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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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Isoforme del recettore insulinico e recettore per fattori di crescita insulino-simili in cellule

follicolari umane progenitrici ricavate da carcinoma tiroideo papillifero e tessuto tiroideo normale

Malaguarnera R1, Frasca F3, Garozzo A2, Gianì F3, Vella V3, Vigneri R3, Belfiore A1

1Divisione di Endocrinologia e

2Otorinolaringoiatria, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università “Magna Graecia” di Catanzaro, Catanzaro; 3Divisione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, Università degli Studi di Catania, Catania

J Clin Endocrinol Metab 2011;96:766-74

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato valutato il ruolo delle due isoforme del recettore insulinico (IR-A e IR-B) e di altri componenti del sistema IGFs, quali IGF-IR e i suoi ligandi IGF-I e IGF-II, nella crescita e differenziazione di cellule staminali ottenute da tessuto tiroideo normale e tumorale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Le cellule staminali tumorali sono state identificate come le cellule di origine delle neoplasie e di conseguenza come bersaglio terapeutico ideale per l’eradicazione del tumore. L’isoforma A (IR-A) del recettore insulinico è un recettore ad alta affini- tà per insulina e IGF-II ed è prevalentemente espressa nei tessuti fetali e in quelli scarsamente differenziati. Viceversa, l’isoforma B (IR-B) lega prevalentemente l’insulina ed è espressa nei tessuti adulti e ben differenziati. Cellule tumorali tiroidee, specie se scarsamente differenziate, risultano particolarmente responsive all’insuli- na e ai fattori di crescita insulino-simili (IGF-I e IGF-II) e iperesprimono sia IGF-IR che IR-A. Quest’ultima isoforma media gli effetti proliferativi dell’IGF-II.

Sintesi dei risultati ottenuti

I livelli di espressione di entrambe le isoforme del recettore insulinico, IGF-IR, IGF-I e IGF-II sono notevolmente più elevati nelle cellule staminali ottenute da tessuto tiroideo normale e tumorale rispetto alle cellule tiroidee differenziate. IR-A è l’isoforma prevalente nelle cellule staminali, soprattutto in quelle tumorali, mentre l’isoforma B prevale nelle cellule differenziate. La crescita e la proliferazione delle cellule staminali tiroidee è parzialmente dipendente dalla via di trasduzione del segnale mediata dal recettore insulinico. La crescita delle cellule staminali tiroidee è stimolata sia dall’insulina sia dai fattori insulino-simili, mentre la capacità di self- renewal è prevalentemente stimolata dall’IGF-II.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I nostri risultati supportano l’ipotesi che il sistema dell’IGF svolga un ruolo di fon- damentale importanza nella biologia delle cellule staminali tiroidee. In particolare, l’aumentato rapporto IR-A:IR-B e la relativa predominante espressione di IGF-II nelle cellule staminali tumorali tiroidee potrebbero contribuire alla loro crescita ed espansione contrastandone la differenziazione.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare se i dati ottenuti rappresentano un fenomeno generale valido anche per cellule staminali ottenute da altri istotipi tumorali.

Valutare se il sistema IGF e in particolare IR-A e i segnali da esso mediati, possano contribuire alla resistenza delle cellule staminali alle classiche terapie antitumorali.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

IR-A sembra rappresentare un innovativo bersaglio molecolare mirato per le tera- pie differenziative del carcinoma tiroideo, in particolare dell’istotipo scarsamente differenziato e refrattario alla terapia convenzionale con radioiodio.

La glicemia a un’ora identifica individui normotolleranti con severa insulino-resistenza e disfunzione della

beta-cellula: analisi trasversale dei dati dello studio RISC (relazione tra insulino-sensibilità e rischio cardiovascolare) Manco M, Panunzi S, Macfarlane DP, Golay A, Melander O, Konrad T,

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca aveva come fine migliorare la capacità della curva da carico di glucosio di predire lo sviluppo di diabete mellito, identificando nuovi marcatori di rischio di immediata e semplice applicazione clinica.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi longitudinali dimostrano che circa il 40% dei pazienti che sviluppano diabete mellito di tipo 2 nell’arco dei successivi 10 anni, sono normotolleranti all’inizio del periodo di osservazione.

