UFFICIO STAMPA
25 OTTOBRE 2018
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA
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ATTUALITA
25/10/2018Il retroscena
La svolta del governatore
La doppia strategia di Musumeci burocrati nel mirino, cda agli alleati
Rischiano tanti capi dipartimento. La compensazione arriva dalle partecipate Comincia il valzer delle poltrone: a Siciliacque un fedelissimo di Miccichè
EMANUELE LAURIA
Le prime teste, nella rivoluzione d’autunno, sono cadute ieri. Ma i capi degli uffici del Genio Civile di Palermo e Catania, ritenuti colpevoli di non aver messo in campo interventi urgenti per mitigare i danni delle alluvioni, non saranno gli unici dirigenti a restare senza poltrona. Perché il governatore Nello Musumeci ha già messo nel mirino altri burocrati. «Di qui a qualche settimane ne vedremo delle belle», dice un assessore di peso. E non mancano, fra i deputati più vicini al presidente della Regione, le testimonianze di pesanti rimbrotti e urla al telefono indirizzati da Musumeci ai suoi capi dipartimento. Il suo stato d’animo, d’altronde, l’ex presidente della commissione antimafia l’aveva esplicitato pubblicamente parlando di «regionali criminali» che lasciano ammuffire le pratiche sulle scrivanie.
A far innervosire il governatore, in particolare, i ritardi nella spesa dei fondi europei che stanno costringendo l’amministrazione a una corsa spasmodica per spendere 700 milioni in due mesi.
E adesso, dopo le minacce, Musumeci sta pensando seriamente di mettere in discussione alcune delle nomine fatte solo qualche mese fa. Il frontman, in materia di fondi europei, è ovviamente il responsabili del dipartimento Programmazione (che è Dario Tornabene), ma a rischiare di più sono i colleghi della Famiglia ( Rino Giglione), del Lavoro ( Francesca Garoffolo) e il capo dell’agenzia per l’informatica
Maurizio Pirillo. Non sarà facile, se non nei casi di gravi inadempienze, rescindere i vincoli contrattuali con i dirigenti, ma c’è anche la via d’uscita costituita da piccole o grandi rotazioni degli incarichi. Di certo, Musumeci non smetterà di mostrare il pugno duro, in ossequio a un piglio decisionista che ha deciso di rispolverare e all’intenzione di prefigurare responsabilità non politiche di un eventuale fallimento.
La strategia di Musumeci, in queste ore, ha un doppio volto. Da un lato, c’è il pressing sui capi dipartimenti della Regione.
Dall’altro l’allargamento della platea di beneficiari delle nomine di sottogoverno, conseguenza di un recente decreto che cambia la governance di alcune partecipate. Nelle spa più rilevanti si passa dall’amministratore unico al consiglio d’amministrazione formato da tre membri. Un modo per dare un assetto più stabile alle società e garantirne un controllo più stringente dell’operato. Ma un modo anche per garantire maggiori spazi (e responsabilità) agli alleati di governo.
Quello che sta accadendo, in questi giorni, è sotto gli occhi di tutti: le nomine di tecnici di valore alla guida delle società controllate della Regione si uniscono (o coincidono) con quelle di uomini d’area. In altri termini, può chiamarsi
lottizzazione.
Ieri, ad esempio, sono arrivare le nuove designazioni per Riscossione Sicilia. È stato confermato nel ruolo di presidente il commercialista Vito Branca. Al suo fianco i consiglieri prescelti sono Ettore Falcone (di area Diventerà Bellissima) e l’avvocato Ketty Favazzo, sorella del legale di Francantonio Genovese, condannato per le truffe nelle formazione professionale. Amministratori che prendono il posto di Massimo Giaconia, assessore nella giunta calatina di Gino Ioppolo (da sempre vicinissimo a Musumeci) e di Gaetana Palermo, consigliere comunale di Fi a Enna: le due nomine erano state bocciate dalla commissione Affari istituzionali dell’Ars.
