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IL DANNO BIOLOGICO IURE PROPRIO DA MORTE Spunti di discussione tra un giurista ed uno psichiatra su risarcibilità/non risarcibilità, causalità/circolarità e tentativo di individuazione del nesso eziologico giuridicamente rilevante

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IL DANNO BIOLOGICO IURE PROPRIO DA MORTE

Spunti di discussione tra un giurista ed uno psichiatra su risarcibilità/non risarcibilità, causalità/circolarità e tentativo di individuazione del nesso eziologico

giuridicamente rilevante di

Mario Sacco* e Maurizio Feverati**

Introduzione

Il tema del risarcimento del danno alla persona è oggetto di attenzione da parte degli studiosi del diritto da decenni; a tutt'oggi non esiste una risposta definitiva né soluzioni che possano dirsi acquisite.

La carenza di una regolamentazione legislativa specialistica, invocata da più parti, ha acutizzato il problema; l'interprete si vede pertanto costretto a limitare l'indagine all'accertamento di una griglia di soluzioni, spesso insoddisfacenti, stratificatesi nel cosiddetto diritto vivente di natura giurisprudenziale.

La linea guida e' a tutt'oggi rappresentata dalla celebre sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14 luglio 1986 nella quale è stata codificata la tripartizione dei danni rilevanti in ipotesi di lesioni alla persona; accanto al danno patrimoniale e al danno morale, di genesi codicistica, ha visto la luce il danno cosiddetto biologico1.

Esso, qualificato come danno “evento”, si sostanzia nella lesione dell'integrità psicofisica della persona ed è di per se, risarcibile; in tal modo il risarcimento è stato svincolato dalla potenzialità reddituale del soggetto leso.

Sulla base di questa costruzione dogmatica si è poi sviluppata la problematica del risarcimento del danno biologico a favore del superstite in ipotesi di evento letale che

* Psichiatra, Bologna

** Procuratore Legale, Bologna

1Sul punto la bibliografia e, sterminata; ALPA, Danno alla vita di relazione e danno alla persona, in Margine ad una inutile dicotomia, in Riv. circ. trasp., 1980, 680; ALPA, L'argomentazione costituzionale nel qualificazione del danno biologico, in NGCC 1989, I, 8 VISINTINI, I fatti illeciti, I, Cedam, 25.

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colpisce un congiunto; affrontando infine il problema se, con riguardo a tale danno, la relativa legittimazione competa jure proprio ovvero hereditario2.

Esula dal presente studio l'esame relativo alla risarcibilità del danno biologico in via ereditaria, peraltro autorevolmente escluso dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 372 del 27 ottobre 19943; l'indagine è pertanto circoscritta al solo danno biologico jure proprio.

Queste considerazioni, che nascono dal confronto tra un giurista ed uno psichiatra, concorrono, per quanto loro possibile, a fare chiarezza tra i vari criteri di valutazione medico legale inerenti all'individuazione della linea di confine fra il danno biologico, definito jure proprio da morte, e il danno morale, subiti dal terzo soggetto affettivamente legato alla persona deceduta4si discute poi dell’applicabilità dei concetti psichiatrici di causalità, e circolarità, nella giurisprudenza e ciò, che essi comportano in termini di nesso eziologico, ai fini del risarcimento del danno psichico da morte.

Il pensare psichiatrico5si arricchisce di vari livelli e dimensioni in maniera progressiva non avendo al suo interno la necessità di sintesi; al contrario la giurisprudenza è tesa a cogliere dalla moltitudine l'unità concettuale. Tale discrasia rende poco omologabili le due modalità di pensiero, essendo pochi o del tutto assenti i punti di contatto che potrebbero renderle in qualche modo uniformi; la necessità medica della comprensione delle varie dimensioni di un problema è del tutto estranea all'esigenza specifica della giurisprudenza di selezionare, tra le tante cause, quella giuridicamente rilevante, tendenzialmente (e per l'operatore anche augurabilmente) unica.

