Prefazione
Con questa tesi giunge al termine il lungo periodo di studi universitari intrapreso con entusiasmo e vitalità anni fa. Numerose sono state le difficoltà incontrate sia in ambito accademico, sia personale durante il cammino, ma mai in grado di mutare in me l’intenzione iniziale. Sono occorsi ostinazione, coerenza, sacrificio e dedizione ed è stato necessario, ahimè, compiere talvolta scelte aspre, lasciandosi alle spalle anche pezzi di vita. Ciò non è stato, tuttavia, del tutto negativo, anzi. È tra le asperità della vita, infatti, che l’uomo aguzza l’ingegno e trova le soluzioni ai problemi della sua esistenza. Non vi è crescita, né morale, né intellettiva, che non derivi dalla soluzione concreta di un qualche problema. Così, nella necessità, l’uomo scava dentro di se trovando nuove e sconosciute energie, affrontando le sfide che gli si pongono.
L’ingegneria è, in fin dei conti, la scienza che l’uomo ha creato per fornire una risposta ai suoi bisogni di abitare, di mobilità, di comunicazione e di ogni altra natura. Ne conviene che tale disciplina non può evolvere indipendentemente dai bisogni umani ma che, anzi, sono questi a decretarne per primi la direzione e l’evoluzione.
Lo stato attuale della disciplina è il frutto della collaborazione e degli apporti di
generazioni d’ingegneri, matematici, fisici, chimici che hanno aggiunto, passo dopo
passo, un pezzo al complicato mosaico in perpetua espansione. Si tratta, quindi, di un
risultato e di un esercizio corale dato che, la realizzazione del più piccolo progetto
richiede oggi una somma di conoscenze elevate che non possono essere racchiuse dal
singolo individuo, ma piuttosto, da una comunità collaborativa e comunicativa. Ne
conviene che tale scienza, come del resto qualsiasi altra conquista dell’ingegno, non può
appartenere a nessun altro sennonché all’umanità intera. In fin dei conti il sapere, in
ogni sua forma e manifestazione, può essere considerato l’unica vera conquista
tangibile dell’uomo perché tutto il resto ne è immediata conseguenza. “Fatti non foste
ad viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” è forse la citazione che
amo di più della Divina Commedia e che più di altre esprime questa necessità di
sollevarsi dalla mediocrità per ricercare ad ogni costo, come Ulisse che attraversa le
colonne d’Ercole per gettarsi nell’ignoto, il sapere. Occorrerebbe poi comprendere che il
sapere, giacché corale e condiviso, non dovrebbe essere impiegato a fini individualistici
ma per il progresso e il bene comune. Una diffusione asimmetrica delle conoscenze sarà
quindi sempre deleteria e ogni forma di sfruttamento personale ed egoistico delle
capacità acquisite porterà sempre a conseguenze nefaste. Ciò nonostante la libera
condivisione e diffusione delle idee non può avvenire con leggerezza, ma deve essere
compiuta parallelamente al peso e alla comprensione delle difficoltà che ne hanno
anticipata la genesi. Solo così si proteggono le idee dalla cattiva divulgazione senza
incorrere nell’errore “dell’ingenuo” di Gaber. Solo rendendo le conoscenze realmente
universali se ne possono ostacolare i cattivi impieghi giacché nessun uomo può
prevalere sull’altro.
Gli anni a venire porranno poi sfide sempre più grandi e complesse all’uomo e al suo ingegno, infatti, occorre osservare che le risorse del pianeta non sono illimitate, ma piuttosto stabilite a priori e in rapido esaurimento. Nessuna disciplina come l’ingegneria civile, in particolar modo, ha la capacità di divorare le risorse intrinseche del pianeta per plasmarne poi l’aspetto. Vi è quindi una grande responsabilità da parte degli ingegneri di cui è indispensabile rendersi conto. L’uomo sarà costretto a muoversi in un mondo sempre più povero di materie prime e d’energia. L’idea della crescita materiale infinita dovrà essere abbandonata perché in netto contrasto con la realtà fisica del nostro mondo e l’ingegneria dovrà necessariamente progredire scorrendo parallelamente all’utilizzo razionale e rinnovabile delle risorse del pianeta. Ben presto quello che si definisce uno spartiacque entropico
1renderà obbligatorio un gigantesco salto in avanti della tecnologia. Si tratterà di sfide ambiziose che dovranno essere vissute e vinte, come già in passato, con ottimismo senza arroccarsi nella paura, perché è nella paura che l’uomo cerca di prevalere sul suo simile distruggendosi a vicenda.
Quello che voglio dire è che l’opera dell’ingegnere influenza direttamente non solo la propria esistenza ma, e in maniera certamente più grande, quella dei propri simili.
Esiste quindi una responsabilità non solo civile, stabilità dalla legge, ma soprattutto morale, che è nettamente prevalente sulla prima, e dalla quale non è possibile esimersi.
Anni di studio non conducono alla semplice acquisizione delle tecniche e regole di calcolo ma anche alla formazione di una propria coscienza e morale. Di questo devo esser grato ad alcuni dei miei professori d’università.
Lo so forse è una visione utopica e onirica delle cose la mia, ma non era utopia pensare che l’uomo avrebbe un giorno solcato i cieli? Non era utopia pensare che avremmo un giorno conquistato la Luna e varcato i confini terrestri? Avrebbero mai immaginato i nostri avi che avremmo potuto comunicare all’istante da un capo all’altro del mondo? E allora perché non sognare, perché non sognare di poter spiccare il volo e credere veramente che l’uomo possa un giorno risolvere i problemi che attanagliano la sua esistenza, impiegando finalmente le sue energie per inseguire virtute e canoscenza e non più nell’autodistruzione? È solo un sogno, ma non costa nulla, e allora perché non sognare?
Questa tesi la dedico a chi mi ha sostenuto in tutti questi anni, a mio padre e ai suoi calli sulle mani, a mia madre e alle sue rinunce, agli amici che hanno condiviso questo viaggio e al mio relatore P. Croce che mi ha sopportato per tutto il tempo…
Andrea Lunardini
1 Si veda il testo: