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Non Performing Loans : problemi e soluzioni

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE pag 3

CAPITOLO I : NON PERFORMING LOANS pag 6

1.1 Panoramica sul contesto economico-finanziario pag 6

1.2 Definizione dei Non Performing Loans pag 11

1.3 Deterioramento del credito e le principali cause dei crediti deteriorati in Italia pag 18

1.4 Costo del capitale per detenere NPL pag 21

1.5 Concetti di base e regole per la valutazione in bilancio pag 22

1.6 Principali determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato

delle sofferenze pag 24

1.7 Influenza dei tempi di recupero sul prezzo o sullo stock delle sofferenze pag 28

1.8 La qualità del credito e le misure sulle procedure di recupero crediti pag 30

1.9 La gestione dei crediti deteriorati pag 33

1.10 I forborne e la nuova classificazione dei crediti deteriorati pag 35

CAPITOLO II : PROBLEMI PER LE BANCHE pag 41

2.1 Problemi aperti per le banche italiane pag 41

2.2 Il disinvestimento dei NPL pag 43

2.3 Cessione vs Bad bank pag 45

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2.5 La cartolarizzazione dei crediti deteriorati pag 55

2.6 Conseguenze della cartolarizzazione dei NPL sulla gestione bancaria pag 59

CAPITOLO III : MARGINI DI MANOVRA pag 62

3.1 Margini di manovra in breve pag 62

3.2 L’avvio del Fondo Atlante pag 65

3.3 Che cos’è il Fondo Atlante pag 66

3.4 Atlante II, schema per gli NPL pag 70

3.5 Bad bank pag 71

3.6 Dibattito tra ricapitalizzazione e costituzione di una bad bank pag 76

CONCLUSIONI pag 81

ANALISI CRITICA pag 84

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha avuto come obiettivo quello di analizzare come le banche affrontino il problema dei non performing loans presenti in portafoglio e quali strumenti di gestione del portafoglio prestiti abbiano a disposizione per poterli ridurre.

Nel Capitolo I dopo una panoramica sul contesto economico-finanziario si è analizzato l’argomento centrale , ossia i NPL, nel dettaglio a partire dalla loro definizione fino alla loro possibile gestione e le cause determinanti.

I bilanci delle banche sono lo specchio di quello che la più grande crisi finanziaria globale, dopo quella del 1929, ha portato con sé (non a caso si parla di Grande Recessione, rispetto alla Grande Depressione che si è abbattuta nel ’29). Più precisamente è l’andamento, oggi, dei crediti deteriorati a raccontarci quali sono stati i danni subiti dal sistema creditizio a seguito della turbolenza che ha colpito i mercati finanziari internazionali dal momento in cui la crisi è scoppiata. Una crisi, come ormai è ben noto a tutti, che è nata sui mercati dei capitali e che si è trasmessa in poco tempo all’economia reale, frutto di un lungo processo di deregolamentazione dei sistemi finanziari, conseguenza a sua volta di una cultura neoliberista che ha caratterizzato gli anni ’70 fino alla recente crisi.

Non rientra negli obiettivi del presente elaborato quello di analizzare la crisi con le sue determinanti, ma non si può non considerare come i suoi effetti si fanno ancora sentire sui bilanci delle banche, principalmente quelle italiane, incidendo sulla qualità del credito. Pertanto le priorità strategiche degli intermediari cambiano, e sono sempre più orientate al

derisking ed al delevereging dell’attivo.

Nel Capitolo II si sono analizzati i problemi che i crediti deteriorati comportano per le banche italiane, focalizzandoci sul disinvestimento degli stessi e sulla loro cartolarizzazione. Va ricordato che il sistema bancario italiano è stato quello che meglio ha retto alla crisi finanziaria 2007‐2008, vista la sua scarsa esposizione al mercato dei capitali e quindi alle partite strutturate complesse. I bilanci ci confermano questa dinamica: rispetto al mondo anglosassone, i crediti verso la clientela (che sia retail, corporate o istitutions) hanno un peso rilevante sugli assets bancari, mentre un gioco minore lo ricoprono gli investimenti in titoli e derivati. Questa prevalenza degli impieghi creditizi rispetto agli strumenti finanziari

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ha ridotto al minimo il ricorso agli aiuti di Stato, al contrario di quanto è avvenuto nel resto d’Europa e negli USA. Nonostante ciò il sistema del credito italiano ne è comunque uscito indebolito per effetto della trasmissione della crisi all’economia reale: che si è tradotto nel

forte calo della redditività e nel deterioramento del portafoglio crediti. Questa montagna di

crediti malati drenano risorse, erodono i profitti e distruggono valore. In un contesto di bassi tassi d’interesse è sempre più difficile contare sulla voce ricavi 1 ed ulteriori cost cutting

sono difficili da realizzare, dunque un miglioramento della qualità dell’attivo, asset quality, e con sé la riduzione del costo del rischio, diventa l’unico driver per recuperare la redditività persa in questi cinque anni. Il tutto sotto la spinta del nuovo sistema di vigilanza che

incentiva questo processo di pulizia dei bilanci tramite il sell‐off dei propri assets non core.

Tramite questa strategia di disinvestimento, la banca potrà finalmente tornare ad avere a diposizione risorse sufficienti per concedere credito a famiglie, corporates ed istitutions.

Bisogna ricordare, che non si tratta di una semplice dismissione di un investimento andato male, bensì di una vera e propria strategia assunta a livello corporate, che richiede la massima attenzione per evitare che ne risentano troppo i bilanci e la valutazione delle banche stesse.

Per quanto riguarda gli effetti della cartolarizzazione dei NPL sulla gestione bancaria possono essere compresi se si analizzano i motivi per cui essa viene messa in atto, generalmente per la serie di vantaggi che se ne traggono. Le operazioni sui crediti deteriorati sono prevalentemente motivati dalla volontà della banca di una pulizia del bilancio.

La cessione dei non performing loans è molto più complessa rispetto a quella dei crediti

in bonis, poiché quest’ultima viene effettuata per ragioni per lo più reddituali e finanziarie.

Invece la banca che cede NPL ottiene benefici quali il trasferimento del rischio di credito, l’aumento delle risorse finanziarie e la riduzione dei costi di gestione.

Infine nel Capitolo III si sono analizzati altri margini di manovra oltre al disinvestimento e alla cartolarizzazione dei crediti deteriorati, ossia strumenti che il sistema bancario ha posto in essere nel tempo per poter fronteggiare il problema dei NPL ed evitare fallimenti. Si parla di Bad bank , contenitori creati ad hoc dove trasferire tutti quei crediti ritenuti sicuramente inesigibili. Le banche italiane si stanno organizzando per alleggerirsi dalla forte crisi che stanno vivendo, visto che nel resto dell’Europa questo strumento sia risultato molto

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efficace. Bisogna comunque sottolineare che trattandosi di uno strumento a lungo termine, la bad bank darebbe maggiori dilazioni di pagamento a quelle imprese che se pur produttive stanno soffrendo la crisi.

L’altro strumento, invece del tutto innovativo, è la costituzione del Fondo Atlante.

Si tratta di un fondo d’investimento alternativo chiuso riservato che serve per sostenere le banche italiane nelle proprie operazioni di aumenti di capitale ed a favorire la gestione dei crediti in sofferenza del settore. Bisogna precisare però che solo il 30% del fondo sarà dedicato ai NPL, e solo nel 2017 tutta la quota del fondo non investita in banche potrà essere investita nei crediti deteriorati. Nonostante questo, lo strumento ha riscontrato successo e si è arrivati alla costituzione di Atlante II.

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CAPITOLO I

NON PERFORMING LOANS

Sommario: 1.1 Panoramica sul contesto economico-finanziario – 1.2 Definizione dei Non Performing Loans – 1.3 Deterioramento del credito e le principali cause dei crediti deteriorati in Italia – 1.4 Costo del capitale per detenere NPL – 1.5 Concetti di base e regole per la valutazione di bilancio – 1.6 Principali determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze – 1.7 Influenza dei tempi di recupero sul prezzo o sullo stock delle sofferenze – 1.8 La qualità del credito e le misure sulle procedure di recupero crediti – 1.9 La gestione dei crediti deteriorati – 1.10 I forborne exposure e la nuova classificazione dei crediti deteriorati

1.1 Panoramica sul contesto economico-finanziario

Le banche sono il filo conduttore che unisce il mondo della finanza con quello dell’economia reale. A fronte della loro natura, qualunque trasformazione sostanziale del loro business deve avvenire nel rispetto e compatibilmente con il sistema creditizio in generale. È per questo che viene data molta attenzione, anche mediatica, al tema della grande mole di crediti inesigibili presente ormai da qualche anno negli attivi degli istituti di credito nazionali e non solo. Ma, mentre negli altri Paesi ci si è mossi in tempo per affrontare la questione, i banchieri italiani hanno cercato di tirare la corda finché hanno potuto.

Crediti deteriorati, Non Performing Loans, Bad bank, sono concetti che sono diventati sempre più comuni, a dimostrazione di come il tema sia cruciale per una ripresa del sistema creditizio e, indirettamente, dell’economia reale in generale. Nel 2014 sono stati 320 miliardi i crediti deteriorati (un quinto del PIL italiano), 180 miliardi le sofferenze (senza considerare il fatto che alcuni debitori non sono ancora tecnicamente insolventi, ma potrebbero diventarlo presto); il ROE si è attestato all’1%, rispetto ai valori negativi del triennio precedente. Standard & Poor’s ha stimato un costante aumento delle sofferenze

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creditizie anche per l’anno 2015 e 2016 ( arrivando a 390 miliardi). È lecito quindi chiedersi quali sono allora le strategie per un miglior disinvestimento di questi assets , e come si stanno approcciando al problema le banche italiane.

Prima di andare ad analizzare quali sono le strategie adottate per smaltire gli attivi non strategici, e perché è importante farlo, bisogna discutere del contesto in cui tutto questo accade. Il background economico, se da un lato spiega la gravità del problema, dall’altro ne rappresenta l’incentivo ad avviare un’ondata di disinvestimenti di assets non core, tale da avviare un mercato degli NPL in Italia almeno per i prossimi anni.

Facendo una panoramica del sistema bancario italiano, è possibile notare come il Paese sia, al pari della Germania, storicamente banco-centrico. Vista l’elevata presenza di piccole-medie imprese nel nostro tessuto economico, le banche hanno assunto un ruolo centrale nel sistema produttivo italiano. Dato l’orientamento bank-based nel Paese, il modello di banca maggiormente diffuso è quello commerciale. Questa opera come banca tradizionale: trasferisce risorse da unità in surplus (famiglie generalmente) a quelle in deficit (imprese) attraverso il bilancio della banca stessa ovvero trasformando la raccolta diretta in impieghi essenzialmente creditizi. Il Governatore della Banca D’Italia, Ignazio Visco, ha ricordato come la aziende italiane operano con un leverage del 44% ed il credito bancario rappresenta il 64% del totale dei debiti.

Le banche sono da sempre considerate il motore della crescita economica, in funzione del loro ruolo di finanziatori del consumo e degli investimenti. Con la crisi finanziaria prima, e con quella dei debiti sovrani, poi, l’offerta di credito ha subito una riduzione (credit crunch) alimentando un circolo vizioso. La crisi del 2007-2008, iniziata sui mercati dei capitali è stata essenzialmente una vera e propria crisi di liquidità e di fiducia. Inizialmente la contrazione del credito fu contenuta per due motivi: da un lato si ridusse anche la domanda di credito 2 per effetto del clima di sfiducia, di incertezza economica e di inizio calo dell’

attività produttive; dall’altro lato la maggior parte delle banche avevano depositi da clientela sufficienti a compensare un riduzione dei prestiti all’ingrosso.

La seconda crisi, quella dei debiti sovrani 2009-2010, ha avuto effetti più gravi sul credito. La capacità infatti dell’istituto di raccogliere fondi sul mercato è funzione anche del

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rating ad esso assegnato da agenzie specializzate, che tengono conto nella valutazione,

ovviamente, anche del rating del paese di appartenenza.

Figura 1 3

Le due recessioni hanno portato ad una crisi di liquidità per le banche e riduzioni dei fatturati per le imprese; le prime hanno reagito con una riduzione degli impieghi tramite un aumento dei tassi sui prestiti, che è andato a peggiorare la situazione dei debitori, sempre più in difficoltà nel far fronte al servizio del debito. Di conseguenza anche il portafoglio crediti delle banche ha subito un deterioramento: aumento dell’esposizioni non performing, ovvero quelle per cui è incerta la riscossione sia in termini di rispetto delle scadenze, sia dell’ammontare dell’esposizione. Per compensare tale fenomeno, gli intermediari sono stati costretti a ridurre i loro impieghi, diventando maggiormente selettivi nella scelta dei clienti. Gli NPL, dunque, appaiono come un freno all’operatività bancaria.

Dal Gennaio del 2014 è entrata in vigore per tutte le banche, non solo europee, una nuova normativa di vigilanza prudenziale (Basilea III), applicata in maniera graduale, emanata già nel 2010 dal Comitato per la Supervisione Bancaria, che ha sede a Basilea, in Svizzera. Questa definisce una serie di metodologie per la valutazione e ponderazione del rischio, nonché delle regole per la definizione del capitale minimo che l’istituto di credito deve

3 Questo circolo vizioso che si è instaurato spiega il continuo aumentare dei NPL nei portafogli bancari, e di come essi

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detenere per garantirne la stabilità. È stato definito un coefficiente di solvibilità tale per cui il patrimonio di vigilanza (PV), che differisce dal patrimonio netto contabile, fosse almeno l’8% delle attività ponderate per il rischio (RWA). L’obiettivo è quello di garantire un rafforzamento patrimoniale delle banche, rendendole più idonee a sopportare i rischi a cui i loro attivi sono esposti. Proprio in virtù di queste nuove e più stringenti soglie patrimoniali, la redditività ed il costo dell’equity ne risentono negativamente, ed il tema delle sofferenze bancarie, in relazione all’assorbimento patrimoniale che esse comportano, si accentua ancora di più. Basilea III, non interviene soltanto sul lato quantità, ma soprattutto sul lato qualità del capitale. In conclusione entro il 2019, tutte le banche dovranno adeguarsi alla nuova soglia minima di capitale per poter essere considerate solide, pari al 10,5%.

Un altro aspetto da considerare, per concludere l’overview sul contesto economico-finanziario, è la recente Unione bancaria, di cui l’Italia è entrata automaticamente a farne parte come Stato membro dell’ UE, la cui finalità è quella di creare una maggiore stabilità del sistema bancario dell’area Euro. Dei tre pilastri di cui si compone, ai fini dell’elaborato, è stato preso in considerazione solamente il primo: il Meccanismo di Vigilanza Unica ( the

Single Supervisory Mechanism, SSM).

Il 4 Novembre 2014, la BCE ha assunto, così, il ruolo di supervisore unico su 120 gruppi bancari, di cui 15 italiani. Il Meccanismo si fonda sulla stretta collaborazione tra la BCE e le autorità nazionali competenti (ANC) dei paesi membri. Propedeutico all’avvio dell’SSM è stato la revisione degli attivi bancari (Comprehensive Assessment) , ad opera della BCE, che ha riguardato un primo esame di revisione degli attivi ( Asset quality review, AQR), ed

una successiva prova di resistenza ad un scenario macroeconomico di base ed uno avverso 4.

L’AQR è stato condotto dalla BCE e dalle rispettive ANC e si è risolto in un’analisi del portafoglio crediti dell’intermediario: corretta ripartizione dei prestiti nella categoria

performing e non-performing; adeguatezza degli accantonamenti e delle coperture.

