• Non ci sono risultati.

Danno biologico da morte: Iure hereditatis o iure proprio?

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Danno biologico da morte: Iure hereditatis o iure proprio?"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

Danno biologico da morte:

Iure hereditatis o iure proprio?

di

Giovambattista Petti*

Premessa

L'espressione "danno biologico da morte" (cd. danno tanatologico) indica in realtà diverse situazioni giuridiche, riferibili direttamente al danneggiato o alle cd "vittime secondarie", i suoi parenti o congiunti.

La prima situazione è quella propria del danno tanatologico diretto: un soggetto perde la vita per fatto ingiusto altrui; il problema concerne la risarcibilità del danno (= perdita della vita) come danno biologico e la sua trasmissibilità iure hereditatis. Situazione che può distinguersi in due sotto ipotesi: perdita istantanea della vita, ovvero lesioni (o malattia) con esito mortale. Fattore determinante: la condotta lesiva altrui.

La seconda situazione è quella della menomazione psicofisica del congiunto, o del terzo, come conseguenza causale della morte del congiunto o dell'amico.

L'evento morte produce un ulteriore evento che danneggia la salute del sopravvissuto, questi agisce iure proprio per il ristoro integrale del danno personale.

Può dunque darsi che il terzo (parente, congiunto, convivente o amico) abbia una doppia legittimazione: iure hereditatis per il diritto di risarcimento trasmessogli dal defunto ed iure proprio per il danno biologico personale risentito.

Non tratto la problematica che concerne il danno morale e il danno patrimoniale conseguenti alla morte e la loro trasmissibilità iure hereditatis, con la possibile concorrenza di una azione iure proprio.

La problematica considerata in questo paragrafo è dunque limitata al danno biologico da morte.

a) Danno biologico da morte: iure hereditatis, teoria positiva, negativa, compromissoria 1) La teoria positiva: in dottrina gli autori che sostengono tale tesi sono il Giannini (Il danno alla persona come danno biologico, Milano 1986, 125; Il risarcimento del danno alla persona nella giurisprudenza, Milano 1991, 99; Lesioni mortali, danno biologico e danno psichico, in Corr. Giur., 1994, 15; La questione del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, finalmente al vaglio della Corte Costituzionale, in Resp. civ. prev., 1994, 133; E' risarcibile iure proprio il danno biologico a causa di morte?, in Corr. giur., 1994, fasc. 12, p. 1455) e Rebuffat (Il risarcimento del danno ingiusto tanatologico, Roma 1996, Atti seminario Cassazione, gennaio 1996).

Il primo autore distingue tra diritto leso, di natura personale, non trasmissibile, e diritto di credito per la lesione subita (a contenuto pecuniario, trasmissibile sia per atto tra vivi che per successione).

Se il danno biologico è per definizione un danno/evento (condividendosi la ricostruzione data da Corte Cost. 1986, n. 184) il diritto al risarcimento sorge nel momento stesso in cui si verifica la lesione, e la morte non è altro che la menomazione totale della salute.

Il Giannini muove dunque dalla concezione della morte come fatto estintivo della salute, come menomazione massima, imputabile ad una condotta lesiva e quindi ad un illecito rientrante nella formula di tutela (32 Cost. + 2043 c.c. = risarcimento del danno biologico da morte).

Queste tesi sono state criticate da chi (v. Busnelli, Figure controverse di danno alla persona, nella recente evoluzione giurisprudenziale, in Res. civ. prev., 1990, n. 469; Ciacci, Brevi note, in Giust.

* Magistrato III Sezione Civile, Corte di Cassazione, Roma

(2)

civ., 1995, I, 3081) nega la configurazione del danno biologico come danno/lesione o danno/evento, ed osserva che il danno civilistico consiste nel pregiudizio arrecato dalla lesione.

Poiché il pregiudizio coincide con la morte, il danno "biologico" non sarebbe comunque risarcibile.

Altra dottrina (Comandè, Danno da uccisione, spunti, in Resp. civ. prev., 1993, 355) considera la rilevanza di tale danno non come danno alla salute ma come danno non patrimoniale o morale.

Il secondo autore, Rebuffat (Op. cit.) osserva che il problema è di qualificazione giuridica, dovendosi appurare se il fatto letale (fattispecie concreta) si collochi in una ipotesi normativa, costitutiva di una obbligazione risarcitoria verso chi lo subisce.

La tesi è che il danno tanatologico rientra nella fattispecie dell'art. 2043 c. c., la quale non prevede nella sua struttura la inserzione di un "fattore temporale".

Poiché la vita è il profilo economico di un diritto soggettivo assoluto (qui l'autore cita il Nicolò, Istituzioni di diritto privato, Milano 1962) dalla lesione di tale diritto deriva appunto l'ingiustizia del danno di cui allo art. 2043 e la contestuale obbligazione di risarcimento.

Il fatto del terzo elimina, nel solo senso di "conversione morfologica" il diritto altrui di vita, perché ipso iure trasforma in obbligatorio il rapporto giuridico, già "assoluto" tra l'agente e la vittima.

Coerentemente a tali premesse l'autore ammette la trasmissibilità iure hereditatis del danno ingiusto tanatologico (inteso come figura autonoma rispetto al danno alla salute) rilevando che, perché sia risarcibile, la perdita non dev'essere necessariamente patrimoniale e tanto meno pecuniaria.

