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CAPITOLO 3

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

Il processo di caseificazione

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In queste pagine si descrivono nelle linee generali le fasi del processo di caseificazione (Salvadori del Prato, 2001; Mucchetti e Neviani, 2006), considerando che ogni caseificio introdurrà nel singolo processo produttivo le proprie modalità tecnologiche sulla base della propria esperienza e del tipo di prodotto desiderato.

Preparazione del latte

Il latte può essere utilizzato crudo, termizzato o pastorizzato. La pastorizzazione è un vero e proprio trattamento termico, che può essere svolto in discontinuo (con caldaie a doppio fondo) oppure in continuo (con scambiatori di calore a piastre), serve per eliminare la microflora vegetativa mesofila patogena. Gli psicrofili sono in genere molto sensibili, ma comunque tale trattamento non può distruggere le proteasi e lipasi eventualmente già prodotte da questi germi.

La pastorizzazione in caseificio è svolta di solito intorno a 72-75°C per 15-20 secondi, a temperature inferiori si protrae il tempo di trattamento (ad esempio 70°C per 40 secondi), come effetto si ha la parziale denaturazione delle sieroproteine che si aggregano tra di loro e con le caseine, si ha inoltre una parziale modificazione dell’equilibrio minerale (calcio-fosforo) nel latte, la formazione di nuovi aromi e la scomparsa di vecchi, oltre che l'inattivazione di alcuni enzimi. Tra le sieroproteine la ß-lattoglobulina risulta la più sensibile al calore, infatti oltre i 70°C si denatura e forma aggregati con la k e l’as2 caseina, nel compresso si ha una diminuzione dell'attitudine alla coagulazione perché è più difficile l’azione del caglio a causa dei legami tra siero proteine e caseine, e una difficoltà nella sineresi del siero perché le sieroproteine denaturate trattengono più acqua, inoltre si ha un aumento del tempo necessario per formare un coagulo di una data consistenza.

La pastorizzazione si dice bassa (LTLT) qualora si mantenga l'alimento a 63°C per 30 minuti o combinazioni equivalenti. La pastorizzazione alta HTST richiede come mimino 72°C per 15 secondi ed è effettuata prevalentemente per i prodotti a bassa acidità come il latte e derivati con scambiatori a piastre. Per il latte alimentare, oltre al trattamento HTST, si può ricorrere anche al trattamento UHT (Ultra High Temperature). Sono entrambi in grado di effettuare il risanamento (eliminazione dei batteri potenzialmente patogeni, comprese le spore nel caso dell’UHT); il trattamento UHT non rappresenta però una pastorizzazione ma una vera e propria sterilizzazione (minimo 135°C per pochi secondi).

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Inoculo dello starter

Gli starter sono sostanzialmente delle colture di batteri lattici che hanno il ruolo principale di produrre acido lattico attraverso la fermentazione del lattosio. Il processo fermentativo che deriva dallo sviluppo della flora lattica comporta la totale o parziale utilizzazione degli zuccheri fermentescibili presenti, che vengono sottratti al potenziale impiego da parte dei germi alterativi.

L'acidificazione del latte dovuta alla fermentazione lattica, oltre a rendere il substrato meno ospitale e appetibile per gran parte delle altre specie microbiche, modifica il livello di mineralizzazione ed idratazione della caseina e quindi la sua capacità di rimanere in sospensione colloidale. Questo effetto favorisce la coagulazione presamica.

I batteri lattici possono essere aggiunti al latte in caldaia sotto forma di:

1) Colture lattiche naturali, come:

lattoinnesto: ottenuto da latte di buona qualità microbiologica trattato a 63°- 65°C di solito per 10-20 minuti e poi raffreddato a 45°C e mantenuto a questa temperatura per 8-10 ore fino ad una acidità di 16-20°SH/50 grazie allo sviluppo di batteri lattici naturalmente presenti e termodurici (principalmente Streptococcus thermophilus);

sieroinnesto: ottenuto da siero di fine lavorazione di un formaggio precedente, mantenuto a temperature idonee allo sviluppo dell’acidità desiderata (massimo 28- 32°SH/50). Si sviluppano in questo modo colture di lattobacilli acidificanti e acido resistenti (prevalentemente Lactobacillus helveticus e Lactobacillus delbrueckii subsp.

bulgaricus) con proporzioni variabili di Streptococcus thermophilus.

2) Colture lattiche selezionate: selezionate e preparate in laboratori specializzati e commercializzate come colture liofilizzate, colture congelate e, più raramente, liquide (Galli Volonterio, 2005).

