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«Non voglio più farla questa vita»

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Academic year: 2022

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T28.15

Secondo OttocentoGIOVANNI VERGA - TESTI

1. Riposto:città sulla costa della Sicilia orientale, poco distante da Aci Trez- za. 2. Naso... Cipolla:

abitanti di Aci Trezza, di agiata condizione economica.

3. desco:il bancone dell’osteria.

4. mutavano... bari-

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I temi

Il dialogo tra Mena e compare Alfio allude al senti- mento che provano i due personaggi l’uno per l’al- tro, senza osare esprimerlo apertamente.

Individuate nel testo il punto in cui il tema del- l’amore è legato, sempre per via indiretta e allusiva, a quello della necessità economica che impedisce ad Alfio di esprimere e realizzare il suo desiderio.

Nella seconda parte del brano Mena è assorta nella contemplazione del paesaggio notturno: le stelle sempre più luminose e il rumore di qualche carro su- scitano in lei il pensiero della vastità del mondo. Nei Malavoglia il rumore lontano dei carri evoca il tema della vita che passa, porta la consapevolezza che l’u- niverso non è contenuto nei confini del paese. È uno dei rari momenti introspettivi del romanzo («così pensava Mena...»), caratterizzato da un ingenuo to- no di favola adatto al personaggio e all’umile mondo al quale appartiene («... andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e cam- minare sempre, giorno e notte, non arriverebbe mai...»).

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Le forme

Il dialogo tra i due ragazzi è incorniciato da due squarci paesaggistici. Notate come la descrizione sia filtrata, come di consueto, dal modo di sentire e di esprimersi degli abitanti di Aci Trezza.

In questo brano (e nell’insieme del romanzo) ri- tornano con frequenza gli stessi elementi e le stesse espressioni (il russare del mare, il «lumicino» dell’o- steria, Rocco Spatu che fa festa, le stelle che scintilla- no). Secondo voi come si possono interpretare que- ste ripetizioni?

Confronti

Accostando il passo dedicato ai pensieri di Mena (righe 33-41) al celebre «Addio, monti...» dell’VIII capitolo dei Promessi sposi (Vol. 2, T23.19), cercate di cogliere le analogie nella psicologia e nella situa- zione dei personaggi, e le diversità nelle scelte stilisti- che e nelle tecniche narrative.

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dialogo con il testo

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Una volta ’Ntoni Malavoglia, andando gironi pel paese, aveva visto due giovanotti che s’erano imbarcati qualche anno prima a Riposto1, a cercar fortuna, e tornavano da Trieste, o da Alessandria d’Egitto, insomma da lontano, e spendevano e spandevano all’osteria meglio di compare Naso, o di padron Cipolla2; si mettevano a cavalcioni sul desco3; dicevano delle barzellette alle ragazze, e avevano dei fazzoletti di seta in ogni tasca del giubbone; sicché il paese era in rivoluzione per loro.

’Ntoni, quando la sera tornava a casa, non trovava altro che le donne, le quali mutavano la salamoia nei barilotti4, e cianciavano in crocchio5colle vicine, sedute sui sassi; e intanto ingannavano il tempo a contare storie e indovinelli, buoni pei ragazzi, i quali stavano a sentire con tanto d’occhi intontiti dal sonno. Padron ’Ntoni ascoltava anche lui, tenendo d’occhio lo scolare della salamoia, e approvava col capo quelli che contavano le sto-

lotti:rinnovavano

l’acqua salata nei ba- rilotti in cui si conser-

vava il pesce. 5. cianciavano in

crocchio:chiacchie- ravano sedute in cer- chio.

Giovanni Verga da I MALAVOGLIA (Cap. XI, in Tutti i ro- manzi, a cura di E.

Ghidetti, Sansoni, Fi- renze, 1983)

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Dopo aver ceduto la casa del Nespolo a zio Crocefisso, i Malavoglia lavorano dura- mente per raggranellare il denaro necessa- rio a ricomprarla, animati dalla speranza

di poter ricostruire il focolare domestico.

Le cose sembrano finalmente volgere al meglio, ma ’Ntoni è inquieto e scontento.

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rie più belle, e i ragazzi che mostravano di aver giudizio come i grandi nel- lo spiegare gli indovinelli.

