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Nel capitolo 1 si è descritto l'odierno contesto sociale multiculturale,

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il presente lavoro di tesi ha ad oggetto il dialogo interreligioso nei suoi profili giuridici. Viene analizzato il suo significato e i suoi metodi applicativi, gli attori coinvolti nella sua realizzazione nei diversi livelli normativi presi in considerazione (europeo, nazionale e locale) e le “buone pratiche” che sono state sperimentate a livello locale, in particolare cittadino.

La domanda iniziale di tesi si è sviluppata a partire dall'interesse nato per l'esistenza di tavoli e consulte cittadine sui temi dell'immigrazione e della partecipazione. Lo studio dei conflitti identitari inerenti alla sfera religiosa (oggetto della materia del diritto interculturale) si è coniugato con l'analisi della gestione del dialogo tra autorità civili e religiose su diversi livelli normativi.

L'obiettivo posto alla base di questo lavoro di tesi è analizzare il ruolo e la valenza giuridica attribuiti al dialogo interreligioso fra gli attori coinvolti, a partire dal contesto europeo per arrivare a quello locale.

Nel capitolo 1 si è descritto l'odierno contesto sociale multiculturale,

dando conto del contributo fornito dall'immigrazione alla creazione del

pluralismo religioso e dei conflitti identitari che ne sono scaturiti. Si è poi

passati ad analizzare il ruolo del diritto in tale dimensione multiculturale,

quindi nella gestione di situazioni conflittuali derivanti dal pluralismo

culturale, etico e religioso. In particolar modo si è cercato di fornire

applicazione a tale problematica nell'ambito del diritto ecclesiastico, del

diritto interculturale e del diritto comparato delle religioni, come materie

in grado di fornire chiavi di lettura idonee per comprendere concetti quali

multicultura, multiculturalismo e intercultura. Attraverso questo lavoro di

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approfondimento della dimensione interculturale, anche tramite strumenti interdisciplinari forniti dalle scienze sociali, si è giunti al passaggio da un'ottica multiculturalista a quella interculturale, dunque dalla paura alla conoscenza dell'altro, dalla logica della garanzia di sicurezza all'idea del processo di integrazione.

Successivamente è passati a descrivere nello specifico i modelli di gestione di conflitto e della diversità, considerando l'esperienza del dialogo interculturale e interreligioso come strada privilegiata per governare il pluralismo. Si è cercato di identificare un lessico giuridico laico condiviso, nella prospettiva di arginare i fondamentalismi e ai fini della costruzione di un'efficace convivenza interreligiosa.

Il capitolo 2 è dedicato agli attori del dialogo interreligioso. Esso è diviso

in tre parti, corrispondenti ai livelli normativi considerati. Il primo è quello

europeo. Viene descritto nel dettaglio l'articolo 17 del Trattato sul

Funzionamento dell'Unione Europea nelle dimensioni che lo

caratterizzano, cioè i suoi obiettivi, mezzi e risultati. Ne viene fornita una

lettura sistematica, alla luce degli orientamenti elaborati dalla

Commissione Europea per la sua attuazione. Vengono analizzati i criteri di

individuazione degli interlocutori, stabiliti dalla Commissione medesima,

allo scopo di mantenere il dialogo aperto, trasparente e regolare e di

valorizzare le diverse identità e gli specifici contributi. La norma in esame

viene inquadrata in relazione ai principi di attribuzione, del rispetto delle

identità nazionali e della libertà religiosa. A tal proposito si ragiona su

quale collegamento possa essere eventualmente stabilito tra le nuove

competenze dell'UE in quest'ultimo settore e le azioni della medesima in

materia di lotta alla discriminazione religiosa (articoli 10 e 19 TFUE),

anche con riferimento ai diritti di libertà di religione (articoli 6 TUE e 9

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Convenzione di Roma).

Segue la questione se il rapporto tra Stati e confessioni religiose in ambito europeo debba seguire le regole del principio di separazione o piuttosto di quello di cooperazione. Questa tematica viene sviluppata sulla base della considerazione del ruolo della religione nello spazio pubblico europeo. E' ipotizzato un collegamento, in sede di applicazione di trattati, tra l'articolo 17 TFUE e l'articolo 11 TUE sulla democrazia partecipativa.

Infine ci si pone nella prospettiva di “sfondamento” dell'orizzonte tradizionale della materia in oggetto, tra speranze e problemi emergenti, interrogandosi su quali iniziative concrete siano in grado di tradurre il dialogo di cui al III° paragrafo e con quali forme di coinvolgimento delle altre istituzioni dell'Unione dare effettiva realizzazione alle previsioni del trattato.

Il secondo livello normativo considerato è quello nazionale italiano: viene analizzata la dimensione nazionale del dialogo interreligioso istituzionale.

