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I PARADOSSI DEL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO

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I PARADOSSI DEL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO

Prof. Maurizio Cinelli

1.- Si legge nelle "Istitutiones" di Gaio che il corpo dell'uomo non ha prezzo (liberum corpus nullam recepit aestimationem).

Per altro verso, in recenti sentenze della Corte costituzionale (sentenze n. 356 e n.

485 del 1991) si afferma che la tutela risarcitoria del danno alla salute deve essere in- tegrale e non limitabile.

Tra queste due affermazioni di principio - assai lontane nel tempo l'una dall'altra, ma entrambe autorevoli e vere - si racchiude e consuma il paradosso del risarcimento del danno biologico, che deve, appunto, essere integrale, pur riferendosi ad un bene non traducibile in termini monetari.

2.- L'opera di studio e ricerca di dottrina e giurisprudenza, è stata, al proposito, lunga e travagliata, né può dirsi ancora conclusa.

D'altra parte, lo stesso riconoscimento della autonoma risarcibilità del danno biolo- gico è, come noto, un'acquisizione recente (Cass. s.u. n. 796 del 1973; Cass. s.u. n.

5172 del 1979; Corte cost. n. 184 del 1986).

In materia, comunque, pur a fronte della non definitività degli esiti della ricerca ed alcune aree di perdurante e non indifferenti contrasti, si possono dare per acquisiti al- cuni dati, che si propongono, dunque, alla pratica forense come altrettanti punti fermi, anche se (come tenterò di illustrare brevemente fra poco) anch'essi non sfuggono del tutto a possibili, non secondari rilievi critici o ragioni di perplessità.

3.- Innanzitutto, va sottolineato che, nella prassi corrente, le espressioni "danno alla salute" e "danno biologico" vengono utilizzate come equivalenti, anche se alcune più sofisticate concezioni assumono che il concetto di danno biologico ha rilevanza me- dico legale, mentre quello di danno alla salute, quale pregiudizio al diritto sancito dal- l'art. 32 Cost., ha valenza prettamente giuridica.

Comunque, per "danno biologico" comunemente si intende la lesione, apprezzabile in termini medico legali, della integrità psico-fisica del soggetto (e così anche le nor- me di legge che attualmente, sia pure "per settori", lo contemplano: art. 13, d.lgs. n.

38 del 2000; art. 5, comma 2, legge n. 57 del 2001).

Ordinario di diritto del lavoro nell'Università di Perugia

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Detto danno è risarcibile, a norma degli artt. 2043 c.c. e 32 Cost., anche nel caso di illecito meramente civilistico (Corte cost. n. 184 del 1986).

Fa parte del danno biologico, come sopra inteso, anche il "danno psichico", cioè il danno rappresentato da una compromissione durevole e obiettiva che riguardi la sfera psichica dell'individuo, anch'esso accertabile con criteri medico-legali (anche se di più complessa elaborazione e applicazione, che non nel caso di danno biologico di ti- po fisico).

Non rappresenta, viceversa, danno psichico (e, dunque, non rientra nel concetto di danno biologico e nella relativa disciplina) il danno morale, cioè quel danno apprez- zabile soltanto soggettivamente, in quanto riconducibile unicamente a sofferenza soggettiva o turbamento psichico, ma senza correlati danni organici (fisici o psichici), e, come tale risarcibile solo quando sia conseguenza di illecito di rilevanza penale (artt. 2059 c.c. e 185 c.c.).

Al proposito, per rendere evidente la differenza usando concetti contigui, si suole indicare, come danno morale, il lutto (quale sofferenza per la perdita di un congiunto) e, a raffronto, la melanconia, come danno biologico di tipo psichico, in quanto indotta da causa endogena, appartenente alla sfera dell'inconscio (Corte cost. n. 372 del 1994).

Il danno biologico è risarcibile di per sé, quale evento lesivo, indipendentemente dalle sue conseguenze dannose sul piano patrimoniale. Ma, ovviamente, anche queste ultime vanno risarcite, sicché, in concreto, al risarcimento del danno alla persona, di per sé considerato, si può accompagnare anche il risarcimento del danno che ne con- segue sul piano prettamente patrimoniale.

Al proposito, si suole utilizzare la distinzione "danno-evento" (la menomazione psi- co-fisica) e "danno-conseguenza" (i riflessi di natura patrimoniale), riportata in auge (nonostante le risalenti valutazioni critiche) da Corte cost. n. 184 del 1986.

E "danno-conseguenza", ma di natura non patrimoniale, viene classificato anche il danno morale, quale terza, possibile voce di danno (sia pure ricorrente soltanto quan- do l'evento lesivo abbia rilevanza penale).