Quanto infine ai criteri di liquidazione di tale "nuova" figura, l'autore li rinviene in un prudente apprezzamento equitativo.

Osservo che il nodo non risolto da questa suggestiva ricostruzione è quello della estinzione della capacità giuridica per effetto della morte (cfr. V. Sgroi, voce "Morte", in Edd, vol. XXVI, Milano, 1977, p. 104); nodo che il Rebuffat supera osservando che "l'esistenza del soggetto non è essenziale per la esistenza della situazione giuridica soggettiva", sicché è possibile, nella logica giuridica, che la situazione soggettiva si trasformi nel e col morire fisico del soggetto. E, come argomenti persuasivi, indica situazioni giuridiche in cui il "defunto" continua a "sopravvivere" nel mondo giuridico.

Così il defunto può continuare a vivere come parte processuale (art. 300, I° e 2° comma c. p. c.);

l'imprenditore defunto può fallire; il mutilato, l'invalido civile e il sordomuto defunti possono avere ancora diritto a pensione (da trasmettere per il quanfum conseguito agli eredi); il lavoro del defunto è apprezzabile fiscalmente; il defunto ha diritto alla tutela del suo onore, ecc.

L'autore citato condivide in particolare la tesi del Perfingieri secondo cui non è indispensabile rifarsi alla nozione di soggetto per individuare il nucleo di un rapporto giuridico. Quello che è sempre presente nel rapporto è la relazione tra interessi meritevoli di tutela.

Nella giurisprudenza di merito la tesi è sostenuta dalle corti romane: Corte di appello di Roma, 4 giugno 1992, in Resp. civ., 1992, 597; Trib. Roma, 24 maggio 1988, in Foro it., 1989, 1, 892.

In conclusione le tesi della trasmissione del diritto risarcitorio iure hereditatis presuppongono:

• che il credito risarcitorio sia sorto contestualmente al perfezionarsi del fatto illecito (condotta lesiva da cui deriva la morte);

• che l'evento morte sia lesivo del bene salute (così rientrando nella nozione massima di danno biologico). La totale soppressione della salute fa istantaneamente sorgere, per il leso, il credito risarcitorio che forma o concorre a formare l'asse che, iure hereditario, diviene trasmissibile agli aventi diritto. (Trib. Roma, sentenza 28 maggio 1988, n. 135, ritenuta un leading case per la forza argomentativa);

• che il danno tanatologico (Rebuffat) pur distinguendosi dal danno biologico, sia comunque un danno/evento;

• che la natura del diritto risarcitorio sia quella propria di un diritto di credito, a contenuto patrimoniale (posto che la norma di riferimento è l'art. 2043 c. c.) ovvero di interesse o di utilità meritevoli di tutela (Rebuffat).

(3)

Ovviamente queste tesi non considerano un dato costituzionale rilevante: e cioè che la sede del diritto soggettivo della salute è nell'art. 32 della Costituzione, mentre la sede del diritto alla vita è altrove, e precisamente negli artt. 2, 3, 27 capoverso. Nell'art. 2, perché la vita è un diritto inviolabile dell'uomo (ma lo è anche la salute), nell'art. 3, perché l'individuo è persona, con pari dignità sociale (nella duplice valenza formale e sostanziale); nell'art. 27 capoverso che divieta la pena di morte, come sanzione massima per un delitto (salvo il caso di guerra in atto) (cfr. Cass., sez. III civ., ud. 10 maggio 1996, ric. eredi Milia).

Se i beni giuridici, vita e salute, sono configurati come giuridicamente diversi (cfr. esplicitamente in Corte Cost. 1994, n. 372, in parte motiva) viene a cadere uno dei presupposti (la identificazione tra danno biologico e lesione dell'integrità fisica con esito letale), ma tale puntualizzazione lascia intatta la riconducibilità della lesione sotto l'ambito dell'art. 2043 c. c. sempre che il "chiunque" abbia la capacità giuridica di acquisire, istantaneamente, il diritto al risarcimento.

(Ma contra Corte Costituzionale sopracitata, che si riporta al precedente delle SU civili del 1925, dove si affermava che: "un diritto di risarcimento può sorgere in capo alla persona deceduta limitatamente ai danni verificatisi dal momento della lesione a quello della morte, e quindi non sorge nel caso di morte immediata, la quale impedisce che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita").

2) La teoria negativa: la teoria negativa appare dominante in dottrina ed in giurisprudenza, e si fonda sull'argomento della distinzione tra i beni lesi (argomento costituzionale) e su quello del carattere personalissimo del diritto alla vita, insuscettibile di sostituzione con un diverso "bene" (cfr.

Trib. Roma, Il dicembre 1989, in Temi romana, 1990, 171) e quindi di trasmissione ad altro soggetto per successione (conf. Bianca, che insiste sulla natura non patrimoniale del danno biologico e della intrasmissibilità per via ereditaria della pretesa risarcitoria, pur non affrontando il tema in esame. Ma a fortiori la lesione del bene "vita" ha una valenza che attiene all'interezza del "valore uomo").

La perdita della vita, immediatamente conseguente alle lesioni riportate dal soggetto deceduto, impedisce il sorgere, in capo al danneggiato/defunto il diritto al risarcimento del danno alla salute, per la ragione che l'evento morte fa venire meno la soggettività giuridica della persona e quindi la sua capacità di divenire titolare di un diritto.