Di recente si è diffusa sulla stampa e tra gli operatori specializzati la percezione che il

Single Supervisory Mechanism intenda forzare le banche a disfarsi rapidamente degli NPL

sul mercato. Tale percezione può essere tra le cause della recente, fortissima caduta dei corsi bancari nell’area dell’euro e in Italia. L’idea che il SSM intenda forzare le banche a cedere

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indiscriminatamente e rapidamente gli NPL è tuttavia errata, come sottolineato in varie

occasioni dai vertici della BCE, del SSM e della Banca d’Italia 5.

In materia di NPL la Vigilanza valuta attentamente i singoli casi, tenendo conto sia delle numerose variabili specifiche di ciascuna banca (tra cui l’efficacia delle procedure di recupero, l’adeguatezza dei tassi di copertura, l’incidenza degli NPL sul totale degli impieghi), sia del contesto esterno in cui le banche operano.

Il sistema bancario italiano ha avuto un giudizio complessivamente positivo, nonostante la congiuntura economica particolarmente gravosa.

Sulla base di queste informazioni di contesto, si intuisce la necessità di avviare delle strategie di smaltimento che sblocchino l’operatività degli istituti di credito. Per anni, le banche italiane hanno sottovalutato l’attività di disinvestire: la negatività dell’impatto psicologico che il disinvestimento comporta, fa si che venga considerata solo come extrema

ratio nel novero delle opzioni strategiche a disposizione del management. Sotto un profilo

più teorico, il disinvestimento rientra nelle strategie di corporate che un’impresa, sia essa di produzione o di servizi, ha a disposizione.

Quello che si vuole analizzare è il motivo per cui sia giunto il momento di intervenire per il sistema creditizio italiano attraverso un’ operazione di delevereging, e allo stesso tempo, cercare di capire quali sono i vincoli che hanno impedito fino ad ora uno sviluppo di un mercato in tal senso. Ma prima, bisogna definire cosa è considerato come asset non core dagli istituti di credito, ovvero cosa è oggetto di disimpegno di questi.

5 M. Draghi, Introductory statement to the press conference – Governing Council decisions, 21 January 2016; D. Nouy,

Introductory statement at the Presentation of the ECB Annual Report on supervisory activities 2015 in the ECON Committee of the European Parliament, 22 March 2016; I. Visco, Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema

bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio, anche con riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi europee, 19 aprile 2016.

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11 1.2 Definizione dei Non Performing Loans

Le definizioni di credito deteriorato (non-performing loans, NPL) in ambito UE sono

molto eterogenee, e quella adottata dalle banche italiane è particolarmente ampia 6. In

particolare, negli ultimi anni le banche italiane hanno richiesto maggiori garanzie e ridotto il

rapporto tra credito erogato e valore della garanzia 7 . Se si applicasse alle banche italiane la

definizione di credito deteriorato adottata da primarie banche europee, che esclude le posizioni interamente garantite, il tasso di copertura del sistema bancario italiano

risulterebbe molto più alto e mostrerebbe un andamento crescente negli ultimi anni 8.

Il monitoraggio dei comportamenti degli affidati attraverso lo strumento del conto

corrente, permette di osservare lo stato iniziale di un’esposizione 9 e la sua evoluzione, che

potrebbe manifestare segnali di difficoltà e nel peggiore dei casi evolvere in una partita anomala. Data la consistenza delle esposizioni della clientela e supponendo che siano tutte riferibili a crediti vivi o in bonis, cioè impieghi in essere con andamento normale ovvero non preoccupante, esse iniziano a deteriorarsi, cioè a diventare “anomale”, quando non vengono rispettate le condizioni contrattuali del prestito, il che accade dopo 30 giorni dalla scadenza contrattuale del prestito stesso. Tale limite coincide con il superamento del

normale periodo di grazia previsto dalla prassi bancaria, ovvero 30 giorni 10.

La circolare n. 272 del 30 Luglio 2008 di Banca d’Italia, definisce i Non Performing

Loans come: “crediti problematici, di difficile riscossione e recupero”. Tutti questi crediti

manifestano un’oggettiva perdita di valore e presentano un diverso livello di rischio. I parametri per valutare un credito come deteriorato sono due: i “ritardi” nei pagamenti, e la “probabilità di default” della controparte. Sono attività che non riescono più a ripagare il

6 Cfr. S. Barisitz, “Nonperforming Loans in Western Europe – A Selective Comparison of Countries and National

Definitions”, Oesterreichische Nationalbank, Focus on European Economic Integration, Q1/13, http://www.oenb.at/de/img/feei_2013_q1_studies_barisitz_tcm14-253775.pdf.

7 Facciamo riferimento all’indice loan to value ratio, LTV. 8 Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 5.

9 Esposizione: sommatoria delle attività di rischio nei confronti di un cliente, che possono riguardare attività per cassa,

ad esempio finanziamenti, azioni, obbligazioni, presiti subordinati e operazioni fuori bilancio, che comprendono le garanzie rilasciate e impegni e i contratti derivati.

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capitale e gli interessi dovuti ai creditori; crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di scadenza che per ammontare dell’esposizione.

Banca D’Italia 11 ne riconosce quattro categorie, in ordine crescente di rischiosità:

 Crediti scaduti e/o sconfinanti : si tratta in genere di esposizioni che non risultano

inquadrabili nelle categorie precedenti e risultano non onorate da oltre 180 giorni. Per alcuni crediti di questo tipo le disposizioni di Vigilanza fissano in 90 giorni soltanto il termine massimo.

 Crediti Ristrutturati: sono esposizioni nella quale la banca o un pool di banche, a causa del deterioramento della situazione economica-finanziaria del debitore, ha

modificato le condizioni originarie del prestito 12 , determinando l’emersione di una

perdita. Ovviamente non tutte le sofferenze si trasformano in perdite, alcune possono rientrare e tradursi in recupero parziale o totale del credito. Il tasso di trasformazione delle sofferenze in perdite dipende da vari fattori tra cui la presenza di garanzie, la presenza ex ante di un programma di recupero del credito e infine l’efficacia delle stesse.

 Incagli : rappresentano delle esposizioni nei confronti di soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea. Si prescinde dall’esistenza di eventuali garanzie poste a presidio delle esposizioni. A differenza delle sofferenze, che si riferisce a partite definitivamente immobilizzate, gli incagli rappresentano dei crediti che in un congruo periodo di tempo si suppongono recuperabili. In una scala del rischio dunque gli incagli si pongono un gradino al di sotto delle sofferenze e richiedono pertanto accantonamenti inferiori nelle riserve contro il rischio. Sono escluse le esposizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili attinenti al rischio paese. Tra le partite incagliate troviamo, salvo che non ricorrano i presupposti per una loro classificazione fra le sofferenze, le esposizioni verso gli emittenti che non abbiano onorato puntualmente gli obblighi di pagamento relativamente ai titoli di debito quotati; a tal fine è necessario riconoscere il periodo di grazia previsto dal contratto o, in assenza di esso, riconosciuto dal mercato di quotazione del titolo.

11 Banca d’Italia, La recente analisi dei prestiti deteriorate condotta dalla Banca d’Italia: principali caratteristiche e

risultati, Allegato 1: Classificazione crediti deteriorati secondo la regolamentazione italiana, 2013.

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Dato che è plausibile pensare che una parte dei crediti degeneri in sofferenze, idealmente è possibile scomporli in due quote : una caratterizzata da un rischio di liquidità più basso, e l’altra (quella che statisticamente si trasforma in sofferenze) da un rischio di liquidità più alto.

