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di Diana Argenio, avvocato in Bologna e Francesco Del Deo, avvocato in Genova

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di Diana Argenio, avvocato in Bologna e Francesco Del Deo, avvocato in Genova

1. (Il contratto di subappalto come “contratto derivato” o “subcontratto” secondo il richiamo alla nozione civilistica). La normativa sugli appalti pubblici non fornisce una definizione precisa di

“contratto di subappalto”, che peraltro si ricava indirettamente solo dall’art. 1656 c.c. Per la verità, neppure il codice civile fornisce una definizione diretta: il richiamato art. 1656 c.c. si limita a prevederne il divieto in mancanza di autorizzazione del committente. In base a detta

disposizione normativa, il subappalto può pertanto definirsi come il contratto con il quale l’appaltatore affida ad un terzo l’esecuzione di determinate lavorazioni nell’ambito di un lavoro che l’appaltatore stesso si è impegnato a realizzare nei confronti di un committente.

Il contratto di subappalto, in considerazione della stretta relazione esistente con il contratto di appalto, viene così definito “contratto derivato” o “sub-contratto” e come tale soggetto alle vicende del contratto principale. In particolare, si configura un contratto derivato, allorché da un determinato contratto (qui, l’appalto) ne derivi un altro (qui, il subappalto) caratterizzato per il fatto di avere lo stesso od analogo contenuto economico ed il medesimo tipo di causa di quello principale.

A seguito della sua stipulazione vengono così a coesistere due contratti di appalto, nei quali il secondo è accessorio al primo in ordine sia cronologico che logico: il contratto di subappalto presuppone quello di appalto come ineliminabile condizione di esistenza, di validità e di

efficacia e con esso l’appaltatore “principale” assume la parte rovesciata di appaltante, rectius subappaltante.

La duplicità dei contratti comporta naturalmente incroci e catene di responsabilità. 

Si pensi ad un inadempimento dell’appaltatore che dovrà risponderne sia verso la Stazione appaltante sia verso il subappaltatore in ipotesi di risoluzione anticipata del contratto principale e dunque di quello derivato. Oppure all’inadempimento del subappaltatore che comporterà, con ogni probabilità, un inadempimento con conseguente responsabilità risarcitoria dell’appaltatore verso la Stazione appaltante.

Ma, per quanto qui più strettamente interessa, è bene sin da subito evidenziare che il

subappalto riguarda la mera esecuzione del contratto di appalto e, quindi, non interferisce nel contratto principale.

Infatti, il contratto di subappalto fa nascere un rapporto obbligatorio tra

appaltatore/subappaltante e subappaltatore rispetto al quale il committente resta del tutto estraneo, non acquistando quest’ultimo diritti né assumendo obblighi rispetto al subappaltatore (1). Di norma (2) quindi non vi è nessun rapporto diretto tra stazione appaltante e

subappaltatore (3).

Tant’è vero che l’assenso al subappalto si configura come mera autorizzazione atta a tutelare l’interesse del committente e non già destinata a creare un nuovo rapporto tra committente e subappaltatore. In termini generalissimi, il subappalto si distingue, quindi, dalla cessione del contratto di appalto (peraltro vietata negli appalti pubblici ai sensi dell’art. 188, comma 1°, cpv.

2 D.Lgs. 163/2006). Mentre nella cessione di contratto, infatti, vi è il trasferimento della

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posizione contrattuale dell’appaltatore ad un terzo con la conseguenza che il contraente ceduto entra in rapporto diretto con il contraente originario, nel subappalto i due rapporti, ancorché collegati, restano distinti.

2. (Il subappalto nei lavori pubblici: evoluzione normativa e disciplina attualmente vigente). La disciplina relativa al subappalto nel settore dei lavori pubblici è stata per la prima volta introdotta dall'art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F. sulla falsariga di quella disposta dal codice civile. Secondo tale normativa il subappalto era consentito soltanto in presenza di espressa approvazione da parte del committente che aveva natura di autorizzazione. 

La violazione del divieto implicava semplicemente la possibilità per l'amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto. 

Ulteriori accentuazioni del menzionato divieto si sono rinvenute, nell’ordine: 1) con la L. 57/1962 (istitutiva dell'albo nazionale dei costruttori) che prescriveva l'obbligo della relativa iscrizione per tutti gli esecutori di lavori pubblici per importo superiore a 75.000.000 di lire; 2) con l’art. 21 L.