Ieri sono state fatte anche le designazioni di Siciliacque: al timone va Dario Allegra, ex manager del Civico legato al commissario di Forza Italia Gianfranco Micciché. Non senza sorpresa la conferma degli altri due membri del Cda: oltre a Carmelo Cantone, ex finiano cognato e cognato dell’ex assessore Luigi Gentile, mantiene l’incarico anche Sonia Alfano, già eurodeputata di Italia dei Valori ed esponente del Megafono di Rosario Crocetta.
Anche le nomine della nuova Seus non sfuggono alla logica della ripartizione degli incarichi: il presidente, nell’ambito della convenzione con la Regione Lombardia, sarà un esterno non siciliano ( Davide Croce, direttore del Centro di ricerca in management sanitaria dell’Università Carlo Cattaneo di Milano) ma gli altri due componenti del Cda rispondono a logiche di appartenenza: Pietro Marchetta, commercialista di Agrigento vicino al deputato forzista Riccardo Gallo Afflitto, e Tania Pontremoli, già candidata alle Politiche su indicazione di Diventerà Bellissima. Nei prossimi giorni, attraverso la modifica degli statuti, toccherà alla Sas e a Sicilia Digitale allargare la governance. E offrire nuovi posti comodi posti ala maggioranza.
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La firma dell’intesa fra Nello Musumeci e Attilio Fontana sul 118 “lombardo”
ATTUALITA
25/10/2018L’emergenza
Alluvioni e frane la Sicilia ha 800 milioni ne spende un quarto
antonio fraschilla
Solo 185 milioni sono stati usati. Musumeci adotta il pugno duro contro il Genio civile di Catania e Palermo
Quando ha saputo che i due dirigenti non avevano speso un euro dei fondi messi a disposizione per pulire i letti dei fiumi e dei torrenti della provincia di Catania, poi travolti dalle piogge abbondanti, è andato su tutte le furie: « Capiamoci, io devo rispondere alla gente che mi chiede rigore come promesso e che vuole risposte, dopo l’alluvione in Sicilia Orientale la situazione è disastrosa e qualcuno non ha fatto il suo dovere » , ha detto senza giri di parole il governatore Nello Musumeci ad alcuni assessori, a partire da quello alle Infrastrutture Marco Falcone, responsabile del Genio civile.
Musumeci è saltato dalla sedia quando ha saputo che il Genio civile di Palermo e Catania non hanno utilizzato un solo euro dei 6 milioni che il dipartimento Tecnico aveva messo a disposizione in estate proprio per la pulizia dei torrenti e dei fiumi. Dal dipartimento avevano scritto ai nove Genio civile per chiedere loro di consegnare un elenco di «somme urgenze » : cioè di interventi da avviare subito, senza attendere gare di appalto, con affidamenti diretti. Ma sono arrivate solo sette risposte. Tutti tranne Palermo e Catania hanno consegnato un elenco di interventi. Per la precisione, Catania ha sostenuto di non avere somme urgenze, mentre Palermo non ha risposto. Peccato però che proprio nei giorni scorsi un’alluvione abbia travolto i torrenti tra Catania e Siracusa, creando non pochi disagi. Musumeci a questo punto ha chiesto la testa dei dirigenti del Genio civile in questione: Orazio Ragusa a Catania e Manlio Munafò a Palermo. Ragusa ieri mattina si è dimesso, mentre il dirigente generale del dipartimento Tecnico, Salvatore Lizzio, ha avocato a sé l’incarco di Munafò, di fatto esautorandolo. Anche perché Musumeci era pronto a revocare anche lui per «omesso controllo».
Un pugno duro su un argomento delicato: quello del dissesto idrogeologico e degli interventi per limitare i danni del clima impazzito.
In Sicilia dal 2010 al 2016 sono giunti oltre 800 milioni di euro per interventi su fiumi, torrenti, frane e costa. Ma di questi fondi, quanti sono stati trasformati in lavori ultimati e consegnati? Appena 185 milioni, meno di un quarto. La prima tranche di fondi per sostenere l’Isola flagellata dal maltempo è arrivata all’indomani della strage di Giampilieri.