 Sofferenze: crediti la cui riscossione non è certa da parte degli intermediari che hanno erogato i finanziamenti perché i soggetti debitori risultano in stato di

insolvenza 13 o in situazioni equiparabili, indipendentemente dalla previsione di

perdita formulata dalla banca e dalla presenza di garanzie reali o personali. Per ovviare a questo genere di rischi di solito gli intermediari creditizi accantonano delle riserve apposite in proporzione al credito a rischio e alla sua condizione. Sono escluse le esposizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili attinenti al rischio paese; sono incluse anche le esposizioni nei confronti degli enti locali in stato di dissesto finanziario per la quota parte assoggettata alla pertinente procedura di liquidazione.

Le sofferenze costituiscono un indicatore di particolare importanza per apprezzare le politiche di credito della banca e per conoscere :

- la propensione al rischio del finanziatore, atteso che si tenga conto delle sofferenze in dati gruppi omogenei di crediti, corredate con altre informazioni qualitative come ad esempio il grado di diversificazione del portafoglio, l’andamento settore produttivo, l’area geografica, la classe dimensionale dei clienti in stato di insolvenza e possono informare sulle politiche di prestito e sui criteri di scelta della banca;

- la capacità di valutare efficacemente il merito creditizio dei prenditori di fondi. Anche in questo caso il corredo di informazioni qualitative può consentire di apprezzare la capacità valutativa dei soggetti addetti alla concessione dei fidi.

Ovviamente l’ultima categoria di NPL è la più rischiosa e non è legata ad un periodo di tempo preciso, bensì alla condizione che l’intermediario non ritenga più la situazione di difficoltà come temporanea. La riscossione non è più certa e ci si muove per il recupero del

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credito. La prima azione della banca è la revoca della linea di fido. Il passaggio a sofferenza, pertanto, può essere, come spesso accade, l’ultimo step dei vari livelli di NPL, ma potrebbe anche risultare come passaggio immediato senza passare per le categorie interne.

È comunque la categoria di crediti deteriorati più rischiosa e a fronte di ciò gli intermediari accantonano delle riserve specifiche in proporzione alla condizione del rischio. Nella categoria incagli, le banche prevedono sempre degli accantonamenti a riserva ma saranno di ammontare inferiore rispetto ai precedenti.

Figura 2

Fonte : www.borsaitaliana.it

Si può quindi evidenziare che l’Organo di Vigilanza ha basato il posizionamento dei crediti in sofferenza sulla base di un giudizio che non dipende soltanto dall’inadempimento del singolo rapporto contrattuale, né dalla presenza o meno di garanzie, ma soprattutto dall’acquisita consapevolezza che il debitore è ormai incapace di assolvere con regolarità alle proprie obbligazioni, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno iniziate nei suoi confronti azioni mirate, giudiziali e non.

Per sorvegliare il rischio a livello sistemico la Banca d’Italia ha creato la Centrale dei rischi, un archivio nel quale confluiscono le posizioni debitorie di ogni soggetto nei confronti di tutti gli intermediari permettendo per ogni debitore il calcolo della posizione

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globale di rischio e consentendo ai singoli intermediari di controllare la solvibilità dei

clienti14. I dati della Centrale dei Rischi hanno, ovviamente, carattere riservato, ma i singoli

soggetti possono chiedere di conoscere le informazioni registrate a loro nome; in particolare gli intermediari segnalanti, in base alle disposizioni attuative emanate dalla Banca d’Italia, sono tenuti a comunicare all’interessato i dati che lo riguardano contenuti nei flussi di ritorno della Centrale dei Rischi. La Banca d’Italia, sempre su richiesta dell’interessato, fornisce il dettaglio delle segnalazioni di rischio prodotte dai singoli intermediari segnalanti.

Per quanto riguarda alle sole sofferenze, come riportato nella Circolare No. 139, 14°

Aggiornamento del 29 aprile 2011 ‘Centrale dei rischi Istruzioni per gli intermediari creditizi’ pubblicata dalla Banca d’Italia, il passaggio a sofferenza si ha quando la banca ha

ragione di credere che il credito sia irrecuperabile. Per il recupero di tali crediti vengono iniziate le azioni giudiziali, perciò la partita passa dalla competenza del servizio fidi alla competenza del servizio legale che curerà il recupero del credito. La segnalazione riguarda crediti vantati nei confronti di clienti che versano in gravi e non transitorie difficoltà economiche e finanziarie, infatti, la valutazione da parte della banca deve riguardare la complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, ne importa se esiste una garanzia o meno. A questo stadio giungono quindi le partite incagliate che evolvono negativamente che denotano difficoltà finanziarie irreversibili.

Indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione adottate dagli intermediari, i crediti in sofferenza devono essere segnalati per un ammontare pari agli importi erogati inizialmente, al netto di eventuali rimborsi e al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente effettuati. Detto ammontare è comprensivo del capitale, degli interessi contabilizzati e delle spese sostenute per il recupero dei crediti. Tale criterio deve essere seguito anche dall’intermediario che si è reso cessionario di crediti in sofferenza. Gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza. La segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando:

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- viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile;

- il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio, di concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio;

- rimborsi parziali del credito comportano una corrispondente riduzione dell'importo segnalato;

- il credito viene ceduto a terzi;

- i competenti organi aziendali, con specifica delibera hanno preso definitivamente atto della irrecuperabilità dell’intero credito oppure rinunciato ad avviare o proseguire gli atti di recupero;

- il credito è interamente prescritto (art. 2934 e seg. c.c.);

- il credito è stato oggetto di esdebitazione (art. 142 L.F.) 15.

Il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse.

È interessante anche, a mio avviso, vedere in tal proposito le differenze normative tra

l’ European Banking Authority e la normativa italiana. Dal 30 Settembre 2014 è entrata in

vigore una definizione armonizzata di posizioni deteriorate ed in bonis, con la finalità di eliminare l’eterogeneità in materia presente in Europa e facilitare l’instaurazione del Sistema Unico di Vigilanza. Le definizioni emanate dall’EBA sono piuttosto in linea con quelle italiane, che anzi si dimostrava essere il paese più severo nel trattare le esposizioni

non performing. L’EBA chiarisce, che il principio alla base dell’esistenza dei NPL è

l’unlikely to pay.

Indipendentemente dalle garanzie rilasciate, e delle quote scadute, l’esposizione entra nella categoria NPL nel momento in cui il debitore versi in una situazione tale da far temere alla banca che il prestito non possa essere più onorato. Unitamente a ciò, se il credito è scaduto da più di 90 giorni, smette di essere considerato in bonis. L’EBA compie un’altra

15 Gli intermediari che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo fallimentare del soggetto esdebitato o,

pur avendola presentata, non sono stati ammessi, dalla data del decreto di esdebitazione non devono più segnalare l’intero importo del credito vantato ma un importo pari alla percentuale che i creditori concorsuali di pari grado hanno conseguito in sede fallimentare.

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specificazione; come già in Italia, le esposizioni scadute verso la stessa controparte possono essere contabilizzate con l’approccio per debitore o per transazione. Il primo è sempre richiesto nel caso in cui il borrower sia un Istitutions o Corporate di grande dimensioni. La differenza sta nel fatto che, mentre nel metodo per transazione, la solo linea di credito viene contabilizzata come deteriorata, nell’altro caso (per debitore) tutte le esposizioni verso quella controparte verranno inserite nella non performing exposures (NPE). Sarà obbligatorio passare all’approccio per debitore qualora l’esposizione scaduta superi il 20% del totale delle esposizioni per cassa verso la stessa controparte. In Italia vigeva una normativa meno rigida: la soglia da superare era il 10 %, ma nel calcolo entrava solo la

quota scaduta e non l’intero affidamento. Sempre in Italia, tali bad loans 16 continuavano a

maturare interessi, contribuendo ad accrescere il totale degli NPL, al contrario del resto del continente in cui l’impairment dell’ attività finanziarie fa cessare di produrli.

