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1 LA RIVOLUZIONE LETTERARIA DI MAKSIM

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LA RIVOLUZIONE LETTERARIA DI MAKSIM GOR’KIJ

1.1 I “costruttori di Dio”

Agli inizi del Novecento, Lenin pubblica il suo “Che fare?” in cui ipotizza l’affermazione del socialismo proletario che, organizzato attorno a un partito centralizzato, possa farsi punto di svolta per “capovolgere la Russia”.

L’intuizione leniniana si rivela vincente e prende le mosse dal messianismo populista russo, di matrice progressista, che si basa su quella fiducia nel proletariato di inizio secolo vessato dall’industrializzazione zarista e nella possibilità di incanalarlo in una disciplina di partito.

Compito del partito è proprio quello di «sviluppare negli operai la coscienza della loro solidarietà, la coscienza degli interessi generali e della causa generale di tutti gli operai russi come classe operaia unitaria, parte dell’esercito mondiale del proletariato».1

Lenin distingue, così, il suo gruppo bolscevico da quello capeggiato da Plechanov che guarda, piuttosto, al modello

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Strada, V. (1971) Introduzione a Lenin, V.I. Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento, Torino: Giulio Einaudi Editore, p.448.

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socialdemocratico europeo e non esclude un’alleanza temporanea con la borghesia per la transizione al socialismo.

Ora, al di là della peculiarità del progetto leniniano di democratizzazione dell’ordinamento politico e sociale e dei discussi contatti con le teorie del populismo russo, questa breve premessa ci serve a introdurre il discorso su un’altra teorizzazione, contemporanea a quella leniniana, che è quella della bogostroitel’stvo, ovvero della “costruzione di Dio”.

Tale movimento, fondato da Lunačarskij e Gor’kij e identificato con la teoria di “divinizzazione laica del popolo”, deriva in realtà da quello della bogoiskatel’stvo (“ricerca di Dio”) e, anzi, ne è la sua espressione più radicale.

La cosiddetta “ricerca di Dio” è opera di un movimento di origine simbolista, legato alla poetica del filosofo religioso Vladimir Solov’ev, e sostanzialmente si basa sulla fusione di rivoluzione e religione. Al contrario, la “costruzione di Dio”, rinnegando la missione della ricerca, si propone quella della fondazione. In sintesi, se i “cercatori di Dio” restano fedeli al Cristianesimo tradizionale e ricercano un “Terzo Testamento”, i “costruttori di Dio” si propongono di creare un Dio sociale o socialista: il proletariato.

A ben guardare, il suddetto movimento si inserisce in quella frattura interna al partito bolscevico che si origina già in fase pre-rivoluzionaria e si consolida nell’ala di sinistra, attorno alla figura di Aleksandr Bogdanov.

Questo gruppo, comprendente Lunačarskij, Krasin, Aleksinskij, Bazarov e anche Maksim Gor’kij, propone una diversa visione del marxismo, meno ortodossa e più influenzata dalle nuove correnti di pensiero moderne. Si tratta di un’anima del partito bolscevico che

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finisce per acquisire un forte peso politico perché ha dalla sua una vasta influenza intellettuale.

Come sottolinea Vittorio Strada, la frattura intestina al bolscevismo sembra configurarsi come una «lotta all’ortodossia» di cui entrambe le fazioni pretendono di possedere la verità assoluta.2

Lenin si fa, infatti, portavoce di un oggettivismo che resta fedele alle leggi dello storicismo teorizzate da Marx e crede nello sviluppo necessario della storia che conduca alla caduta della società capitalistica; al contrario, la visione di Bogdanov non è così fatalista e riscatta la dimensione soggettiva, ovvero il ruolo dell’uomo che, invece, nella teoria di Lenin è mero strumento del necessitarismo storico.

Pur essendo un convinto marxista, Bogdanov rifiuta ogni deriva dogmatica; per lui mutare la società esistente per giungere a un mondo più giusto voleva dire mirare a una vera e propria rivoluzione antropologica da ottenere tramite la trasmissione della cultura del passato e l’elevazione del livello delle conoscenze tecnico-scientifiche degli operai, i quali, in questo modo non sarebbero più stati esclusi dai processi di produzione, ma ne sarebbero divenuti parte integrante.3

L’attivista bolscevico, nell’opera Quattro dialoghi su scienza e

filosofia, sostiene che la liberazione della classe operaia sia in mano

2

Cfr. Strada, V. (1994) L’altra rivoluzione: Gor’kij, Lunačarskij, Bogdanov, Edizioni La Conchiglia, Capri, p.4.

3

Cioni, P. (2012) Un ateismo religioso. Il bolscevismo dalla Scuola di Capri allo stalinismo, Carocci editore, Roma, p. 47.

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agli operai stessi e che il contatto con gli intellettuali sarebbe servito ai lavoratori solo per metterli di fronte alle loro coscienze.

Lenin osteggia con fermezza lo spontaneismo bogdanoviano e piuttosto ha fede nell’organizzazione centralizzata di partito, espressa a pieno nella formula «dateci un’organizzazione di rivoluzionari e rivolgeremo la Russia!».

È il partito che, al contrario di quanto sostiene Bogdanov, deve sviluppare negli operai la coscienza della loro classe.

La storia di tutti i paesi attesta che con le sue sole forze la classe operaia è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di cercar di ottenere dal governo determinate leggi necessarie agli operai, ecc. la dottrina del socialismo, invece, è cresciuta dalle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali.4

Gli autori della “scissione” mettono in discussione l’assolutizzazione del marxismo in favore di una sua rilettura in senso “antiautoritaristico”, ponendo l’accento sul collettivismo come base su cui fondare la società futura.

Se è vero che anche all’interno di questo gruppo ben presto si ravviseranno delle spaccature (soprattutto quella di Gor’kij e Lunačarskij da Bogdanov), è pur vero che senza la teoria bogdanoviana non si sarebbe mai sviluppato il movimento dei “costruttori di Dio”.

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In effetti, i tre risultano uniti dal comune sogno della costruzione di una mitica “cultura proletaria” ma divergono proprio sul punto della concezione del socialismo come religione laica.

Prima di entrare nel merito delle diverse posizioni dei protagonisti di questo movimento scissionista e di analizzarne le spaccature, è necessario aprire un focus sullo stesso, sulle sue origini e caratteristiche.

Diremo subito che la bogostroitel’stvo risente dell’influenza delle suggestioni d’Occidente, ovvero di quelle concezioni laiche della società che partono dai Lumi di Francia per arrivare anche in Russia.

La fede nella rivoluzione, che si sviluppò nel 1789, rappresentò un vero e proprio fenomeno di metamorfosi del sacro: nuovi dèi furono sostituiti agli antichi e vennero circondati da miti e riti solo apparentemente dissimili da quelli officiati nelle vecchie chiese. Ispirati dalle idee di Rousseau, i rivoluzionari celebrarono la nuova Trinità laica: Libertà, Fraternità, Uguaglianza e trasferirono, di fatto, la sacralità dalla monarchia alla Repubblica.