(Replica il Rebuffat: quello che conta è che dal fatto/lesivo derivi il credito risarcitorio, che sorge istantaneamente proprio perché nella struttura dell'art. 2043 c. c. non è previsto un ulteriore elemento temporale, distinguendo così tra lesione e successivo evento mortale). La dottrina che contesta la ricostruzione del danno biologico come danno/evento, trova buoni argomenti nell'ultimo arresto della Consulta (cfr. sentenza 372/1994, amplius infra) che sembra ripudiare tale costruzione, ed afferma che la configurazione di un danno biologico da morte iure hereditario è, sul piano della logica giuridica, un'aporia, che configura un danno impossibile o inesistente (cfr. Navarretta, "Danno da morte e danno alla salute", in La valutazione del danno alla salute, op. cit., p. 247).

In conclusione la teoria negativa, che esclude la trasmissione del diritto risarcitorio derivante dal danno ingiusto tanatologico a terzi, iure hereditatis, poggia sui seguenti presupposti:

• natura personalissima del diritto alla vita, insuscettibile di sostituzione con altro bene;

• esclusione che dalla lesione possa derivare un diritto di credito trasmissibile;

• esclusione di trasmissibilità ad altro soggetto per successione.

Diversa è la questione del pregiudizio maturato durante il periodo di sopravvivenza; qui si verifica un danno biologico seguito dall'evento morte.

La soluzione è stata chiaramente data dalla Cassazione (III sezione civile, sentenza 6 ottobre 1994, n. 8177) la quale precisa: nell'ipotesi di lesioni personali seguite, dopo apprezzabile lasso di tempo, dalla morte ad esse conseguente, debbono essere distinti i danni subiti dal soggetto passivo delle lesioni, cui compete il risarcimento del danno iure proprio trasmissibile agli eredi iure here- ditatis ed i danni subiti, per effetto del decesso, dai congiunti (o dagli altri soggetti che, essendo legati alla vittima, possono far valere una aspettativa riparatrice), cui compete il diritto al

(4)

risarcimento del danno iure proprio, a nulla rilevando che il reato di lesioni colpose non sia stato perseguito perché assorbito nel più grave reato di omicidio colposo, dato che il criterio penalistico dell'assorbimento non può essere applicato al campo civilistico.

3) La teoria compromissoria: è appunto quella che ha riguardo al periodo compreso tra l'evento lesivo ed il decesso. In base a questa tesi si ha la risarcibilità del danno biologico allorché la vittima resti viva per un tempo apprezzabile.

La tesi è condivisa in dottrina da chi (Alpa, "Vecchi e nuovi problemi concernenti il danno biologico", in Giust. civ., 1993, 1, 2107; Berti, "Il danno biologico da morte e da lesione mortale", in Riv. giur. circ. strad., 1992, pp. 54 e 312) considera il perfezionamento dell'illecito ed il concretarsi di un evento lesivo della salute; con la precisazione che, ai fini della liquidazione in via equitativa, l'entità del danno è da commisurarsi all'ambito temporale intercorso tra la lesione e la morte (tesi riduttiva). In questo senso il danno risarcito è un danno biologico ante mortem, di natura temporanea.

Tale criterio equitativo è stato criticato (da Giannini, Op. Ult. Cit., p. 136) sul rilievo che, trattandosi di lesioni certamente gravissime (ad esito mortale) appare ingiustificato l'applicazione di un criterio meramente temporale.

La teoria compromissoria ha un forte sostegno nella giurisprudenza della Cassazione (Cass., 6 ottobre 1994, n. 8177, cit.; Cass., 27 dicembre 1994, n. Il 169; Cass., 2 marzo 1995, n. 2450, che considera il caso di una persona offesa che deceda al momento della liquidazione dell'invalidità permanente, ma per causa non collegabile con la menomazione risentita; Cass., 29 settembre 1995, n.

10271; Cass., 12 ottobre 1995, n. 10628; Cass., 28 novembre 1995, n. 12229; Cass., sez. 111, 10 maggio 1996, ric. Milia, inedita).

Noto che la Cassazione, nelle decisioni sopracitate, considera la trasmissibilità del cd. danno biologico, considerato come tertium genus, danno personale da lesione della salute, conseguito iure proprio dalla vittima e trasferito iure hereditatis ai suoi eredi.

Resta così superato quell'indirizzo (dottrinale e giurisprudenziale) che considerava intrasmissibile iure hereditatis, tale credito risarcitorio perché conseguente alla lesione del diritto personalissimo alla salute.

Conseguenza di tale apertura è che risultano legittimati ad agire anche i parenti lontani della vittima, che concorrono alla chiamata ereditaria, e persino lo Stato, in assenza di parenti entro il sesto grado.

I contrasti nella giurisprudenza di merito dovranno ritenersi superati dal consolidarsi dell'indirizzo della Cassazione sopraprecisato.

Restano però da definirsi con maggiore approfondimento i criteri risarcitori, proprio in relazione alla valutazione della gravità del danno biologico, in sé considerato, pur nella valutazione dell'elemento temporale.

Dovrà dunque ritenersi illogico e quindi illegittimo un criterio di valutazione a punto considerato alla stregua di una inabilità temporanea.