Sono dunque tutti quegli affidamenti che hanno ottenuto una concessione da parte della banca, e che Banca d’Italia definisce come posizioni ristrutturate, ossia quelle partite creditizie che hanno subito una rivisitazione dei termini originari a favore del debitore. Banca d’Italia nel considerarle come partite ristrutturate già le trattava come esposizioni problematiche al contrario degli altri paesi europei. A fronte di ciò l’EBA fu costretta ad intervenire per garantire omogeneità e distinse i crediti oggetto di concessione in performing

e non, e solo quest’ultima verrà inserita nella classe NPE. Anche in questo caso dunque,

Banca d’Italia già era in linea con il dettato europeo e su certi aspetti si dimostrava ancor più severa. Per poter uscire, infatti, dalla classe non performing forbearance, Banca d’Italia richiede che siano trascorsi almeno due anni dalla ristrutturazione del prestito e che vi sia una delibera dei vertici aziendali che attestino il ritorno alla solvibilità. Per l’Europa, invece, questa dichiarazione non è necessaria, bensì è sufficiente che sia trascorso un anno

dall’accordo e sia venuto meno il rischio di insolvenza. Più precisamente l’EBA specifica 17:

- Forbearance non performing: corrisponde all’italiano credito ristrutturato. Compare con questa dicitura a fronte della “concessione” data dalla banca creditrice, e per poter passare alla categoria che segue deve trascorrere almeno un anno.

16 Erano escluse le sofferenze.

17 Cfr. Il riquadro: La definizione di esposizioni deteriorate (nonperforming) e oggetto di concessioni (forbearance)

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- Forbearance performing: sono quei crediti usciti dalla categoria precedente, ma per poter essere completamente considerati senza rischio e quindi trasferirsi nella categoria in bonis, devono trascorrere almeno due anni ( probation period).

Quindi da un punto di vista contabile, dopo l’accordo di ristrutturazione, per il primo anno la partita creditizia comparirà come non performing della categoria forbearance; al termine, se è venuto meno il rischio di insolvenza può uscire da questa sottocategoria ed essere considerata performing, ma sempre come forbearnce. Al termine del probativ period, se sussistono tutte le condizioni, l’esposizione verrà classificata come performing , senza richiedere alcune riserve a fronte.

1.3 Deterioramento del credito e le principali cause dei crediti deteriorati in Italia.

Durante tutto il periodo di crisi abbiamo assistito a un peggioramento della qualità del credito che ha comportato un aumento di tutte le posizioni deteriorate. Tale aumento ha riguardato inizialmente e principalmente le partite incagliate e successivamente le sofferenze. Il tasso di ingresso delle sofferenze, cioè il rapporto fra le nuove sofferenze e lo stock di prestiti vivi, è aumentato notevolmente: è passato dal 1% del 2007 al 3% del 2013 ed è lievemente diminuito nel 2014 e si è mantenuto costante nei primi mesi del 2015.

Le imprese, coinvolte in un ciclo congiunturale negativo, hanno avuto la necessità di una ristrutturazione finanziaria sempre più stringente da una parte e si sono trovate impossibilitate a far fronte agli impegni assunti con il sistema creditizio dall’altra. In un contesto simile e a seguito della forte concorrenza nel sistema bancario ed al ricorso al mercato dei capitali da parte delle imprese di maggiore dimensione, si è evidenziato il sensibile peggioramento delle attività detenute dalle banche.

Il fenomeno dei non performing loans e l’intensificarsi delle insolvenze hanno innescato un ampio dibattito sulle motivazioni che hanno determinato la rapida crescita degli impieghi rischiosi.

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In prima analisi, si può affermare che vi siano:

 fattori strutturali : si pensa che il peggioramento della qualità dei crediti sia riconducibile all’ampliamento repentino delle quote di mercato delle banche, in assenza di un’accurata analisi della solvibilità della clientela affidata. In aggiunta le banche hanno effettuato politiche di impieghi orientate a soddisfare esigenze soggettive operando al limite dei criteri tipici di prudenza e vigilanza;

 fattori congiunturali: la crescita dei crediti deteriorati si è collegata all’agire della congiuntura negativa che ha interessato l’Italia; essa ha comportato una diminuzione su i bilanci delle banche, in particolare in squilibri nella gestione della tesoreria, influenzando la qualità dei crediti.

A prescindere quali dei due fattori sia più o meno influente nella crescita dei crediti deteriorati, si può affermare che nella dimensione di questo fenomeno ha avuto un ruolo fondamentale la particolare struttura finanziaria delle imprese italiane ed in particolare:

- l’alta leva finanziaria;

- la bassa mobilità di capitale, il basso sfruttamento dei meccanismi di monitoraggio da parte del mercato dei capitali sulla redditività degli investimenti aziendali;

- la bassa propensione alla quotazione del capitale di rischio e la concentrazione del debito sul breve termine;

- la forte diffusione del pluriaffidamento.

In quest’ottica la forte domanda di capitale di debito ha alimentato, in Italia, una struttura del mercato in totale squilibrio, gli aspetti più evidenti sono risultati essere la dispersione degli affidamenti e l’underpricing sui prestiti. Tale analisi mette in realtà in evidenza che la condizione che limita il mercato italiano è dovuta alla bassa efficienza allocativa del credito. Le banche infatti sono responsabili della non capacità di segnalare con prezzi efficienti, ossia tassi d’interesse, la qualità dei prenditori e dunque di allocare il risparmio.

Due condizioni che favoriscono l’insorgenza di comportamenti non ottimali sono l’assenza di condizioni concorrenziali nel mercato del lavoro ed in quello dei capitali. Con riferimento al primo si evidenza come un mercato del lavoro efficiente disincentiverebbe comportamenti non ottimizzanti, in quanto i manager avrebbero interesse a difendere la

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propria reputazione per evitare di essere discriminati in futuro; quanto al mercato dei capitali è evidente come un suo buon funzionamento garantisca condizioni di efficienza gestionale ottimali. Si può concludere , quindi, che una proprietà non eccessivamente frazionata assieme ad un efficiente mercato di capitali può costituire un importante fattore di disciplina sul comportamento dei manager. Al contrario, una proprietà a capitale prevalentemente pubblico associata a mercati dei capitali non operosi, favorisce l’insorgenza di comportamenti non ottimali.

Una volta chiarite le condizioni che rendono possibile l’insorgenza di comportamenti anomali da parte dei manager, si può spiegare come tali comportamenti si traducano in un deterioramento della qualità dell’attivo dell’impresa bancaria mediante due ipotesi:

- il perseguimento di dimensioni più ampie di quelle coerenti con la massimizzazione dei profitti implica una politica del credito accomodante e quindi l’accettazione di livelli di rischio superiori a quelli ottimali;

- il prevalere di comportamenti sub-ottimali, del tutto plausibili nel mercato italiano, comportano una minore efficienza complessiva delle banche e quindi anche una minore capacità delle stesse a discriminare i crediti di buona qualità da quelli di cattività qualità.

Pertanto si vede come il problema delle inefficienze gestionali dei manager sia del tutto attuale e dunque, in linea teorica, la cattiva qualità dei prestiti può essere l’esito di più che

plausibili inefficienze manageriali oltre che di avversi condizioni ambientali 18.

18 Si tralascia la questione della concorrenza nel mercato dell’output sia perché i mercati bancari sono tutti caratterizzati

da un certo grado di monopolio, sia perché se tutte le banche presenti in un certo mercato si caratterizzano per comportamenti di expense preference, la concorrenza non rappresenta più un fattore di prevenzione di tali comportamenti.

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21 1.4 Costo del capitale per detenere NPL

Quanto costa alle banche detenere in “pancia” questi assets non core? Oltre al peso che le rettifiche di valore hanno sull’utile di periodo, un ruolo chiave è svolto dagli accantonamenti di capitale richiesti dalla normativa di Basilea. Quest’ultima, infatti prevede che gli intermediari possiedano un patrimonio di vigilanza che sia proporzionale alla rischiosità del proprio attivo. Ovviamente il costo del capitale nel detenere tali assets sarà anche in funzione della metodologia adottata dall’ente per il calcolo del requisito patrimoniale. Ricordo, infatti, che nella valutazione di questo gli intermediari, sulla base del principio di proporzionalità, sono chiamati ad adottare dei modelli standardizzati oppure interni (con diversi gradi di sofisticazione).