Le colture starter del commercio si differenziano inoltre in colture mesofile e termofile.

Gli starter mesofili svolgono ottimamente la loro attività con temperature intorno ai 30°C e comunque inferiori ai 38°C. Possiamo ulteriormente distinguerli in:

a) cocchi omofermentanti (Lactococcus lactis subsp. lactis e Lactococcus lactis subsp.

cremoris) aventi le seguenti caratteristiche:

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b) cocchi eterofermentanti e aromatici (Lactococcus lactis subsp. diacetylactis e Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris) aventi le seguenti caratteristiche:

scarsa acidificazione

fortemente aromatici

forte produzione di gas

media resistenza al sale

poco proteolitici

scarsa resistenza alla cottura.

Generalmente gli starter non sono mai delle colture pure, ma miscele di ceppi generalmente con prevalenza delle specie microbiche acidificanti sulle aromatizzanti. I batteri mesofili sono caratterizzati dal condurre acidificazioni lente con forte demineralizzazione della cagliata, potendo raggiungere valori di pH di 4,7-4,8. Il prodotto acquista quasi sempre un sapore aromatico, dovuto in massima parte allo sviluppo di diacetile e acetoino, e una leggera occhiatura dovuta alla produzione di piccole quantità di anidride carbonica (Salvadori del Prato, 2001).

Gli starter termofili, invece, hanno una temperatura ottimale di crescita tra i 40 e i 45°C e tra essi distinguiamo:

a) Streptococchi omofermentanti termofili: (Streptococcus thermophilus) ha un optimum di crescita tra 42 e 45°C, è molto sensibile al sale, si sceglie di utilizzare questo microrganismo starter quando abbiamo bisogno di uno starter che produca acido lattico in buona quantità (1,5%) perché è un buon produttore di acido lattico, in maniera veloce, però con la possibilità di frenare rapidamente nel tempo questo sviluppo di acidità. In questo modo si può sfruttare l'acidità soprattutto nelle fasi di coagulazione in sinergia con la coagulazione presamica e con lo spurgo iniziale, ma poi bloccarla, per esaurimento dell'azione dello Streptococcus thermophilus, in modo da non avere un'azione prolungata e eccessiva di questa acidità nel tempo. Laddove questo blocco non c'è abbiamo la produzione di formaggi a pasta dura e semidura (associazione lattobacilli termofili e streptococchi termofili), agendo solo con lo Streptococcus thermophilus questa acidità è limitata nel tempo benché rapida, in modo che i formaggi che ne derivano sono dolci, per lo più con pasta da molto morbida a morbida e un breve periodo di maturazione (stracchino, caciotte fresche a pasta molle, Italico).

b) Lattobacilli omofermentanti termofili: (Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Lactobacillus helveticus): con optimum di crescita tra 44 e 46°C sono i più acidificanti, producono acido lattico più dei precedenti (2% il Lb. bulgaricus e più del 2,8% Lb. helveticus), ma per sviluppare bene hanno bisogno di molti amminoacidi liberi, presenza di azoto degradato, perciò di solito vengono associati con lo Streptococcus thermophilus. Sono utilizzati in alcuni processi produttivi a pasta filata (ad esempio provolone) e in processi con spurgo importante e

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Aggiunta del caglio

Per coagulazione si intende l’aggregazione della caseina e la formazione del coagulo. La coagulazione può essere presamica, per azione di enzimi coagulanti, oppure acida, per destabilizzazione della caseina in seguito ad acidificazione, quasi sempre si ha una combinazione delle due.

Possiamo distinguere vari tipi di coagulanti:

Caglio: complesso enzimatico ricavato dal quarto stomaco di vitelli, agnelli o capretti lattanti, contiene chimosina in misura prevalente e pepsina in percentuali variabili. La prima è molto coagulante mentre la seconda fortemente proteolitica, di solito il rapporto è fortemente a favore della prima;

­ Liquido: da pellette, cioè abomasi essiccati o, più spesso, freschi congelati, che subiscono fasi tecnologiche diverse per estrarre le componenti enzimatiche;

­ In polvere: deriva dall'estratto liquido non diluito, per precipitazione enzimatica con sali, essiccamento e addizione di sale (per la conservabilità);