Quanto alle resistenze dottrinali circa la contraddittorietà della trasmissione del credito risarcitorio derivante dalla lesione della salute, deve considerarsi (come argomento rafforzativo, in vista di una riforma comunitaria) che le recenti riforme in paesi comunitari, quali Francia, Germania, Scozia, espressamente prevedono tale tramissibilità.

Ove poi si segua la formula costituzionale (32 Cost. + 2043 c.c. = risarcimento del danno biologico) e la costruzione unitaria della categoria di danno, risulterebbe irragionevole un esonero della responsabilità del danneggiante per la mera circostanza causale del decesso della vittima.

Peggio ancora, se tale circostanza nefasta fosse addirittura occasionale.

Condivido l'opinione del Rebuffat allorché esclude che l'esercizio dell'azione risarcitoria sia elemento costituivo del diritto al risarcimento del danno ingiusto, e che dunque il diritto sia trasmissibile allorché il defunto lo abbia esercitato sotto forma di azione giudiziaria (cfr. Cass., 6 gennaio 1983, n. 75). Infatti l'azione o la sentenza che accolgono la pretesa risarcitoria non sono

(5)

costitutive. Il fatto costitutivo è la causa petendi, nella azione, e ratio decidendi nella sentenza, che condanna per averlo accertato.

b) Iure proprio

Ad evitare confusioni, occorre precisare la situazione di riferimento.

Alcuni soggetti (terzi, o vittime secondarie) assumono di avere diritto al risarcimento di un proprio danno biologico, conseguente alla morte del congiunto. E' dunque impropria la locuzione di danno biologico "da morte", essendo preferibile la precisazione di danno biologico conseguente alla morte del congiunto (o del carissimo amico).

La giurisprudenza di merito (in primis il Tribunale di Milano) ha riconosciuto la risarcibilità di tale danno, sia come lesione della integrità psicofisica (accertata medicalmente), sia come danno alla vita di relazione o alla serenità familiare, nell'ambito di una applicazione analogica o diretta dell'art. 2043 c. c.

La dottrina (cfr. Ponzarelli, "Il danno alla salute chiama ancora la Corte Costituzionale", in Corr.

giur., 1994, 103) si è osservato che il danno che i congiunti reclamano per la perdita del loro caro è essenzialmente il danno psichico o psicologico (e si richiama a fortiori l'esperienza comparativa, specie quella francese ed angloamericana). Nasce allora l'esigenza di una netta distinzione tra danno psicologico (biologico) e danno morale, onde evitare le cd. duplicazioni.

Esaminando la figura e la risarcibilità del danno morale ho posto in evidenza che non vi è possibilità di duplicazione, per le chiare note distintive ed i diversi criteri di ristoro.

Alcune corti di merito, nel riconoscere ai congiunti tale danno, iure proprio, lo hanno ancorato, anziché alla salute, alla lesione del rapporto familiare, costituzionalmente garantito (cfr. artt. 29, I°

comma; 30, I° comma; 31, I° e 2° comma Cost.; e, in dottrina, aderisce a tale impostazione, Fabbri,

"Morte del figlio e risarcimento del danno biologico", in Corr. giur., 1994, 138). La stessa Corte Costituzionale (sentenza, 21 aprile 1993, n. 174) ha ribadito che il figlio va tutelato anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità.

E' stato acutamente osservato che il danno non sta nel fatto di non avere più il marito, il padre o il figlio, ma nel fatto del terzo, che ha impedito alla persona di essere padre o madre o figlio.

La morte ingiusta del familiare, oltre che turbamento della serenità domestica o della vita coniugale, è la ineliminabile lesione dei diritti che si esplicano nell'ambito della famiglia.

Occorre allora approfondire ulteriormente quali sono le conseguenze di questa lesione dei diritti familiari, e se la tutela possa essere realizzata adottando la clausola generale dell'art. 2043 ovvero la norma dell'art. 2059 c. c.

Parte della dottrina (Comandè', "Danno da uccisione", op. cit., p. 360; Montaneri, "Danno biologico da uccisione o lesione della serenità familiare", in Resp. civ. prev., 1989, 1182) propende per una interpretazione estensiva dell'art. 2059, proprio per evitare la esclusione del danno psicologico non patologico; parte della dottrina ritiene invece che la norma deputata sia l'art. 2043, atteso che la figura del danno biologico è unitaria e include la lesione della integrità psichica. La Corte Costituzionale con l'arresto del 1994 (v. infra sub par. 21.d) ha proposto una soluzione.

c) Evoluzione della giurisprudenza della Cassazione

La ricognizione della giurisprudenza della Cassazione dell'ultimo trentennio consente di verificare la linea evolutiva sino al momento in cui appare la configurazione del danno biologico (1981).

Successivamente a tale momento, le voci di danno trasmissibili aumenteranno a tre (danno patrimoniale, danno morale e danno biologico), prima di tale momento la discussione verteva sulla trasmissibilità del danno patrimoniale e del danno morale.