Una ricerca del Fondo Monetario Internazionale nel fare questa distinzione, evidenzia:

 per quelle banche che utilizzano l’approccio standardizzato (principalmente quelle di piccole dimensioni e le banche di Credito Cooperativo), i crediti non performing pesano il 12% delle attività ponderate per il rischio;

 nel caso dell’utilizzo di internal ratings‐based (IRB) approach, bisogna fare un’ulteriore distinzione. Per chi fa uso dell’IRB advanced (è il caso delle grandi banche italiane, come UniCredit, Intesa San Paolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banca Popolare) il costo del capitale per detenere NPL dipende da due fattori: dall’IRB shortfall, ovvero dalla differenza tra gli accantonamenti previsti da Basilea e quelli dai principi contabili IFRS, e dal requisito patrimoniale richiesto sull’ammontare lordo di NPL. Per chi utilizza l’IRB Foundation approach (come ad esempio le banche di dimensioni medie),invece, il costo del capitale dipende solo dal primo elemento, ovvero l’IRB shortfall.

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1.5 Concetti di base e regole per la valutazione di bilancio

Tutte le banche italiane, al pari delle principali banche europee che adottano i principi contabili internazionali IAS-IFRS 19, valutano in bilancio i crediti secondo il criterio del

costo ammortizzato20, che prevede l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri stimati lungo la

vita attesa del credito. L’attualizzazione tiene conto del valore temporale del denaro; gli IAS impongono che a tal fine sia utilizzato il tasso d’interesse effettivo originario, i, del credito stesso 21. In generale il valore di un prestito al lordo delle rettifiche di valore (gross book

value, GBV ) è dunque uguale a tale somma scontata:

dove f denota i flussi di cassa attesi.

Questo metodo vale anche per determinare il valore netto dei crediti deteriorati. Quando il debitore, ad esempio un’impresa, incontra difficoltà nel rimborsare il prestito, la banca deve valutare:

a) la probabilità di non riuscire a recuperare l’intero importo, comprensivo degli interessi pattuiti, nei tempi stabiliti;

b) l’ammontare effettivamente recuperabile, sul quale gioca un ruolo determinante il ruolo delle garanzie;

c) i tempi, generalmente diversi da quelli stabiliti contrattualmente, nei quali avverrà il recupero.

Tale valutazione implica una nuova stima dei flussi di cassa attesi, f ’, che di norma si traduce in una “rettifica di valore” da appostare nel conto economico dell’anno.

19 Il Regolamento (CE) N. 1606/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio richiede l’applicazione dei principi

contabili internazionali nei bilanci consolidati delle società che emettono titoli negoziati in mercati regolamentati. Il legislatore italiano, esercitando un’opzione prevista dal suddetto regolamento, ha esteso l’applicazione dei principi contabili internazionali a tutte le banche e gli intermediari vigilati nella redazione dei bilanci individuali e consolidati.

20 Salvo che i crediti non siano classificati nei portafogli contabili valutati al fair value. 21 Cfr. IAS 39 “Financial Instruments: Recognition and Measurement”.

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Nel determinare i nuovi f ’ le banche devono tenere conto anche dei costi “diretti” della gestione degli NPL, connessi ad esempio con l’appropriazione e la vendita delle garanzie medesime. Non considerano invece i costi “indiretti”, in quanto essi riflettono in larga misura il costo del personale o le commissioni di gestione corrisposte a un gestore esterno , costi che vengono registrati nel conto economico dell’anno cui si riferiscono.

Pertanto il valore di un NPL al netto delle rettifiche di valore (net book value, NBV) è uguale a:

dove f ’ rappresenta il nuovo flusso di cassa e n’ rappresenta il nuovo tempo di incasso. La rettifica di valore è dunque la differenza tra GBV e NBV:

Con il passare del tempo è possibile che la posizione torni in bonis, e di conseguenza la banca scriverà in bilancio una ripresa di valore pari a R, oppure si deteriori ulteriormente e quindi la banca dovrà effettuare ulteriori rettifiche di valore. Il tasso di copertura 22 è dato dal rapporto tra la consistenza delle rettifiche di valore e l’ammontare lordo delle posizioni deteriorate 23.

22 Ovviamente facciamo riferimento al coverage ratio.

23 Nella nota integrativa del bilancio le rettifiche di valore possono essere rappresentate mediante due diverse modalità,

che comportano entrambe l’indicazione del medesimo valore dei crediti nello stato patrimoniale, vale a dire al netto delle rettifiche apportate. La prima modalità consiste nella svalutazione della parte dell’esposizione ritenuta non più recuperabile (c.d. write down); la seconda, qualora il recupero non sia più ritenuto ragionevolmente atteso, comporta lo “stralcio” diretto della componente di perdita (c.d. write off parziali), con conseguente riduzione del valore lordo iniziale del prestito. Nel calcolo dei tassi di copertura è necessario considerare anche gli stralci parziali (write off), in quanto si determinerebbe altrimenti una sottostima dell’indicatore. Per maggiori dettagli si veda il riquadro: I tassi di

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1.6 Principali determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze.

Le principali ragioni alla base del differenziale, tra il valore al quale le sofferenze sono iscritte nei bilanci delle banche e quello che operatori di mercato specializzati sarebbero disposti a offrire per acquistarle, sono in larga misura riconducibili ai diversi criteri di valutazione impiegati a fini di bilancio rispetto a quelli utilizzati dagli investitori per la determinazione dei prezzi di acquisto.

Si nota mostra che i diversi criteri di valutazione possono da soli spiegare per intero la differenza tra il valore di bilancio delle sofferenze e il prezzo offerto da un investitore, e che tale differenza è proporzionale alla lunghezza dei tempi di recupero sia essi siano giudiziali che stragiudiziali. In altre parole, i tempi di recupero giocano un ruolo fondamentale nella valorizzazione di tali attivi.

È noto che il valore di bilancio, NBV, delle sofferenze è significativamente superiore a quello che gli investitori attivi in questo mercato 24 sono disposti a pagare. Per il NBV esistono dati certi: nella media del sistema esso è attualmente pari al 41% del GBV (il complemento a 100 del tasso di copertura riportato nella tav.1). Per i prezzi di mercato non esistono dati rappresentativi, perché il mercato è molto sottile e i prestiti ceduti sono molto eterogenei quanto a tipologia, garanzie, grado di svalutazione. Si sono registrati casi in cui il valore di cessione ha superato il 45% del GBV, per posizioni assistite da garanzie di elevato valore, altri in cui è risultato pari appena al 3% del GBV . Non è dunque possibile, per il momento, individuare un valore medio, rappresentativo dei prezzi di mercato.

A titolo di esempio, per le sofferenze delle quattro banche sottoposte a procedura di risoluzione lo scorso novembre, con GBV di 8,5 miliardi, le ultime valutazioni del valore di cessione condotte da esperti indipendenti hanno indicato una valutazione pari al 22,3% del GBV.

Pur non avendo accesso alle metodologie valutative degli investitori, è possibile analizzare alcuni fattori in grado di generare differenze tra i prezzi di mercato e i valori di bilancio delle banche dell’ordine di quelle osservate. Si consideri un’esposizione creditizia classificata a sofferenza con GBV pari a € 100, parzialmente assistita da una garanzia reale.

(25)

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Si ipotizza che la stima dei flussi di cassa attesi della banca coincida con quella degli

investitori attivi su questo mercato 25 e preveda un solo flusso in entrata, di valore atteso pari

al 47% del valore lordo del credito già al netto dei costi diretti di vendita della garanzia, da

incassare interamente al completamento delle procedure di recupero 26 . Si ipotizza inoltre

che la durata residua attesa del recupero sia di 4 anni. Tale valore è coerente con i risultati dell’indagine sulle procedure di recupero dei crediti alle imprese condotta dalla Banca d’Italia nel 2015 27.