­ In pasta: è utilizzato in alcuni formaggi DOP (come il Pecorino Romano o il Provolone) ed in generale in formaggi saporiti. Nel caglio in pasta possiamo trovare anche una certa quota di enzima lipasico (fino ad un 30%), in grado di agire sulla componente grassa;

deriva dalle ghiandole retrolinguali e finisce nell'abomaso per deglutizione. Questo enzima quando c'è non ha nessuna azione coagulante ma ha un'azione aggiuntiva, perché rimarrà comunque nella cagliata e agirà idrolizzando la componente grassa, fino al periodo di maturazione, perciò sarà correlato con una maggior degradazione e una maggior liberazione di acidi grassi volatili, questo determinerà un quadro maturativo maggiormente improntato sui grassi, conferendo aromi e sapori soprattutto per formaggi a media stagionatura a gusto piccante. A questa azione della lipasi, con le stesse finalità, si affianca anche l'azione del contenuto in pepsina, generalmente abbastanza elevato in questo tipo di caglio, che avrà funzione litica analoga alla lipasi a carico però delle

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tipiche; i maggiori problemi consistono in basse rese, difficoltà di standardizzazione del processo, eccesso di proteolisi aspecifica, con sapori anomali o amari.

Coagulanti microbici o fungini: derivano da muffe isolate dal terreno o da alcune piante come il castagno, che hanno componenti con un’abbondante azione proteolitica che possono essere utilizzate per coagulare il latte. Vengono selezionate in laboratorio, fatte crescere su adatti substrati e poi viene separata la componente enzimatica, che può essere commercializzata liquida o in polvere, analogamente al caglio. Anche qui si hanno le stesse problematiche del caglio vegetale: non avendo chimosina, ma enzimi proteolitici maggiormente aspecifici, la proteolisi aspecifica può portare a rese più basse e sapori anomali. Alcuni formaggi freschi, come le mozzarelle ad acidificazione chimica, si adattano bene a questo tipo di coagulanti, perché la tecnologia di produzione minimizza i difetti ed utilizza al meglio i pregi (ad esempio economici). Infatti la proteolisi aspecifica si svilupperebbe soprattutto in corso di maturazione, quindi in un formaggio fresco viene minimizzato questo effetto negativo, anche perché per ottenere la mozzarella si raggiungono alte temperature che vanno ad inattivare questi enzimi, dotati di una buona termoresistenza, durante la filatura, quindi dopo la fase di coagulazione.

Coagulanti genetici da DNA ricombinato o “chimosina da fermentazione”: chiamati anche chimosina genetica, in queste preparazioni si ha esclusivamente chimosina che però non è di derivazione animale diretta, ma è prodotta in laboratorio da batteri e lieviti in cui viene iniettato il tratto di DNA che codifica per la produzione di chimosina, l’utilizzo di questa chimosina non è consentito per i formaggi a tutela, ma fin dal 1992 in Italia è permesso in tutti gli altri formaggi. Pur essendo prodotta con tecniche di ingegneria genetica, la produzione è considerata OGM-free perché il prodotto non contiene microrganismi OGM.

Formazione della cagliata

Il primo segno di coagulazione o presa può essere notato in generale già dopo 8-12 minuti inserendo nel latte una lama o una spatola sulla quale si fermeranno i primi flocculi. In un periodo di tempo circa il doppio o triplo del tempo di presa, si ha normalmente la fermezza necessaria per il taglio (che varia a seconda del tipo di formaggio), di solito è circa 20-30 minuti.

Alle temperature più alte di coagulazione corrispondono i formaggi a spiccata coagulazione presamica.

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Rottura della cagliata

Quando la cagliata ha raggiunto la giusta consistenza, si esegue la rottura con strumenti di vario tipo, per separare la parte liquida o siero (più la frammentazione è piccola più siero verrà spurgato), quindi si sceglierà una lavorazione a grani piccoli per formaggi a pasta dura e a lunga maturazione, una a granuli grossi per i formaggi a pasta molle; anche l'agitazione della cagliata tagliata aumenta lo spurgo del siero, l'agitazione può durare da pochi minuti fino ad oltre 30', in genere per i formaggi freschi e molli il coagulo tagliato non si agita. La lavorazione in caldaia è necessaria perché lo spurgo naturale sarebbe troppo lento, una cagliata troppo molle (rotta prima della presa ottimale) non tiene, si sbriciola durante la lavorazione, si hanno perdite di cagliata e soprattutto grasso nel siero diminuendo la resa; viceversa una cagliata troppo dura (rotta troppo tardi rispetto al tempo di presa) è difficile da lavorare, alla superficie dei pezzi si forma uno strato secco, così i cubetti tendono a rompersi, determinando anche qui rese minori, in entrambi i casi lo spurgo è imperfetto.