Per il periodo antecedente al riconoscimento del danno biologico segnalo le seguenti massime:

(6)

1) il risarcimento dei danni ai parenti della vittima è configurato in modo diverso a seconda che si tratti di morte istantanea o di morte dopo un certo intervallo di tempo; se la morte è istantanea, il risarcimento (patrimoniale e morale) compete iure proprio; se la morte avviene dopo un lasso di tempo, vi può essere un concorso di azioni risarcitorie, iure proprio (per i danni conseguenti alla morte) e iure hereditatis per i danni verificatisi prima della morte (cfr. in tal senso: Cass., sezione 111, 28 febbraio 1964, n. 462; Cass., 26 febbraio 1986, n. 594; Cass., 15 settembre 1970, n. 1433;

Cass., 23 maggio 1975, n. 2063; Cass., 5 gennaio 1979, n. 31);

2) successivamente alla sentenza 6 giugno 1981, n. 3675, che configura la risarcibilità del danno biologico come danno alla salute, sorge il problema che abbiamo esaminato nei paragrafi antecedenti.

Resta sempre fondamentale la distinzione tra morte istantanea e morte derivata da lesioni. Nel primo caso (danno tanatologico) la Cassazione esclude la trasmissibilità iure hereditatis; nel secondo caso la ammette.

La III sezione civile, nella sentenza 6 gennaio 1983, n. 75 conferma sostanzialmente il principio affermato nel 1964: nell'ipotesi di persona deceduta a causa di un preteso fatto illecito altrui, i prossimi congiunti possono chiedere il risarcimento dei danni agendo iure proprio per ottenere la riparazione dell'offesa arrecata al loro patrimonio materiale o morale, restando in tal caso irrilevante la loro qualità di eredi; ovvero iure hereditario, cioè facendo valere tale qualità e nei limiti della relativa quota, onde ottenere la riparazione dei danni sofferti in vita dal defunto e così far valere il diritto al risarcimento già entrato a far parte del patrimonio di quest'ultimo, restando affidata all'apprezzamento del giudice del merito la identificazione concreta dell'una o dell'altra ipotesi, o del cumulo di entrambi, con riferimento a tutto il comportamento processuale delle parti e non soltanto alla mera prospettazione letterale della pretesa.

La massima evidenzia una situazione di incertezza difensiva, poiché le stesse parti richiedenti il risarcimento non avevano precisato la causa potei, sicché i giudici del merito erano stati costretti alla interpretazione ed alla qualificazione della domanda.

La III sezione civile, nella sentenza I luglio 1994, n. 8177 (annotata) esamina l'ipotesi di lesioni personali, seguite dopo apprezzabile lasso di tempo, dalla morte ad essa conseguente; e distingue tra i danni subiti dai congiunti iure proprio e quelli che potranno far valere iure hereditatis e cioè riferiti ai danni subiti in vita dal defunto per effetto delle lesioni colpose.

La III sezione civile, nella sentenza 27 dicembre 1994, n. 11169, affronta esplicitamente il problema della trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico, che entra a far parte del patrimonio della vittima nello stesso momento della lesione, e quindi, nel caso di decesso (anche non dipendente dalle lesioni) si trasmette agli eredi secondo le regole comuni delle successioni mortis causa.

Il rilievo della massima consiste nell'affermare per la prima volta la trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico (il quale, per essere danno alla persona, presentava un aspetto personalistico di intrasmissibilità). I commentatori hanno subito posto in evidenza come la massima presupponesse la qualificazione del danno biologico come danno patrimoniale. Ma tale asserzione non si desume dalla parte motivata.

La III sezione civile, nella sentenza 12 ottobre 1995, n. 10628 ribadisce la trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico (nel caso di morte intervallata); ma ha escluso la trasmissibilità nel caso di morte istantanea (cd. danno tanatologico) od a breve distanza di tempo dall'evento lesivo.

In tal caso spetta ai congiunti solo il risarcimento per i danni patrimoniali e per danni morali da reato.

Mi sono limitato a segnalare alcune delle decisioni più significative, per evidenziare che:

• resta ferma la distinzione tra danno da morte immediata (danno tanatologico) e danno biologico seguito da morte;

• che il danno biologico subito dal defunto, quando era in vita, per le lesioni subite da illecito, è acquisito nella sfera patrimoniale come un diritto di credito (la cui certezza è da verificare giudizialmente o negozialmente o transattivamente);

(7)

• che resta incerta la qualificazione della "natura" del danno, pur nella tendenza prevalente alla configurazione del tertium genus;

• che la formula di riferimento è essenzialmente rivolta all'art. 2043 c. c. e non all'art. 2059 c. c., anche dopo l'arresto della Corte Costituzionale del 1994. La Cassazione dimostra dunque una chiara preferenza all'orientamento della Consulta del 1986 (sentenza n. 184);

• che parimenti ferma è la distinzione tra lesione della vita e lesione della salute, come riferita a beni giuridici diversi (e in ciò si condivide la precisazione contenuta nella sentenza n. 372 del 1994).

d) Arresto costituzionale della sentenza 27 ottobre 1994, n. 372 (pres. Casavola, est.

Mengoni)

La Consulta nella decisione in esame respinge due eccezioni di incostituzionalità:

1) prima eccezione: concerne l'incostituzionalità dell'art. 2043 c.c. in relazione agli artt. 2, 3, 32 della Costituzione. I giudici remittenti affermano che la norma in questione, prevedendo la risarcibilità dei soli danni patrimoniali, non consente agli eredi del soggetto deceduto, per fatto illecito del terzo, di conseguire un risarcimento iure hereditatis (da morte istantanea). Risponde la Corte che la questione è infondata perché la tutela risarcitoria della salute è ammessa indipendentemente dalle perdite patrimoniali, ma che, nel caso di specie (morte immediata) non vi è danno biologico trasmissibile, essendo leso il diritto alla vita e non quello della salute.