Dal 1792 si assisté a una vera e propria trasposizione di credenze e di modelli di comportamento dalla sfera religiosa a quella secolare (…). 5

Più in generale è un sentimento, quello dell’intelligencija russa, che rientra a pieno nelle forme della modernità, nell’esegesi del progresso e del pensiero laico. E, in effetti, l’esigenza di trovare un fondamento diversamente teologico alla politica appartiene proprio

5

Cioni, P. (2012) Un ateismo religioso. Il bolscevismo dalla Scuola di Capri allo stalinismo, op. cit., p. 50.

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agli animi del Sette e Ottocento, che sviluppano il senso di una religione civile.

Lo sforzo del pensiero razionalista, a partire dall’Illuminismo, è quindi caratterizzato dal tentativo di individuare una possibilità di integrare la società attorno a principi diversi da quelli delle religioni tradizionali che dovevano essere soppiantate a favore di entità laiche, costruite attorno a valori guidati dalla ragione. Il processo di razionalizzazione diede a molti l’illusione di poter dominare il mondo senza più essere succubi di “forze misteriose e trascendenti”, ma gli stessi fautori dell’abbandono della trascendenza finirono per utilizzare schemi mentali di tipo religioso.6

Lo stesso Marx, nel trasporre dalla Francia il laicismo illuminato, si ritrova nei medesimi schemi tradizionali della religione quando il suo assoluto diventa il necessitarismo storico e il proletariato il portavoce della rigenerazione dell’umano.

Questo per dire che tutte le ideologie secolari messe in campo dalla modernità, sia in occidente che in oriente, appartengono alla categoria delle religioni politiche che fanno leva sul carattere umano del proprio assoluto.

È proprio sulla scia di queste sacralizzazioni politiche e di un socialismo mitopoietico che deve inserirsi la bogostroitel’stvo, nata dall’esigenza di riscattare i fallimenti della rivoluzione russa e del marxismo scientifico con il compromesso religioso.

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Si tratta, in questo caso, di una vera e propria religione antropologica di cui il primo teorico è senza dubbio Lunačarskij, molto più vicino a Bogdanov che non a Lenin.

Gli intenti della sua rivoluzione antropocentrica li ritroviamo espressi nella sua opera principale Religione e socialismo, pubblicata tra il 1908 e il 1911:

le idee fondamentali, quali l’essenza della religione in generale, il senso e la direzione presa dallo sviluppo della religiosità, i rapporti fra il socialismo scientifico e le recondite aspirazioni dell’umanità, espresse nei miti e nei dogmi religiosi, come pure nei sistemi metafisici che li sostituiscono, la posizione di primaria importanza del lavoro nella nuova concezione del mondo, nacquero tutte precocemente nella mia mente e, senza mutare nella sostanza, andarono acquistando chiarezza e consistenza sempre maggiori via via che io venivo a conoscere più a fondo la storia della religione e della filosofia e il socialismo scientifico.7

L’operazione di Lunačarskij consiste nel riportare il fatto religioso nell’ambito umano e introduce quell’elemento costruttivista appartenente al soggetto che nel marxismo veniva penalizzato dall’imprevedibilità delle leggi della storia.

Nonostante l’ammirazione per Lenin, Lunačarskij non può condividere la sua visione del bolscevismo e resta, come accennato poco più su, molto più vicino alle posizioni bogdanoviane da cui riprende la critica al materialismo metafisico e il carattere religioso del socialismo.

7

Lunačarskij, A.V. (1973) Religione e socialismo, ed. italiana a cura di Maria Olsùfieva, Guaraldi editore, Rimini, p. 3.

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Inizialmente avevo concepito un piano assai vasto. Doveva trattarsi di una storia della religione dal punto di vista materialista, e vi dovevano essere inclusi la metafisica europea, il socialismo utopistico e infine il socialismo scientifico. Il materiale si andava accumulando, mi si aprivano sempre nuovi orizzonti, mentre il tempo libero diminuiva continuamente. Infine, approfittando di alcuni mesi in cui ero, non del tutto volontariamente, libero dalla «vita corrente», decisi di rivedere a fondo il piano e, senza ricercare la completezza, di tracciare un abbozzo della mia teoria, soffermandomi soltanto sui punti d’appoggio principali. Adesso non si tratta più di una storia della religione, bensì di una ricerca più o meno approfondita delle reciproche relazioni fra religione e socialismo, della definizione del posto del socialismo tra gli altri sistemi religiosi.8

Lunačarskij dà tre definizioni della religione che risultano essere complementari poiché convergono tutte nell’unica espressione di “ateismo religioso” di cui si fa tra gli altri portavoce. In queste definizioni, il socialismo viene visto come attuazione terrena del mito, e l’uomo, fuso alla collettività, diventa parte creativa, costruttore della realtà.

Che cosa significa dunque avere una religione? Significa saper pensare e sentire il mondo in modo tale che siano risolte per noi le contraddizioni fra le leggi della vita e quelle della natura. Il socialismo scientifico risolve queste contraddizioni proponendo l’idea della vittoria della vita, dell’assoggettamento delle forze elementari della natura alla religione mediante la conoscenza e il lavoro, la scienza e la tecnica.9 8 Ivi, p. 4. 9 Ivi, p. 35.

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«La “costruzione di Dio” è l’edificazione di questo nuovo mondo e di questa anima nuova, che supera l’individualismo e unifica la persona come elemento di un’unificata umanità»,10

per questo la sua è una soluzione teorica che concilia le leggi della storia con quelle della religione.

Lunačarskij intende il marxismo come una sintesi di scienza ed etica e per questo Marx viene visto non solo come un filosofo ma anche come un profeta: alla luce di ciò spetta al marxismo diffondere una vera e propria rivoluzione antropocentrica, professando una religione in cui Dio è un soggetto collettivo che si costruisce mediante la rivoluzione stessa.

La conciliazione fra le leggi della vita e quelle della natura avverrà mediante la vittoria della vita con l’aiuto della conoscenza e della tecnica. Il lavoro, una vasta socialità, uno sviluppato senso della specie, la speranza di un incessante progresso, daranno una consolazione religiosa all’epoca nostra. […].

Se un dio v’è, è la vita e il suo supremo rappresentante, la specie umana. Servire la scienza, il lavoro e, nell’epoca presente, lottare per il socialismo, svolgere cioè una lotta multilaterale che distrugga tanto il vecchio assetto della società quanto il vecchio assetto dell’anima e crei una nuova società e una nuova anima, sono questi i compiti dell’uomo nuovo.11

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Strada, V. (1994) L’altra rivoluzione, op. cit., p. 26.

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Lunačarskij parla di un uomo nuovo, cioè di quell’uomo per il quale l’ideale di felicità sulla terra non si colloca in un universo parallelo, distaccato dalla sua persona: quell’ideale si trova dentro di lui ed è il piano secondo il quale egli può costruire il mondo nuovo.

L’uomo di Lunačarskij, trovando se stesso come dio, è capace di forgiare una nuova realtà assecondando il suo ideale di felicità ma, come sottolinea l’attivista, «la vittoria è possibile soltanto nella collaborazione».12

L’accento viene posto, dunque, sulla collettività, sull’unione degli operai sulla quale si fonda questa nuova forma d’amore, l’amore per il mondo nuovo.