L’analisi dei dati longitudinali del “BOTNIA study” dimostrava che un valore di gli-

La Ricerca in Italia

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Petrie JR, Mingrone G; per il Consorzio dello studio RISC (relazione tra insulino-sensibilità e rischio cardiovascolare) Direzione Scientifica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Istituto di Ricovero

e Cura a Carattere Scientifico Diabetes Care 2010;33:2090-7

cemia a un’ora dopo il carico orale di glucosio pari o superiore a 155 mg/dl e in presenza della sindrome metabolica esponeva il paziente, pur con normale tolle- ranza al glucosio, a un rischio elevato di sviluppare diabete nei successivi 7-8 anni.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo osservato che pazienti con glicemia a un’ora dal carico orale di glucosio uguale o maggiore di 155 mg/dl, pur se normotolleranti, presentano un grado di resistenza all’insulina maggiore dei pazienti con glicemia inferiore a questo valore, e soprattutto una disfunzione della risposta della beta-cellula non diversa da pazienti con comprovata alterazione della tolleranza glucidica.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

L’analisi descrittiva del grado di resistenza all’insulina e degli indici di secrezione insulinica nelle tre classi di individui, e cioè con normale tolleranza e glicemia a un’ora inferiore a 155 mg/dl, normale tolleranza ma glicemia a un’ora maggiore del valore soglia, e alterata tolleranza al glucosio dimostra che il rischio di diabete è continuo lungo lo spettro dei valori glicemici osservati nel corso di un test da cari- co e spiega chiaramente il perché questi pazienti abbiano un rischio maggiore di sviluppare diabete.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Verificare il rischio effettivo degli individui normotolleranti con escursione della gli- cemia a un’ora uguale o maggiore di 155 mg/dl di sviluppare diabete nell’arco dei successivi 3 e 10 anni utilizzando i dati longitudinali di osservazione.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La classe di individui da noi identificata è meritevole di un approccio terapeutico più aggressivo, tale cioè da contenere la richiesta di insulina necessaria a compensa- re la situazione di insulino-resistenza e a migliorare il profilo lipidico.

Effetti della terapia combinata con ezetimibe e simvastatina rispetto a simvastatina da sola in pazienti con diabete di tipo 2 Ruggenenti P1,2, Cattaneo D1, Rota S1, Iliev I1, Parvanova A1, Diadei O1, Ene-Iordache B1, Ferrari S1, Bossi AC3, Trevisan R4, Belviso A5, Remuzzi G1,2

1Centro di ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo & Cele Daccò,”

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Bergamo; 2Unità di Nefrologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo; 3Unità di Diabetologia, Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio-Caravaggio,” Bergamo;

4Unità di Diabetologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo; 5Ambulatorio Diabetologico di Ponte San Pietro, Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio-Caravaggio,” Bergamo Diabetes Care 2010;33:1954-6

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio aveva come obiettivo quello di valutare se le terapia con ezetimibe potesse migliorare i parametri del metabolismo lipidico in pazienti con diabete di tipo 2 e dislipidemia nonostante trattamento con simvastatina.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Era noto che sia ezetimibe sia simvastatina riducono i livelli di colesterolo sierico, ma non si conosceva l’effetto del loro impiego combinato.