In altri termini, quanto al danno alla persona, si assume che l'evento di danno, o danno-evento, che consiste nella lesione dell'integrità psico-fisica, può generare ulte- riori conseguenze, per così dire, "esterne", collegate tramite un nesso causale diverso da quello relativo al danno-evento, e consistenti, quelle conseguenze, nel pregiudizio economico (danno patrimoniale) e nelle sofferenze (danno morale), risarcibili solo se effettivamente ricorrenti e specificamente provati.

Poiché l'integrità psico-fisica garantita dall'art. 32 Cost., riguarda l'uomo in tutte le sue funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed a- venti rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica (Cass. n. 2396 del 1983), la nozione di danno biologico viene concepita come com- prensiva sia della lesione psico-fisica in sé considerata, che dei riflessi negativi di questa (le menomazioni) sulla vita quotidiana del danneggiato: e, dunque (Corte cost.

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n. 184 del 1986), come comprensiva tanto dell'"aspetto statico" (la lesione o danno meramente morfologico), che dell'"aspetto dinamico" (compromissione delle attività quotidiane di vita, sotto i vari profili nei quali si manifesta l'efficienza psico-fisica del soggetto danneggiato).

In realtà, non si può non cogliere il profilo artificioso di tale distinzione, quasi che il corpo umano potesse essere veramente considerato in modo avulso dalle sue fun- zioni, e prescindendo dalle sue interrelazioni con la sfera spirituale.

Comunque sia, correntemente si precisa che, sotto il profilo dinamico, integrano il danno biologico, tanto di tipo fisico, che di tipo psichico (Corte cost. n. 37 del 1994):

la riduzione delle energie psicofisiche; il pregiudizio alla vita di relazione (o alla ca- pacità sociale globalmente intesa); la riduzione delle potenzialità lavorative e occupa- zionali (riduzione della capacità lavorativa generica, perdita di chances lavorative a- stratte, maggiore usurabilità delle energie lavorative di riserva). E il pregiudizio agli aspetti dinamici dell'integrità psico-fisica, anziché integrare propriamente il danno biologico, può configurare, a determinate condizioni, una ipotesi di danno patrimo- niale (danno conseguenza), come si ravvisa accadere quando, per le particolari qualità del danneggiato, il danno biologico, nel suo profilo dinamico (incidenza sulla vita di relazione), impedisca il lavoro cui il danneggiato stesso era dedito: tipico il richiamo al danno estetico riportato da una modella, e a quello della menomazione della fun- zionalità di un arto, subita da uno sportivo professionista.

4.- Le acquisizioni testé enunciate (per quanto, come subito dirò, non pacifiche) evi- dentemente non possono non influire anche su quanto direttamente attiene alla pro- blematica della liquidazione del danno.

Finché la lesione dell'integrità psico-fisica è stata apprezzata come "fatto",e non di- rettamente come "danno" essa stessa, non è stato facile definirne modalità e criteri di risarcimento, posto che il risarcimento si commisura al danno e non al fatto. Soltanto quando detta lesione è stata riconosciuta e apprezzata non più come "fatto", ma come

"conseguenza" di un "fatto ingiusto" - cioè, come danno (biologico) essa stessa -, solo allora si è potuto con coerenza prevederne la risarcibilità.

Il raggiungimento di tale, pur determinante risultato, tuttavia, non poteva, né può ri- solvere, come è evidente, tutti i problemi attinenti alla determinazione (liquidazione) delle somme da attribuire al danneggiato a titolo di risarcimento, posto che, per rea- lizzare questo secondo passaggio, si tratta di individuare e definire non soltanto i pa- rametri cui collegare l'operazione, ma anche (e prima ancora) di stabilire la funzione che si vuole attribuire, nelle varie fattispecie ipotizzabili, al risarcimento stesso.

Sotto il primo dei due profili, il mutamento di prospettiva, connesso alla riconosciu- ta risarcibilità del danno biologico in sé, implica, innanzitutto, il superamento del ri- ferimento all'"uomo valido o abile", contenuto nelle vecchie tabelle valutative, quel riferimento non potendo ormai che essere sostituito con quello all'"uomo integro".

Inoltre, come è stato giustamente osservato, il riconoscimento della risarcibilità del

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danno biologico ha fatto riacquisire piena operatività al principio dell'onere della pro- va.

Infatti, per effetto di tale riconoscimento, la riduzione della capacità lavorativa ge- nerica è ora pregiudizio risarcibile come componente di quel danno, sicché, per otte- nere la liquidazione (anche) dell'eventuale danno patrimoniale conseguente, occorre fornire la prova della perdita di un valore effettivamente posseduto, non essendo più sufficiente allegare la perdita di una mera, latente capacità reddituale (Cass. n. 357 del 1993).