Vediamo in primo luogo come queste ipotesi si traducano in una valutazione della posizione dal punto di vista della banca. A tal fine, occorre un’ulteriore ipotesi sul tasso di rendimento effettivo originario dell’esposizione che le banche, secondo quanto previsto dallo IAS 39, devono usare per attualizzare i flussi di cassa attesi. Tale valore viene fissato al 4%, la media riscontrata nell’esercizio di revisione della qualità degli attivi del 2014.

In base a questi dati, la banca iscrive in bilancio un valore netto della posizione pari al 40% del GBV, con un tasso di copertura del 60% (tav. 2, colonna 1).

Si noti che l’esercizio è stato costruito in modo da approssimare il valore netto delle sofferenze e il relativo tasso di copertura rilevati a livello di sistema, riportati nella tav. 1.

Tavola 1 - Posizioni deteriorate: importi, tassi di copertura e garanzie

( miliardi di euro e punti percentuali; dicembre 2015 ) Esposizione lorda Rettifiche Esposizione netta Tasso di copertura Garanzie reali Garanzie personali Totale deteriorati 360 163 197 45,4 % 160 52 Di cui: sofferenze 210 123 87 58,7 % 85 37

25 È possibile che tale ipotesi non sia vera, e che il basso prezzo offerto dagli operatori di mercato dipenda da una stima

dei flussi di cassa futuri inferiore a quella fatta dalle banche; in altre parole, è possibile che il tasso di copertura sia troppo basso.

In questo contesto, l’ipotesi serve per isolare le determinanti del “differenziale” diverse da quelle legate al tasso di copertura.

26 Nell’esempio non sono stati considerati rimborsi parziali nel corso del tempo.

27 Luisa Carpinelli, Giuseppe Cascarino, Silvia Giacomelli e Valerio Vacca, La gestione dei crediti deteriorati:

un'indagine presso le maggiori banche italiane, Questioni di Economia e Finanza, 311, febbraio 2016. Secondo tale studio quasi l’80 per cento dei finanziamenti interessati da liquidazioni è coinvolto in procedure da meno di cinque anni e l’età media del processo di liquidazione, ponderata per l’importo in base ad alcune ipotesi semplificatrici, era pari nel 2014 a 3,5 anni. Nel caso di fallimenti, l’età media è 3,8 anni mentre per i concordati e le procedure esecutive 2,9 e 3,3 anni, rispettivamente.

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Tavola 2 – Metodi di valorizzazione delle sofferenze: principali differenze tra banche e investitori

Valorizzazioni delle sofferenze

Banca Banca con costi indiretti Investitore IRR 15% Investitore IRR 25% Ipotesi (1) (2) (3) (4)

Valore Lordo della Sofferenza (GBV)

100 100 100 100

Valore atteso degli incassi a scadenza ( per realizzo garanzia e altro) 47 47 47 47 Tempo residuo sino alla riscossione del flusso di cassa (anni ) 4 4 4 4 Costo medio ponderato del passivo (IRR dell’

investitore)

non rilevante non rilevante 15% 25%

Costi indiretti 0% 6% 6% 6%

Tasso medio di sconto del flusso di

cassa 4% 4% 15% 25% Risultati Flusso di cassa scontato 40,2 40,2 26,9 19,3 Costi indiretti 0 2,8 2,8 2,8 Valore contabile (NBV per la banca); prezzo (per

l’investitore)

40,2 37,4 24,1 16,4

Perdita attesa sulla posizione di

copertura

59,8 62,6 - -

Vediamo ora il punto di vista degli investitori di mercato. Costoro hanno una prospettiva economica diversa da quella delle banche, e ricorrono a differenti metodologie di stima del valore delle sofferenze. Essi infatti:

- deducono dal prezzo offerto tutti i costi indiretti di gestione, cioè oneri amministrativi e commissioni da corrispondere al servicer prescelto, che dovranno

sopportare durante i quattro anni necessari al recupero dei flussi di cassa 28 e mirano

28 Come già detto prima, le banche sostengono e contabilizzano invece questi costi annualmente sino alla chiusura della

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27

a ottenere un rendimento (internal rate of return, IRR) molto più elevato del tasso di attualizzazione usato dalle banche ai fini contabili. L’elevato IRR è dovuto a numerosi fattori. In primo luogo, la struttura del passivo che è rappresentata esclusivamente o quasi da capitale di rischio. In secondo luogo, anche a parità di valutazione dei flussi di cassa attesi, gli investitori sono avversi al rischio e richiedono un premio tanto più ampio quanto maggiore è la dispersione dei recuperi possibili attorno al valore medio. In terzo luogo, il rendimento atteso richiesto dagli investitori tiene conto anche delle commissioni di performance applicate dai gestori dei fondi, il cui importo può arrivare al 20% degli utili netti. Possono, infine, esistere genuine differenze di valutazione dei flussi di cassa futuri, dovute alle asimmetrie informative presenti sul mercato del credito.

Questi due fattori hanno effetti determinanti sui prezzi :

- Effetto dei costi indiretti di gestione : non esistono a nostra conoscenza statistiche pubbliche affidabili sui costi indiretti di gestione delle sofferenze. Evidenze aneddotiche indicano che tali costi possano incidere per un ammontare pari al 6% dei flussi di cassa nominali attesi.

La tav. 2, riporta la valutazione di una banca che, contravvenendo ai principi contabili, includesse anche questi costi, mantenendo invariate le altre determinanti illustrate. Il valore attuale della sofferenza in questo caso sarebbe pari al 37% del GBV, circa 3 punti percentuali inferiore. Sarebbe di conseguenza necessario un pari aumento delle rettifiche.

- Effetto del tasso di rendimento : sulla base dell’evidenza disponibile, anche in questo caso aneddotica, nella simulazione si è ipotizzato che l’IRR richiesto dagli investitori per l’acquisto delle sofferenze sia compreso tra il 15% e il 25%.

I risultati riportati della tav. 2, evidenziano che l’effetto sulla valorizzazione delle sofferenze è particolarmente significativo, variando tra 13 e 21 punti percentuali del GBV, a seconda

dell’IRR considerato 29.

29 Nell’intervallo considerato (15-25%) l’effetto dell’IRR sul prezzo di offerta è approssimativamente lineare. Ad

esempio, con un IRR del 20% la valutazione è pari al 19,8% del GBV, a fronte del 16,4% e del 24,1% riportati in tavola 2 in corrispondenza, rispettivamente, di IRR del 25% e del 15%.

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28

- Effetto complessivo : nel complesso, tenendo conto di entrambi i fattori (costi indiretti e IRR), il diverso approccio seguito dagli investitori giustificherebbe una dimensione del differenziale di prezzo rispetto al NBV che può variare da 16 a oltre 24 punti percentuali del GBV, cui corrisponde un prezzo di acquisto da parte dell’investitore compreso tra il 24,1% e il 16,4% del GBV.

Queste evidenze suggeriscono che le principali ragioni alla base del differenziale di prezzo nel mercato delle sofferenze siano riconducibili ai diversi criteri di stima impiegati a fini di bilancio rispetto a quelli utilizzati dagli investitori per la determinazione dei prezzi di acquisto, piuttosto che alla presenza di livelli di copertura inadeguati.

1.7 Influenza dei tempi di recupero sul prezzo o sullo stock delle sofferenze

Si è visto che la valorizzazione di una posizione in sofferenza può essere profondamente diversa in funzione del tempo di recupero, sia in termini di valore contabile che soprattutto di prezzo di mercato. Su tale tempo incidono vari fattori, tra cui l’efficacia delle procedure interne della banca e l’efficienza delle norme e dell’ordinamento giudiziario di un determinato Paese. A causa di quest’ultimo fattore, la valorizzazione può cambiare in modo rilevante anche all’interno dello stesso Paese, in funzione della rapidità con cui i diversi tribunali riescono a smaltire le procedure di recupero.