Nel 2010 sono stati stanziati 215 milioni di euro, in parte gestiti dalla struttura commissariale per il dissesto idrogeologico creata ad hoc, in parte dal dipartimento Ambiente della Regione. La parte della struttura commissariale è stata spessa quasi tutta. Ad oggi, a otto anni di distanza, 145 milioni di euro sono stati spesi in opere già ultimate. Il problema sorge per la parte Regione, circa 40 milioni di euro: di questi fondi i lavori collaudati valgono circa 7 milioni, il
18 per cento. A otto anni di distanza, sono ancor in fase di progettazione gli interventi a Cattolica Eraclea, Santo Stefano di Quisquina, Camporeale, Butera, Tortorici, Partinico, Forza D’Agrò, Modica e Rosolini.
Nel 2016 sono arrivati altri 590 milioni per interventi per « alluvioni, frane, messa in sicurezza infrastrutture ed erosione costiera » , per un totale di 237 progetti. Di questi, dopo l’intervento del commissario al dissesto idrogeologico Maurizio Croce, sono in fase di gara o già appaltati circa 48 interventi per 127 milioni di euro. Un solo intervento è stato però concluso: l’appalto da 200mila euro per « lavori urgenti sul lungomare di Sant’Agata di Militello » . Altri 22 appalti sono in corso di aggiudicazione o con i lavori appena avviati. I dati sono stati appena consegnati da Croce al governo nazionale in una lunga relazione che fa il punto su tutta la spesa per il dissesto idrogeologico dal 2010 a oggi.
Una spesa andata molto a rilento in passato tra conflitti di competenze e burocrazia. Adesso è arrivata un’accelerazione, dopo due anni di quasi immobilismo tra il 2015 e il 2016. Ma rimangono da mettere in gara altri 450 milioni di euro: di questi ancora il 37 per cento sono bloccati per progetti in fase preliminare, nonostante l’idea del cosiddetto Patto per la Sicilia voluto dal governo Renzi fosse quella di finanziare opere cantierabili. Ma Genio civile e Comuni, manco a dirlo, sono lenti nel presentare i progetti: sia per problemi economici, sia per problemi di personale tecnico qualificato. Non a caso la struttura commissariale ha dovuto stanziare d’urgenza 5,4 milioni di euro per «finanziamento servizi di ingegneria».
Insomma, il cane che si morde la coda. L’Isola per la prima volta da anni ha centinaia di milioni di euro da spendere.
Ma non ce la fa, dai fondi Ue a quelli per pulire i fiumi passando per gli interventi contro alluvioni e frane.
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 25 OTTOBRE 2018
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POLITICA
25/10/2018Il colloquio
Il premier a Mosca
L’allarme di Conte sullo spread "Se resta alto diventa un problema"
"Sto lavorando perché scenda, abbassiamo i toni. Il rating? Se arrivasse il downgrade lo valuteremo". Putin apre: il nostro fondo sovrano potrebbe comprare titoli di Stato italiani
TOMMASO CIRIACO,
Dal nostro inviato MOSCA
Passeggia lungo un salone del museo Puskin di Mosca. Tra i dipinti di Tiepolo e Canaletto, che a giorni saranno esposti a Vicenza, Giuseppe Conte può dimenticare per cinque minuti lo spread. La Borsa che soffre. Le sparate dei suoi vicepremier. Poi però la realtà torna, prepotente, nonostante le luminose tele del Settecento veneto. «Buonasera – saluta incrociando il taccuino che cattiverie scrivete oggi?».
Ovviamente dell’allarme di Giovanni Tria sulla tenuta del sistema bancario e dei tassi di interesse insostenibili per i nostri titoli di Stato. «Cosa dico? Se lo spread fosse elevato, e comunque anche se si mantenesse alto a questo punto, certo: questo sarebbe chiaramente un problema. Significa che paghiamo tanto di interesse ed è un problema di sistema».
Il premier si colloca esattamente a metà strada tra il pessimismo del ministro dell’Economia e la gioiosa spensieratezza con cui Luigi Di Maio e Matteo Salvini corrono verso l’ignoto. Lo ripete adesso anche tra i quadri più luminosi della mostra, «io sono responsabile e fiducioso». E proprio per questo lo spread diventa domanda obbligata: «Il mio vuole essere un messaggio di fiducia, sia chiaro. Quindi dobbiamo augurarci e fare in modo che lo spread possa abbassarsi.