In altre parole, non costituisce lucro cessante "la perdita dell'attività lavorativa in sé, bensì la conseguenza consistente nel mancato guadagno; con l'effetto che, ove, per qualsiasi motivo, la perdita di guadagno non si verifichi, deve escludersi l'esi- stenza di un danno patrimoniale risarcibile" (Cass. n. 6403 del 1988).

5.- Alla giurisprudenza della Corte costituzionale si deve il principio, secondo il qua- le il risarcimento del danno biologico deve essere integrale e uguale per tutti, a parità di lesioni, perché tanto impone la garanzia di cui all'art. 32 Cost.

Proprio per soddisfare tale esigenza paritaria, tuttavia, si sostiene anche che i criteri liquidativi non possono prescindere dalla variante, rappresentata dal costo della vita nel contesto geografico nel quale il danneggiato in concreto opera.

E’ evidente, dunque, che trattandosi di dover tradurre in termini monetari un valore di per sé non suscettibile di "monetizzazione", il problema di fondo pur dopo aver in- dividuato “che cosa” risarcire, resta comunque di “come” risarcire: cioè, del criterio da assumere per potere individuare un accettabile surrogato di tale impossibile opera- zione (e, oltretutto, senza dimenticare il rilievo delle circostanze ambientali).

Al proposito, sono ben noti (e, pertanto, non mi soffermo su tale aspetto) i diversi parametri proposti, una volta scartato il criterio (sicuramente insoddisfacente e fonte di arbitrii inaccettabili) della mera valutazione equitativa: dal multiplo della pensione sociale, al valore - punto, al riferimento al reddito medio nazionale, ecc.

Ma, ancor prima, va affrontato, in ordine logico, il secondo dei due suddetti aspetti problematici: quello relativo alla funzione che va riconosciuta al risarcimento, in rife- rimento alle varie componenti del danno.

Si tratta, infatti, di accertare se detto "risarcimento", non potendo, per le ben evi- denti e già ricordate ragioni, svolgere una reale funzione restitutoria (e, quindi, non essendo risarcimento in senso proprio), debba assolvere sempre e comunque ad un ruolo compensatorio (sub specie di indennizzo), o, piuttosto, possa assumere, in de- terminate occasioni (da individuare e definire), in via concorrente o primaria, a se- conda dei casi, funzione punitiva o deterrente. Ed è evidente che, nel primo caso, il

"risarcimento" (o ciò che con tale termine viene indicato) avrebbe motivo di commi- surarsi soltanto al valore pregiudicato, mentre, nell'altro caso, il criterio di commisu- razione non potrebbe essere che quello della colpa del danneggiato.

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6.- Se quelli che testé ho cercato di sintetizzare sono gli snodi principali del delicato argomento in esame, sui quali maggiormente si raccoglie il consenso degli operatori, bisogna, però, anche far cenno delle aporie e degli aspetti insoddisfacenti di tale, pur prevalente impostazione.

Nell'ambito dei danni alla persona, dei quali il danno biologico è una species (sep- pure di primaria importanza), vi sono danni, come quelli alla reputazione, alla riser- vatezza, alla professionalità, ecc., il cui risarcimento assolve, secondo l'opinione cor- rente, una funzione per così dire "premiale": cioè, preventivo-punitiva.

Non si può escludere a priori (posto che l'ordinamento a tal proposito non prospetta soluzioni precluse) che identica funzione possa essere riconosciuta anche al risarci- mento del danno biologico, specie per quanto riguarda le sue implicazioni "dinami- che" (che sono normalmente le più rilevanti sul piano pratico).

Anzi, in materia, la prevenzione appare essere la carta principale da giuocare, posto che il risarcimento non è certo una soluzione al problema del danno alla persona, ma soltanto un rimedio possibile, che non elimina, in definitiva, le conseguenze indivi- duali e sociali di quel danno.

Ma è chiaro che ove si intendesse realmente attrarre nell'ambito delle misure dirette alla prevenzione del danno alla salute anche la disciplina del relativo risarcimento (per l'intero o per alcune delle "voci" ad esso relative), ed attribuirgli, quindi, un ruolo di deterrenza, il criterio di liquidazione dovrebbe esser calibrato più sulla colpa del danneggiante, che non sul detrimento subito dal danneggiato (o, dovrebbe, comun- que, tener conto anche della prima).

Tale problematico profilo ne richiama direttamente un altro: quello dell'ammissibi- lità del cumulo o concorso, per la stessa fattispecie di danno, della responsabilità con- trattuale con la responsabilità extracontrattuale.