La tavola 3 riporta un’analisi di sensitività del valore della sofferenza rispetto all’orizzonte temporale di recupero dei flussi di cassa. In particolare, sono stati riportati i prezzi a cui gli investitori sarebbero disposti ad acquistare la sofferenza in funzione di diversi tempi di recupero, ipotizzando un IRR obiettivo del 20%. L’accorciamento anche di un solo anno dei tempi di recupero, da 4 a 3 anni, accrescerebbe il prezzo di 4,6 punti percentuali del GBV.

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29

Tav.3 –prezzo delle sofferenze: sensitività rispetto ai tempi di recupero (in percentuale del GBV)

Tempo di recupero (anni) Prezzo

1 36,3 2 29,8 3 24,4 4 19,8 5 16,1 6 12,9

I tempi di recupero influiscono non solo sulla valorizzazione delle sofferenze e più in generale degli NPL, ma anche sulle consistenze in bilancio. In particolare, quanto più lungo è tale tempo, tanto più alto è il rapporto di equilibrio tra sofferenze e impieghi.

Le variazioni del rapporto tra la consistenza delle sofferenze e gli impieghi delle banche sono determinate dagli andamenti di tre componenti tra loro indipendenti:

- il flusso di nuove sofferenze sullo stock di prestiti in bonis; - il tasso di crescita dei prestiti;

- il tasso di estinzione delle sofferenze, ossia le sofferenze in uscita in percentuale di

quelle complessive 30.

Attraverso un semplice modello analitico è possibile ricavare la relazione che esprime il valore di equilibrio del rapporto tra sofferenze e impieghi, S/A , in funzione delle sue componenti, richiamate sopra:

S /A = δ / (δ + g + w)

30 Il tasso di estinzione delle sofferenze è inoltre legato, dal punto di vista contabile e fiscale, all’individuazione di

elementi certi e precisi richiesti ai fini della cancellazione dal bilancio e della deducibilità per intero delle perdite su crediti.

(30)

30

dove δ è il tasso di ingresso in sofferenza, g è il tasso di crescita annuale dei prestiti e w è il tasso di estinzione delle sofferenze 31.

Questa relazione indica che quanto più lungo è il tempo necessario per estinguere una sofferenza, approssimabile dal rapporto 1/w, tanto più alto è il rapporto tra sofferenze e impieghi di equilibrio.

Recenti stime evidenziano che due sistemi bancari caratterizzati dallo stesso tasso di crescita degli impieghi e dallo stesso tasso d’ingresso in sofferenza, ipotizzati pari al 5% e 2% rispettivamente, ma con differenti tempi di recupero delle sofferenze, 2 e 5 anni rispettivamente, in equilibrio presenterebbero un’incidenza delle sofferenze pari,

rispettivamente, al 3,5% e 7,4% del totale dei crediti 32.

1.8 La qualità del credito e le misure sulle procedure di recupero crediti

La ripresa dell’economia si riflette sull’andamento della qualità del credito. Nel 2015 si è fortemente ridotto il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto al totale dei crediti: in media d’anno è sceso dal 4,8 % del 2014 al 3,7 % , riportandosi sui livelli osservati nella seconda metà del 2008. Il tasso di ingresso in sofferenza è rimasto stabile rispetto all’anno precedente: 2,6 % in media d’anno; i flussi di nuove sofferenze continuano a essere alimentati dal passaggio a questa categoria di prestiti già classificati come deteriorati.

Nel primo trimestre 2016 i nuovi crediti deteriorati, su base annua e al netto dei fattori stagionali, hanno ulteriormente rallentato, al 2,9 %. Nel corso del 2015 lo stock di crediti deteriorati si è stabilizzato: al lordo delle rettifiche di valore alla fine dell’anno ammontava a circa 360 miliardi (il 18,1 % dei prestiti alla clientela), di cui circa 210 miliardi in sofferenza; al netto delle rettifiche di valore gli importi in bilancio erano rispettivamente

31 Ipotizzando che il rapporto tra sofferenze e impieghi sia costante, la relazione può essere ricavata dal modello

semplificato costituito dalle seguenti quattro relazioni: At = (1+ g )At– 1 ; Dt = δ (At– 1– St– 1 ) ; Wt =w. St– 1 ; St = St– 1+Dt –Wt, dove St denota la consistenza delle sofferenze, At quella dei prestiti al lordo delle sofferenze, Dt il flusso di nuove sofferenze nel periodo e Wt il flusso di uscita delle sofferenze.

32 Cfr. il riquadro: La relazione tra i tempi di recupero dei crediti e la consistenza delle sofferenze registrate in bilancio

(31)

31

pari a 197 e 87 miliardi. L’incidenza dei crediti deteriorati lordi dei principali gruppi bancari

italiani era del 16,8 % contro una media europea del 5,8 % 33.

Il 78,7 % dei crediti deteriorati lordi era verso imprese. Per questi crediti, le garanzie reali

erano pari al 47,8 per cento delle esposizioni deteriorate lorde 34. La quota di garanzie reali

era più elevata per i crediti verso le famiglie : ammontava al 66,8 % 35.

Negli ultimi tre anni le svalutazioni effettuate dalle banche hanno comportato un aumento

di circa 8 punti percentuali del tasso di copertura dei crediti deteriorati 36 , che alla fine del

2015 era pari al 45,4 % , un valore in linea con quello medio delle principali banche europee. Per gli intermediari minori il tasso di copertura è salito di oltre 15 punti, al 40,9 %. Il divario rispetto alla media del sistema bancario è in gran parte attribuibile alla più elevata quota di crediti deteriorati assistiti da garanzie reali o personali, 79,2 % rispetto al 67,0 % , e al minore peso delle sofferenze nei crediti deteriorati. Il rapporto tra i crediti deteriorati lordi e la somma delle rettifiche sui crediti e del capitale di migliore qualità (Texas ratio), benché elevato nel confronto internazionale, è soltanto di poco superiore al 100 % .

Le misure adottate nel 2015 e nella primavera del 2016 per accorciare i tempi di recupero dei crediti avranno effetti positivi sulle valutazioni di mercato dei prestiti deteriorati, favorendone la cessione.

Una delle ragioni del mancato sviluppo in Italia di un mercato secondario dei prestiti deteriorati è il permanere di una differenza significativa tra il valore di bilancio di tali attivi e i prezzi offerti dagli investitori; su questa differenza influisce in misura rilevante la lunghezza delle procedure di recupero, elevata nel confronto internazionale. All’inizio di maggio il Governo ha varato un provvedimento, DL 59/2016, contenente misure per ridurre i tempi di recupero dei crediti 37 che rafforzeranno gli effetti degli interventi legislativi

33 Nel confronto internazionale l’indicatore include anche le esposizioni verso banche centrali e banche (cfr. EBA, Risk

Dashboard. Data as of Q4 2015, 2016).

34 I dati sono tratti dai bilanci non consolidati, che non includono i prestiti erogati dalle società finanziarie appartenenti

a gruppi bancari e dalle controllate estere. L’importo delle garanzie inoltre non corrisponde necessariamente al valore della garanzia stessa, bensì all’ammontare del credito coperto da una garanzia reale: ad esempio, nel caso di un credito assistito da una garanzia il cui valore è superiore al credito, l’importo segnalato è pari a quello del credito stesso.

35 cfr. Rapporto sulla stabilità finanziaria, 1, 2016.

36 Si fa riferimento al rapporto tra le rettifiche di valore e l’ammontare lordo dei crediti deteriorati.

37 cfr.: La regolamentazione dell’attività di impresa e il contesto istituzionale, il capitolo 12, Relazione Annuale 2015,

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