La scelta corretta del tempo di lavorazione e degli attrezzi da usare per rompere la cagliata è quindi fondamentale. Tali attrezzi sono specifici per il tipo di granulo desiderato: “spada” e

“lira” per ottenere granuli di dimensioni medio-grandi, lo “spino” è invece l'utensile classico per ottenere granuli più fini.

Cottura o semi-cottura della cagliata

Fase che si attua dentro alla caldaia con intercapedine di acqua calda o vapore, serve ad incrementare lo spurgo. Si esegue nei formaggi a pasta semidura e dura, a lenta stagionatura, si va da 46-48°C (semicottura per formaggi a pasta semicotta come l'Asiago) fino a 55-57°C, per consentire l'eliminazione quasi totale del siero. La cottura può durare da 4-7 minuti come nel caso del Parmigiano Reggiano (con una sosta di circa 40 minuti sotto siero in caldaia per favorire lo spurgo), o anche per tempi più prolungati.

In base alla presenza o meno di una fase di cottura si hanno formaggi a pasta cruda (a pasta molle), semicotta (ad esempio Pecorino Romano) e cotta (ad esempio Parmigiano Reggiano); la cottura accelera e accentua lo spurgo, consolidando la cagliata, si pratica mantenendo in agitazione la cagliata ed il suo effetto è in relazione a tempo e temperatura, in genere tra mezzo grado e due gradi di incremento al minuto. Riscaldamenti bruschi o sbalzi termici creano sui

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Messa in forma

La cagliata viene tolta dal siero con varie modalità (manuale, per gravità o con pompe), in alcuni casi, come nei formaggi duri, si può procedere ad una prima pressatura in caldaia dopo aver estratto il siero. Generalmente la cagliata è messa negli stampi di legno, metallo o, più spesso, plastica, qui il formaggio può subire rivoltamenti, pressatura e un’eventuale stufatura o sosta in camera calda (formaggi a pasta molle),. Un travaso negli stampi troppo violento o troppo lento o con sbalzi di temperatura dà problemi per alterato spurgo e fusione della pasta.

Pressatura

Può essere nulla o moderata per i formaggi molli (a volte fatta per semplice sgocciolamento), mentre è maggiore per le paste semidure e dure, si opera con coperchi, pesi, torchi che sviluppano una pressione da mezzo Kg per ogni Kg di formaggio a oltre dieci Kg per ogni kg; è molto importante la temperatura perché il raffreddamento riduce l'espulsione del siero, così come i rivoltamenti che servono per eliminare l'aria all'interno della pasta in modo che si fonda ed aderisca al meglio ma anche per uniformare lo spurgo e la pressione della forma.

Salatura

Svolge funzioni organolettiche (conferisce sapidità al prodotto) e tecnologiche (garantisce la conservabilità diminuendo e selezionando lo sviluppo dei microrganismi, in più favorisce la formazione della crosta), oltre che igieniche. I formaggi perdono peso in salatura in virtù di quello che viene chiamato spurgo terziario, da non confondere con il calo di peso successivo che avviene in maturazione. La salatura si esegue a temperature medie, né troppo alte né troppo basse, fresche, nei formaggi umidi sarà scarsa, mentre nei formaggi asciutti e a pasta dura sarà maggiore e più prolungata nel tempo. Da tenere presente che troppo sale può rallentare la maturazione, ma poco può portare a difetti per sviluppo di microrganismi. Il contenuto di sale varia da prodotto a prodotto, da meno dell'1% a oltre il 4%.

La salatura può essere fatta in pasta, metodo poco comune, in cui il sale viene aggiunto ai grumi di cagliata in caldaia, quindi prima della messa in forma, o impastando sale e cagliata (caprini e formaggi acidi); oppure, più comunemente, si può salare il prodotto già messo in forma, a secco, cospargendo di sale a granulometria media (il fino sala troppo) sia le facce che lo scalzo della forma, a intervalli regolari (1-2 giorni se le forme sono piccole, più giorni se sono grandi);

oppure mediante immersione in salamoia, dove le forme vengono lasciate in una soluzione di acqua e sale al 15-22% da 2-3 ore a qualche settimana, in relazione alle dimensioni della forma,

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(spurgo terziario), la penetrazione deve essere lenta e progressiva e dipende dall'umidità della pasta e dalla grandezza della forma. Nei formaggi tipo Grana il sale impiega 10 mesi per raggiungere il cuore della forma. Le salamoia troppo calde fanno perdere grasso alla pasta, mentre quelle fredde induriscono la crosta, il volume della salamoia deve essere almeno di 5 volte superiore a quello dei formaggi da salare, il livello va mantenuto costante, quindi man mano che si consuma, il sale deve essere reintegrato, mentre se la salamoia è nuova, tradizionalmente si considera utile integrarla con un po' di salamoia vecchia (10%) che deve essere depurata e bollita per evitare contaminazioni microbiche e disacidificata, a causa dell'accumulo di acido per gli scambi osmotici tra il liquido e i formaggi.