Sintesi dei risultati ottenuti

La terapia combinata con ezetimibe riduce i livelli sierici di colesterolo totale, di colesterolo LDL e di apolipoproteina B in pazienti diabetici già in terapia con sim- vastatina.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi risultati hanno chiarito che ezetimibe e simvastatina hanno effetti ipolipide- mizzanti additivi e possono essere utilizzati in associazione in modo sicuro per ridurre i livelli sierici di colesterolo totale, di colesterolo LDL e di apolipoproteina B in pazienti diabetici in cui la terapia con simvastatina da sola non è sufficiente a ottenere un controllo lipidico ottimale.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Studi futuri aiuteranno a delineare meglio il profilo di sicurezza ed efficacia di ezeti- mibe associato a simvastatina e a comprendere quali sono i dosaggi ottimali da impiegare.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Ezetimibe è un’opzione terapeutica ragionevole per i pazienti diabetici che, nonostante terapia con statina, non riescono a raggiungere un controllo lipidico ottimale.

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Associazione tra il gene ADIPOQ, adiponectina circolante ad alto peso molecolare e albuminuria in soggetti con normale funzione renale: risultati di uno studio familiare Menzaghi C1, De Cosmo S2, Copetti M3, Salvemini L1, De Bonis C1, Mangiacotti D1, Fini G1, Pellegrini F3, Trischitta V1,4

1Unità di Ricerca di Diabetologia ed Endocrinologia, 2Unità di Endocrinologia e 3Unità di

Biostatistica, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo; 4Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università Sapienza, Roma

Diabetologia 2011;54:812-8

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Si sono valutate le correlazioni fenotipiche e genetiche tra escrezione di albumina urinaria (EUA), espressa come albumina/creatinina (ACR), e adiponectina ad alto peso molecolare (HMW) e il ruolo di ADIPOQ, gene di adiponectina, in tali correla- zioni. Mediante la Mendelian randomization, si è studiata la presenza di un mecca- nismo causa-effetto che sottende queste associazioni.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I livelli serici di adiponectina, ormone insulino-sensibilizzante, sono riportati

“paradossalmente” aumentati in pazienti con aumentata EUA. Per evitare i pos- sibili effetti confondenti esercitati negli studi precedenti dalla presenza del diabe- te – e terapie relative – e dalla conseguente ridotta funzionalità renale, abbiamo valutato la relazione tra adiponectina HMW e EUA in famiglie composte da sog- getti non diabetici, con normale funzione renale e senza alcun trattamento far- macologico.

Sintesi dei risultati ottenuti

ACR correla positivamente con adiponectina HMW. ACR e HMW condividono un background genetico comune di cui il gene ADIPOQ spiega il 2,5%. La Mendelian randomization dimostra una relazione causa-effetto tra HMW e ACR.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questo studio conferma anche in una popolazione non diabetica e con fun - zionalità renale normale che adiponectina HMW ed EUA sono positivamente correlate e mostra per la prima volta la presenza di un meccanismo causa- effetto, in parte mediato dal gene ADIPOQ, alla base di questa importante asso- ciazione.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Lo studio del meccanismo di modulazione di adiponectina HMW sulla funzionalità renale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La possibilità di disegnare una terapia farmacologica che, modulando adiponecti- na HMW, moduli la EUA e di conseguenza la funzionalità renale.

La stimolazione dei recettori dei cannabinoidi altera la mitocondriogenesi nel tessuto adiposo, nel muscolo e nel fegato di topo. Ruolo delle vie di segnale eNOS, p38 MAPK e AMPK

Tedesco L1,2, Valerio A1,3,

Dossena M1,3, Cardile A1, Ragni M1, Pagano C4, Pagotto U5,

Carruba MO1,2, Vettor R4, Nisoli E1,2

1Integrated Laboratories Network, Centro per lo Studio e la Ricerca sull’Obesità e Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Università degli Studi di Milano; 2Istituto Auxologico Italiano, Milano; 3Dipartimento di Scienze Biomediche e