Il problema è particolarmente sentito nell'ambito del diritto del lavoro, che ha moti- vo di rivendicare, anche a tal proposito, la propria specialità, in considerazione del- l'obbligazione di tutelare la salute sia fisica che morale del lavoratore, che l'art. 2087 c.c. espressamente pone tra le obbligazioni del datore di lavoro.

Al proposito, vi è chi osserva come il carattere assoluto ed indispensabile del diritto alla integrità psico-fisica escluda che la tutela di questa possa entrare nell'area del contratto, e come, dunque, la relativa lesione non possa che generare una fattispecie di responsabilità aquiliana e non già di responsabilità contrattuale; dal che si fa di- scendere che integrative ex art. 1374 c.c. del contenuto del contratto di lavoro posso- no considerarsi, ai sensi dell'art. 2087 c.c., soltanto le misure cautelative di preven- zione, che al datore si fa carico di adottare, e la cui eventuale, mancata assunzione, dunque, è causa di responsabilità contrattuale; per il resto (lesione dell'integrità psico- fisica), la relativa responsabilità si basa ed è perseguibile ai sensi dell'art. 2043 c.c.

Non occorre sottolineare il rilievo teorico e pratico che l'eventuale collocazione (anche in riferimento a tale fattispecie) della responsabilità per lesione dell'integrità

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psico-fisica nell'area della (mera) responsabilità aquiliana, anziché in quella dell'ina- dempimento di obbligazioni contrattualmente assunte, può avere, quanto a prova del danno, criteri di imputazione, criteri di qualificazione del risarcimento, regime della prescrizione, e come, dunque, la negazione della ammissibilità del concorso o cumulo dei due regimi di responsabilità nella fattispecie in esame implichi il venir meno di elasticità che, viceversa, fino ad oggi, la prassi ha utilizzato ad ampie mani.

Infine, va rilevato come sia la stessa giustificazione della risarcibilità del danno bio- logico, quale viene comunemente ritenuta sulla base dell'autorevole indicazione dei giudici costituzionali, che lascia spazio a perplessità di non poco momento.

Ed, infatti, con la storica, già più volte ricordata, sentenza del 1986, la Corte costi- tuzionale ha affermato che il danno biologico trova ragione di autonoma tutela risar- citoria, sia perché il diritto della cui lesione è espressione (il diritto alla salute) è co- stituzionalmente garantito dall'art. 32 Cost., sia perché, non avendo natura patrimo- niale, quel danno ha carattere oggettivo e materiale, sicché non va ricondotto all'area, caratterizzata dai noti limiti, dell'art. 2059 c.c., bensì in quella generale dell'art. 2043 c.c.: l'ingiustizia del danno, che quella norma reprime, come già ricordato, non ha motivo di essere riferita ai soli danni di natura patrimoniale.

In altri termini, la risarcibilità del danno alla salute, alla stregua di quella imposta- zione, ha due principi giustificativi: quello derivante dalla legge ordinaria (art. 2043 c.c. ) e quello derivante dalla garanzia costituzionale (art. 32 Cost.).

Ma, stante il carattere generale che va riconosciuto al principio di cui all'art. 2043 c.c. - e tanto più generale, oggi, dopo l’ammissione della sua riferibilità anche al dan- no non patrimoniale -, il richiamo alla garanzia posta dall'art. 32 Cost., a ben conside- rare, finisce per risultare pleonastico.

La realtà è, probabilmente, che storicamente si sta affermando una linea diretta a percorrere, per così dire, un doppio binario, diretto a scavalcare, attraverso il referen- te costituzionale, le difficoltà che al sistema della responsabilità civile derivano dalle perduranti labilità del confine che divide il danno morale, risarcibile ex art. 2059 c.c., e il danno alla persona (nei suoi vari aspetti), risarcibile ex art. 2043 c.c., nonché di quello che delimita, più in generale, l'ambito dei danni effettivamente risarcibili.

E, difatti, è dato verificare, nella applicazione corrente, la progressiva apertura del- l'area della risarcibilità all'ambito dei diritti della personalità nel loro complesso (danno alla vita di relazione, danno alla professionalità, danno all'integrità morale, danno edonistico), all'ambito dei diritti della famiglia (danno alla serenità familiare), all'ambito dei diritti alla tutela giurisdizionale (come la previsione di “equa riparazio- ne” dei danni, tanto patrimoniali che non patrimoniali, in caso di violazione del ter- mine ragionevole del processo, di cui alla recente legge 24 marzo 2001, n. 89): danni che attengono, tutti, come è evidente, a beni costituzionalmente protetti. In sostanza, la configurazione del danno biologico come "danno evento" (identificazione del dan- no nella lesione) rende possibile invocare, d'ora in poi, l'automatica risarcibilità di qualunque lesione di altri interessi costituzionalmente protetti.