Stagionatura

In questa fase c'è l'evoluzione finale dell’azione delle componenti enzimatiche di tutti i microrganismi endogeni e volontariamente aggiunti al latte (starter, batteri lattici non starter o NSLAB, altre microflore), oltre che di quelle provenienti dal latte e dal coagulante. Grazie a tale evoluzione enzimatica, il prodotto assume tessitura, sapori ed odori caratteristici, anche grazie all'azione combinata della temperatura, dall'umidità e della ventilazione presente nella cella di maturazione. I fenomeni fondamentali sono di natura proteolitica e lipolitica.

In maturazione la temperatura e l'umidità hanno un effetto sulla velocità enzimatica e sullo sviluppo dei microrganismi: se sono elevate la maturazione è rapida, ma avremo più problemi di conservazione e possibili alterazioni della crosta, se sono basse il formaggio fa più crosta e perde più peso, però si conserva di più e sviluppa meno muffe; il calo di peso è dato dalla somma delle perdite per evaporazione dalla crosta e per la sua pulizia periodica, il calo è contenuto (2-3%) nei formaggi tipo crescenza, medio nei formaggi a pasta molle e media stagionatura come il taleggio (6-8%) e alto nei formaggi a lunga stagionatura e a pasta dura come i Grana (12-16%).

Le forme di formaggio in fase di stagionatura vengono sottoposte a cure specifiche, ad esempio ad un lavaggio meccanico periodico, in cui la crosta viene lavata con spazzole rotanti. Questa operazione è detta toelettatura, e viene effettuata periodicamente, per evitare l’eccessivo sviluppo di muffe sulla superficie della crosta, preservando la qualità organolettica del formaggio. I formaggi con crosta non edibile possono essere addizionati con additivi chimici ammessi, come natamicina e sorbati (antimuffa): questi additivi possono essere aggiunti al

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Specificità della tecnologia di produzione dei formaggi semicotti a pasta semidura Con più specifico riferimento alle tipologie casearie tra le quali rientra il formaggio preso in esame nella tesi, devono essere sottolineate alcune peculiarità.

I formaggi semiduri, prodotti ricorrendo ad accorgimenti tecnologici atti ad assicurare loro una buona conservabilità, si sono affermati in particolare nelle zone di montagna dove le condizioni ambientali e di vita richiedevano prodotti che non dovessero essere necessariamente commercializzati in un breve arco di tempo dalla produzione. Per questo generalmente dopo la rottura della cagliata si ricorreva ad un riscaldamento prolungato della cagliata anche se a temperature inferiori rispetto a quelle usate per i formaggi a pasta dura. Spesso inoltre il latte veniva parzialmente scremato per fare il burro, per cui questi formaggi ancora oggi sono spesso semigrassi. Condizioni particolari di influenza dovuta all’ambiente di stagionatura si sono poi verificate laddove era possibile condurre questa fase in grotte o, comunque, ambienti con alto tasso di umidità e temperatura fondamentalmente costante nel corso dell’anno. Molti di questi formaggi hanno dunque una lunga ed importante tradizione, tanto che in diversi casi possono fregiarsi della DOP.

Per quanto riguarda i parametri tecnologici di riferimento, possiamo indicare:

uso di latte intero o parzialmente scremato, spesso pastorizzato o termizzato, caratterizzato da una buona attitudine alla coagulazione enzimatica;

innesto di fermenti lattici naturali o selezionati, a volte mesofili (lattococchi, anche con aggiunta di eterofermentanti), a volte termofili (lattobacilli termofili e streptococchi termofili);

coagulazione mista acido-presamica a carattere prevalentemente enzimatico;

-sineresi rapida per azioni fisiche (cottura o lavaggio della cagliata), meccaniche (rottura della cagliata, pressatura), e/o chimiche (a volte salatura della cagliata in caldaia), applicate singolarmente o diversamente combinate;

salatura prevalente in salamoia con eventuale completamento a secco;

stagionatura media di alcuni mesi (4-6), con possibilità di periodi più prolungati (Corradini e Innocente, 2011).

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