Contribuendo noi per la nostra parte. E contribuendo tutti per la propria». E Tria, il suo avvertimento pubblico? «Tria ha detto "se sale" lo spread. Ecco, tutti diciamo "se". Anche io».
L’appello alla responsabilità, a fare quasi squadra diventa insistente. Come quello alla fiducia. Ma è chiaro che il premier non è sereno. Non può esserlo.
Domani potrebbe presentarsi il conto di Standard & Poor’s, con il rischio di un nuovo declassamento del rating italiano.
«Se arrivasse il downgrade, lo valuteremo. Se sono spaventato?
Io non sono contento se lo spread è alto, ve l’ho detto. E sto lavorando perché si abbassi.
Vogliamo e dobbiamo mandare un messaggio di fiducia». Sarà, ma la caduta dei titoli delle banche, con il Monte dei Paschi in testa che continua a inabissarsi, sembra proprio indicare quei rischi di sistema di cui ha appena parlato.
«Abbassiamo tutti i toni. Facciamo sistema affinché ciò avvenga. Vale anche per voi, fatelo abbassare pure voi». La stampa fa domande, in realtà. «E io rispetto moltissimo il vostro lavoro e non pretendo di insegnarvelo, assolutamente».
L’invito ad abbassare i toni dipende forse anche dalla quiete che regala Tiepolo, con i suoi colori tanto caldi. Ma fuori infuria la bufera. Un europarlamentare leghista che sfila gli appunti a Moscovici, il commissario che evoca il rischio di un fascismo alle porte. «Ho letto. Ancora con questa cosa del fascismo! Ma per favore, affrontiamo le cose in modo serio». E però sono Salvini e Di Maio che sembrano sconfessarlo ogni volta che da Palazzo Chigi Conte prova a sedare, smorzare con il resto del mondo. Il premier promette comunque che continuerà in questa missione, anche se l’impresa sembra impossibile: appare sempre così schiacciato tra i suoi due vice, non le pare? «Sono molto comfortable. Comunque no, non sono stritolato, nessuno stritolamento. E invece sembrerebbe. «Io farò la mia parte.
Alcune cose le ho dette fin da subito: che serve un dialogo costruttivo, che la nostra manovra è seria, che i fondamentali sono solidi. E che il codice di comunicazione che abbiamo adottato è un codice molto più tranquillo, visto che invece in passato c’è stata qualche "dialettica verbale". Ma ora dobbiamo metterla da parte, lavorare tutti concentrandoci sul nostro obiettivo». Parla ovviamente ai due azionisti di maggioranza che lo affiancano. E insiste con la stampa. «Se voi mi chiedete di Tria, Salvini, Moscovici, allora volete la polemica».
Da Mosca, intanto, porta a casa un lungo bilaterale con Putin. In conferenza stampa lo Zar minaccia di prendere di mira i Paesi Ue che dovessero ospitare missili Usa a medio raggio in Europa. Conte però ottiene che alla conferenza di Palermo sulla Libia partecipi il primo ministro russo Dmitrij Medvedev. E sempre per discutere di questa crisi sentirà tra oggi e domani Donald Trump. Ma il sorriso glielo strappa soprattutto la cauta apertura di Putin all’ipotesi di acquisto dei Btp da parte del fondo sovrano russo e, pare, anche dalla Banca centrale di Mosca, che muove 400 miliardi: «Oggi non ne abbiamo parlato – premette Putin - Ma non ci sono remore di carattere politico sull’acquisto da parte del fondo sovrano». «Non sono venuto per chiedere a Putin di comprare i nostri titoli – ricorda il premier Ma se il fondo lo volesse fare, farebbe un affare». L’ultimo passaggio è per mostrarsi soddisfatto per gli accordi economici tra imprenditori dei due Paesi, che coinvolgono tra gli altri Enel. E per promettere impegno per superare il regime delle sanzioni a Mosca, ma senza sbilanciarsi sul veto di Roma.
