di sicurezza e di difesa: l’unificazione della Germania e la sua integrazione nella struttura multilaterale occidentale, il progressivo ritiro delle truppe americane dall’Europa occidentale, infine, la crescente necessità di risposte collettive alle crisi internazionali.177 A queste, affianca l’analisi di tre affermazioni, che sono ritenute spesso indispensabili per lo sviluppo di una dimensione difensiva europea: il modello statale come riferimento per l’integrazione europea nei campi della politica estera e di difesa, il rafforzamento del secondo pilastro con la dotazione di strumenti militari che ne accrescano la potenza, e la necessità e utilità dell’uso della forza in un mondo incivile178. Smith ridimensiona questi assunti, primaditutto ritenendo marcatamente tradizionale l’esperienza statale come modello di integrazione. Anzi, l’esempio dell’Unione europea dimostra quanto le relazioni tra Stati possono essere trasformate da un’intensa cooperazione, senza necessariamente creare un superstato. Poi, sottolinea come l’uso della forza si sia rivelato poco utile, e la complessità delle nuove sfide richieda un’ altrettanto complessa serie di strumenti per

175 M. Telò, L’Europa…op. cit., pagg. 4-5.

176 K. E. Smith, The end of civilian power EU: a welcome demise or a cause for concern?, The International Spectator, vol. 35 nr. 2, 2000, pag. 16.

177 Ivi, pag. 14. 178 Ivi, pagg. 17-18.

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58 farvi fronte, in cui l’aspetto militare non è che una dimensione. “The creation of an armed EU, capable of intervening in other countries or regions, could have negative effects. It could

conceivably set off a “security dilemma”, so familiar to realists.”179 Karen Smith ritiene che

esistano sei modi con i quali un attore può influenzare gli altri: l’uso della persuasione, l’offerta di ricompense, la concessione di ricompense, la minaccia di punizione, le punizioni non-violente, l’uso della forza.180 Le tecniche preferite dall’UE sono la persuasione e l’offerta di

ricompense, perché “invece di forzare gli altri, li vuole convincere a comportarsi responsabilmente, cooperare tra di loro e concentrare la loro attenzione su democrazia e diritti umani.”181 La dichiarata intenzione di rafforzare le risorse militari costerebbe un prezzo molto alto: sarebbe il segnale che la forza è sempre utile e che deve essere usata per promuovere gli interessi europei. Smith riafferma come l’uso della forza, non solo darebbe l’immagine di un’Unione europea con l’ambizione di divenire una superpower, metterebbe anche la parola fine ad un modo diverso di operare nelle relazioni internazionali.182 La sua proposta così, è quella di una divisione dei compiti tra UE e UEO, in cui la prima mantiene la sua peculiare natura civile con tutti i vantaggi di un approccio di lungo periodo nella soluzione dei problemi internazionali, tenendo presente che la NATO è sufficiente per quanto riguarda la difesa territoriale.183

Interprete della visione, secondo cui l’acquisizione di capacità difensive, non metterebbe in discussione la natura soft dell’UE, è invece Hanns Maull, per il quale essere una potenza civile implica:184

1. L’accettazione della necessità di cooperare con altri per perseguire gli obiettivi internazionali;

2. La concentrazione su metodi non militari, in primis quelli economici, lasciando quelli militari come residui o per circostanze estreme;

179 Ivi, pag. 23.

180 K. E. Smith, The instruments of European Union foreign policy, in J. Zielonka, Paradoxes…op. cit., pag. 75. 181 Ivi, pag. 76.

182 Ivi, pagg. 78-79.

183 K. E. Smith, The end…op. cit., pag. 25-27.

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59 3. La volontà di sviluppare e appoggiare strutture sovranazionali per gestire gli affari

critici a livello internazionale.

Gli esempi che Maull ha in mente sono la Germania e il Giappone, ma la sua riflessione può essere trasposta anche nel caso dell’Unione europea. In particolare, Maull evidenzia l’obiettivo di una potenza civile nel riconoscimento dei valori universali, soprattutto della democrazia e dei diritti umani. Inoltre, prediligendo i metodi non militari, non esclude l’uso della forza, se dovesse rivelarsi necessaria, senza che ciò significhi il termine della sua essenza civile. A questo proposito Henning Tewes precisa: “However Maull is clear about the ultima ratio of any arrangements of collective security, namely that to be credible it must deploy forces in certain cases and according to particular principles: based on a collective decision and confined strictly to purposes of effective peace-keeping, peace-making, deterrence, and defense

against the aggressive use of force.”185

Su una linea interpretativa simile si inserisce la riflessione di Stelios Stavridis, per il quale “the use of military means can be, of a civilian type if it promotes human rights and democratic

principles186”. La sua interpretazione si focalizza su una reinterpretazione della seconda parte

della definizione di Duchène, infatti, per Stavridis ciò che importa è il fine, ovvero la promozione dei diritti umani e degli altri principi democratici. L’obiettivo si sposta dai mezzi ai fini. Certamente, devono essere favoriti metodi non militari, ma non è escluso che ci siano casi dove l’uso della forza sia indispensabile. Il possesso di strumenti militari è necessario, perché include la possibilità di usarli, aumentando la credibilità di un attore internazionale.187 All’opposto, il fatto di non possedere alcuna opzione militare rende più stretto e meno credibile lo spettro di possibilità.