La socialdemocrazia professata da Lunačarskij è, perciò, il progetto ambizioso di collegare le sorti del partito proletario all’esigenza di rinnovamento del mondo e dell’uomo. In questo si discosta dall’impianto tutto razionale di Bogdanov che non contempla il completamento della legge naturale con una risposta religiosa.

Nel 1908, anno in cui Lunačarskij pubblica il primo volume di

Religione e socialismo, Maksim Gor’kij dà alle stampe l’opera Confessione, manifesto non soltanto della sua concezione teorica ma

anche di quella che finora abbiamo chiamato “la costruzione di Dio”. Infatti, è proprio in quest’opera che per la prima volta compare il concetto di “costruzione” riferito al “buon popolo”, alla collettività:

- Tu sei il mio Dio e il creatore di tutti gli Dei, che tu hai tessuti con le bellezze del tuo spirito nella pena e nel tormento del tuo creare! E il mondo non deve avere altri Dei accanto a te, perché tu sei l’unico

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Dio che operi miracoli! Tale è la mia fede, e la mia professione di fede.13

Partendo da questo “romanzo di formazione”, quindi, è possibile ricostruire il pensiero di Gor’kij e la soluzione del “ritorno al popolo” come unica via per realizzare la socialdemocrazia russa.

Ripercorrendo la storia dell’umanità, Gor’kij si accorge di quanti danni abbia fatto lo sviluppo dell’individualismo sulla coscienza collettiva e, in quest’ottica, giudica negativamente anche il comportamento dell’intelligencija, soprattutto nei confronti di quegli intellettuali plebei visti come un pericolo per la cultura e abbandonati a se stessi.

Gor’kij parte dalla dura critica nei confronti dell’individualismo piccolo-borghese, trincerato dietro la difesa della propria cultura, e propone, al contrario, la formazione di un intelligencija operaia, più autenticamente sociale e collettivista.

Quest’idea si fa strada dapprima nel saggio La distruzione della

personalità (bocciato da Lenin) per poi trovare più completa

teorizzazione e maggiore fortuna nel già citato Confessione.

Il romanzo ha come protagonista Matvej, trovatello cresciuto in ambiente contadino, che si accosta alla religione in diverse fasi della sua vita con l’intento di trovare il suo Dio. In realtà, in questo percorso tortuoso, la sua fede finisce per vacillare tra numerosi dubbi fino a che, in un’evidente sovrapposizione tra narratore e personaggio

13Gor’kij, M. (1930) Confessione, trad. it. di Mario Salviati, Casa Editrice Monanni,

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(Gor’kij / Matvej), egli non la riformula in una nuova veste, quella sociale, che lo porta a identificare Dio con lo stesso popolo.

Il primo a parlargli dei cosiddetti “costruttori di dio” è Jegudiil, pellegrino che incontra nella regione degli Urali, il quale divide il popolo in due tribù: i costruttori di dio e gli schiavi del potere che credono in un Dio situato al di fuori degli uomini. Solo i costruttori di dio si rendono immortali perché sono essi stessi gli artefici di un dio d’amore.

Non dalla debolezza degli uomini fu creato Dio, no, ma dalla sovrabbondanza di forze, ed Egli non vive fuori di noi, ma in noi! Ma gli uomini, angosciati dai problemi dello spirito, lo ricavarono fuori dal nostro intimo e lo collocarono sopra di noi per domare la nostra superbia, la quale non voleva saperne di limitare la nostra volontà. […]. Gli uomini si suddividono in due campi: gli uni sono eterni creatori di Dio, gli altri sono per sempre schiavi dell’impulso che li innalza a dominare su quelli e su tutta la terra. […]. Ma i creatori di Dio vivono ancora, non muoiono tanto presto, e di nuovo stanno lavorando con segreto zelo a creare un nuovo Dio, quello appunto del quale tanto si occupa il tuo spirito, il Dio della bellezza e della sapienza, della giustizia e dell’amore.14

E «il creatore di Dio è il popolo» che Jegudiil esalta come vera e unica fonte della vita, il martire più santo tra tutti quelli che la Chiesa venera.

Il discorso del pellegrino viene idealmente proseguito da un altro personaggio fondamentale incontrato da Matvej, Michailo, ricercatore e costruttore di Dio.

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Le parole che Michailo rivolge a Matvej sono molto forti poiché egli è convinto che il dolore dell’uomo derivi dall’incapacità di amare l’altro e dal conseguente errore di chiudersi nel suo “Io”.

Questa lamentevole vita, indegna dell’intelletto umano, cominciò il giorno in cui la prima personalità umana si strappò dalla taumaturgica forza del popolo, da sua madre, la massa, e per paura della solitudine e della propria impotenza si trasformò in un pietoso e maligno groviglio di piccoli desiderii, in un groviglio che fu poi battezzato «Io».

Ma appunto questo «Io» è il peggior nemico dell’uomo! Allo scopo di difendersi e di affermarsi sulla terra, egli ha inutilmente ucciso nell’uomo tutte le forze dello spirito, tutte le grandi facoltà di creare beni spirituali!15

Si tratta di un passaggio molto importante perché per le parole di Michailo si veicola un presupposto fondamentale della

bogostroitel’stvo, cioè quello della collettività, o meglio, dell’azione

collettiva, imprescindibile ai fini della creazione di Dio.

Quando l’uomo agisce da solo, rinchiuso nel suo malvagio “Io”, può portare solo distruzione e dolore sulla terra. Soltanto l’azione plurale può creare, costruire e cercare Dio.

L’«Io», povero di spirito, è incapace di creare. È sordo, cieco e muto verso la vita, il suo scopo è unicamente la difesa di sé, il riposo e la sua comodità. Crea cose nuove e realmente umane soltanto perché le deve creare, dopo innumerevoli spinte dall’esterno, a gran fatica e gli altri «Io» non solo non lo sanno apprezzare, ma lo odiano e lo

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perseguitano. E tuttavia esso non può dimenticare la sua parentela col Tutto dal quale si è separato, e cerca di adunare di nuovo in un gran Tutto ciò che è andato frantumato e disperso.16

Michailo non ha dubbi riguardo all’essenza di Dio: non esistono Dei, né religione, né Chiesa che non sono altro che una «cupa foresta» abitata da malvagi predatori solitari. Esiste un unico Dio ed è quello creato dall’unione degli esseri umani:

Il Dio di cui io parlo visse quando gli uomini lo crearono unanimi, con la materia del loro pensiero, per illuminare l’oscurità della loro esistenza; quando poi il popolo si divise in padroni e servi, e cadde in pezzi, quando disgiunse il suo pensiero dalla sua volontà, allora morì Dio, Dio fu distrutto!17

Quest’incontro ci avvicina al fulcro dell’opera, costituito da una scena singolare che narra di un vero e proprio miracolo compiuto dalla forza della collettività, la cui unica volontà è in grado di guarire una povera paralitica.

Nel suo peregrinare per il governatorato di Kazan’, Matvej si imbatte in una processione gremita di fedeli tra i quali scorge in particolare una famiglia: padre, madre e figlia paralizzata ormai da quattro anni. Ciò che profondamente lo colpisce è il fatto che la guarigione di questa bambina venga chiesta in grazia a Dio non soltanto dai suoi parenti più prossimi ma da tutto il popolo. È qui che

16

Ivi, p. 256.