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Tale fenomeno implica, inoltre, un corrispondente restringimento dell'area di opera- tività dell'art. 2059 c.c., e, per converso, l'ampliamento dell'area di operatività dell'art.

2043 c.c.. Ma ciò significa anche, a ben considerare, la progressiva perdita di centra- lità e di forza trainante del danno biologico e, dunque, del ruolo che esso ha avuto, nel bene e nel male, nell'influire sulla recente evoluzione del sistema della responsa- bilità civile.

7.- L'ingresso della tutela del danno biologico nell'area delle misure che l'ordinamen- to appresta per la protezione sociale del lavoratore, conseguente alla scelta che il legi- slatore ha adottato con il d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, rappresenta, di certo, una im- portante risposta alle esigenze di protezione di un bene assolutamente fondamentale, quale è quello della salute.

Nello stesso tempo, tuttavia, dal punto di vista strettamente giuridico, la recente in- novazione è fonte di ulteriori aspetti problematici, quando non di veri e propri para- dossi.

Ed, invero, va innanzitutto dato atto che, indubbiamente, la garanzia avverso le conseguenze del danno biologico, che si realizza attraverso lo strumento dell'assicu- razione sociale, rappresenta un incremento dei mezzi di tutela complessivamente a disposizione del soggetto danneggiato. Ma va anche considerato che la funzione as- solta dalle assicurazioni sociali è quella di realizzare un interesse di prevalente rile- vanza pubblica, sicché le prestazioni tramite esse erogate, essendo destinate a soddi- sfare un bisogno di rilevanza non già individuale, bensì sociale, non possono commi- surarsi strettamente al valore perduto dal singolo individuo.

In altri termini e per quanto specificamente riguarda lo specifico oggetto di esame, è chiaro che i principi civilisti della responsabilità civile non possono trovare (pun- tuale) applicazione, nell'ambito dell'assicurazione sociale, per il danno biologico.

All'incremento dei mezzi di tutela, realizzato per tal via, corrisponde, dunque, nel- l'immediato, anziché una garanzia maggiore, una garanzia minore, perché limitata al- la prestazione "adeguata", ai sensi di cui all'art. 38, comma 2, Cost. (cioè ad un in- dennizzo), e, dunque, non riparatoria in senso pieno. E' ben noto, infatti, che la fun- zione perseguita dalla assicurazioni sociali è non già quella di risarcire il danno, bensì quella di far fronte, attraverso l'apprestamento di "mezzi adeguati" (art. 38, comma 2, Cost.), a situazioni di bisogno socialmente rilevante (Corte cost. n. 319 del 1997): ciò in quanto il fine "essenziale" (art. 3 Cost.) dell'intervento di protezione sociale è, ap- punto, solo quello di garantire le condizioni di esercizio delle prerogative civili, poli- tiche ed economiche, attraverso le quali si sviluppa la personalità di ciascun soggetto.

Il paradosso svanirebbe, ovviamente, nell'ipotesi in cui si potesse affermare che il danneggiato può recuperare, secondo le regole civilistiche ordinarie, quanto non può vedersi riconosciuto tramite l'assicurazione sociale. Ma ciò sembrerebbe escluso dalle regole che, in proposito, a bilanciamento degli oneri dell'assicurazione obbliga- toria, limitano la responsabilità del datore di lavoro danneggiante (art. 10, d.p.r. 30

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giugno 1965 n. 1124), e che oggi (dopo l'estensione dell'assicurazione) appaiono rife- ribili anche al danno biologico. Salva, naturalmente, l'incognita dell'esito di un even- tuale, possibile sindacato di legittimità costituzionale della suddetta norma, proprio alla luce della recente innovazione.

8.- In realtà, un secondo paradosso è rappresentato proprio dal fatto che si sia prov- veduto alla tutela del danno biologico subito dal lavoratore nello svolgimento della sua attività, tramite uno strumento, quello dell'assicurazione sociale, che, nella logica dell'art. 38, comma 2, Cost., è destinato alla tutela, sì, del lavoratore, ma nei confronti di vicende menomative della capacità di produrre reddito.