Nel tentativo di ricostruire la dimensione pubblica del fenomeno religioso in Italia, si dà conto del significato attribuito alla collaborazione delle confessioni religiose con lo Stato, alla luce del principio di laicità. Viene condotta una riflessione sul sistema italiano delle Intese in relazione al principio di cooperazione, facendo cenno anche alla “questione” della legge sulla libertà religiosa.

A seguire è oggetto di studio il complesso delle competenze del Governo e del Ministero dell'Interno, e in particolare del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e della Direzione centrale degli affari di culto.

Viene analizzata la Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione,

prodotta dal Ministero dell'Interno, prendendo in considerazione opinioni

differenti circa i suoi meriti e le sue criticità.

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Infine, ci si sofferma sulle presenza islamica in Italia, considerando le sue forme di organizzazione e i rapporti con le istituzioni. Si fa particolare riferimento alla Consulta dell'Islam, al suo significato e al suo valore, come esempio, a livello nazionale, delle “tavole” di rappresentanza di comunità religiose, che saranno oggetto di analisi, sul piano locale, nel capitolo 3 relativo alle “buone pratiche”.

Infine l'ultimo livello normativo di riferimento è costituito dal quadro delle relazioni tra religione e diritto a livello locale. In conseguenza della riforma del Titolo V della Costituzione è stato modificato l'articolo 117, di cui vengono analizzate le implicazioni relative alla materia ecclesiastica e, in particolare, ai rapporti tra gli enti pubblici e le confessioni religiose con riferimento alla legislazione locale. Il principio di sussidiarietà viene proposto come punto di riferimento per il superamento di una concezione meramente verticistica della relazione confessioni – Stato, in virtù dell'esistenza di interessi religiosi locali

1

.

Viene poi preso in considerazione il ruolo dei principi di laicità e di collaborazione in tale contesto, dando conto degli equilibri tra fonti centrali e periferiche nella materia del fenomeno religioso.

Viene studiato un settore specifico di interesse, quello riguardante l'edilizia di culto come caso di attribuzione di competenze amministrative decentrate. Come oggetto specifico di studio, a tal riguardo, viene analizzata la Legge Regionale lombarda n. 2/2015, oggetto di una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 63/2016) che ha sancito l'illegittimità costituzionale di alcune norme della disciplina in questione.

Infine, viene condotta una riflessione sulla differenza tra principio di

collaborazione e di partecipazione, indagando la gestione locale del

1 Cfr. capitolo 2.3, p. 5.

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pluralismo religioso in Spagna e in Italia. La linea comune di tale analisi è data dall'utilizzo del modello del processo partecipativo per la gestione del pluralismo religioso, in alternativa ai tradizionali strumenti della democrazia rappresentativa.

Il sistema partecipativo spagnolo che viene presentato si concentra sul piano amministrativo, attraverso la presenza di numerosi e diversi organi di tipo comunale, che garantiscono ai cittadini il diritto fondamentale di partecipare agli asuntos públicos

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. La partecipazione viene riconosciuta come principio giuridico vincolante per i poteri pubblici e come diritto fondamentale per i cittadini. Ne viene auspicata una maggiore utilizzazione in campo di libertà religiosa, sopratutto in relazione alle minoranze religiose.

Il contesto italiano preso in considerazione permette di mettere in luce la differenza tra collaborazione e partecipazione in termini di metodo di governo

3

. Ciò che caratterizza il metodo partecipativo non è tanto l'esito raggiunto quanto la coincidenza tra fine e metodo utilizzato, che va a colmare la lacuna di democraticità venutasi a creare nel sistema rappresentativo, anche in relazione al fenomeno religioso. A tal proposito viene analizzato il processo partecipativo realizzato sul tema della costruzione di una moschea nella città di Firenze. Il ricorso alle pratiche partecipative viene presentato come possibile “strumento di riconoscimento/integrazione delle confessioni di nuovo insediamento, prive di accordi o intese con lo Stato”

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.

Il capitolo 3 è dedicato allo studio delle esperienze di forum, tavoli e consulte cittadine create intorno al tema del dialogo interreligioso. In esso 2 Cfr. capitolo 2.3, p. 24.

3 Cfr. capitolo 2.3, p. 29.

4 Cfr. capitolo 2.3, p. 30.

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si dà conto del quadro generale che si è venuto a formare nei vari tessuti locali del territorio nazionale (Roma, Torino, Firenze, Genova, Trento, Livorno). Il fondamento di questi istituti viene individuato nel contesto istituzionale formatosi in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, in virtù del quale “regioni, comuni e province concorrono con pari dignità alla formazione dell'ordinamento giuridico”

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. Il pluralismo religioso, caratterizzante le realtà locali, richiede un processo di integrazione, che trova una modalità espressiva in consulte laiche che, con il supporto e sostegno delle amministrazioni locali, praticano (o almeno si pongono l'obiettivo di praticare) il dialogo interreligioso.