Il pensiero della Corte è in linea con i precedenti (in particolare con la sentenza n. 184 del 1986) proprie della Cassazione;

2) seconda eccezione: concerne l'art. 2059 c.c. (norma speciale in bianco concernente il danno morale) sempre in relazione agli artt. 2, 3, 32 della Costituzione.

I giudici remittenti assumono l'incostituzionalità della normativa, perché non consente ai congiunti della vittima (e cioè alle vittime secondarie) una tutela iure proprio nei confronti del soggetto danneggiante.

Risponde la Corte che tale azione è invece proponibile ai sensi della norma invocata, perché, nella specie, il danno di cui si chiede il ristoro, è il momento terminale di un processo patogeno, originato dal medesimo turbamento psichico che sostanzia il danno morale.

Sottolineo il passaggio logico: il danno è originato (= causato) dal medesimo turbamento psichico (= medesimo fatto lesivo) che sostanzia il danno morale, ma se ne distingue perché determina un processo patogeno che menoma la salute psichica.

Dove il carattere distintivo è nella diversità del bene leso (la dignità morale o la salute) ma è considerata fenomenologicamente (naturaliter) in relazione alla comunanza del "dolore" (=

turbamento psichico).

Quindi la norma dell'art. 2059 c.c. viene ora (1994) intesa estensivamente, ed include (secondo la Consulta):

• il danno morale da reato;

• il danno psicologico del terzo, a causa di un turbamento psichico con esiti patogeni derivati dalla morte del congiunto, (è stato osservato che il limite della patologia sia un dato imprescindibile per l'accertamento dell'esistenza del danno; ma si è replicato, da parte di psichiatri e di psicoanalisti che non esiste la soglia dello stato patologico).

La risposta alla prima eccezione è dunque confermativa del pensiero della Consulta (in concordanza con la Cassazione); la seconda risposta è invece innovativa e provoca la disperazione della dottrina logico sistematica.

Rinviando alla lettura del testo integrale, sottolineo alcune puntualizzazioni per ciascuna delle risposte date.

Nel confermare la categoria unitaria del danno biologico diretto, come riconducibile sotto l'ambito dell'art. 2043, la Corte precisa:

(8)

a) che la tutela del danno biologico è data per la via dell'analogia iuris, in quanto vi è lacuna nel nostro ordinamento (e dunque la famosa dicotomia danno patrimoniale/non patrimoniale si rivela imperfetta, inidonea alla tutela). La Corte afferma che il diritto vivente (le sentenze della Cassazione del 1993 che indicano tale metodo analogico) avrebbe consolidato una tale linea inter- pretativa; ma la ricognizione delle decisioni successive (1993-1996) rende invece evidente che la Cassazione (e i giudici di merito) non rinvengono lacune nell'ordinamento, integrando la clausola generale di tutela (art. 2043 c.c.) con il precetto costituzionale (art. 32 Cost.);

b) la Consulta non rinnega la natura del danno biologico come danno/ evento (come invece mostra di intendere parte della dottrina) ma precisa che il danno risarcibile non si identifica con la lesione, ma con il pregiudizio conseguente alla lesione della integrità psicofisica. Corollario: la prova della lesione è la prova dell'an debeatur (esiste un danno biologico medicalmente accertato), la prova del quantum (del pregiudizio) è a carico del danneggiato. E' dunque erroneo parlare di danno presunto. Questa seconda puntualizzazione è in parte condivisa dalla Cassazione, la quale continua a preferire la costruzione dogmatica proposta dalla Consulta del 1986 (sentenza n. 184), ma poi considera insindacabile la motivazione dei giudici del merito circa la liquidazione (o la mancata liquidazione) del danno biologico, iuxta probata et alligata, e sindacabile la liquidazione apodittica che non tenga conto di tutte le circostanze dedotte e provate, al fine di una personalizzazione del risarcimento.

La risposta alla seconda eccezione ha una portata rivoluzionaria.

La Corte configura il danno biologico da morte del congiunto (morte immediata) come danno conseguenza da inserire nell'ambito dell'art. 2059 c. c. estensivamente inteso (con riferimento al precetto costituzionale della salute).

Tale danno, subito iure proprio dalla vittima secondaria (o terzo, rispetto all'evento morte) avrà come legittimato passivo il medesimo soggetto agente che ha provocato il danno primario (la morte).

Ma la responsabilità di tale soggetto non potrà che essere per colpa latu sensu intesa, proprio perché la Consulta non considera l'ipotesi di una responsabilità oggettiva (risarcibilità del danno del terzo sulla base di un nesso di causalità oggettivo).

Ed in vero la Consulta, nell'escludere, al caso di specie, l'applicabilità dell'art. 2043 c. c. precisa che tale norma concerne il danno biologico diretto imputabile ad una linea di condotta colposa e aggiunge che il danneggiante, nel suo agire, solitamente non prevede la plurioffensività della condotta e quindi la possibile offesa del terzo.

Affermazione fortemente criticata dalla dottrina, sul rilievo che si danno casi di colpa cosciente (l'autore sopporta il rischio dell'azione, pur ritenendo di non determinare un danno esteso e indiretto) o di dolo specifico (come è nella pratica della vendetta trasversale).