– La storia buona, disse allora ’Ntoni, è quella dei forestieri che sono ar- rivati oggi, con dei fazzoletti di seta che non par vero; e i denari non li guardano cogli occhi, quando li tirano fuori dal taschino. Hanno visto mezzo mondo, dice, che Trezza ed Aci Castello messe insieme, sono nulla in paragone. Questo l’ho visto anch’io6; e laggiù la gente passa il tempo a scialarsi7tutto il giorno, invece di stare a salare le acciughe; e le donne, ve- stite di seta e cariche di anelli meglio della Madonna dell’Ognina8, vanno in giro per le vie a rubarsi i bei marinari.

Le ragazze sgranavano gli occhi, e padron ’Ntoni stava attento anche lui, come quando i ragazzi spiegavano gli indovinelli: – Io, disse Alessi, il quale vuotava adagio adagio i barilotti, e li passava alla Nunziata, – io quando sarò grande, se mi marito voglio sposar te.

– Ancora c’è tempo, rispose Nunziata seria seria.

– Devono essere delle città grandi come Catania; che uno il quale non ci sia avvezzo si perde per le strade; e gli manca il fiato a camminare sempre fra due file di case, senza vedere né mare né campagna.

– E’ c’è stato anche il nonno di Cipolla, aggiunse padron ’Ntoni, ed è in quei paesi là che s’è fatto ricco. Ma non è più tornato a Trezza, e mandò solo i denari ai figliuoli.

– Poveretto! disse Maruzza.

– Vediamo se mi indovini quest’altro, disse la Nunziata: Due lucenti, due pungenti, quattro zoccoli e una scopa.

– Il bue! rispose tosto Lia.

– Questo lo sapevi! ché ci sei arrivata subito; esclamò il fratello.

– Vorrei andarci anch’io, come padron Cipolla, a farmi ricco, aggiunse

’Ntoni.

– Lascia stare, lascia stare! gli disse il nonno, contento pei barilotti che vedeva nel cortile. Adesso ci abbiamo le acciughe da salare. Ma la Longa guardò il figliuolo col cuore stretto, e non disse nulla, perché ogni volta che si parlava di partire le venivano davanti agli occhi quelli che non erano tornati più9.

E poi soggiunse: – «Né testa, né coda, ch’è meglio ventura»10.

Le file dei barilotti si allineavano sempre lungo il muro, e padron ’Nto- ni, come ne metteva uno al suo posto, coi sassi di sopra11, diceva: – E un altro! Questi a Ognissanti son tutti danari.

’Ntoni allora rideva, che pareva padron Fortunato quando gli parlavano della roba degli altri12. – Gran denari! borbottava; e tornava a pensare a quei due forestieri che andavano di qua e di là, e si sdraiavano sulle panche dell’osteria, e facevano suonare i soldi nelle tasche. Sua madre lo guardava come se gli leggesse nella testa; né la facevano ridere le barzellette che dice- vano nel cortile.

– Chi deve mangiarsi queste sardelle qui, cominciava la cugina Anna, deve essere il figlio di un re di corona, bello come il sole, il quale cammi- nerà un anno, un mese e un giorno, col suo cavallo bianco; finché arriverà a una fontana incantata di latte e di miele; dove, scendendo da cavallo per

6. Questo... anch’io:

’Ntoni ha fatto il ser- vizio di leva a Napoli.

7. scialarsi:divertirsi spendendo.

8. Madonna dell’O- gnina:immagine sa- cra coperta di gioielli venerata in un paese vicino ad Aci Trezza (Ognina).

9. quelli... più:il marito Bastianazzo, morto in mare, e il figlio Luca, caduto nella battaglia di Lis- sa. 10. Né testa... ventu- ra:la sorte migliore (meglio ventura) è sta- re a metà, né tra i pri- mi né tra gli ultimi (né testa né coda) della scala sociale.

11. coi sassi di sopra:per tenere ben chiusi i barilotti.

12. padron... altri:è lo stesso personaggio nominato prima col soprannome di Ci- polla: orgoglioso della sua ricchezza, sminui- sce sarcasticamente quella degli altri.