Biotecnologie, Università degli Studi di Brescia; 4Laboratorio Endocrino- Metabolico, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Sono stati valutati gli effetti dell’agonista selettivo dei recettori dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1) – ACEA – e degli endocannabinoidi – anandamide e 2-arachi - donoilglicerolo – sull’espressione dell’ossido nitrico sintetasi di tipo endoteliale (eNOS), sulla quantità di DNA mitocondriale e su diversi parametri di mitocondriogenesi in adipociti bianchi, murini e umani, in coltura, oltre che nel tessuto adiposo bianco (white adipose tissue, WAT), nel muscolo scheletrico e nel fegato di topi trattati cronicamente con ACEA.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I recettori CB1 controllano il metabolismo energetico attraverso la modulazione di molti processi centrali e periferici. In particolare, è noto che topi con delezione genetica dei CB1 sono magri e resistenti alla dieta ricca in grassi (high-fat diet, HFD). Allo stesso modo, l’antagonista CB1 selettivo – SR141716 o rimonabant – riduce persistentemente il peso dei topi obesi, aumentando il metabolismo del WAT, migliorando la steatosi epatica e aumentando la captazione di glucosio nel muscolo scheletrico.

Sintesi dei risultati ottenuti

La stimolazione dei recettori CB1 diminuisce la mitocondriogenesi e l’espressione dell’eNOS, attraverso la modulazione di diverse vie di segnale (p38 MAPK e AMPK), sia in adipociti bianchi in coltura sia in WAT, muscolo e fegato di topi alimentati con HFD.

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Effetto di alcuni polimorfismi di GCKRsulla funzione beta-cellulare e renale nei pazienti con diabete di tipo 2 neo-diagnosticato: the Verona newly diagnosed type 2 diabetes study 2 Bonetti S1, Trombetta M1,2, Boselli ML1, Turrini F1, Malerba G3, Trabetti E3, Pignatti PF3,

Bonora E1,2, Bonadonna RC1,2

1Dipartimento di Medicina, Università di Verona; 2Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata;

3Dipartimento di Scienze della Vita e della Riproduzione, Università di Verona

Diabetes Care 2011;34:1205-10

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio mirava a indagare l’effetto di polimorfismi a singolo nucleotide (single nucleotide polymorphism, SNP), localizzati vicino o all’interno del gene GCKR (glucokinase regulatory protein), sulla funzione beta-cellulare e renale in soggetti italiani affetti da diabete di tipo 2 di nuova diagnosi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi di genetica condotti prevalentemente in soggetti non diabetici avevano evi- denziato che due polimorfismi di GCKR, rs780094 e rs1260326, in stretto linkage disequilibrium tra loro, si associavano a fenotipi intermedi correlati con il diabete e che rs1260326 si associava a riduzione della velocità di filtrazione glomerulare e aumentato rischio di malattia renale cronica.

Sintesi dei risultati ottenuti

In 509 pazienti affetti da diabete di tipo 2 di nuova diagnosi, GAD-negativi, sono stati misurati, rispettivamente, sensibilità insulinica e funzione beta-cellulare con metodi di riferimento. In tutti i soggetti è stata misurata la velocità di filtrazione glo- merulare mediante la formula MDRD. I polimorfismi genotipizzati (rs6717980, rs1049817, rs6547626, rs780094, rs2384628 e rs8731) sono stati selezionati in modo da coprire il 95% della variabilità genetica dell’intera regione genomica con- siderata.

Gli alleli maggiori di rs6717980 e rs2384628 si associavano in modo indipendente a riduzione della funzione beta-cellulare. I seguenti polimorfismi: rs1049817, rs6547626 e rs780094 erano inoltre associati, in modo indipendente, a riduzione della velocità di filtrazione glomerulare secondo un modello recessivo.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I nostri risultati confermano che GCKR svolge un ruolo patogenetico sia nel diabe- te di tipo 2 sia nella malattia renale cronica. Le caratteristiche peculiari dello studio sono le seguenti: 1) scelta di una popolazione di soggetti con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi, nei quali l’effetto genetico sui fenotipi fisiopatologici non è ancora stato influenzato dalla terapia; 2) applicazione di metodi di riferimento per stimare funzione beta-cellulare e sensibilità insulinica.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Sarebbe auspicabile eseguire altri studi al fine di svelare le possibili associazioni tra i fenotipi fisiopatologici correlati al diabete di tipo 2 e i polimorfismi recentemente individuati negli studi di genome-wide.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Un’adeguata fenotipizzazione e genotipizzazione dei pazienti con diabete di nuova diagnosi potrebbe essere utile per personalizzare prognosi e terapia.