2Per un approfondimento v. GIANNINI, La risarcibilita del danno in ipotesi di lesioni mortali, in Res. civ. prev. 1992, 602; POGLIANI, Il danno biologico entro ma non oltre i confini della vita, in, 25 Res. civ. prev. 1992, 605.

3In Giust. CIV. 1994, I, 3029, con nota di BUSNELLI.

4Cfr. GIANLUIGI PONTI, Danno psichico e attuale Percezione Psichiatrica del disturbo mentale, in Riv. It. Med. leg. XIV, 1992, 527.

5A partire da WITTGENSTEIN, Tractatus logicus philosophicus, 1922, il pensiero scientifico occidentale è stato messo in crisi rispetto alla conseguenzialità, data come valore assoluto dalla tradizione aristotelica che vede nella dimensione causa-effetto la spegazione essenziale, ripetibile e verificabile della comprensione del mondo.

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La giurisprudenza, aldilà delle tante costruzioni dottrinali, ha sostanzialmente accolto il principio della causalità adeguata6; si tratta pertanto di accertare se il sintomo psichico può essere considerato conseguenza “adeguata” della perdita di una persona affettivamente rilevante.

In particolare ci chiediamo cosa succede se una persona affettivamente legata al defunto, non riuscendo a superare con il, diciamo maldestramente, dolore naturale e/o fisiologico, la perdita dell’oggetto amato (circoscrivibile al danno morale, cioè al dispiacere "comune" che si prova in seguito all'evento), sviluppa, quale conseguenza, un vissuto affettivo devastante definibile in base a sintomi7 psicopatologicamente significativi (Sindrome Depressiva, Psicosi, etc..)? In termini più diretti, se la persona legata affettivamente alla vittima, "dà i numeri", esiste un criterio secondo il quale può, essere riconosciuto un danno risarcibile quale conseguenza dell'evento letale?

Discussione

A) Nell'ipotesi di comparsa di sintomi psicopatologicamente significativi accertati nella persona legata affettivamente al defunto, il danno psichico non può essere risarcito in quanto la malattia mentale non è conseguenza diretta dell'evento letale, ma piuttosto è frutto della funzione che esiste fra l'evento in sé, portatore della perdita della persona amata, e il vissuto (ciò che la persona vive nell'ambito intrapsichico in seguito all'evento) di chi chiede il danno8.

Non è cosa da poco in quanto la malattia mentale, in tal caso, viene concepita non come conseguenza che, per gli effetti di cui all’art. 1223 c.c., deve essere diretta ed

6 Cass. 28/3/1988 in.Riv. pen..1989, 1190; in dottrina v. STELLA, Rapporto di causalità, in Enc. Treccani, Roma, 1991, vol. xxv, 1999.

7Nella valutazione oggettiva dei sintomi, oltre all'osservazione clinica, fonte di ogni sapere medico, esistono oggi strumenti sofisticati e raffinati, quali tests, che garantiscono con margini di errore minimi, l'accertamento dello stato patologico, finanche latente.

8 Ci si riferisce alla cosiddetta “teoria dei sistemi”; v. PONTI G. Compendio di Criminologia, Milano, 1990.

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immediata di un evento (criterio di casualità, cosiddetto lineare), ma come funzione di variabili (criterio di circolarità) che viene sostanzialmente estromessa dal pragmatismo tipico del pensare giuridico. Prova ne sia che un'altra persona, davanti allo stesso evento (perdita di una persona affettivamente significativa) non necessariamente sviluppa sintomi psichiatrici che quindi si trovano ad essere non conseguenziali, ma accidentali, rispetto all'evento esterno: è come questo viene percepito che ha un peso determinante nel manifestarsi dei sintomi psichici.

In giurisprudenza e' estremamente difficoltoso (e forse impossibile alla luce dell'attuale quadro normativo) abbandonare la logica aristotelica della causalità, diretta (causa- effetto), mentre nelle scienze mediche va prendendo sempre più corpo un allontanamento dalla visione meccanicista-positivista del corpo umano oggetto di visione sempre più olistica.