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si compie il miracolo perché Matvej vede negli occhi di ciascuno di loro una scintilla infiammata che attende una gioia sconosciuta.

Nella nuvola di polvere vidi centinaia di visi neri, migliaia di occhi, numerosi come le stelle della Via Lattea. Tutti quegli occhi erano come le ardenti faville di un’anima sola, che cupidamente aspettasse una ignota gioia.

La folla procedeva come un sol uomo; si stringevano l’uno all’altro, si prendevano per mano e andavano con gran fretta, come se la loro strada fosse terribilmente lunga, ed essi fossero pronti a percorrerla tutta , senza sostare, sino alla fine.

L’anima mia tremava forte, in un incomprensibile affanno. Come un lampo guizzò nella mia memoria la grande parola di padre Giona: “Il popolo sarebbe un creatore di Dio?”.18

Matvej si fa in tal modo portavoce di una metamorfosi del sacro che rinnega la trascendenza in senso religioso e la trasferisce su un piano immanente, terreno e sociale. Gor’kij trasforma la sacralità religiosa nella religione umana del popolo che è l’unico creatore di tutte le cose, un Dio antropologico che risolve finalmente il problema dell’individualismo perché è frutto di un’umanità fraterna e comunitaria.

Gor’kij condivide quella visione romantica di Lunačarskij dell’attesa di un mondo nuovo ed è pienamente in accordo con lui nell’associare la sacralità alla classe operaia.

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Per Gor’kij, come per Lunačarskij, la religione rappresentava un’esigenza insopprimibile della natura umana e la morte di Dio proclamata da Nietzsche non significava la morte del «sacro», ma la sua trasformazione. Come osservato da Michel Niqueuex Ispoved’ è: […] la narrazione di una conversione, non di una conversione dall’incredulità alla fede, ma da una fede a un’altra, da un Dio creatore a un dio creato, o piuttosto che viene creato da una umanità in formazione, libera e fraterna.19

È questa la religione del futuro professata da Gor’kij e Lunačarskij, una religione atea basata sull’umanità che, costituendosi in quanto unità collettiva, avrebbe costruito il proprio Dio: avrebbe, cioè, deificato se stessa.

In realtà, i due “costruttori” bolscevichi non fanno altro che portare alle estreme conseguenze il dogmatismo marxista che già contiene in essere il sentimento religioso della collettività. Per cui i vari Bogdanov, Plechanov o Lenin che si scagliano contro la “nuova religione” di Gor’kij e Lunačarskij, in nome di un fanatico ateismo, non si rendono conto che il leninismo di quegli anni e le idee professate dai costruttori di Dio stanno, in realtà, seguendo una stessa linea ideologica.

Si trattava di forme simili, e solo apparentemente incompatibili, di divinizzazione dell’umano che si moltiplicarono nell’epoca della modernità e rientravano nel più vasto ambito dell’esperienza definita da Emilio Gentile sacralizzazione della politica.20

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Cioni, P. (2012) Un ateismo religioso. Il bolscevismo dalla Scuola di Capri allo stalinismo, op. cit., p. 65.

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Come fa notare Vittorio Strada, è proprio Lenin a creare le condizioni di possibilità per la “costruzione di Dio” che lui stesso si trova a contrastare senza capire che quella non solo è frutto della naturale evoluzione del razionalismo marxista, ma presto sarebbe diventata la nuova ideologia di potere.

A differenza di Lenin, infatti, Stalin avrebbe accolto più positivamente le idee dei rivoluzionari bolscevichi, comprendendo che la bogostroitel’stvo non fosse totalmente distante dall’ideologia comunista e che, anzi, avesse tradotto quell’ideologia in termini popolari.

Il punto di convergenza tra Gor’kij e Stalin sta proprio nella fiducia che, sia l’uno che l’altro, ripongono nell’elemento del popolo come costruttore della nuova società: di qui la necessità di alfabetizzarlo, riscattando quella disciplina leniniana di partito così sfiduciata nei confronti delle masse.

1.2 La Scuola di Capri

Nei primi anni del Novecento, l’Italia diventa la sede di quella che, a giusta ragione, Vittorio Strada chiama “altra rivoluzione”, a sottolineare la via alternativa intrapresa da alcuni degli esponenti dell’intelligencija russa in contrasto con quella sanguinaria proposta da Lenin.

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La “Scuola di Capri”, organizzata da bogdanoviani e osteggiata da Lenin, non era quindi un’operazione tattica in una guerra di gruppi di partito: essa era il laboratorio di una cultura che si proponeva radicalmente alternativa rispetto a quella definita “borghese” e profondamente diversa anche dalla cultura di cui erano portatori sia il movimento socialdemocratico europeo e in Russia il menscevismo, sia lo stesso bolscevismo leniniano.21

Questa rivoluzione, infatti, trova sede proprio a Capri, nella lussuosa villa messa a disposizione dallo stesso Gor’kij che, a partire dal 1909, diventa rifugio per quell’elite di esuli russi giunti in Italia a partire dalla rivoluzione d’ottobre.

La scelta della nostra penisola (e dunque di riflesso anche del territorio caprese) deve essere congiunta a diverse motivazioni: anzitutto l’Italia d’inizio secolo è quella di Giovanni Giolitti, che si rivela ai perseguitati russi come un paese libero con un forte partito socialista alle spalle; inoltre, tale partito si trova ormai da anni in contatto con i maggiori esponenti del socialismo russo (in particolar modo con Plechanov) e risulta, perciò, particolarmente sensibile alle notizie che giungono dalla Russia.

Nei primi anni del secolo l’opinione pubblica italiana segue con fervida attenzione l’evolversi degli avvenimenti interni alla Russia e si ritrova empaticamente coinvolta nei rivolgimenti del processo rivoluzionario.

Com’è naturale, è dunque fra i socialisti italiani di varia osservanza che la rivoluzione russa del 1905 e i suoi sviluppi hanno

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avuto ripercussioni ampie e articolate. Intorno a essa, nell’interpretazione del suo significato, le due «anime» del socialismo italiano accentuano le proprie divisioni, mentre una carenza di informazioni dirette e di prima mano rende difficile a tutti veder chiaro nella vicenda rivoluzionaria.22

Per quel che riguarda il caso Gor’kij, poi, bisogna dire che l’intellettuale russo riceve dall’Italia innumerevoli consensi, sia da un punto di vista culturale che politico.

Maksim Gor’kij arriva per la prima volta nella nostra penisola nell’ottobre del 1906, di ritorno da New York, e la lascia soltanto nel dicembre 1913.

Gor’kij è già conosciuto in Italia in qualità di scrittore, soprattutto grazie alle traduzioni fatte dal socialista Cesare Castelli e da quelle di Federico Verdinois, per cui quando arriva a Napoli l’intellettuale è accolto con grandissimo entusiasmo.

Come dichiara egli stesso, la scelta di Napoli come prima città d’Italia da visitare deve essere ricondotta al bisogno di ritrovare se stesso e una tranquillità negata dal soggiorno americano. Non solo, a Napoli Gor’kij può sentirsi più vicino alla sua terra d’origine perché entra in contatto con gli universitari russi trasferitisi in Italia.