degli Studi di Padova; 5Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia e Centro di Ricerca Biomedica Applicata, Ospedale S. Orsola- Malpighi, Università “Alma Mater” di Bologna

Diabetes 2010;59:2826-36

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I livelli degli endocannabinoidi e l’attivazione dei recettori specifici sono aumentati sia nell’obesità sia nel diabete. I nostri risultati suggeriscono che l’iperstimolazione dei CB1, inibendo la biogenesi e la funzionalità dei mitocondri in tessuti metabolicamente attivi, possa spiegare, almeno in parte, l’aumento dei depositi di grasso e le disfunzioni metaboliche che si riscontrano negli animali obesi.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Lo studio di molecole in grado di antagonizzare in maniera selettiva i recettori CB1 dei tessuti periferici, come potenziali farmaci per la terapia dell’obesità e del diabete privi di effetti collaterali di tipo centrale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri risultati rafforzano l’ipotesi che farmaci capaci di aumentare la funzione mito - condriale potrebbero migliorare la terapia dell’obesità e delle malattie a essa correlate.

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La circonferenza del polso è un marker clinico di insulino-resistenza in bambini e adolescenti sovrappeso e obesi

Capizzi M1, Leto G1, Petrone A1, Zampetti S1, Papa RE2, Osimani M3, Spoletini M1, Venditti C1,

Carlone A1, Lenzi A4, Osborn J5, Mastantuono M3, Vania A2, Buzzetti R1

1Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche; 2Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile; 3Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e Anatomopatologiche; 4Dipartimento di Medicina Sperimentale;

5Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Università Sapienza di Roma, Roma Circulation 2011;123(16):1757-62

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di valutare in bambini obesi l’esistenza di una correlazione tra la circonferenza del polso e i livelli di insulino-resistenza.

Quindi è stata valutata l’entità di tale correlazione paragonandola all’entità della correlazione esistente tra insulino-resistenza e altri parametri antropometrici che stimano il tessuto adiposo. Si è quindi analizzato il polso con risonanza magnetica nucleare per identificare quale delle componenti tessutali fosse realmente coinvol- ta nella correlazione.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Prima della nostra ricerca non esisteva alcun articolo che correlasse un parametro antropometrico osseo ai livelli di insulino-resistenza. Alcune recenti evidenze mostravano comunque un effetto diretto dell’insulina sulle cellule del tessuto osseo e connessioni endocrine tra il tessuto osseo e il metabolismo energetico.

Sintesi dei risultati ottenuti

La circonferenza del polso è correlata con l’insulino-resistenza più di quanto lo sia l’SDS-BMI (standard deviation score-body mass index). Si è poi verificato come la correlazione tra l’insulino-resistenza e la circonferenza polso dipenda dalla compo- nente ossea del polso e non dalla componente adiposa.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I dati precedenti alla nostra ricerca mostravano delle interazioni tra tessuto osseo e metabolismo energetico, ma non consentivano di definire un marker antropome- trico osseo correlabile con parametri di predizione cardiometabolica.