L’effetto di Canaletto e Tiepolo, intanto, è svanito. Conte riparte per l’Italia. Sa che iniziano dieci giorni decisivi. E che la giostra dello spread deciderà il futuro del governo gialloverde. «Proverò a farlo abbassare. E abbassiamo tutti i toni».
Salvini e Di Maio certamente non approvano.
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SERGEI CHIRIKOV/ POOL VIA REUTERS
POLITICA
25/10/2018L’impennata del differenziale tra Bund e Btp
Tria e quota 322: "Così non va" La Lega in piazza contro l’Ue
Il ministro difende la manovra ma teme per le banche. Nuova lite con i 5S su Casalino. Salvini manifesta l’8 dicembre
carmelo lopapa,
roma
Il governo gialloverde ha già in canna la risposta all’Europa, sotto forma di guanto di sfida lanciato alla Commissione.
Altro che tre settimane: sarà «velocissima perché abbiamo le idee chiare » , annuncia con soddisfazione Matteo Salvini.
La manovra economica è già " corretta", dunque non andrà modificata, confermano nelle stesse ore l’altro vicepremier Di Maio e il ministro del Tesoro Tria. Anche se da Palazzo Chigi filtra sotto traccia una disponibilità di massima a rivedere il deficit della discordia al 2,4 se la situazione dovesse peggiorare. Ma tutto è rinviato nel tempo, ai primi mesi del 2019, solo se servirà. A quel punto però tutto sarà compiuto, la procedura di infrazione Ue avviata, i correttivi sarebbero tardivi e vani, come da Bruxelles hanno lasciato intendere Fatto sta che nel day after della bocciatura europea senza precedenti alla manovra italiana, la strategia della fermezza dell’esecutivo Conte terremota borse e spread. Milano non solo chiude in negativo, ma è ai minimi da fine 2016, il differenziale coi titoli tedeschi tocca quota 322, i titoli bancari sono ancora una volta i più colpiti: Banco Bpm -4,76%, Ubi -4,14, Unicredit -3,37, Intesa Sanpaolo -3,43, Mediobanca -3,38, tra gli altri. Prende corpo insomma lo spettro che aveva additato due giorni fa a Porta a Porta il sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti, quando aveva avvertito del rischio tenuta per il sistema bancario, paventando un’eventuale ricapitalizzazione. Ieri, dallo stesso salotto di Vespa, è stato il ministro dell’Economia Tria a confermare l’allarme. Il livello dello spread stabile a quota 320, come in questi giorni? «Non possiamo mantenerlo molto a lungo, perché pone un problema per il sistema bancario, la parte più debole » . Ed è un quadro che ancora non tiene conto del rating di S& P atteso per domani e dei risultati degli stress test Eba in agenda per il 2 novembre. E se lo spread toccasse la famigerata quota 400? «Noi andiamo avanti con la manovra, la storia non si scrive con i se», taglia corto Luigi Di Maio. Salvini è ancora più tranchant, tronfio per i risultati in Trentino che, è la sua tesi, smentiscono lo spread: «Possono mandarci anche 12 letterine, da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia » . La Lega è decisa a portare in piazza questa sorta di dichiarazione di guerra all’Europa. Il segretario e i suoi uomini pianificano una manifestazione nazionale da tenere forse sabato 8 dicembre a Piazza del Popolo a Roma. Per urlare appunto il loro «no a questa Europa», festeggiare l’approvazione dei dl sicurezza e legittima difesa a quel punto approvati, per proiettarsi già sulle Europee alle quali Salvini sogna di giocare da bomber, alla guida dell’Internazionale sovranista.