646/1982, che, ribadendo il divieto del subappalto non autorizzato, introduceva una sanzione penale per la sua violazione. La stessa norma prevedeva inoltre la necessità che anche per il subappaltatore occorresse verificare la sussistenza dei requisiti di idoneità tecnica e di quelli richiesti dalla legislazione del controllo antimafia di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575; 3) con l'art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55 che, dando una sistemazione completa alla materia, prevedeva, tra l’altro, un limite quantitativo delle opere subappaltabili, pari al 40%

dell'importo netto d'aggiudicazione e 15% della categoria prevalente ed equiparava al subappalto i noli a caldo ed i contratti similari con impiego di manodopera. La norma – censurata dalla CE perché contrastante con l'art. 20 ter della direttiva 89/440 – veniva poi modificata, nel comma 3°, dal d.lgs. 406/1991, con la previsione di una generale ammissibilità dell'affidamento in subappalto, purché lo stesso non riguardasse l'intera opera ovvero tutti i lavori della categoria prevalente; 4) con l’art. 34 della legge 109/1994 (Legge Merloni) che – con l’intento di porre rimedio all’eccessiva permissività del novellato art. 18 L. 55/90 – ridisegnava completamente ed ancora una volta la disciplina del subappalto e lo limitava al 30% dei lavori.

Anche l'art. 34 veniva, tuttavia, modificato (ad opera della L. 415/98, Merloni-ter) con una più generale riapertura delle maglie al subappalto.

A fronte del suindicato schema, appare evidente come l’avvicendarsi di norme in materia di subappalto abbia risentito di alterne tendenze ora alla severità, ora al permissivismo.

Tutto ciò appare meglio comprensibile, laddove si consideri il più ampio contesto comunitario.

Infatti, il diritto comunitario – preoccupato solo della trasparenza dell’operazione – si è da sempre limitato a demandare al diritto nazionale il compito di consentire o imporre alle stazioni appaltanti di esigere dall’appaltatore l’indicazione della parte di prestazione che intende

subappaltare ed i nomi dei subappaltatori medesimi. In altri termini, il diritto comunitario non ha mai sancito la necessità di autorizzazione al subappalto, non ha mai imposto limiti qualitativi o quantitativi, né tanto meno ha mai regolamentato il rapporto tra appaltatore e subappaltatore.

Tanto emerge dalle stesse direttive n. 17/2004 (art. 25) e n. 18/2004 (art. 37) cui il codice De Lise si ispira.

E’ quindi il solo legislatore italiano (molto più severo di quello comunitario) ad aver sentito la necessità di fissare limiti alle prestazioni subappaltabili e di pretendere l’autorizzazione al subappalto, e ciò in nome di ragioni di tutela del lavoro e della sicurezza e, soprattutto, di ordine pubblico. In particolare, tutta la disciplina di settore nasce allo scopo precipuo di evitare infiltrazioni mafiose all’interno dei lavori pubblici e, più precisamente, al fine di impedire che, con

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il metodo del subappalto, alle imprese aggiudicatarie di facciata “pulite” succedano, per l’esecuzione effettiva degli appalti, imprese subappaltatrici non meglio identificabili o

controllabili. E’ dunque in questo più generale contesto storico-normativo e sulla base delle rilevate esigenze che va letta anche la vigente disciplina.

La materia del subappalto è oggi regolata dai seguenti tre testi normativi: 1) l’art. 118 D.Lgs.

163/2006; 2) l’art. 141 d.P.R. 554/1999 (regolamento attuativo della Legge Merloni che, ai sensi dell’art. 253 codice, trova applicazione fino a quando non entrerà in vigore il nuovo

regolamento), cui corrisponde l’art. 170 schema del futuro regolamento; 3) l’art. 72 e l’all. A del d.P.R. 34/2000 (regolamento in materia di qualificazione delle imprese negli appalti di lavori pubblici).

3. (Subappalto, cottimo e contratti similari: il terzo decreto correttivo e l’eliminazione della precedente distinzione tra lavorazioni subappaltabili e non subappaltabili). Dopo aver

preliminarmente chiarito il principio di fondo secondo cui “I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice sono tenuti ad eseguire in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto” (art. 118, comma 1°), il codice tratta congiuntamente e pone sullo stesso identico piano il subappalto ed il cottimo. 