I gruppi di cammino

per aumentare l’attività fisica nei soggetti

con diabete di tipo 2

Negri C1, Bacchi E2, Morgante S3, Soave D3, Marques A1, Menghini E1, Muggeo M1, 2, Bonora E1,2, Moghetti P1,2,4

1Endocrinologia e Metabolismo, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona e 2Dipartimento di Medicina, Università di Verona;

3Dipartimento di Prevenzione ULSS 20 Verona; 4Facoltà di Scienze Motorie, Università di Verona Diabetes Care 2010;33:2333-5

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’attività fisica è benefica per i soggetti con diabete di tipo 2. La numerosità e le caratteristiche di questi pazienti rendono però difficile implementare queste eviden- ze. Lo studio ha valutato fattibilità ed efficacia sul controllo metabolico di un inter- vento basato sull’organizzazione di gruppi di cammino supervisionati da laureati in scienze motorie.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il cammino è un’attività facile da organizzare e che non richiede particolari abilità o equipaggiamenti e quindi si presta ad applicazioni su popolazioni numerose.

Tuttavia, un’attività di cammino autogestita è risultata inadeguata nei pazienti con diabete, che hanno la caratteristica di camminare a una velocità inferiore a quella dei soggetti non diabetici.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nei soggetti diabetici che avevano frequentato almeno il 50% delle sessioni di cam- mino si osservava una significativa riduzione, rispetto al gruppo di controllo, di HbA1ce glicemia a digiuno. Inoltre, vi era una significativa riduzione della terapia far- macologica antidiabetica.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il modello dei gruppi di cammino risulta efficace nel migliorare il controllo metabo- lico nei soggetti con diabete di tipo 2, con riduzione del consumo di farmaci anti- diabetici. Questi risultati richiedono però un’adeguata compliance da parte dei pazienti.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriori studi dovranno verificare come migliorare la partecipazione a questi inter- venti.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Il modello dei gruppi di cammino è stato inserito nell’offerta territoriale di promozio- ne delle attività motorie per i soggetti con diabete di tipo 2.

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Dosi di insulina e dei suoi analoghi e incidenza di cancro nei pazienti con diabete di tipo 2 in terapia insulinica

Mannucci E1, Monami M2, Balzi D3, Cresci B4, Pala L4, Melani C3, Lamanna C1, Bracali I2, Bigiarini M4, Barchielli A3, Marchionni N2, Rotella CM4

1Agenzia Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze; 2Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo scopo del lavoro era quello di stabilire l’eventuale presenza di differenze nell’in- cidenza di cancro tra i vari analoghi dell’insulina, dopo aver eliminato l’interferenza dei possibili fattori confondenti.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Alcuni studi epidemiologici avevano indicato un aumento del rischio di tumori inci- denti con l’analogo lento glargine, rispetto all’insulina umana NPH; tale risultato, pur essendo coerente con le conoscenze fisiopatologiche sull’affinità dei vari ana- loghi per i diversi recettori, era poco affidabile a causa dei numerosi difetti metodo- logici degli studi esistenti.

Sintesi dei risultati ottenuti

In una coorte di pazienti con diabete di tipo 2 che iniziavano la terapia insulinica si Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriori studi sulla riproducibilità e ripetibilità della correlazione. È necessario infat- ti verificare tale correlazione in altre popolazioni oltre quella italiana e in altre razze.

Inoltre bisogna valutare quale sia la variabilità di misurazione intraoperatore e inter - operatore rispetto ai parametri antropometrici che stimano il tessuto adiposo al fine di valutare al meglio le possibilità di applicazione clinica della circonferenza polso nella pratica clinica quotidiana.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Un’eventuale modifica del percorso diagnostico di identificazione precoce del rischio cardiometabolico, attualmente basato esclusivamente su parametri antro- pometrici che stimano il tessuto adiposo. La circonferenza del polso per la facilità di repere e misurazione potrebbe sostituire alcuni di questi marker o affiancarli nei sistemi di calcolo complessivo del rischio cardiovascolare.