La scelta di Napoli e dell’Italia e, quindi, il lungo soggiorno a Capri rispondevano a questa profonda, sofferta esigenza – anche solo

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Tamborra, A. (2002) Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, p.18.

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illusione – di poter vivere in Russia, pur essendo lontano mille miglia.23

Quando Gor’kij sbarca a Napoli, a rendergli omaggio non sono soltanto i socialisti partenopei ma anche i giovani studenti della «Corda Fratres», associazione universitaria che aveva accolto numerosi profughi russi e li aveva aiutati a trovare casa, lavoro e percorso di studi.

C’è da dire che, nonostante la comunione di pensiero politico e la profonda ammirazione da un punto di vista culturale, Gor’kij non si aspettava un’accoglienza così calorosa. E ciò che più lo stupisce è il forte senso empatico degli italiani in generale nei confronti dei rivoluzionari russi, atteggiamento che Gor’kij non ha riscontrato in nessun altro popolo.

La vecchia e consunta Europa, espressa attraverso la sua classe culturale, non nasconde la sua paura di fronte all’anarchismo che sarebbe organicamente congenito alla razza slava. L’America, paese di adolescenti, è fortemente intimorita dalla rivoluzione russa. Ma qui in Italia la gente si comporta meravigliosamente bene con i russi, se ne interessa e ne scrive più che gli altri Europei.24

Non deve meravigliare, quindi, che un socialista come Maksim Gor’kij abbia scelto l’isola di Capri per fondare la sua colonia di intellettuali ed operai fuggiti alla Russia autocratica.

23 Ivi, p. 25. 24

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Qui esiste già prima dell’arrivo di Gor’kij una comunità attiva di esuli russi, formatasi negli anni intorno alla rivoluzione, ed è costituita in primo luogo da studenti che giungono dalla Russia per seguire i corsi all’università di Napoli.

È con l’arrivo di Gor’kij che questa colonia di esuli russi (che conta più o meno una trentina di adesioni) riesce a uscire allo scoperto: alla fine dell’ottobre del 1906 questi studenti partecipano alle manifestazioni che i socialisti organizzano in onore dello scrittore russo e riescono a guadagnarsi l’attenzione dell’opinione pubblica.

Da questo momento in poi Capri diventa un punto di approdo di russi, intellettuali e socialisti impegnati nella lotta rivoluzionaria che, ispirati da Gor’kij, giungono all’isola per ritrovare la speranza andata perduta con l’esilio.

È in questo contesto che va inserita la volontà dello scrittore russo di fondare un “porto sicuro” per questi esuli, che dia loro sostegno ma anche un’educazione politica e culturale.

La scuola dei bolscevichi di sinistra non nasce solo per portare avanti il progetto politico del movimento operaio ma si propone anche di ridefinire lo stesso concetto di marxismo, liberandolo dal peso dello storicismo.

È una scuola concepita come laboratorio, che vuol essere anzitutto un esperimento didattico volto alla formazione della coscienza operaia: un progetto di natura e finalità contingente che, per questo, rifiuta qualsiasi dogmatismo teorico o conservatorismo.

Ma l’episodio al quale ora ci riferiamo ha precisi confini di tempo e non meno precisi personaggi di azione. Si tratta di quella

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“Scuola di Capri” che nel 1909 vide riuniti nell’Isola un gruppo di socialdemocratici russi, anzi di quell’ala del Partito Operaio Socialdemocratico Russo che già allora si chiamava “bolscevica”, gruppo “dissidente” rispetto alle posizioni leniniane, impegnato in un’attività didattico-culturale che allora poteva sembrare strana e forse ora lo pare ancora di più: la creazione di una nuova cultura, specificamente operaia o proletaria e, per usare l’espressione che proprio a quel tempo fu coniata, la “costruzione di Dio” (bogostroitel’stvo), ovvero l’edificazione di una nuova “religione”, tutta terrena, dell’umanità unificata nella futura comunità socialista.25

La mente teorica della “Scuola di Capri” è Aleksandr Bogdanov, il quale raccoglie l’esigenza del socialismo di staccarsi dall’ideologia autocratica di Lenin o Plechanov.

Fautore di un marxismo moderato, Bogdanov si allontana da ogni deriva determinista che cerca di leggere in chiave dogmatica il rapporto tra struttura e sovrastruttura e, per questo, non trova più aderenza con la realtà e quindi con l’azione vera e propria.

Lenin accusa Bogdanov di essere un reazionario proprio perché non riconosce nel marxismo un’incontrovertibilità, una verità definitiva e assoluta.

Ma il materialismo sociale di Marx ha imposto alla mia concezione del mondo delle esigenze che il vecchio materialismo non poteva soddisfare. Erano tuttavia delle esigenze legittime, innegabili, e che corrispondevano pienamente alla tendenza del più antico materialismo ad essere oggettivo e monista, spingendola solamente ancora più a fondo. Dovevo conoscere la mia conoscenza, spiegare la mia concezione del mondo […]. Il marxismo implica per me la

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negazione dell’oggettività assoluta di qualsiasi verità, la negazione di tutte le verità eterne.26

Quello che Bogdanov auspica è l’intreccio tra l’ideologia e il lavoro degli intellettuali russi, cioè tra politica e cultura. Compito del lavoro è, infatti, proprio quello di sviluppare la coscienza sociale degli uomini, cioè l’ideologia.

Ecco che la “Scuola di Capri” mette insieme l’obiettivo di formare l’intelligencija degli operai e il progetto bogdanoviano di coniugare questa nuova cultura proletaria con l’esperienza lavorativa collettiva e, dunque, con le esigenze pratiche del partito.

Probabilmente il laboratorio caprese rappresenta per Bogdanov non solo il terreno di quella scissione definitiva dal bolscevismo leniniano ma anche la realizzazione in Italia di un’idea di università ispirata ai circoli operai che egli aveva ammirato a Tula, in cui al lavoro si affiancava l’erudizione scientifica.

Ciò che di Lenin Bogdanov non può assolutamente accettare è la teoria della coscienza immessa nella massa proletaria da un corpo estraneo (la borghesia) e quindi il fatto che il proletariato venga considerato come oggetto, più che come soggetto attivo.

Lenin trasforma la classe operaia da sostanza storica, animata da una propria dinamica, in funzione ideologica, regolata da una

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Bogdanov, A. (1978) La scienza, l’arte e la classe operaia, a cura di D. Lecourt, H. Deluy, prefazione di S. Tagliagambe, Gabriele Mazzotta Editore, Milano, pp. 37-38.

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razionalità sovrapposta. È questa razionalità organizzatrice che vivifica l’argilla tradeunionistica di cui è fatto il Golem proletario.27

Lenin è convinto che l’educazione delle masse passi attraverso una missione complicata e intensa in grado di collegare l’ambito del sapere e quello tecnico. Al contrario, Bogdanov si presenta piuttosto come un riduzionista che scavalca le problematiche sociali presentate da Lenin perché crede in una sorta di “stato di natura” proletario a cui basta affiancare soltanto l’azione tecnica.