Ruolo decisivo per la materiale adozione della specifica scelta è stato giuocato, co- me è risaputo, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, fin dai primi anni ’90, ha avuto occasione di affermare ripetutamente il fondamento costituzionale dell’esigenza di estendere la tutela assicurativa antifortunistica anche al ristoro del danno non patrimoniale alla persona. Si tratta, in particolare, delle ben note sentenze nn. 87, 356, 485 del 1991, da alcuni favorevolmente apprezzate, ma che sono state anche fatte oggetto di vivaci critiche da parte di altri.

Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 87), "l'esclusione dell’intervento pub- blico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garan- zia della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Carta costituzionale ri- conosce al lavoro come valore fondamentale della nostra forma di Stato (artt. 1, pri- mo comma, 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.)”.

Senonché è proprio a tale proposito che le conclusioni della Corte (pur pienamente condivisibili per quanto riguarda l’accezione lata della garanzia costituzionale della salute) manifestano segni di intrinseca debolezza, a causa della non convincente con- figurazione dei rapporti intercorrenti tra i principi di cui, rispettivamente, agli artt. 32 e 38 Cost.

Innanzitutto, infatti, non risulta esservi un reale rapporto di logica consequenzialità tra detta affermazione di principio e il ritenere (come, poi, la Corte fa) che l’intervento attuativo dello specifico disegno costituzionale debba necessariamente realizzarsi nelle forme dell’assicurazione sociale (sentenze n. 87 e n. 356): e, dunque, debba implicitamente limitarsi all’ambito soggettivo e alle occasioni materiali cui quello strumento, per sua caratteristica, si riferisce.

D'altra parte, il collegamento tra la garanzia di cui all’art. 32 Cost. e quella di cui all’art. 38 Cost, cui la Corte si richiama, può essere riconosciuto soltanto nel senso che entrambe quelle garanzie concorrono al medesimo fine della sicurezza e del be- nessere del corpo sociale, nel suo complesso, e della persona umana, nel particolare.

Quelle garanzie, invece, profondamente divergono quanto a contenuti. Mentre l’art.

38 Cost. garantisce il reddito (nelle condizioni e nei limiti dell’ “adeguatezza” dei mezzi e del sollievo da bisogni socialmente rilevanti), il diritto alla salute si colloca

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tra quei valori assoluti, che, come il diritto alla vita o il diritto all’onore, non possono essere garantiti altro che in una prospettiva globale e altrettanto assoluta: qualsiasi compromesso sarebbe inaccettabile, perché non satisfattivo di quella garanzia.

In altri termini, l’indennizzo che, in presenza degli eventi generatori di bisogno considerati dall’art. 38 Cost., pienamente soddisfa quanto garantito da quel precetto, rispetto all’art. 32 Cost. vale, semmai, soltanto a sanzionare l’insuccesso, nel caso concreto, della garanzia promessa da quella norma. D’altra parte, proprio perché rappresentato da un indennizzo e non da un risarcimento, l’intervento protettivo nemmeno si presta a rimediare integralmente alle conseguenze del danno ingiusto ar- recato al bene della salute: e, dunque, anche sotto tale profilo il rimedio si discosta dalla logica, viceversa, “non compromissoria” dell’art. 32 Cost. (cfr. Corte cost. n.

118 del 1996); e tanto, a ben considerare, neppure nell'ottica di Corte cost. n. 350 del 1997, la quale, ritenendo il criterio della capacità lavorativa generica non più adegua- to, ex art. 38 Cost., a fondare l'indennizzo previdenziale, "per effetto delle tecnologie, della scienza medico-legale, della sensibilità sociale", aveva, appunto, sollecitato il legislatore ad attuare una "progressiva personalizzazione dell'indennizzo dell'effettivo danno subito dal lavoratore".

9.- L'orientamento della giurisprudenza costituzionale, che ha dato l'avvio all'esten- sione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro alla tutela del dan- no biologico, muove da una valutazione negativa della efficacia, al proposito, delle regole della responsabilità civile.

La tutela perseguibile in via ordinaria (cioè sulla base di quelle regole), infatti, vie- ne considerata dalla Corte “non soddisfacente”, perché non idonea ad apprestare una riparazione del danno che sia “automatica”, ma anche “integrale” (sentenza n. 356),

“non limitabile” (sentenza n. 485) e “tempestiva” (sentenza n. 87), come, viceversa, essa ritiene che possa essere perseguibile attraverso l’istituzione di una “garanzia as- sicurativa” (sentenza n. 356), opportunamente modulata, sulla scorta di quanto a suo tempo ha giustificato l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infor- tuni sul lavoro (sentenza n. 87).

In realtà, il ricorso all’assicurazione sociale non sembra poter realizzare il risultato di tale, divisata integrale tutela risarcitoria.