Alta percentuale di regressione da micro-macroalbuminuria (MA) a normoalbuminuria in bambini e adolescenti con diabete mellito di tipo 1 trattati o non con enalapril: influenza del colesterolo HDL

Salardi S, Balsamo C, Zucchini S, Maltoni G, Scipione M, Rollo A, Gualandi S, Cicognani A

Dipartimento di Pediatria, Policlinico

“S. Orsola-Malpighi”,

Università di Bologna, Bologna Diabetes Care 2011;34:424-9

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Abbiamo studiato l’evoluzione a lungo termine della micro-macroalbuminuria (MA) riscontrata in età pediatrica per stabilire: se e in che misura essa regredisce con l’utilizzo o meno di un ACE-inibitore, se la normalizzazione è duratura e se è influen- zata dal controllo metabolico e dal profilo lipidico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Se l’esordio del diabete avviene durante la pubertà può comparire MA che spesso scompare al completamento della pubertà stessa.

Sintesi dei risultati ottenuti

La microalbuminuria scompare spesso sia nei casi trattati sia in quelli non trattati.

La macroalbuminuria scompare solo nei pazienti trattati e dopo molti anni di trat- tamento. La remissione permane anche dopo molti anni dalla sospensione di ena- lapril. I pazienti che normalizzano hanno un controllo peggiore e valori di colestero- lo HDL più bassi rispetto a quelli che non normalizzano e a quelli senza MA.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Negli adolescenti diabetici la presenza di MA ha facilmente un’evoluzione benigna.

Se i valori di MA persistono elevati, un trattamento con enalapril è indicato e deve essere continuato anche in iniziale assenza di risultati.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Verificare la possibilità di prevenire la MA attraverso l’innalzamento dei livelli di cole- sterolo HDL.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I giovani con bassi livelli di colesterolo HDL e con cattivo controllo metabolico sono più a rischio di sviluppare MA e necessitano di una particolare attenzione.

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Universitaria Careggi, Firenze;

3Epidemiologia, Azienda Sanitaria Firenze; 4Endocrinologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

Diabetes Care 2010;33:1997-2003

sono identificati, in un follow-up di oltre 6 anni, i casi di tumori incidente, che sono stati confrontati con controlli appaiati per sesso, età e indice di massa corporea selezionati casualmente dalla stessa coorte. Si è osservato che nei casi la propor- zione di pazienti trattati con glargine è simile ai controlli, ma le dosi di glargine sono più elevate. Anche dopo aggiustamento per i confondenti, dosi di glargine superio- ri a 0,3 U/kg/die si associano a un aumento significativo dell’incidenza di cancro, mentre altrettanto non avviene per l’insulina umana NPH o per le formulazioni rapi- de di insulina.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il nostro studio ha sottolineato l’importanza della dose e del tempo di esposizione:

se glargine ha un effetto negativo sul rischio di cancro, questo effetto si manifesta soltanto per dosi elevate e tempi di esposizione protratti.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriori studi epidemiologici su campioni più vasti, con metodi rigorosi, consenti- ranno di definire con maggiore precisione le differenze tra i vari analoghi rispetto al rischio di tumore.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Sebbene il quadro sia ancora in via di definizione, i dati emergenti sul possibile rap- porto tra alte dosi di glargine e incidenza di tumori inducono a maggiore cautela nelle titolazioni molto aggressive di insulina basale nella terapia del diabete di tipo 2.

Aumentati livelli di acido urico predicono lo sviluppo di diabete di tipo 2 in pazienti ospedalizzati con ipertensione essenziale:

lo studio MAGIC

Viazzi F1, Leoncini G1, Vercelli M2,3, Deferrari G1, Pontremoli R1

1Dipartimento di Cardionefrologia e Dipartimento di Medicina Interna, Università di Genova, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino, Genova; 2Registro Tumori della Regione Liguria,

SS Epidemiologia Descrittiva, IST-Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova; 3DISSAL Dipartimento Scienze della Salute, Università di Genova, Genova Diabetes Care 2011;34:126-8

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato valutato il ruolo predittivo dell’acido urico (AU) per lo sviluppo di diabete (DM) di tipo 2 in una popolazione di ipertesi essenziali, ponendo particolare atten- zione ad analizzarne il significato indipendentemente dalla funzione renale e dalla presenza di sindrome metabolica (SM).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Recenti studi avevano dimostrato che aumentati livelli di AU possono predire lo svi- luppo di DM nella popolazione generale, non erano disponibili dati in popolazioni di ipertesi, non era chiaro quale potesse essere il ruolo di preesistenti condizioni favo- renti quali la SM e l’insufficienza renale.