La decisione in esame ha provocato un vasto dibattito dottrinario, di cui ho già dato cenno nella parte teorica; qui mi preme sottolineare le critiche convergenti:

• l'interpretazione estensiva o analogica dell'art. 2059 c. e. introduce, accanto al danno morale, la distinta figura del danno psicologico del terzo (o della vittima secondaria) che ha invece i connotati del danno biologico psichico (ed è pur sempre danno diretto per chi lo subisce);

• questa costruzione rompe l'unità del danno biologico ed il suo schema categoriale unitario, riconducibile sub art. 2043 c. c.;

• la prospettiva estensiva costituisce una chiave di apertura della norma "in bianco" alla tutela di una serie indeterminata di "danni non patrimoniali" addirittura a carattere "derivato" rispetto al cd.

danno primario.

Più difficile è stabilire con esattezza la reazione della Cassazione.

Dall'esame dei precedenti degli ultimi anni (1995-1996) successivi alla decisione della Consulta, la Suprema Corte non si è occupata del caso specifico dei danni del terzo da morte immediata di un congiunto, con conseguente produzione di un danno biologico proprio della vittima secondaria. La Corte si è occupata del caso intermedio di morte ritardata, con conseguente trasmissibilità agli eredi

(9)

del danno biologico del de cuius (cfr. Cass., 12 ottobre 1995, n. 10268; Cass., 3 novembre 1995, n.

12229) dunque ancora presto per verificare se la Cassazione intenda seguire, sino in fondo, i suggerimenti della Consulta, nell'applicare estensivamente l'art. 2059 c. c., come una parte di giudici di merito ha prontamente recepito.

Quello che è certo è che la Cassazione ha sostanzialmente abbandonato la tesi dell'applicazione analogica (almeno a leggere le motivazioni delle sentenze sul tema per gli anni 1994-1996) e che si è mantenuta fedele alla costruzione dogmatica della formula di tutela del 1986.

Questo lascia intendere che, proprio in relazione alla tematica in esame, si affermi, nel diritto vivente, un'interpretazione diversa da quella proposta dalla Consulta, nell'ambito di una categoria unitaria, e dunque affidando al cd. terzo danneggiato l'onere di provare e il nesso eziologico e la imputabilità, ma nell'ambito di una applicazione diretta (e non analogica) delle norme sulla re- sponsabilità civile (il testo integrale della sentenza n. 372 del 1994, è riprodotto infra in Appendice).

e) Consequenziali questioni di costituzionalità

Applicando all'art. 2059 c. c. la stessa metodologia di lettura costituzionale proposta per l'art.

2043 si perviene alla ricostruzione di una dicotomia equilibrata del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, attraverso una revisione costituzionale del significato delle norme contenitori sulla base di precisi referenti di principi costituzionali e di diritti e interessi tutelati. Questa opera er- meneutica di revisione è solo preliminare ad una riforma organica della responsabilità civile, che dovrà tener conto delle direttive comunitarie (alla cui formazione l'Italia partecipa passivamente).

Nel frattempo la tutela dei privati danneggiati è affidata ad un sistema squilibrato, con parti forti e prevaricatrici, ed elevato costo della giustizia (sia in tempo perduto che in danari). Le sentenze della Consulta (tra il 1979 ed il 1994) dovrebbero avere assicurato una sorte di "intangibilità" del sistema dicotomico ancora "zoppo" ma integrato dalla tutela dei diritti soggettivi costituzionalmente protetti, e dunque è estremamente raro che una nuova questione di costituzionalità possa superare il "filtro"

del giudice, ordinario, il quale provvederà ad applicare la tutela risarcitoria adoperando la nota formula di tutela.

Più delicata è la questione relativa al risarcimento delle vittime secondarie le quali riceveranno essenzialmente un danno psicologico dall'evento primo; non potendosi però escludere in tesi che anche un danno all'integrità fisica sia configurabile come è nel caso di malattia o di alterazione di funzioni somatiche.

Inoltre ho dimostrato gli inconvenienti che produce l'adozione del metodo analogico, proprio perché finisce con l'escludere dalla responsabilità le ipotesi di responsabilità oggettiva, se è vero che il neminem laedere postula pur sempre un criterio di imputazione per colpa, come avviene quando si applica la formula dell'art. 2043 come clausola generale, senza tener conto del sistema vario di situazioni che il codice civile e leggi speciali prevedono (in materia di responsabilità oggettiva ricordo: la disciplina dell'attività mineraria; quella sui danni causati a persone o beni da aeromobili sulla superficie, quella sugli incidenti nucleari; la normativa da oggetti spaziali ad uno Stato terzo sulla superficie terrestre o su aeromobile in volo; quella sulla responsabilità del produttore; ed infine le norme degli artt. 1681 c. c., 2047, Io comma; 2048, 30 comma; 2050, 2051, 2052, 2054, nonché la legge sui danni da trasporto ferroviario).

Se tutte queste discipline prevedono criteri risarcitori o indennizzatori per il danno diretto e se opera il neminem laedere per il danno biologico (per analogia iuris) non si vede in che modo, per analogia legis possano estendersi ai danneggiati secondari le norme di tutela, onde per essi la tutela resterà esclusa, con un discrimine rilevante.