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bere, troverà il ditale di mia figlia Mara, che ce l’avranno portato le fate, dopo che Mara l’avrà lasciato cascare nella fontana empiendo la brocca; e il figlio del re col bere che farà nel ditale di Mara, si innamorerà di lei; e cam- minerà ancora un anno, un mese e un giorno, sinché arriverà a Trezza, e il cavallo bianco lo porterà davanti al lavatoio, dove mia figlia Mara starà sciorinando13il bucato; e il figlio del re la sposerà e le metterà in dito l’a- nello; e poi la farà montare in groppa al cavallo bianco, e se la porterà nel suo regno.

Alessi ascoltava a bocca aperta, che pareva vedesse il figlio del re sul ca- vallo bianco, a portarsi in groppa la Mara della cugina Anna. – E dove se la porterà? domandò poi la Lia.

– Lontano lontano, nel suo paese di là del mare; d’onde non si torna più.

– Come compar Alfio Mosca14, disse la Nunziata. Io non vorrei andarci col figlio del re, se non dovessi tornare più.

– La vostra figlia non ha un soldo di dote, perciò il figlio del re non verrà a sposarla; rispose ’Ntoni; e le volteranno le spalle, come succede alla gente, quando non ha più nulla.

– Per questo mia figlia sta lavorando qui adesso, dopo essere stata tutto il giorno al lavatoio, per farsi la dote. Non è vero, Mara? Almeno se non viene il figlio del re, verrà qualchedun altro. Lo so anch’io che il mondo va così, e non abbiamo diritto di lagnarcene. Voi, perché non vi siete innamo- rato di mia figlia, invece d’innamorarvi della Barbara15che è gialla come il zafferano? perché la Zuppidda aveva il fatto suo16, non è vero? E quando la disgrazia vi ha fatto perdere il fatto vostro, a voi altri, è naturale che la Bar- bara v’avesse a piantare.

– Voi vi accomodate a ogni cosa, rispose ’Ntoni imbronciato, e hanno ragione di chiamarvi Cuor contento.

– E se non fossi Cuor contento che si cambiano le cose? Quando uno non ha niente, il meglio è di andarsene come fece compare Alfio Mosca.

– Quello che dico io! esclamò ’Ntoni.

– Il peggio, disse infine Mena, è spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono, e dev’essere una cosa da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la strada. «Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello».

– Brava Sant’Agata17! conchiuse il nonno. Questo si chiama parlare con giudizio.

– Sì! brontolò ’Ntoni, intanto, quando avremo sudato e faticato per far- ci il nido ci mancherà il panico18; e quando arriveremo a ricuperar la casa del nespolo, dovremo continuare a logorarci la vita dal lunedì al sabato; e saremo sempre da capo!

– O tu che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?

– Io non voglio fare l’avvocato! brontolò ’Ntoni, e se ne andò a letto di cattivo umore.

Ma d’allora in poi non pensava ad altro che a quella vita senza pensieri e senza fatica che facevano gli altri; e la sera, per non sentire quelle chiac- chiere senza sugo, si metteva sull’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente che passava, e digerirsi la sua mala sorte; almeno così si riposava pel

13. sciorinando:

stendendo ad asciuga- re. 14. Alfio Mosca:car- rettiere innamorato di Mena; i due ragazzi non avevano potuto sposarsi perché Mena era stata promessa, per ragioni di interes- se, al figlio di padron Cipolla; così Alfio aveva lasciato il paese in cerca di fortuna e non era più tornato.

15. Barbara:Barbara, detta «la Zuppidda» è l’ex-fidanzata di ’Nto- ni. 16. aveva il fatto suo:possedeva dei beni.

17. Sant’Agata:così è soprannominata Me- na. Vedi nota 14 p.

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18. il panico:il cibo.

Il panìco è il miglio, cibo per gli uccelli.

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giorno dopo, che si tornava da capo a far la stessa cosa, al pari dell’asino di compare Mosca, il quale come vedeva prendere il basto19gonfiava la schie- na aspettando che lo bardassero! – Carne d’asino! borbottava; ecco cosa siamo! Carne da lavoro! E si vedeva chiaro che era stanco di quella vitaccia, e voleva andarsene a far fortuna, come gli altri; tanto che sua madre, pove- retta, l’accarezzava sulle spalle, e l’accarezzava pure col tono della voce, e cogli occhi pieni di lagrime, guardandolo fisso per leggergli dentro e toc- cargli il cuore. Ma ei diceva di no, che sarebbe stato meglio per lui e per lo- ro; e quando tornava poi sarebbero stati tutti allegri. La povera donna non chiudeva occhio in tutta la notte, e inzuppava di lagrime il guanciale. Infi- ne il nonno se ne accorse, e chiamò il nipote fuori dell’uscio, accanto alla cappelletta20, per domandargli cosa avesse.

– Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo! – ’Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col capo, e sputava, e si grattava il capo cercando le parole.

– Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima. «Chi va coi zoppi, all’anno21zoppica».

– C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!

– Be’! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel ch’è stato tuo nonno! «Più ricco è in terra chi meno desidera». «Meglio contentarsi che lamentarsi».

– Bella consolazione!

Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle labbra:

– Almeno non lo dire davanti a tua madre.

– Mia madre... Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre.

– Sì, accennava padron ’Ntoni, sì! meglio che non t’avesse partorito, se oggi dovevi parlare in tal modo.

’Ntoni per un po’ non seppe che dire: – Ebbene! esclamò poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio.

Adesso ci arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le annate andranno scarse staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiar stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e tutti.

Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle pa- role, come per poterle mandar giù. – Ricchi! diceva, ricchi! e che faremo quando saremo ricchi?

’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa avrebbero fatto.

– Faremo quel che fanno gli altri... Non faremo nulla, non faremo! ... An- dremo a stare in città, a non far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni.

– Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato; – e pensando alla casa dove era nato, e che non era più sua si lasciò cadere la testa sul petto. – Tu sei un ragazzo, e non lo sai! ... non lo sai! ... Vedrai co- s’è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra! ... Lo vedrai! te lo dico io che son vecchio!

Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso curvo, e dimenava

19.basto:la sella adatta a portare il ca- rico.

20. cappelletta:un altarino scavato nel muro delle case.

21. all’anno:entro un anno.

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tristamente il capo: – «Ad ogni uccello, suo nido è bello». Vedi quelle pas- sere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.

– Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! risponde- va ’Ntoni. Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo22, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.

– Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’an- dare a morire lontano dai sassi che ti conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova.» Tu hai paura del lavoro, hai paura della po- vertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! «Il buon pilota si prova alle burrasche». Tu hai paura di dover guada- gnare il pane che mangi; ecco cos’hai! Quando la buon’anima di tuo non- no23mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io ero più giova- ne di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l’ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere. Tua madre l’ha fatto an- che lei il suo dovere, povera femminuccia, nascosta fra quelle quattro mu- ra; e tu non sai quante lagrime ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene; che la mattina tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E non- dimeno sta zitta e non dice di queste cose che ti vengono in mente; e ha la- vorato, e si è aiutata come una povera formica anche lei; non ha fatto altro, tutta la sua vita, prima che le toccasse di piangere tanto, fin da quando ti dava la poppa, e quando non sapevi ancora abbottonarti le brache, che al- lora non ti era venuta in mente la tentazione di muovere le gambe, e an- dartene pel mondo come uno zingaro.

In conclusione ’Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno do- po tornò da capo.

22. bindolo:una macchina costituita da una ruota mossa da un mulo, che ser- viva per tirare su l’ac- qua da un pozzo.

23. nonno:in realtà si tratta del bisnonno di ’Ntoni.

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I temi

Nella prefazione ai Malavoglia (T28.7) Verga aveva presentato il romanzo come uno «studio sincero e spassionato del come probabilmente devono svilup- parsi, nelle più umili condizioni, le prime irrequie- tudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta sino allora relati- vamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accor- gersi che non si sta bene, o che si potrebbe star me- glio». In questo brano il tema della «bramosia dell’i- gnoto» e delle «irrequietudini pel benessere» si in- carna nel personaggio di ’Ntoni, che, avendo cono- sciuto attraverso il servizio militare le attrattive della

città, si ribella alla miseria e alla ripetitività della vi- ta di Aci Trezza. A lui si contrappone padron ’Nto- ni, custode delle tradizioni e dei valori della società patriarcale, ribaditi dal “coro” costituito dalle donne e dai ragazzi, assorti in quell’operosità e in quelle abitudini quotidiane che ’Ntoni non riesce più a sopportare.