Questo non significa una generale chiamata alle armi, ma che la “militarizzazione”non fa perdere all’Europa la sua connotazione di potenza civile, ma ne aumenta la credibilità.188 Non è

la fine del civilian power, ma lo sviluppo per rendere questo concetto più utile e concreto. Potremmo dire che costituirebbe un salto di qualità, il passaggio da un civilian power “by

185 H. Tewes, Germany, civilian power and the new Europe enlarging NATO and the European Union, Basingstoke, Palgrave, 2002, pag. 12.

186 S. Stavridis, Why the “ Militarizing” …op. cit., pag. 17. 187 Ivi, pag. 18.

(24)

60

default”, ad un civilian power “by design”,189 “that is to say to move away from a “naked

king” civilian power, which really amounted to a civilian presence in the international

system.”190

Il dibattito sulla potenza civile dell’Europa si è arricchito ulteriormente con il contributo di Mario Telò, che lega strettamente l’essere potenza civile alla pratica del multilateralismo. Quest’ultimo è un metodo di gestione delle relazioni internazionali, che assume complesse forme istituzionali, condizionate dalla strategia, dagli interessi e dai valori delle potenze politiche, economiche o civili, che lo hanno promosso (si pensi alla Gran Bretagna, gli Stati Uniti ed oggi la stessa Unione Europea).191 Telò propone un’analisi dal punto di visto neo-istituzionalista, mediante la lente della teoria dell’interdipendenza complessa192, vista l’importanza crescente di un approccio più comprensivo alle relazioni internazionali. Questo almeno per tre dati di fatto:193

• Le organizzazioni internazionali influiscono sul gioco delle relazioni internazionali modificando le preferenze dei singoli Stati;

• L’esclusività e la centralità dello Stato-nazione sta diminuendo, sia per lo sviluppo di teorie che ne indeboliscono il ruolo del carattere unitario e razionale sia per la crescita di dinamiche che vanno oltre le relazioni interstatali;

• Si è passati dal paradigma di “International politics” a quello di “World politics”, dove si mette in luce la crescente interrelazione tra politica interna e internazionale e dove si prospetta un ruolo attivo per le istituzioni.

189 Ivi, pag. 20. 190 Ibidem.

191 M. Telò, L’Europa…op. cit., pag. 45.

192 Per un approfondimento dell’interdipendenza complessa si veda:

E. B. Haas, Beyond the Nation State, Stanford, Stanford university Press, 1964.

R. O. Keohane, J. S. Nye, Power and Interdependence, New York, Harper Collins, 1977. 193 M. Telò, L’Europa…op. cit., 47.

(25)

61 Perché è importante l’istituzionalizzazione internazionale? “Perché, senza costituire un sistema di diritti, di doveri e di sanzioni, tuttavia, essa limita l’imprevedibilità dei comportamenti degli Stati, li canalizza in una direzione voluta.”194

L’UE ha rafforzato il multilateralismo regionale e mondiale sotto vari aspetti: dal sostegno alle cause ONU, al consolidamento dell’OMC, all’aiuto umanitario…, intraprendendo un suo percorso autonomo con proprie priorità definite.

La peculiarità è di credere nel multilateralismo, come valore in sé e applicarlo a nuove sfide, volendo rafforzare anche in altre sedi il carattere vincolante delle politiche multilaterali e il loro coordinamento. Il multilateralismo si è rinnovato, confermando di essere sempre più un sistema mutevole di valori, regole, procedure e progettualità sociale. Nel tempo il multilateralismo si è “autonomizzato” dall’egemonia americana, incrementando la volontà di cooperazione con un carattere coerente e vincolante.195

In questo quadro, Telò concentra la sua attenzione sulla crescita dell’UE, come entità politica internazionale e parte dinamica del sistema multilaterale, e da questo punto nasce una rielaborazione del concetto di potenza civile, legato a quello di nuovo multilateralismo. “Un’entità politica può essere definita potenza civile non solo se non ha l’intenzione, ma anche se non è in grado, per varie ragioni storiche o strutturali, di divenire una classica potenza politico-militare e perseguire i suoi obiettivi internazionali di pace con altri mezzi.”196. L’Unione europea ,in quanto tale, può essere definita una potenza civile; Telò sostiene che sia una realtà incontrovertibile la potenza tranquilla dell’UE, ed elenca i punti che lo giustificano:197

• Le istituzioni comunitarie e la routine della cooperazione tra Stati garantiscono la pace dal 1945;

• Diffusione del c.d. “modello sociale europeo”, che ha configurato “un equilibrio dinamico tra competitività internazionale, coesione sociale e società democratica”;198 194 Ivi, pag. 48. 195 Ivi, pagg. 54-55. 196 Ivi, pag. 60. 197 Ivi, pag. 61-67. 198 Ivi, pag. 61.