In particolare, ai sensi dell’art. 118, comma 11° è subappalto “qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate” significativamente caratterizzato dall’impiego della manodopera (ivi incluse le forniture con posa in opera ed i noli a caldo, cioè i cd. “contratti similari”). 

Più esattamente, devono essere rispettati precisi canoni quantitativi: l’incidenza del costo della manodopera e del personale deve essere comunque superiore al 50% dell’importo del contratto da affidare e la singola prestazione subappaltabile deve risultare essere o di importo superiore al 2% delle prestazioni affidate ovvero di importo superiore a 100.000 euro. 

In altri termini, la legge identifica due criteri da valutare per considerare comunque in essere un contratto di subappalto: uno “esterno” al contratto stesso, e cioè con riferimento al contratto di appalto principale ed uno “interno”, cioè con riferimento ai valori delle prestazioni che

compongono il valore del contratto potenzialmente di subappalto. Tutto ciò che non rientra nei predetti criteri, non costituiscono subappalto ma un mero subaffidamento non rilevante ai fini dell’applicabilità della normativa in esame (4): a) i subcontratti di importo inferiore al 2% dei lavori affidati o a 100.000 euro, indipendentemente dall’incidenza del costo di manodopera e personale; b) i subcontratti d’importo superiore al 2% o a 100.000 euro, il cui costo di

manodopera e personale sia inferiore al 50% dell’importo del subcontratto da affidare. In presenza delle condizioni di cui alle lettere a) e b), l’appaltatore può affidare a terzi tali

prestazioni; in tal caso, però, dovrà comunque comunicare alla stazione appaltante il nome del subcontraente, l’importo del contratto e l’oggetto della prestazione affidata. Curioso è che, mentre il subappalto trova espressa individuazione all’interno dell’art. 118, il cottimo – assolutamente sottaciuto dal codice in punto di definizione – viene qualificato solo a livello regolamentare. Peraltro, non è neppure il d.P.R. 554/99 (attualmente ancora in parte vigente) a parlarne, ma l’art. 170, comma 6° dell’emanando regolamento attuativo del codice, il quale chiarisce che “Il cottimo consiste nell'affidamento della sola lavorazione relativa alla categoria subappaltabile ad impresa subappaltatrice in possesso dell'attestazione dei requisiti di

qualificazione necessari in relazione all'importo totale dei lavori affidati e non all'importo del contratto, che può risultare inferiore per effetto della eventuale fornitura diretta, in tutto o in parte, di materiali, apparecchiature e mezzi d'opera da parte dell'appaltatore”. L’elemento

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differenziale tra subappalto e cottimo è, dunque, che nel primo il subappaltatore fornisce, oltre che personale, anche materiali e mezzi d’opera, mentre nel secondo viene fornito solo il

personale. Ciò chiarito, occorre ora considerare le categorie di cui si compone l’intervento per il quale è avviata la procedura d’appalto. In particolare, l’allegato A) del d.P.R. 34/00 definisce il lavoro pubblico come “un insieme di lavorazioni capace di esplicare funzioni economiche e tecniche”. L’art. 72 d.P.R. 554/00 distingue tali lavorazioni in: categorie di opere generali (OG), caratterizzate “da una pluralità di lavorazioni indispensabili per consegnare l’opera o il lavoro finito in ogni sua parte”; categorie di opere specializzate (OS), caratterizzate da lavorazioni che

“necessitano di una particolare specializzazione e professionalità”; categorie altamente specializzate (SIOS = strutture, impianti e opere speciali), tassativamente elencate al comma 4°. La predetta distinzione appare peraltro pienamente confermata nello schema generale del futuro regolamento, dove, all’art. 107, viene essenzialmente riprodotto l’elenco di SIOS già evidenziato nell’art. 72, comma 4° d.P.R. 554/99 e, all’allegato A, vengono trattate in un testo molto più corposo e dettagliato le categorie di OG ed OS. Ebbene, alla luce di questa