Manca in Bogdanov ciò che in Lenin era esplicito e in parte implicito e poi attuato nella pratica: non solo l’«immissione» della «coscienza» nella massa proletaria, di per sé condannata al «tradunionionsmo», ma la necessità costante di una verifica e purificazione di questa «coscienza» e quindi di un centro verificatore-purificatore che stesse al di sopra dello stesso gruppo di «rivoluzionari di professione».28

Questo centro verificatore non è composto dai membri dell’intelligencija ma si va a identificare con un gruppo ristrettissimo che si stringe attorno alla persona di Lenin stesso, il quale crede di incarnare la coscienza marxista pura che combatte contro quella rivoluzionaria impura.

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Strada, V. (1982) Né fede, né scienza, intr. a A. Bogdanov, Fede e scienza, Einaudi, Torino, pp. 11-12.

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Bogdanov ha fiducia nell’esperienza fisica collettiva che si organizza in modo armonico e non esclude che vi sia un principio supremo a regolarla.

Non è errore assoluto neppure il concetto di un feticcio supremo che governa l’universo. In esso in modo ingenuo e immaginoso si delinea l’idea dell’unità del processo universale, idea che sviluppandosi e assumendo forme diverse e trasformandosi da postulato concretamente religioso in postulato astrattamente metafisico e poi in principio scientifico, continua ad essere l’anima del pensiero umano, la sua forma organizzatrice più alta.29

Si parla di una vera e propria Tectologia, cioè di una scienza universale dell’organizzazione, da concepire come una metafisica del proletariato che unisce ideologia e politica e intende esaltare misticamente il lavoratore della grande industria, giustificando il meccanicismo della sua organizzazione sociale.

Ora, questa metafisica del lavoro, che altro non è che un rovescio del populismo, viene sì osteggiata da Lenin che ne avverte la pericolosità ma non è combattuta in maniera radicale, anzitutto per mancanza di mezzi teorici e poi perché alcuni presupposti ideologici bogdanoviani vengono a corrispondere con quelli leniniani, soprattutto se si guarda al concetto di organizzazione del lavoro.

Bogdanov declina i concetti di “materia” e “spirito”, assoggettandoli alla categoria centrale del suo pensiero teorico (mutuata ovviamente dal marxismo), cioè quella del lavoro. In questa

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teoria il lavoro è un’organizzazione, un’attività che organizza l’intera umanità e che consente all’uomo di sottomettere la natura.

Bisogna inoltre precisare che nel linguaggio bogdanoviano (che sarà poi anche quello di Gor’kij e di Lunačarskij) il lavoro è un concetto che indica azione collettiva e non individuale, e in più è pensato come materia poiché ha proprietà di resistenza. A questo punto lo spirito è l’ideologia, cioè la forma organizzatrice dell’attività. Nella sua tectologia, Bogdanov riesce a prendere le distanze da Lenin nel momento in cui sottrae l’organizzazione proletaria al monismo partitico, cioè alla necessità di un controllo super partes. Il ruolo titanico e rivoluzionario viene da Bogdanov affidato alla stessa massa proletaria.

Un mondo nuovo, il mondo collettivista, è nato e cresce in seno alla società borghese sotto forma di classe operaia, della sua organizzazione e della sua nuova cultura, si completa nel regime socialista.

La base organizzativa del collettivismo è la collaborazione

fraterna, più esattamente nella sua forma superiore che appare sul

terreno della produzione meccanizzata e che si sviluppa ulteriormente nelle associazioni di classe del proletariato. […]. È il collettivismo il primo sistema per creare le condizioni dello sviluppo sistematico e metodico delle capacità individuali.30

Quel che conta, comunque, è che da questa deriva mistica bogdanoviana sia discesa poi la variante religiosa dei “costruttori di Dio” riuniti a Capri: Bogdanov è dunque il protagonista di quello scisma apertosi all’interno dell’ala bolscevica del Partito Operaio

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Socialdemocratico Russo e la “Scuola di Capri”, il progetto culturale di quella fazione.

Tuttavia egli riveste un ruolo marginale rispetto a quello di Maksim Gor’kij, che è invece una personalità intellettuale fondamentale non solo per la scuola mediterranea ma, più in generale, per la storia culturale russa ed europea del Novecento. In realtà, è proprio negli anni capresi che Gor’kij acquisisce quella autorevolezza letteraria che lo consacra a figura cardine della cultura sovietica.

Durante il suo soggiorno a Capri, Gor’kij porta a compimento la sua formazione individualista basata sul culto nietzschiano del superuomo, approdando, all’opposto, al culto della collettività, della società operaia, così come proposto da Bogdanov.

L’esperienza caprese rispecchia quest’ideale comunitario nel proporsi come laboratorio didattico basato sulla collaborazione.

La scuola rappresenta per i bolscevichi di sinistra il primo passo per elaborare una cultura alternativa rispetto a quella borghese e leninista che faccia da esempio a tutto il movimento rivoluzionario. I capresi, infatti, si mostrano convinti che l’organizzazione culturale del proletariato costituisca presupposto fondamentale per l’egemonia politica dello stesso e, a tale scopo, concepiscono sullo stesso piano l’azione didattica e quella politica, quest’ultima veicolata dalla prima attraverso la propaganda.

Come sintetizza Vittorio Strada, il dissidio che si scatena nel gruppo bolscevico si configura come una sorta di «accesissima disputa politica incentrata sul concetto di ortodossia.».31

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E, dunque, da un lato Lenin si pone come il detentore assoluto di un marxismo fatalista, dall’altro i fondatori della Scuola di Capri si credono i rappresentati di quella mediazione auspicata da Marx tra cultura borghese e proletariato.

Chiaro che l’elemento populista diventa di fondamentale importanza per un proletariato di recente formazione come quello russo, impegnato anzitutto nell’acquisizione di una propria coscienza di classe. Allora la scuola diventa strumento principale di formazione culturale, soprattutto politica, e sintomo di quella teoria secondo la quale per raggiungere l’egemonia politica sia necessaria l’egemonia culturale.

Né è una dimostrazione anche il fatto che gli stessi studenti prendano ruolo attivo nel processo di apprendimento in modo tale da conferire compimento pratico a un sapere teorico fondato sulla religione della collettività, nuovo dio dei bolscevichi di sinistra.

Il gruppo che si organizza in questi anni attorno a Gor’kij e Bogdanov viene ovviamente osteggiato da Lenin che vede in esso una perversione del marxismo, un fraintendimento del bolscevismo stesso e l’inconsistenza dell’intelligencija socialdemocratica.

Il suo atteggiamento nei confronti degli intellettuali riuniti a Capri è caratterizzato non già da ammirazione, quanto da inevitabile diffidenza che, però, in un primo momento riesce a tenere a bada facendosi forte della convinzione che si tratti di uno scontro impari tra un uomo politico e dei letterati.

E infatti, mentre a Capri Bogdanov, Gor’kij e Lunačarskij organizzano le lezioni per la loro scuola rivoluzionaria, Lenin dà alle stampe Materialismo ed empiriocriticismo, nel quale mette sotto

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accusa l’eresiarca Bogdanov e i suoi seguaci, fatta eccezione per Maksim Gor’kij.

Lenin attacca l’ex compagno di partito e assimila l’eresia del suo empiriomonismo alla nascente bogostroitel’stvo: accecato dalla sua rigorosa ortodossia, Lenin, senza approfondire filosoficamente le teorie avversarie, si limita a scomunicare tutti quelli che si accostano all’interpretazione bogdanoviana del marxismo.