Ne consegue che la stessa prospettazione di affidare il ristoro del danno biologico allo strumento dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro – che da sempre eroga prestazioni di tipo indennitario, in una risalente e scontata logica tran- sattiva – risulta in sostanziale contraddizione con l’affermazione di principio, più vol- te (e giustamente) ribadita dalla stessa Corte: e, cioè, che la tutela risarcitoria del di- ritto alla salute, proprio per effetto del principio costituzionale che l’assiste, deve es- sere “integrale e non limitabile” (sentenza n. 485).

10.- Il legislatore, per detta operazione estensiva della tutela del danno biologico, ha prescelto (sulla scorta, d'altra parte, delle pressanti indicazioni della Corte costituzio- nale) l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie profes-

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sionali.

A dire il vero, il diritto in questione presenta (anche nel profilo sociale e anche per ciò che riguarda il “residuale” aspetto in esame) rilevanza e caratteristiche che sem- brerebbero meglio accordarsi con un intervento diretto della solidarietà generale, piuttosto che con un intervento mediato dall’assicurazione obbligatoria.

Comunque, una volta esclusa l’alternativa dell’adozione, allo scopo, di strumento di protezione direttamente a carico della collettività generale, nell’ambito delle assicu- razioni sociali la scelta sarebbe potuta cadere - più opportunamente, almeno nella lo- gica della più ampia riferibilità soggettiva della tutela - sull’assicurazione obbligato- ria contro l’invalidità gestita dall’INPS, e, precisamente, sul regime “privilegiato” che di quell’assicurazione strutturalmente fa parte.

Come è noto, infatti, tale assicurazione interviene anch’essa in funzione di situazio- ni di menomazione dell’attitudine lavorativa, ma, in più - a conferma del trattamento preferenziale che l’ordinamento riserva al rischio che sia connesso alle prestazioni ri- chieste al lavoratore (non sia, cioè, un “rischio comune”) -, accanto al regime ordina- rio contempla un regime c.d. “privilegiato”, per i casi in cui, appunto, l’invalidità ri- sulti in rapporto causale diretto con finalità di servizio (“rischio specifico”).

Tale forma di protezione sociale (per il “rischio professionale” del lavoratore) ha carattere generale, perché destinata a tutti i lavoratori subordinati e, pur riguardando rischi da lavoro, non si limita ad intervenire per “rischi tipici”, ma interviene anche nei confronti di menomazioni dell’integrità psico-fisica del lavoratore derivanti da at- tività di per sé non pericolose. Essa si presta, così, a coprire gli spazi lasciati vuoti dall’assicurazione contro gli infortuni, gestita dall’INAIL.

Dunque, a voler considerare la situazione in astratto, si potrebbe assumere che il collegamento della tutela del danno biologico del lavoratore all’assicurazione contro l’invalidità, anziché a quella contro gli infortuni, avrebbe potuto rappresentare la so- luzione apparentemente più logica, perché idonea a garantire all’operatività della nuova forma di tutela un più vasto ambito soggettivo di applicazione e, dunque (teo- ricamente), maggiore efficacia, rispetto al generale obiettivo di protezione sociale perseguito.

Ma, evidentemente, l'attaccamento che il legislatore continua a manifestare per la logica selettiva del rischio professionale induce contraddizioni anche nel nuovo si- stema previdenziale del danno biologico.

Tanto può riscontrarsi anche da un altro "vuoto" di tutela deliberatamente mantenu- to: quello che dipende dalla esclusione da detto risarcimento delle persone addette a lavori domestici, cui, pure, in quello stesso periodo, è stata estesa l'assicurazione ob- bligatoria contro gli infortuni sul lavoro (art. 6, legge n. 493 del 1999).

L'esclusione della tutela del danno biologico da tale nuova "provincia" dell'assicu- razione obbligatoria contro gli infortuni ha certamente una motivazione di ordine e- conomico. E' altrettanto certo, tuttavia, che, così facendo, il legislatore attribuisce an- cora una volta preferenziale considerazione al danno patrimoniale, anziché al danno che, nell'ambito dei danni alla persona, si colloca in posizione logicamente e giuridi- camente prioritaria rispetto a quello: il danno biologico, appunto.

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11.- Qualche cenno, per concludere, sulla liquidazione del danno.

In proposito, va innanzitutto sottolineato che, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 38 del 2000, "le menomazioni dell'integrità psicofisica ... sono valutate in ba- se a specifica «tabella della menomazione», comprensiva degli aspetti dinamico- relazionali". Il che significa che il danno biologico, all'interno dell'assicurazione ob- bligatoria, non viene valutato (per usare la terminologia corrente) come "danno- evento" (cioè, come lesione rilevante di per sé), bensì nella sua prospettiva "dinami- ca", cioè in uno con le sue conseguenze sulla vita relazione dell'interessato (sia pure di carattere non patrimoniale).