Ripercorrendo il dialogo a più voci della prima parte del brano, e quello successivo fra ’Ntoni e il nonno, indicate quali sono i motivi di conflitto tra le due mentalità.

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dialogo con il testo



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1. Venni:sono venu- to. In Sicilia il passato remoto ha un uso molto più esteso che nel resto d’Italia e si usa anche per azioni appena compiute, in casi in cui altrove si usa il passato prossi- mo. 2. ché tutti mi cono- scono:’Ntoni si sente disonorato per essere stato in carcere e non osa presentarsi a chi conosce lui e la sua storia.

3. buscarmi:guada- gnarmi.

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Questa contrapposizione non è schematica come potrebbe sembrare a una lettura superficiale: in fon- do anche il nonno ha dimostrato un desiderio di cambiamento, quando ha tentato di sollevare le sorti della famiglia con l’infausto affare dei lupini. Quale differenza c’è – se c’è – tra l’intraprendenza di pa- dron ’Ntoni e quella di ’Ntoni?

D’altra parte anche ’Ntoni non è un personaggio tutto d’un pezzo, ma è diviso tra l’ansia di cambiar vita, di lasciare il paese e la famiglia, e l’attaccamento per tutto ciò che vorrebbe lasciarsi alle spalle. Indivi- duate nel testo i momenti dai quali traspare questo conflitto interiore.

Le forme

Il brano è costituito quasi interamente da dialoghi, in cui il conflitto tra le due mentalità si esprime, come di consueto, attraverso le forme espressive tipi-

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? che del mondo rurale: nelle parole dei personaggi ri-

corrono con frequenza particolare le similitudini con gli animali, i proverbi, i riferimenti alla cultura po- polare.

Sceglietene alcuni esempi e spiegate quali signifi- cati assumono per ’Ntoni e per gli altri personaggi.

Nelle parti non dialogate, il narratore, secondo l’at- teggiamento mimetico tipico di Verga, assume la mentalità e i modi di esprimersi dei personaggi, esprimendo via via i loro punti di vista. Nell’insieme si sbilancia maggiormente a favore dei sentimenti di padron ’Ntoni e della famiglia, espressi con aggettivi e commenti fortemente patetici, ma non trascura il punto di vista di ’Ntoni, offrendo al lettore l’occasio- ne di identificarsi anche con lui.

Individuate nel testo qualche esempio di queste diverse dislocazioni del narratore.

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Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stes- so Alessi, che andò ad aprire, non riconobbe ’Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto di polvere, e colla barba lunga. Come fu entrato, e si fu messo a sedere in un cantuccio, non osavano quasi fargli festa. Ei non sembrava più quello, e andava guardando in giro le pareti, come non le avesse mai viste; fino il cane gli abbaiava, ché non l’ave- va conosciuto mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché aveva fame e sete, ed egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero, come non avesse visto grazia di Dio da otto giorni, col naso nel piatto; ma gli altri non aveva- no fame, tanto avevano il cuore serrato. Poi ’Ntoni, quando si fu sfamato e riposato alquanto, prese la sua sporta e si alzò per andarsene.

Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era mutato. Ma al veder- gli riprendere la sporta, si sentì balzare il cuore dal petto, e Mena gli disse tutta smarrita: – Te ne vai?

– Sì! rispose ’Ntoni.

– E dove vai? chiese Alessi.

– Non lo so. Venni1per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi è andata tutta in veleno. Per altro qui non posso starci, ché tutti mi conosco- no2, e perciò son venuto di sera. Andrò lontano, dove troverò da buscarmi3 il pane, e nessuno saprà chi sono.

Giovanni Verga da I MALAVOGLIA (Cap. XV, in Tutti i romanzi, a cura di E.

Ghidetti, Sansoni, Fi- renze, 1983)

T28.16

Sono le ultime pagine del romanzo. Dopo la morte di padron ’Ntoni, Alessi, il più giovane dei nipoti, è riuscito a riscattare la casa del nespolo, dove vive con la moglie

Nunziata, i figli e la sorella Mena. Una notte ’Ntoni, uscito di prigione, ritorna a casa.

«Ora è tempo d’andarsene»

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