ricognizione definitoria di base, va ora letto l’art. 118, comma 2° del codice, il quale impone, alla stazione appaltante che voglia porre in essere un contratto per l’esecuzione di lavori pubblici, l’obbligo espresso di indicare nel progetto e nel bando di gara, oltre che le singoli prestazioni, anche: 1) “la categoria prevalente con il relativo importo” (intendendo per “categoria prevalente”, ai sensi dell’art. 73, comma 1° d.P.R. 554/99, “quella di importo più elevato fra le categorie costituenti l’intervento”); 2) “le ulteriori categorie, relative a tutte le altre lavorazioni previste in progetto, anch’esse con il relativo importo” (cioè quelle categorie diverse dalla prevalente che, ai sensi del d.P.R. 554/99, “a scelta del concorrente sono subappaltabili o affidabili a cottimo oppure scorporabili” – art. 73, 2° – e che devono essere “di importo singolarmente superiore al 10% dell’importo complessivo dell’opera o del lavoro ovvero di importo superiore a 150.000 euro” – art. 73, 3°– ). 

Rispetto alla categoria prevalente, l’art. 118, 2° demanda al futuro regolamento il compito di definire, anche in ragione del tipo di categoria di cui si tratta e comunque entro il limite massimo del 30%, l’entità della quota subappaltabile. Puntualmente, il futuro regolamento prevede che

“La percentuale di lavori della categoria prevalente subappaltabile è stabilita nella misura del 30 per cento dell'importo della categoria” (art. 170, comma 1°). Rispetto invece alle “ulteriori

categorie”, vanno chiarite la disciplina inizialmente prevista dal codice e la modifica poi apportata dal cd. terzo decreto correttivo (L. 152/2008). Inizialmente, infatti, l’art. 37, comma 11° poneva un veto di subappaltabilità per tutte le “opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali e qualora una o più di tali operi superi in valore il 15% dell’importo totale di lavori”. L’impostazione codicistica era il frutto di una piena adesione al dettato dell’art.

13, comma 7° Legge Merloni ed alle inequivocabili e costanti indicazioni della giurisprudenza amministrativa ad essa coeva (5). In altri termini, con esclusivo riferimento alle categorie altamente specializzate (SIOS) di importo superiore al 15%, si pretendeva che le relative lavorazioni fossero eseguite “esclusivamente dai soggetti affidatari”, i quali quindi dovevano avere idonea qualificazione non solo per la categoria prevalente, ma anche per la categoria di questi lavori non subappaltabili. In assenza della predetta specifica qualificazione, erano “tenuti a costituire raggruppamenti temporanei di tipo verticale” con imprese in possesso appunto di tale qualificazione. Con il terzo decreto correttivo, tale limitazione è venuta meno. Il novellato art. 37, comma 11° dispone infatti che, anche nel caso opere appartenenti a categorie altamente specializzate – ove superiori d’importo al 15% del valore totale dei lavori –, “se i

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soggetti affidatari non siano in grado di realizzare le predette componenti possono utilizzare il subappalto con i limiti dettati dall’articolo 118, comma 2, terzo periodo”. In sintesi, a seguito della novella di cui si è appena riferito, sono subappaltabili sino al limite massimo del 30% del loro valore: A) le opere generali e speciali costituenti “categoria prevalente”  in tal caso la stazione appaltante ha la facoltà di corrisponderne il prezzo al subappaltatore (e tale scelta fa indicata nel bando di gara; cfr. art. 118, comma 3°); B) le opere altamente specializzate (SIOS) se d’importo superiore al 15%  in tale caso, la stazione appaltante ha l’obbligo (e non la

facoltà, come negli altri casi di provvedere alla “corresponsione diretta al subappaltatore

dell’importo delle prestazioni eseguite dallo stesso, nei limiti del contratto di subappalto” (art. 37, comma 11° ultimo periodo).

Sono, invece, interamente subappaltabili tutte le altre categorie. E ciò, in pieno ossequio al principio-base sancito dal codice, secondo cui “Tutte le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo” (art. 118, comma 2°, secondo periodo).

4. (La richiesta di autorizzazione al subappalto: i requisiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa). Come già chiarito, la stazione appaltante deve indicare nel bando di gara la categoria prevalente con il relativo importo (oltre alle altre), in quanto i lavori inerenti tale categoria sono subappaltabili solo fino al 30% del loro valore (art. 118, comma 2°, primo periodo, codice). 

Con la recente riforma, anche i lavori di particolare complessità tecnologica possono essere ora subappaltabili, purché superino il 15% del valore totale dell’appalto.

Per poter usufruire del subappalto è necessario che, all’atto dell’offerta, vengano indicate dal concorrente le prestazioni che si intendono subappaltare. Tanto è appunto previsto nell’art. 118, comma 2°, terzo periodo, n. 1 del codice e, in via regolamentare, sia dall’art. 141, 3° d.P.R.