dal ministro Savona con Salvini, Bonafede, Toninelli e altri è stato preannunciato il veto italiano sul bilancio Ue 2021- 2027 se le misure (con tagli) resteranno quelle previste. Siamo ormai alla strategia del colpo su colpo, alla quale si associa - nonostante i dubbi avanzati - anche Tria: i rilievi con cui la Commissione ha bocciato la manovra sono
«superficiali », dice il ministro, «i fondamentali dell’Italia sono solidi » , l’incertezza è solo « su dove il governo vuole andare». Linea dura che non lo preserva tuttavia da un nuovo, pesante scontro col M5S. «Non desidero commentare volgarità e minacce contro funzionari dello Stato », dichiara il responsabile dell’Economia rispondendo a Famiglia Cristiana sul famoso audio del portavoce Rocco Casalino contro i funzionari del Mef. « Sorprende che Tria invece di fare pulizia difenda a prescindere i tecnici » replica in una nota il Movimento. E in serata da Mosca arriva anche la « piena fiducia » del premier Conte al suo portavoce. Un uno- due che mette di nuovo all’angolo l’uomo del Tesoro, già in precario equilibrio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Non commento volgarità e minacce contro funzionari dello Stato che ricoprono ruoli di garanzia. Sono grato alle strutture tecniche del ministero per la professionalità, la lealtà e la dedizione
Giovanni Tria
ministro dell’Economia
L’audio rubato a Rocco Casalino è un fatto vergognoso. Siamo sorpresi che Tria invece di fare pulizia nel suo ministero difenda a prescindere alcuni tecnici del Mef non indipendenti
Movimento 5Stelle
Nota a difesa di Rocco Casalino
POLITICA
25/10/2018Primo sì al Senato
Passa la legittima difesa che "assolve" chi spara Anche dal Pd sì all’art. 2
Nel testo della Lega la reazione ai rapinatori è sempre giustificata I dem d’accordo sul grave turbamento come causa attenuante
liana milella,
roma
L’asse compatto Lega- M5S ha licenziato da pochi secondi al Senato la nuova legittima difesa – 195 sì ( tra cui Forza Italia e Fratelli d’Italia), 52 contrari (Pd e Leu) – ed ecco che i leghisti al telefono si vendono subito il " prodotto" con le vittime delle rapine. « Ce l’abbiamo fatta » dicono a Mario Cattaneo, l’oste che un anno fa uccise un ladro rumeno. Lui è commosso. Negli stessi istanti il patron del Carroccio Salvini lancia l’abituale slogan « la difesa è sempre legittima!
Dalle parole ai fatti » . E il Pd? Cerca di mascherare una "colpa", aver votato a favore dell’articolo 2, quello con cui si introduce il " grave turbamento" come attenuante per chi si autodifende, spara, uccide.
Un voto favorevole non condiviso da tutti. Si astiene la vice presidente dem del Senato Anna Rossomando, avvocato di Torino che definisce la legittima difesa in salsa gialloverde solo «una norma manifesto». Pigliandone le distanze perché
« questo governo vuole far credere che un pm non dovrà accertare cosa è successo, cosa che non si verificherà » . Pochi altri sono con lei. La macchia del Pd resta, quel sì anche solo a una parte del più antico vessillo della propaganda leghista. Un voto di fatto obbligato non tanto dalla legge in sé, dalla modifica all’articolo 55 del codice penale sull’eccesso colposo, ma dalla storia del Pd: nella scorsa legislatura fu l’attuale vice presidente del Csm David Ermini, allora responsabile Giustizia per conto di Renzi, a proporre una versione in cui c’erano le stesse parole, quel " grave turbamento" imposto ora dai leghisti. Come fare marcia indietro e sconfessare Ermini? Con Renzi assente in aula, nascono sospetti su un Pd che strizza l’occhio ai 5Stelle magari per strappare benevolenza sul decreto sicurezza (in commissione di nuovo da oggi), in cui pesano gli emendamenti contrari di De Falco, Fattori e Nugnes.
Altri Pd dalla Camera – come il responsabile Giustizia Walter Verini – parlano di « pericoloso invito alle armi», ma al Senato il comportamento dei democratici scava un fossato a sinistra. Si scatena l’ex presidente Piero Grasso, mattatore di oltre metà degli emendamenti e di una relazione di minoranza. Da ex procuratore nazionale antimafia Grasso critica una legittima difesa che « sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria e produrrà inevitabilmente un aumento di armi». Polemizza col Pd e con il " grave turbamento", « un precedente ora difficile da superare, anche se crea enormi danni culturali e normativi».