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62 • L’Unione europea sviluppa la sua influenza economica e politica con strategie comuni e

accordi per favorire dialogo e cooperazione;

• Il suo crescente ruolo non solo come potenza regionale, ma anche nel mondo;

• La sua identificazione nel multilateralismo, come “valore in sé, un’opportunità di gioco a somma positiva, una variabile indipendente dalla pura logica dei rapporti di forza”;199 • L’Unione europea è divenuta con il tempo un esempio per altre esperienze di

cooperazione regionale (ECOWAS, MERCOSUR…);

• Anche se limitato, l’UE svolge un ruolo militare crescente, partecipando a missioni di mantenimento della pace nel mondo: “Essa agisce nel quadro dei compiti di Petersberg, e non è tale da creare “dilemmi di sicurezza” ai paesi limitrofi, semmai da rafforzare la credibilità politica della potenza civile”200, condividendo la posizione di Stavridis sopra descritta.

Successivamente, Telò mette ben in luce che “le radici profonde della nozione di potenza civile non stanno solo nell’Illuminismo, nel Cristianesimo e nel Socialismo democratico, nell’eredità tragica del XX secolo, stanno nel ricordo delle tragedie del Novecento, nell’Olocausto e nella memoria storica autocritica conquistata dai popoli europei dopo il 1945.” 201

Tuttavia l’Europa è giunta ad un bivio: rimanere confinata nella semplice inerzia che comporterebbe la sua trasformazione in una potenza civile declinante, o considerare un adeguamento della natura civile ai cambiamenti del sistema internazionale? Le possibilità che possono presentarsi, sono descritte da Telò in tre scenari possibili:

• Il primo ipotizza l’Europa come uno Stato commerciale continentale: l’UE, ulteriormente allargata, correrebbe il rischio di assomigliare a un grande mercato continentale, una vasta area di libero scambio con il pericolo di una paralisi interna ed esterna.202 199 Ivi, pag. 64. 200 Ivi, pag. 66. 201 Ivi, pag. 207. 202 Ivi, pagg. 180-184.

(27)

63 • Il secondo vedrebbe l’Unione, come una nuova “fortezza Europa”, con posizioni e politiche protezioniste e difensive. Nuovi conflitti e nuove minacce incoraggerebbero una chiusura sicuritaria nei propri confini, con lo sconvolgimento delle organizzazioni multilaterali e il rafforzamento di un regionalismo nazionalista.203

• L’ultimo scenario considera l’Unione europea, come nuova potenza civile, dove con il termine nuovo si vuole sottolineare la necessità di un rinnovamento e di una versatilità nei confronti del mutato asssetto globale. Sono ripresi i concetti di “responsabilità politica”e “sapere storico”, all’origine di una concettualizzazione dell’UE come potenza gentile, ma è necessario un rinvigorimento del processo decisionale e delle capacità istituzionali per un modello “forte” di potenza civile.204

Per concettualizzare quest’ultimo punto Mario Telò utilizza la nozione di “politica estera strutturale”205, che vuole includere l’insieme delle relazioni esterne del primo pilastro, della PESC, delle politiche di allargamento e le implicazioni esterne delle politiche comuni. Le caratteristiche della “politica estera strutturale” sono: l’attenzione ai benefici di lungo periodo, che può portare una simile politica, la volontà di modificare le condizioni di fondo, appunto struttrali, per creare un ambiente favorevole alla pace, l’obiettivo di incidere sulle componenti sia economiche, che politiche e sociali, infine, l’uso di mezzi pacifici come i rapporti diplomatici, il dialogo e le sanzioni.

Questa definizione si concentra sulla capacità di un attore internazionale di perseguire intenzionalmente graduali cambiamenti della struttura anarchica delle relazioni interstatali, rendendo possibile la pace tra vicini, una necessità tanto più urgente nel mondo attuale.

In conclusione, Telò afferma: “ il concetto di potenza civile non è affatto un lascito del passato, che tramonta con il nuovo sistema post-guerra fredda. […]. Sono semmai i tratti contraddittori di questo concetto che appartengono al passato, perché l’evoluzione del potere strutturale e dei rapporti tra gli Stati sta ampliando le occasioni reali per un nuovo status di attore internazionale, per una nuova entità internazionale.”206 Ciò non solo per ragioni ideali, ma anche per realismo. Questa sfida politica potrà essere raccolta dall’Ue migliorando e rendendo

203 Ivi, pagg. 185-188. 204 Ivi, pagg. 189- 193.

205 M. Telò, Europe: a civilian power?, London, Palgrave Macmillan, 2006, pag. 227-232. 206M. Telò, L’Europa…op. cit., pag. 201.

Figura

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