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Nel volto umano risiede quindi la più completa realtà nell’ambito del visibile?

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Il volto, zona comunicativa. L’unica parte del corpo che resta sempre nuda, è per questo anche il simbolo della democrazia per eccellenza (basti pensare a coloro che privano le donne della possibilità di esprimersi imponendo, appunto, la copertura del volto). L’universo del volto riguarda l’estetica antropologica, l’organicità dell’opera d’arte, l’ascesa verso livelli concettuali profondi della coscienza. Costruzione e comprensione della forma, del pensiero sensoriale; è la tensione verso l’interno dell’unità.

Nel volto umano risiede quindi la più completa realtà nell’ambito del visibile?

Sicuramente sì.

Quel visibile impenetrabile la macchina da presa lo registra e lo restituisce. Il regista, insieme alla sua troupe, deve possedere la capacità di estrapolare il sentimento e farlo esprimere con il gesto, l’espressione e il comportamento degli attori, prima ancora che con le loro parole. Gesti piccolissimi al cinema diventano enormi. Sullo schermo si realizza la descrizione dell’immagine delle immagini e

«tutto questo è creato dalla più amata macchina vivente» afferma Epstein.

La grandezza oltreché l’efficacia del linguaggio cinematografico viene sintetizzata

dalle parole di Ricciotto Canudo:

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scoprire inopinatamente, come per la prima volta, tutte le cose nel loro aspetto divino, con il loro profilo di simbolo e il loro più smisurato senso d’analogia, con un atteggiamento di vita personale, questa è la grande gioia del cinema.

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Con la sua ubiquità l’occhio cinematografico si rivela un incomparabile osservatore; attento e paziente. Nota tutto con meravigliosa esattezza. È un brillante narratore che riporta il racconto esattamente come lo percepisce. Il rettangolo di tela bianca è specchio di misteriose realtà e finestra dalla quale si possono sorvegliare i campi di battaglia. L’arte cinematografica ha creato un proprio lessico osservando la vita quotidiana e rivelandone i lati più oscuri e inconsci; scompone i frammenti dell’universo e li fa (ri)vivere. Restituisce immagini di bellezza fugaci ed eterne al contempo.

«Il cinema farà conoscere tante cose del mondo a noi tutti e di noi stessi a noi stessi»

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Sulla scorta di quanto appreso dalla lezione simmeliana e dall’attenzione che il cinema – e l’arte in generale – pone sul volto, si può affermare che il volto è un paesaggio e, come questo, è una totalità che appartiene a una totalità più grande. È una forma e in quanto tale possiede una sua identità. Come si legge nelle pagine simmeliane, il paesaggio è una forma spirituale, non si può toccarlo o camminarci attraverso, vive solo in grazia della forza unificatrice dell’anima.

Come la natura, il volto è unità e contrasto; come il paesaggio il volto è compreso in dei limiti, è come l’opera dell’uomo: autonoma e intrecciata con tutta l’anima del suo autore.

1 «cinema&cinema», p. 91

2 Delluc, La bellezza del cinema, in «cinema&cinema», p. 110

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Come la vita reale, l’universo del film è un’immensa matrioska: le espressioni sono contenute all’interno di altre espressioni, i paesaggi sono collocati all’interno di altri paesaggi, emozioni dentro altre emozioni; il paesaggio del volto umano è contenuto dentro un paesaggio urbano, che a sua volta sta all’interno di un paesaggio naturale. Tutto questo è contenuto nell’inquadratura, che possiede anch’essa una sua fisionomia e un suo carattere. Il “sunto” di tutto questo sono tratti incerti e ondeggianti che, sullo schermo, divengono proiezione interiore.

Il cinematografo ci rivela aspetti di noi stessi di cui non sapevamo nulla. L’immagine sullo schermo non è quella che ci dà lo specchio o una foto. L’immagine cinematografica di un uomo non solo è diversa anche da tutte le sue immagini non cinematografiche, ma diventa continuamente diversa anche da se stessa. Se si passano in rassegna varie foto di uno stesso soggetto, opere di un professionista o istantanee di un dilettante, e poi qualche spezzone di film, tra tutti quei ritratti si notano delle differenze tali che si è tentati di attribuirle a personalità distinte. Così, guardando immagine per immagine il volto filmato di un amico, diciamo: “Qui è proprio lui; qui non è affatto lui”. Ma se a guardare sono più persone, i pareri divergono: in una data immagine, l’uomo che è se stesso per alcuni non lo è per altri. Allora, quando è qualcuno e chi? […] si può dunque sostenere chi si è, quando si ignora chi si è? […] il cinematografo mette singolarmente in evidenza un dubbio di grande importanza: il dubbio sull’unità e sulla permanenza dell’Io, sull’identità della persona, sull’essere.

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Anche quando la scena è avvolta nell’immobilità, il film riesce a proiettare sullo schermo immagini ricche di movimento; è così che lo spettatore è invitato a cogliere il movimento interiore della scena. In un momento di immobilità i primi piani possono svelare ciò che pulsa dietro quell’apparenza. Anche se tutti tacciono

3 J. EPSTEIN, L’essenza del cinema, cit. p. 176-177

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la microfisionomia parla chiaramente e le inquadrature, grazie anche al montaggio, realizzano nell’immagine quella sintesi di oggetto e soggetto che è la premessa fondamentale di tutte le arti. Così facendo viene rivelato lo sguardo dell’autore nei confronti del soggetto ripreso. Esattamente come nella pittura, un quadro – ovvero una porzione di spazio – esprime non solo un frammento di realtà ma anche la posizione interiore dell’artista. «Ogni prospettiva visiva equivale a una prospettiva spirituale».

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Il cinema, dunque, utilizza motivi psicologici per trasformarli in effetti artistici.

Il film riscopre qualcosa di primordiale e antico, scrive versi in immagini esattamente come accadeva in tempi primitivi. Non necessariamente esso deve proiettare sullo schermo il simbolo concettuale finito; questo è ciò che lo caratterizza e lo rende straordinario. Ritmo interno e ritmo esterno viaggiano insieme e si alimentano vicendevolmente. Il ritmo delle immagini segue la tempesta che si scatena dentro al personaggio.

Il volto, lo sguardo, il gesto sono insomma strumenti espressivi inconsci ma espliciti: una sincera confessione.

Ogni azione è una dichiarazione e nel film, questa, viene messa in moto da associazioni che il cinema riesce a rendere evidenti più di ogni altra categoria artistica. Se alla parola sono legati troppi elementi concettuali, l’immagine è una figura puramente irrazionale e libera. Le immagini cinematografiche possono esprimersi senza la necessità di creare connessioni logiche come avviene nel testo letterario. Con gli anni il cinema ha acquisito una sua fisionomia, come l’alfabeto

4 B. BALÀSZ, Il film…, cit. p. 86

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ne possiede una propria. In tal modo mantiene una sua coerenza, nonostante sia

costantemente aperto a nuove sperimentazioni. L’ulteriore bellezza e ricchezza del

cinema è che lo spettacolo cinematografico si rivolge a un pubblico vastissimo,

forse il più vasto e vario. Comprende i semi-analfabeti e gli analfabeti, non è

limitato a coloro che parlano una determinata lingua; comprende i muti e i sordi,

non ha bisogno di traduttori. Il pubblico si sente, così, rispettato nella debolezza

fisica e intellettuale. Quella del cinematografo è un’esperienza passionale, un

sentire profondo.

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