Dai costituzionalisti del rango di Sabino Cassese, al Csm, all’Anm, chi sa di giustizia è fortemente critico verso una
in uno stato di "grave turbamento". A Circo Massimo su Radio Capital dice Cassese: «È una riforma irragionevole.
Viene violato uno dei principi fondamentali dell’ordinamento, cioè la proporzionalità».
Il Csm già preannuncia una sua valutazione e, dalle prime indiscrezioni, pare proprio che il giudizio potrà risolversi in una solenne bocciatura. Il presidente dell’Anm Francesco Minisci, pm a Roma, che aveva già definito criminogena la riforma, una sorta di istigazione all’omicidio, adesso vede qualche lieve miglioria tecnica ( « Alcuni nostri rilievi sono stati accolti » ), ma sfata un leit motiv della propaganda leghista, e cioè la certezza che chi ha sparato non solo non finirà sotto processo, ma non sarà neppure iscritto nel registro degli indagati. Come se le parole " sempre" e "grave turbamento" gli potessero fare da scudo. In realtà – spiega Minisci – « le indagini per capire come si è svolta la vicenda devono essere sempre fatte, e ciò a tutela e a garanzia di tutti». Proprio le parole " grave turbamento", per Minisci, « dimostrano chiaramente che per accertarne la sussistenza occorre fare un’indagine, e non c’è spazio per alcun automatismo » . Quindi chi spara anche con l’intento di difendersi finità tra gli indagati, sempre e comunque.
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INTERNI
25/10/2018Il decreto fiscale
Condono, beffa per gli onesti un maxi sconto agli evasori
Chi non ha dichiarato " risparmia" fino a 12 mila euro. Non saranno punite le fatture false
ROBERTO PETRINI,
ROMA
Grazie al condono fiscale introdotto dal govrno gialloverde la differenza di tasse che potrà pagare l’evasore rispetto al contribuente onesto è rilevante. Il calcolo viene da una fonte tecnica: il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti che analizza gli effetti di quello che chiama esplicitamente "condono".
In sintesi chi farà emergere redditi che non aveva dichiarato fino al previsto tetto di 100 mila euro di imponibile potrà risparmiare, rispetto al suo collega onesto, dai 9.000 ai 12 mila euro all’anno di tasse.
Un esempio chiarisce la meccanica della dibattuta " dichiarazione integrativa speciale" al 20%, lo strumento principe per introdurre un condono. Poniamo che il Signor Rossi e il Signor Verdi abbiano entrambi guadagnato 50 mila euro in un anno: il Signor Rossi ha pagato tutto subito ( Inps, Irpef, addizionali locali e Irap) e ha speso 25.283 euro in tasse; il Signor Verdi invece ha mentito al fisco e ha dichiarato solo 20 mila euro. Ora grazie alla "integrativa speciale" dichiara i 30 mila euro mancanti e se la cava con 15.335 euro. Risparmio netto sulle tasse di Verdi evasore rispetto a Rossi onesto: 9.948 euro. Naturalmente se gli anni evasi sono quattro, dal 2013 al 2016, il risparmio sale a quasi 40 mila euro.
Il testo del decreto permette anche di sciogliere il nodo dei tetti complessivi: un anno 100 mila euro, quattro anni massimi 400 mila. E, soprattutto, chiarisce che le singole imposte non si potranno cumulare evitando di raggiungere, come era stato denunciato da più parti, oltre i 2,5 milioni di reddito condonabile.
Il bilancio della trattativa degli ultimi giorni si chiude così: il condono c’è, contrariamente a quanto sostenuto da M5S il giorno stesso dell’intesa sulla revisione del decreto; la dichiarazione integrativa non è quella " ordinaria", dove si paga tutto, ma quella " speciale", dove si paga il 20%. Il tetto è di 100 mila, ma può salire fino a 400 mila. Anche la richiesta dei grillini di eliminare lo scudo penale per chi emerge dal nero e fa l’integrativa si è conclusa con un nulla di fatto. Lo scudo presente nella versione del decreto varata il 15 ottobre in sostanza non cade: in primo luogo perché la maggior parte dei reati tributari scattano in presenza di soglie superiori ai 100 mila euro di imponibile che possono emergere.