E' evidente, in sostanza, che la valutazione viene effettuata in via convenzionale, presumendo, iure et de iure, che la lesione rilevi sempre e comunque anche sotto il profilo dinamico. Ma non è detto che ciò sia necessariamente significativo di un trat- tamento di favore per il lavoratore, sebbene questi si veda comunque riconosciuto l'indennizzo anche per detto "danno-conseguenza", indipendentemente dall'accerta- mento della sua effettiva sussistenza.

Tutto dipende, infatti, come è ovvio, dal livello dei valori accolti nella tabella. E nella tabella di indennizzo del danno biologico la scelta del valore monetario del

"punto base" (che, per le invalidità pari al 6 per cento, è fissato nella somma di lire 1.600.000 a punto per i danneggiati di sesso maschile e dell'età di 20 anni, e di lire 1.750.000, per i danneggiati di sesso femminile e di pari età, in considerazione della maggior durata media della vita femminile) appare del tutto convenzionale, priva di qualsiasi reale aggancio scientifico; la tabella dei coefficienti, d'altra parte, non sem- bra tener conto delle concrete modalità di svolgimento dell'attività lavorativa (e, dun- que, neppure di quanto ritenuto dalla già ricordata sentenza n. 350 del 1997 della Corte costituzionale); al proposito, l'unico correttivo appare essere quello del ricono- scimento al medico legale di una certa flessibilità valutativa, attraverso l'attribuzione espressa dalla facoltà di assegnare, motivando, il coefficiente previsto per la fascia superiore.

Ben diversi sono i criteri che valgono per il risarcimento del danno biologico, che il recente legislatore ha parimenti previsto, questa volta, per il caso di sinistri da circo- lazione di veicoli e natanti (art. 5, commi 2 - 6, della legge 5 marzo 2001 n. 57): va- lore-punto senza scoperture per i danni di minor rilievo; rilevanza delle condizioni soggettive dell'interessato, ai fini di una ulteriore quota di risarcimento; elaborazione di apposita tabella per le cosiddette micropermanenti; aggiornamento periodico dei valori-punto sulla base delle variazione dell'indice dei prezzi al consumo.

In sostanza, nonostante quanto possa apparire ad un primo esame, è da ritenere che l’incremento di tutela che il lavoratore infortunato può ricavare dalla nuova disciplina dettata dall'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 (quale modificato dal d.lgs. 19 aprile 2001 n. 202) sia più teorico che reale.

Innanzitutto il miglioramento rappresentato dall’ingresso nel calcolo della rendita della quota imputabile a danno biologico viene controbilanciato dal peggioramento dei criteri di indennizzabilità e di calcolo del danno patrimoniale: elevazione, fino dall’attribuzione della quota di rendita a questo riferibile, di 5 punti della soglia di in-

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dennizzabilità (che, dunque, al proposito, passa dall’11 al 16 per cento), ed adozione di tabelle più severe per la determinazione della percentuale invalidante e dell’importo della rendita stessa.

Inoltre, restano esclusi dall'indennizzo il danno biologico di lieve entità (cioè, quel- lo che comporta postumi inferiori al 5 per cento della ridotta validità) e il pregiudizio biologico di natura temporanea.

Si può fondatamente dubitare, infine, che, per effetto della specifica innovazione, possa risultare non più operativa la disciplina limitativa del diritto di regresso e di ri- valsa degli Istituti assicuratori (quale determinatosi a seguito dei già ricordati inter- venti della Corte costituzionale). Il che potrebbe rappresentare fonte di ulteriori, no- tevoli problemi, posto che gli importi determinabili sulla base delle tabelle (d.m. la- voro 12 luglio 2000) per l’indennizzo del danno biologico da parte dell’INAIL risul- tano nettamente inferiori a quelli determinabili sulla base delle correnti tabelle di ela- borazione giurisprudenziale.

In pratica, dunque, il vantaggio per il lavoratore, conseguente alla nuova disciplina, sarà essenzialmente quello di poter contare su di un rapido indennizzo anche di tale voce di danno, e di essere indennizzato anche nel caso in cui il danno dipenda da sua colpa. Per il resto, l'assicurato si dovrà accontentare della quantificazione non piena- mente riparatoria di detto danno. Sullo sfondo resta, naturalmente, l'ipotesi in cui, ri- correndone le condizioni, si possa ritenere l'azionabilità, secondo le regole generali, del diritto al ristoro anche della percentuale e delle fattispecie di danno biologico non coperte dall’assicurazione obbligatoria.

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