La sua mentalità «manichea», che non prevedeva opposizioni di alcun tipo, lo portava a combattere contro ogni mezzo chi metteva in dubbio la «vera» dottrina (ovviamente, la sua interpretazione del marxismo), e ad affermare l’esistenza di una sola indiscutibile verità.

Bogdanov, al contrario, si sottraeva a ogni tentazione di cedere allo sterile dogmatismo. Marx era per lui solo un iniziatore la cui azione e il cui pensiero andavano necessariamente sviluppati in stretta connessione allo sviluppo storico dell’umanità.32

Le durissime pagine leniniane raggiungono lo scopo di riunire la redazione del «Proletarij», obbedendo all’ordine di espellere definitivamente Bogdanov dal Centro Bolscevico.

Nonostante i tentativi di sabotaggio da parte di Lenin, i lavori a Capri continuano e prosegue anche il programma di lezioni, ottenendo un discreto numero di adesioni.

La questione inizia a complicarsi nel momento in cui Lenin, con lo spostamento della redazione del «Proletarij» a Ginevra, si rende conto di aver bisogno di un sostegno intellettuale ma Gor’kij reagisce in maniera negativa alla proposta del capo bolscevico, che vuole

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semplicemente assoggettare l’intelligencija russa alle esigenze di partito.

Queste prime divergenze, come fa notare Angelo Tamborra, sono principalmente di natura ideologica o filosofica e spingono Lenin ad accettare l’invito di Gor’kij a raggiungere i suoi a Capri.33

È qui che si gioca la famosa partita a scacchi tra Lenin e Bogdanov, emblematicamente persa dal primo dinanzi alle imprevedibili mosse dell’altro.

In effetti, l’incontro a Capri non fa altro che acuire le divergenze tra il gruppo intellettuale russo e Lenin e aumentare le preoccupazioni di quest’ultimo, il quale, ormai in minoranza rispetto ai bolscevichi dissidenti, teme di soccombere all’estrema popolarità raggiunta nel frattempo da Gor’kij.

Così Lenin tenta un’ultima mossa disperata in direzione di un incontro diplomatico ma, al rinnovato rifiuto da parte di Gor’kij, si giunge a una vera e propria rottura.

La scuola di partito messa su dal giovane operaio Vilonov, con Gor’kij, Bogdanov e Lunačarskij, mostra subito di avere una direzione ideologica indipendente da quella leniniana (vedi i caratteri dell’“otzovismo”, dell’“ultimatismo” e dello stesso “costruttivismo di Dio”).

Ciononostante i suoi esponenti si illudono di poter mettere da parte questa scissione invitando nuovamente Lenin a Capri, stavolta in qualità di docente: ovviamente la risposta del capo bolscevico è negativa e ribadisce la distanza da una scuola che a suo avviso è

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troppo frazionistica. Il rifiuto si inserisce in un clima già abbastanza teso che origina malcontenti tra gli allievi della scuola stessa.

Nel 1909 arriva a Capri l’ultimo numero del «Proletarij» in cui Lenin mette in campo una dura accusa nei confronti degli organizzatori della scuola che gli fa guadagnare una serie di consensi dalla fazione opposta. Questa scissione si pone all’origine del declino della scuola, all’interno della quale iniziano a farsi sentire i primi dissapori che porteranno alla definitiva chiusura nel dicembre dello stesso 1909.

Il passaggio di quasi la metà degli studenti dalla parte di Lenin e le discordie di carattere prevalentemente personale tra gli organizzatori, che determinarono la fine del sodalizio politico, misero in evidenza i limiti dell’esperimento caprese. Se, da una parte, il livello troppo alto delle lezioni non permetteva a tutti la piena comprensione delle nozioni trasmesse, e questo di per sé già costituiva un problema pratico, non superabile nel giro di pochi mesi, dall’altra, le speranze che i bolscevichi di sinistra avevano riposto nella tendenza naturale al collettivismo della classe operaia si dimostrarono illusorie.34

Dunque, la fine dell’esperienza caprese mette in luce tutte le sue fragilità, partendo dal livello troppo alto delle lezioni che si viene a scontrare con quello medio-basso dell’utenza operaia, e finendo con l’illusione del collettivismo che i capi bolscevichi di sinistra con troppa fiducia hanno nutrito in seno al progetto didattico.

Va detto, altresì, che l’Università proletaria organizzata prima a Capri e poi a Bologna, si presenta come una risposta inevitabile al

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problema della formazione di una cultura proletaria. Tuttavia, questo primo esperimento non riesce a risolvere interamente la questione, né a fondare una scuola che soddisfi tutti i settori didattici: il programma di Capri si basa, infatti, esclusivamente sulle scienze sociali e sulla filosofia sociale.

Per quel che riguarda il rapporto tra Lenin e Gor’kij, va invece detto che esso non si interromperà con la fine dell’esperimento caprese dal momento che Lenin elogerà l’opera intellettuale gor’kijana e riconoscerà alla scuola una certa autenticità nel rappresentare la vita operaia. Tant’è vero che Lenin sarà nuovamente ospite di Gor’kij a Capri, stavolta in un clima decisamente più disteso e vacanziero.

I dissapori torneranno comunque qualche tempo dopo, quando, sulla scorta dell’esperimento caprese, prenderà vita anche a Bologna una nuova, frazionistica, scuola di partito facente capo a Bogdanov dalla quale, però, Gor’kij starà ben attento a prender le distanze (l’atteggiamento gor’kijano è anche frutto di un allontanamento dall’amico Bogdanov, dovuto probabilmente a episodi di carattere privato più che politico).

In questo caso Lenin si mostrerà ancora più duro che nei confronti dei dissidenti capresi, giudicando la scuola come antipartitica ed antimarxista.

Quella di Bologna sarà un’esperienza breve che finirà con l’arresto della maggior parte dei suoi allievi.

Si esauriva così, nell’arco di poco meno di due anni, il raskol’, la dissidenza ideologica che aveva trovato modo di esprimersi e di avere un contatto con la base operaia russa giusto a Capri e a Bologna. Fenomeno esclusivamente intellettuale, esso non ebbe modo di

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estendersi fuori dei limiti della intellighencija rivoluzionaria: l’intransigenza di Lenin – mitigata sul piano personale dal desiderio di mantenere rapporti amichevoli, specie con Gor’kij e con Lunačarskij – ebbe la meglio, su un piano di chiarezza e di coerenza nei principi, sulle posizioni ambigue e neppure concordi dei “professori” di Capri e Bologna.35

Quanto allo scrittore, negli anni successivi al fallimento di queste due esperienze didattico-rivoluzionarie, egli cerca di mantenersi distante da Bogdanov come da Lenin e, anzi, per quest’ultimo non lascia intravedere alcun margine di riconciliazione.