Inoltre la lettura dei commercialisti di Eutekne del testo uscito in Gazzetta ufficiale sembra indicare che in caso di emersione di attività finanziarie, patrimoniali o contante, resterebbero scudati i reati di fatture false e dichiarazione fraudolenta. Scompare dalla scena anche l’aggravio delle pene detentive ( che già esistono) per gli evasori, che pure i grillini avevano assicurato ci sarebbe stato.
tax fino a 65 mila euro di ricavi, per i lavoratori dipendenti la manovra resta deludente. Le tasse rimangono con il loro peso e inoltre una norma introdotta nel testo finale vieta a chi è stato dipendente di una azienda di trasformarsi in partita Iva e beneficiare dell’Irpef al 15%. Situazione particolarmente penalizzante per chi guadagna più di 26 mila euro che oltre ad essere fuori, in quanto dipendente, dalla riduzione delle tasse, non ha diritto neppure agli 80 euro.
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INTERNI
25/10/2018Le scelte
E per coprire il buco della sanatoria tagli alla spesa sociale
Quasi 600 milioni a carico dei ministeri, da scuola e università fino agli enti locali e ai pensionati di guerra
valentina conte,
roma
Un taglio da oltre mezzo miliardo anche alla spesa sociale per coprire il condono fiscale. Lo racconta l’elenco 1 allegato al decreto legge numero 119, pubblicato in Gazzetta ufficiale e in vigore da ieri. La scure cade per 590 milioni sui bilanci dei ministeri, così da compensare il mancato gettito favorito dalle nuove sanatorie. Ma non si tratta di una sforbiciata agli sprechi. Tutt’altro.
Si tolgono ad esempio 50 milioni ai perseguitati politici e razziali, oltre che ai pensionati di guerra. Cinque milioni alle famiglie. Altrettanto al terzo settore. Due milioni alle cooperative. Ben 20 milioni alle politiche del lavoro. Altri 17 alle imprese, tra incentivi e promozione del made in Italy. Quasi 30 milioni a scuola ( primo e secondo ciclo) e università.
Oltre 17 milioni agli enti locali. Financo un milione e mezzo ai programmi sulla sicurezza stradale, nonostante la recente nota al Def prometta di dimezzare il numero di vittime entro il 2020 e annullarlo entro il 2050.
Tagli molto severi. E immediati. Le risorse servono subito, entro la fine dell’anno. Perché il buco creato dall’annuncio di 9 sanatorie — diventeranno 10 durante l’esame parlamentare del decreto — è già negli incassi congelati della rottamazione bis: i contribuenti non stanno saldando le cartelle esattoriali in attesa della ter che avrà lo sconto non solo di interessi e sanzioni, ma anche di parte dell’imposta evasa fino al 94% del totale. E più tempo per versare il dovuto.
Ecco dunque che per tamponare il minor gettito fiscale si chiede un contributo ai ministeri. Un assaggio rispetto a quanto dovranno tirar fuori con la legge di bilancio: in totale 3 miliardi e mezzo. E certo non si andrà per il sottile, sezionando le zone morte e improduttive dei palazzoni romani.
Tutte le finanziarie degli anni passati hanno pescato nelle sacche di sprechi ministeriali, veri o presunti. Finendo di quando in quando per segare in modo lineare anche programmi sociali, salvo poi ravvedersi in finanziaria. Avverrà lo stesso con il governo gialloverde? Così sembra, se è vero che ad esempio la Sabatini sarà rifinanziata: le imprese vengono penalizzate in un provvedimento, poi in piccola parte risarcite in un altro. Un pasticcio. E un danno. Perché non si colpiscono o favoriscono le stesse. Come dimostra la cancellazione di Ace e Iri — due misure fiscali di vantaggio per le aziende — per finanziare l’ampliamento della flat tax alle partite Iva.
Curiosa poi la sottrazione di 28 milioni alla partecipazione italiana alle politiche di bilancio Ue. Proprio quando invece