554/99 (attualmente vigente) sia dall’art. 170, 3° dell’emanando regolamento attutivo. Si tratta dell’unico adempimento richiesto già in sede di presentazione dell’offerta. La dichiarazione di subappalto deve avere un oggetto specifico, dovendo puntualmente riportare i lavori o parti di opere che il concorrente intende subappaltare, con la conseguenza che non è conforme alle prescrizioni legali una generica dichiarazione di voler subappaltare tutte le lavorazioni nel limite massimo consentito.

Una siffatta dichiarazione generica, ancorché non conforme all’art. 118, comma 2°, n. 1 del codice, comporta alterne conseguenze a seconda della corrente giurisprudenziale che si voglia seguire.

Secondo taluna giurisprudenza amministrativa (minoritaria), sarebbe addirittura illegittima l’aggiudicazione dell’appalto all’impresa che si fosse limitata ad affermare di voler subappaltare o concedere in cottimo tutte le lavorazioni nel massimo consentito dalla legge, senza meglio specificare quali fossero tali lavorazioni (T.A.R. Sardegna, Sezione prima, 27 settembre 2007, n. 1764). Secondo altra e più consolidata giurisprudenza, essa non comporterebbe di per sé l’esclusione dalla gara, avendo per conseguenza solo l’impossibilità per il concorrente, in caso di aggiudicazione, di utilizzo del subappalto (6). 

Tuttavia, se la dichiarazione è generica, essa può comunque dar luogo ad esclusione qualora il concorrente non disponga dei requisiti di qualificazione per le opere che intendeva subappaltare (7). Parimenti, si ritiene che, come la dichiarazione generica, anche quella del tutto omessa od incompleta od erronea non sia in grado di determinare l’esclusione della gara (8).

Tale orientamento appare ispirato al principio di favorire – per evidenti ragioni di pubblico

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interesse – la più ampia partecipazione alle pubbliche gare e di non applicare, quindi, la sanzione dell’esclusione ove la stessa non risulti prevista in maniera inequivocabile dalla normativa.

Peraltro, molto discusso è se l’offerente debba indicare sin da subito non solo i lavori da subappaltare, ma anche i nomi dei subappaltatori. Nonostante l’esaustiva spiegazione fornita dall’Autorità – secondo cui “si è passati, dunque, da un sistema che postulava la conoscenza preventiva del nominativo del potenziale subaffidatario già al momento della presentazione dell’offerta, allo scopo di consentire una valutazione dell’affidabilità e dei requisiti soggettivi nella fase di gara, ad un sistema che reputa sufficiente la conoscenza dei profili quantitativi del subappalto” – resta a tutt’oggi preferibile, vista l’alterna giurisprudenza, che l’offerente indichi anche i nomi delle imprese subappaltatrici (9).

Alla luce di quanto appena esposto, si può quindi sinteticamente ritenere corretta la richiesta di autorizzazione al subappalto che contenga le seguenti indicazioni: 1) l’importo del contratto di subappalto, specificando la quota di oneri per la sicurezza; 2) la categoria che si intende

subappaltare; 3) il nominativo della ditta che eseguirà i lavori in subappalto, con la dichiarazione dell’affidatario che il subappaltatore possiede i requisiti di qualificazioni necessari, la

dichiarazione del subappaltatore di non versare in ipotesi di divieto o esclusione previsti dalla legge, la dichiarazione del subappaltatore di quale sia la propria composizione societaria, la dichiarazione del subappaltante di assenza di forme di controllo del subappaltatore, il DURC del subappaltatore, il modulo GAP, il certificato CCIAA antimafia.

5. (Il procedimento di autorizzazione). Come nel diritto civile, anche per gli appalti pubblici occorre l’autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante. L’affidatario che si avvale del subappalto o del cottimo dovrà, infatti, presentare alla stazione appaltante apposita istanza ed allegare alla copia autentica del contratto la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento, a norma dell’art. 2359 c.c. con il titolare del subappalto o del cottimo. Analoga dichiarazione deve essere effettuata da ciascuno dei soggetti partecipanti nel caso di raggruppamento temporaneo, società o consorzio (art. 118, comma 8° codice). Ciò premesso, chiariamo i singoli punti della procedura autorizzativi.