In conclusione, il danno biologico jure proprio da morte non può essere risarcito in quanto non inquadrabile nell'evoluzione di causalità (causa-effetto), essendo la vulnerabilità psichica fenomeno soggettivo, in considerazione del fatto che una qualunque altra persona adulta avrebbe dovuto avere meccanismi di difesa dell'Io tali da consentirgli un adeguamento congruo al nuovo contesto creatosi dopo l'evento luttuoso.

In altre parole se la persona non ha strutturato adeguatamente tali meccanismi di difesa, è una condizione preesistente all'evento dannoso e quindi, non imputabile ad esso;

in conclusione, viene a mancare un nesso eziologico giuridicamente rilevante.

B) Cosa succede però se la persona che sviluppa sintomi psicopatologicamente significativi non può avere "per sua natura", tali meccanismi di difesa che lo l'immunizzano" rispetto alla scissione psicotica in seguito alla perdita di una persona affettivamente significativa? Nello specifico, parliamo del minore che perde un genitore ovvero dello psicotico adulto che perde un congiunto significativo dal punto di vista affettivo. Ci sia permessa a questo punto una breve precisazione sulla individuazione, in termini medici, del concetto di persona affettivamente rilevante, in relazione alla delimitazione delle (possibili) pluralità di posizioni giuridiche meritevoli di tutela.

Riteniamo che non ci si possa limitare a prendere in considerazione il solo grado della parentela, ma nello specifico la natura della relazione emotivamente condivisa che lega

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due soggetti non necessariamente consanguinei. Non basta il grado di parentela ma ci riferiamo alla qualità della relazione ed al significato esistenziale che essa riveste all'interno del vissuto di ciascuno.

Tale principio ci sembra compatibile con quanto affermato dalla stessa giurisprudenza la quale non intende circoscrivere l'area dei soggetti legittimati ad agire, bensì, interviene limitando le conseguenze risarcibili sulla base del nesso di causalità (Cass. 7 gennaio 1991 n. 60 in Foro It.1992, I,l, 459).

B1) Tornando al discorso, nel caso del soggetto già “psichiatrizzato” alla data dell'evento, ci sembra opportuno escludere la risarcibilità del danno (spese per ricoveri, aggravamenti, ricadute etc.) perché la sua condizione di malattia riguarda, per così dire, un suo stato soggettivo legato cioè, ad una sua condizione specifica “non naturale”, ma

“anomala”.

B2) Nella minore età la conclusione ci sembra dover essere diversa in quanto la perdita, ad esempio di un genitore, avviene in una fase esistenziale in cui fisiologicamente sono carenti i suddetti meccanismi di difesa dell'Io che proteggono il soggetto dalle ingiurie del mondo, essendo tale fase nella vita di ciascuno "naturale".

Il danno biologico jure proprio sul minore ci appare pertanto diretto e conseguenziale, prevedibile e non eludibile, anche qualora non siano immediatamente riconoscibili dei sintomi psicopatologicamente significativi, in quanto la personalità di un uomo in formazione viene comunque e sempre influenzata dall'evento luttuoso che determina, di fatto, la perdita di un punto di riferimento affettivamente fondamentale per la sua crescita e sviluppo psichico.

Si può parlare a lungo delle “età” del minore, su ciò che agisce in lui in seguito alla perdita, e anche delle durature corazze caratteriali, non necessariamente significative per la psicopatologia, ma non ci sembra questa la sede adatta.

Conclusioni

La nostra discussione ci ha condotto alle seguenti conclusioni:

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a- la causalità fra evento perdita di persona affettivamente rilevante e variazione caratteriale psicopatologicamente significativa in personalità in formazione è diretta, conseguenziale, prevedibile ed ineludibile;

b- nel minore pertanto è risarcibile il sintomo psichico per la perdita del soggetto che funge da punto di riferimento affettivo, a titolo di danno biologico jure proprio;

c- nei soggetti adulti, dovendo questi avere una struttura dell'Io già formata, il manifestarsi del sintomo psichico per la perdita di una persona affettivamente significativa, rientrando in un'ottica di circolarità non è eziologicamente imputabile, in un sistema di causa-effetto giuridicamente rilevante all'evento e pertanto non è risarcibile.

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