Sintesi dei risultati ottenuti

L’analisi del follow-up su un totale di 8332 persone/anno ha permesso di eviden- ziare che anche lievi aumenti di AU al basale (cioè ≥ 5,4 mg/dl per le donne e

≥ 7,1 mg/dl per gli uomini) erano associati a un rischio significativamente aumen- tato di sviluppare DM (HR 3,65, p < 0,0001), anche dopo la correzione per nume- rosi fattori di rischio confondenti quali la SM (HR 2,78, p = 0,0054).

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati dello studio sottolineano come in una popolazione a relativamente basso rischio di sviluppare diabete, l’eccesso di rischio associato a lievi incrementi dei livelli di AU sia simile a quello osservato in corso di obesità (3,59, p < 0,0001) e paragonabile a quello in corso di SM (4,28, p < 0,0001). Inoltre questa relazione sembra essere molto più forte nelle donne, indipendentemente da qualsiasi altro fattore potenzialmente confondente.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Studi randomizzati che analizzino l’impatto di terapie ipouricemizzanti sul rischio di sviluppare DM ed eventi cardiovascolari e renali.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri dati enfatizzano l’utilità di una più diffusa e sistematica valutazione dei livelli di acido urico allo scopo di stratificare più correttamente il rischio cardiovascolare e di guidare la gestione del paziente iperteso anche a basso rischio.

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La sintesi di ossido nitrico è ridotta nei soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2 e nefropatia

Tessari P, Cecchet D, Cosma A, Vettore M, Coracina A, Millioni R, Iori E, Puricelli L, Avogaro A, Vedovato M

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Padova Padova

Diabetes 2010;59:2152-9

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Nel nostro studio ci siamo proposti di valutare, nel diabete mellito di tipo 2 (T2DM) con nefropatia, la produzione totale di NOx anche in risposta all’insulina, mediante un metodo isotopico precursore-prodotto, basato sull’infusione di L-[15N2]arginina, e sulla misurazione dei 15NOx ematici derivati dall’arginina. Lo studio comprendeva 3 ore di periodo “basale” e 3 successive ore di clamp iperinsulinemico-euglicemico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

È noto che la produzione di ossido nitrico (NO) è stimolata dall’insulina. Nel T2DM, caratterizzato da insulino-resistenza, è stata riscontrata una ridotta escrezione uri- naria di prodotti di ossidazione dell’NO (nitriti e nitrati, denominati “NOx”), in parti- colare in associazione con nefropatia. Tuttavia, non è noto se la ridotta escrezione di NOx nel T2DM sia causata da una difettosa produzione.

Sintesi dei risultati ottenuti

Il nostro studio dimostra che la sintesi di NOx è globalmente diminuita in pazienti T2DM con nefropatia diabetica e non è adeguatamente stimolata dall’iperinsuline- mia. Anche la conversione frazionale di arginina a NOx è ridotta nel T2DM e non viene normalmente stimolata dall’insulina.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

In conclusione, dimostriamo direttamente per la prima volta che nel T2DM con nefropatia vi è una globale diminuzione della produzione di NOx dall’arginina, anche in risposta all’insulina.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Questo metodo isotopico si presta a studiare il metabolismo dell’NO anche in risposta a stimoli acuti in altre condizioni patologiche in cui la funzione vascolare è compromessa.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Esso può risultare utile nel valutare la produzione di NO in risposta a farmaci con effetti cardiovascolari e metabolici.

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