Da ultimo la recente Convenzione di Lugano (21 luglio 1993) sulla responsabilità per danni da attività pericolose all'ambiente, ripropone l'esigenza di estendere la tutela anche ai terzi danneggiati che in tale ambiente vivono.

(10)

Chi dunque (la parte danneggiata) si avvarrà del suggerimento dell'ultimo arresto della Consulta, per trovare una migliore tutela dei propri diritti, andrà incontro ad amare delusioni, dovendo provare oltre che il nesso eziologico per l'an debeatur, anche un particolare tipo di colpa, da imputare al soggetto agente, per aver previsto o non prevenuto l'evento lesivo del terzo (colpa specifica o con previsione, malgrado la non volizione). Complicazione che è derivata dal timore di adottare il principio generale del neminem laedere anche per il terzo danneggiato.

f) Soggetti legittimati

Partendo dal profilo della legittimazione ad agire dei terzi danneggiati iure proprio, ai sensi dell'art. 2059 c. c. la dottrina auspica la necessità di un intervento legislativo (de iure condendo) che da un lato precisi l'ambito della categoria dei prossimi parenti e le condizioni di vita comune e d'altra parte che includa la tutela dei familiari di fatto è del convivente uxorio.

Sul punto della legittimazione attiva la Corte Costituzionale nella sentenza in esame (n. 372 del 1994) ammette la tutela risarcitoria sulla base di una relazione del terzo con il bene protetto dalla norma incriminatrice, argomentabile, in via di inferenza empirica, in base ad uno stretto rapporto familiare o parafamiliare.

L'obiter, prima facie estensivo, lascia interdetti per il referente al fatto/reato; se così fosse la legittimazione attiva, per danno psicologico del terzo, si pone solo in relazione ad un danno primario da reato, con esclusione del danno primario da illecito civile il che determinerebbe un problema di costituzionalità, nella parte in cui la norma in esame (art. 2059) non preveda la estensione di tale tutela (sempre per la violazione degli artt. 2, 3, 32 della Costituzione correlati tra di loro nel senso più volte precisato).

La dottrina, com'è noto (anche se con specifico riferimento alla legittimazione relativa al danno morale) prospetta tre soluzioni:

• una interpretazione restrittiva, che identifica il soggetto danneggiato con l'offeso dal reato, sicché la legittimazione dei terzi viene radicalmente negata (tale è l'atteggiamento della Cassazione sino agli anni Ottanta);

• una interpretazione estensiva, che estende la legittimazione a chiunque riesca a dimostrare un dolore (per il danno morale) ovvero un grave e stabile perturbamento psichico (per il danno psicologico) causalmente correlato all'illecito, salvo identificare quest'ultimo come ipotesi di reato.

(Vedi in tal senso l'obiter della Consulta e Cass., 6 gennaio 1983, n. 75 e 6 maggio 1983, n. 3099;

e da ultimo Cass., 1994, n. 2988 per la estensione della tutela del danno morale al convivente more uxorio.);

• una teoria espansiva (cfr. Navarretta, OP Ult. cit., p. 259 ss.) che considera, in tema di danni da morte, oltre al pretium doloris (danno morale soggettivo) un pregiudizio, consistente nel venir meno dell'assistenza, della solidarietà e dell'affetto del congiunto (cd. danno esistenziale familiare).

Tale pregiudizio, nell'esperienza anglosassone è indicato con i termini loss of consortium, loss of society, loss of guidance.

La Cassazione, come appena ricordato, dopo una forte resistenza, sembra condividere l'interpretazione estensiva, integrata con quella espansiva, per il riferimento ad elementi areddituali di valutazione equitativa, ritenuti giuridicamente rilevanti (con una visione ancora empirica, mentre dovrà essere configurata sistematicamente con riferimento a valori costituzionalmente protetti o co- munque ritenuti socialmente rilevanti).

Riferimenti

Documenti correlati

Un recente affaire dinanzi al Giudice di Pace circondariale di Bologna 1 ha riportato alla ribalta il tema dell’applicabilità, anche agli scritti diretti ad un Tribunale

Prima dell’intervento della Grande Camera della Corte EDU, vicever- sa, il Tribunal Supremo non aveva recepito il dictum europeo, sul presupposto della non vincolatività

Il Tribunale di Sorveglianza risulta inoltre competente per l’appli- cazione e la revoca delle misure alternative alla reclusione e per la con- versione ai sensi del disposto

833 che liquida a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis la somma di euro 115.930,00 in favore dei soggetti richiedenti in proporzione alle

Queste considerazioni, che nascono dal confronto tra un giurista ed uno psichiatra, concorrono, per quanto loro possibile, a fare chiarezza tra i vari criteri

Infatti, per effetto di tale riconoscimento, la riduzione della capacità lavorativa ge- nerica è ora pregiudizio risarcibile come componente di quel danno, sicché, per otte- nere

Nella logica della “sentenza pilota”, lo Stato membro, responsabile della vio- lazione, per adempiente gli obblighi internazionali, non si può limitare al pa- gamento di una somma

Con atto di citazione notificato il 26.2.2003 Gxxxx Fxxxx, Mxxxx Axxxx Bxxxx e Gxxxx Bxxxx chiamarono in giudizio davanti al Tribunale di Milano il Ministro di Grazia e