Vladimir Il’ič, mio caro,

io nutro per Lei un profondo rispetto e, inoltre, mi è naturalmente simpatico, ma, mi scusi per l’impertinenza, lei è un uomo estremamente ingenuo nei suoi rapporti con gli altri e nei giudizi che ne dà. Passi pure se ci limitassimo alla sua ingenuità, ma a volte mi sembra che per Lei qualsiasi persona non sia altro che un flauto con il quale eseguire ora questa ora quella melodia a Lei gradita e che valuti ogni individuo dal punto di vista dell’utilità che questi può apportare alla realizzazione dei suoi obiettivi, convincimenti, propositi. Tale valutazione, lasciando da parte il sottofondo profondamente individualistico e aristocratico, […] La porta inevitabilmente a commettere errori.36

Indugio su questo dato poiché tutta la storiografia successiva di impronta staliniana non ha fatto altro che omettere questi dissidi, cancellando da un lato qualsiasi collaborazione tra Gor’kij e Bogdanov e dall’altro dipingendo un quadro roseo dei rapporti tra il

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primo e Lenin, al solo scopo di poter fornire al popolo il mito di un letterato proletario.

Negli anni successivi alla rivoluzione, infatti, Gor’kij, pur mantenendo l’ideologia bogdanoviana del collettivismo, se ne allontana progressivamente per poter salvaguardare in Russia quell’aurea di prestigio letterato guadagnata negli anni italiani. Quest’operazione chiaramente gli costa il compromesso con la politica staliniana che, però, avviene in maniera molto graduale.

Di certo il fatto che Gor’kij si sia fatto paladino della libertà durante l’illiberale rivoluzione culturale leniniana e che poi si faccia fautore dell’ancor più dura rivoluzione staliniana è una stranezza che non fa guadagnare allo scrittore onestà e coerenza intellettuale.

In realtà, nella nuova ottica di restaurazione staliniana, il pensiero di Gor’kij non appare tanto anti-ortodosso e, anzi, quella volontà di collegare religione e socialismo attraverso il culto dell’umanità e il disciplinamento delle masse diventa necessaria per la politica di Stalin.

Il regime staliniano dà a Gor’kij l’illusione di poter finalmente realizzare il progetto di alfabetizzazione delle masse.

In quest’ottica appare comprensibile come la nuova opera, cui gli scrittori sovietici erano chiamati, apparisse a Gor’kij perfettamente naturale e come, in qualche misura, ne potesse rivendicare la paternità. […]. Di certo quell’«uomo nuovo», sognato nella giovinezza, non gli sembrava esattamente né un eroe del lavoro né un riformato della pedagogia del campo di lavoro forzato. Certamente quel diritto a sognare, non importa cosa, ma in ogni caso una realtà diversa, doveva

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sentirsi minimamente avvilito ora che […] il regno di Utopia era cancellato per sempre, così dalla storia come dalla letteratura.37

Non è dunque totalmente esatto parlare di un voltafaccia gor’kijano alle idee libertarie giovanili in nome di una strumentalizzazione delle stesse ad opera del regime staliniano. Anzi, va detto che la dottrina politica di Stalin si pone su un filo diretto con la religione socialista abbracciata da Gor’kij e dai “costruttori di Dio” che, al contrario, l’ortodossia di Lenin non poteva appoggiare perché troppo “atea”.

Il linguaggio religioso privato di ogni riferimento alla trascendenza si rivelava molto utile per la diffusione del socialismo perché in grado di risvegliare sentimenti vicini all’immaginario popolare. Stalin si rendeva ben conto che per conquistare il favore delle masse era necessario trasmettere idee semplici, familiari, a tutti comprensibili. Per questo motivo l’“ateismo religioso” espresso dalla

bogostroitel’stvo, che attraverso una serrata critica della trascendenza

rivendicava all’uomo attributi divini, si trasformava in un elemento di potere.38

Si può parlare pertanto di un rapporto (quello tra Stalin e Gor’kij) molto complesso che di certo non è servilismo del secondo nei confronti del primo, quanto piuttosto una relazione, basata sul compromesso, nella quale il letterato continua a far valere i suoi ideali libertari.

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Cioni, P. (2012) Un ateismo religioso, op. cit., p. 123.

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Tale complessità e mancanza di chiarezza hanno portato addirittura a diverse congetture sulle possibili cause del decesso di Gor’kij che vedrebbero Stalin come principale responsabile dell’omicidio. Anche se non ci sono prove certe a conferma di tale tesi, è probabile che il letterato russo sia diventato, alla lunga, un personaggio scomodo al regime, soprattutto per l’influenza che esercitava sui politici.

Allo stesso modo, Gor’kij cominciava a stare stretto nella nuova politica culturale staliniana troppo ostile alla vecchia guardia bolscevica e, non potendo opporsi pubblicamente, cercava una terza via per uscirne (si pensi all’aiuto all’espatrio offerto ai connazionali invisi al partito).

Di certo la sua biografia resterà macchiata da quell’aiuto offerto al regime per attuare il processo di collettivizzazione forzata ma la sua scelta va incanalata in quell’entusiasmo, comune a molti altri intellettuali del tempo, per le politiche del dittatore bolscevico e per l’illusione, che pareva avverarsi, di quella trasformazione del socialismo in religione della collettività.

Per spiegare quest’allineamento al regime, Paola Cioni riporta le parole di Emilio Gentile che sono il riflesso di un atteggiamento proprio degli intellettuali degli anni Trenta e Quaranta:

Il militante della religione secolare, senza il minimo turbamento della sua buona coscienza, si avvale di tutti i mezzi, per quanto orribili possano essere, perché comunque il fine da conseguire che li santifica e che giustifica l’intolleranza e la violenza. In tutto questo, dunque,

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consiste il fondo comune delle religioni secolari e l’origine del loro spietato machiavellismo.39

Non bisogna inoltre dimenticare che Gor’kij non è mai stato un rivoluzionario ma un letterato impegnato politicamente e socialmente, che si è piegato all’interesse del partito per realizzare il sogno del collettivismo, pur ritrovandosi poi a rimpiangere tale scelta.

Descrive Vittorio Strada:

Se nel 1909 Gor’kij reputò che il vero spirito del bolscevismo fosse nelle idee dei suoi compagni capresi, una ventina d’anni più tardi egli si convinse che tale spirito autentico si trovava nell’opera di Stalin. Nell’un caso e nell’altro egli era mosso da uno stesso impulso: quel collettivismo pseudoreligioso, espresso nella “costruzione di Dio”, che nel 1909 egli sviluppava letterariamente nel romanzo

Ispoved’ (Confessione), e che nella Russia sovietica tra la fine degli

anni Venti e l’inizio degli anni Trenta credeva di vedere in via di attuazione.40

A giudizio di Strada, Gor’kij commette nell’uno e nell’altro caso un doppio errore di valutazione: il primo è quello di essersi opposto al leninismo, giudicando distruttiva la sua forza rivoluzionaria; il secondo è quello di aver appoggiato la politica di Stalin nella speranza di vedere attuarsi i fini della collettivizzazione, pure se con i mezzi della repressione.

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Gentile, E. (2002) Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma – Bari, p. 91.

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L’errore è quello di considerare Maksim Gor’kij come una semplice pedina nelle mani dei due esperimenti politici russi: il letterato bolscevico ha giocato, piuttosto, un ruolo fondamentale nel passaggio dall’ortodossia all’eterodossia, ponendosi come baluardo dell’intelligencija russa contro gli abusi di potere.

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