Viene dedicata attenzione particolare a due realtà diverse per dimensioni territoriali e sociali: Milano e La Spezia.

A Milano, oltre al Forum delle Religioni, è da rilevare la presenza, dal 2012, su iniziativa della Giunta Comunale, di un Albo delle associazioni e organizzazioni religiose. Creato all'interno del progetto di “promozione del dialogo interreligioso e (..) sostegno del diritto della libertà di culto delle comunità religiose presenti sul territorio cittadino”

6

, esso viene individuato come strumento, messo a disposizione dall'amministrazione comunale alle confessioni religiose presenti sul territorio cittadino, per esercitare il diritto al libero esercizio dei culti. Attraverso l'iscrizione (facoltativa) a tale albo e la ratifica di un protocollo di intesa i soggetti confessionale sono abilitati per proporre “istanza al Comune per mettere a norma gli spazi in uso o per partecipare a procedure pubbliche per la destinazione di nuove aree e/o strutture da destinare al culto”

7

. Nonostante la natura dichiarativa, e non costitutiva, dell'Albo, esso viene presentato

5 Cfr. capitolo 3, p. 2.

6 Cfr. capitolo 3, p. 13.

7 Cfr. capitolo 3, p. 17.

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come “primo tentativo italiano di una politica ecclesiastica comunale”

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.

Rientra tra le “buone pratiche” anche la Consulta delle Religioni della città della Spezia. Di essa viene analizzato il Protocollo di intesa, firmato dall'amministrazione comunale e dalle comunità religiose aderenti, nella sua prima versione del 2006 e in quella aggiornata nel 2015. Attraverso la gentile collaborazione del Dottor Virgilio, referente per l'amministrazione comunale della Consulta delle Religioni e funzionario responsabile dell'ufficio “Decentramento e Partecipazione” del Comune della Spezia, sono stati ricostruiti i passaggi che hanno condotto alla creazione della consulta. Sono stati messi in rilievo i motivi che hanno condotto alla sua costruzione e analizzati i progetti e gli obiettivi alla sua base, le peculiarità rispetto ad altri organismi cittadini presenti a livello nazionale, l'evoluzione interna sviluppatasi nel decennio di lavoro raggiunto. Infine si è cercato di riflettere sulle possibili criticità presenti in questo organismo.

L'articolo 17 TFUE presenta, oltre alla novità della sua formulazione, varie criticità, che sono state messe in luce. Si ipotizza la necessità di un maggiore sforzo a livello istituzionale per una sua più puntuale e rinnovata definizione, allo scopo di potervi attribuire maggiore efficacia. Un dialogo davvero aperto, trasparente e regolare fra istituzioni civili e autorità religiose a livello europeo risulta fondamentale per fondare legittimamente, anche in contesti locali, un metodo di lavoro che consenta di arginare fondamentalismi e relativismi nazionali, che comportano disgregazioni e frammentarietà su tutto il territorio europeo.

Sono state analizzate le criticità presentate dal sistema italiano delle

8 Cfr. capitolo 3, p. 13.

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Intese, in relazione al mancato raggiungimento di accordi per la loro sottoscrizione da parte di confessioni stabilmente presenti sul territorio nazionale. L'analisi dei metodi partecipativi, sia nel contesto spagnolo che in quello italiano, ha messo in luce la possibilità della loro applicazione a integrazione delle confessioni prive di intesa.

Le consulte cittadine oggetto di analisi costituiscono importanti punti di

riferimento nella riflessione sul dialogo interreligioso. Propongono un

metodo di concretizzazione, al livello normativo più vicino ai cittadini,

degli obiettivi formulati dall'art. 17 TFUE. Da rilevare che la creazione di

tali organismi risale ai primi anni duemila e, nella maggior parte di essi,

non vi sono stati ulteriori recenti evoluzioni, ad eccezione dei casi

specifici analizzati. A Milano, oltre al Forum delle Religioni, è stato creato

l'Albo delle associazioni e organizzazioni religiose, con lo scopo specifico

di “censire” le confessioni che intendono richiedere la concessione di

spazi per il culto. A La Spezia, dopo la stipula del Protocollo di Intesa con

cui è stata creata la Consulta delle Religioni, nel 2015 ne è stata rinnovata

la struttura organizzativa. Dunque, a parte questi due casi, negli altri tavoli

cittadini analizzati non si sono riscontrati ulteriori sviluppi. In tal senso si

ipotizza la necessità di un loro potenziamento, con sempre maggiore

coinvolgimento delle istituzioni.

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