1. La richiesta di autorizzazione. L'Appaltatore per procedere a qualunque subappalto deve provvedere a trasmettere alla Stazione appaltante la seguente documentazione: a) Richiesta di autorizzazione del singolo subappalto (da depositare almeno 20 gg. prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle lavorazioni specifiche e contenente le indicazioni già evidenziate nel paragrafo precedente); b) Documentazione necessaria per autorizzare: b1) certificato antimafia (D.P.R. 252/98 e norme collegate); b2) contratto di subappalto (N.B.: Dal contratto di

subappalto – depositato sempre almeno 20 gg prima dell’inizio dei lavori – devono risultare il nome del subcontraente, l’importo del contratto, l’oggetto della prestazione oggetto di

subaffidamento, secondo quanto previsto dall’art. 118, 11°, ult. periodo codice. Ovviamente tale contratto resta "condizionato" alla futura autorizzazione. Infatti, i contratti di subappalto non dovranno essere definitivi, altrimenti si incorre nel reato di cui all'art. 21 della L. 646/82

"subappalto non autorizzato". Va chiarito che l'invio di tale contratto serve, principalmente, per verificare il rispetto del ribasso non superiore al 20% di cui all'art. 118, comma 4 del Codice dei contratti pubblici); b3) documentazione di possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente relativa ai subaffidatari; b4) se l’appaltatore è una società, le comunicazioni ed indicazioni relative alla composizione societaria previste dall’art. 1 del d.P.C.M. 187/1991 (si tratta, come ovvio, di documentazione da presentare prima dell'autorizzazione ma non necessaria alla

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stazione appaltante per procedere all’autorizzazione).

Va inoltre ricordato che, per i lavori, devono essere indicati – nei cartelli esposti all’esterno dei cantieri – anche i nominativi di tutte le imprese subappaltatrici, nonché la certificazione circa il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti generali e speciali (cfr. art. 118, comma 5°

codice).

2. Il provvedimento di autorizzazione. L’amministrazione ricevuto quanto sopra, almeno 20 giorni prima dell’inizio delle opere subappaltabili, entro 30 giorni, ovvero 60 giorni se prorogati (i due termini di 20 e 30 giorni stranamente non coincidono, quindi sarà bene che il contratto di subappalto venga depositato almeno un mese prima dell’inizio dei lavori), provvede al rilascio dell’autorizzazione (i giorni scendono a 15 se i lavori subappaltati sono inferiori al 2%

dell’appalto o a € 100.000,00). La stazione appaltante autorizza il tutto o con apposita delibera o con determinazione dirigenziale (10). Trascorsi questi termini, si forma il "silenzio-assenso" e l'autorizzazione si intende concessa anche senza un apposito provvedimento. La s.a., per autorizzare, verifica le seguenti condizioni: - accertamento che non si superi il 30% del subappalto per la categoria prevalente; - verifica delle indicazioni dell'impresa al momento dell'offerta; - certificato antimafia negativo; - avvenuto deposito del contratto di subappalto, ovviamente "condizionato" alla futura autorizzazione (11), 20 gg. prima dell'effettivo inizio dei singoli lavori; - avvenuta trasmissione della documentazione di possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente relativa ai subaffidatari (D.P.R. 34/2000). 

E’ possibile che vi sia l’eventuale verifica di ulteriore documentazione qualora, ritenendo che l'autorizzazione sia discrezionale, la s.a. richieda anche altri requisiti (es.: certificato del casellario) sulla base di quanto disposto nella circolare dell'Alto Commissario dd. 27.7.1990.

Particolare attenzione è ovviamente data all’ammontare dei lavori subappaltati. L’importo del subappalto non potrà superare l’importo indicato dall’affidatario in sede di offerta per la relativa categoria. Il ribasso che potrà essere praticato non potrà eccedere il 20%, ad eccezione degli oneri sulla sicurezza che invece dovranno essere corrisposti per intero. 

Si discute su quale sorte abbia il contratto di subappalto che preveda un corrispettivo per il subappaltatore più basso di quello consentito per legge (12). Si potrebbe sostenere che l’intero contratto sia nullo perché contra legem, anche se probabilmente è più equo ritenere solo invalida la clausola relativa al prezzo, il quale dovrebbe essere riportato per lo meno al minimo di legge.

3. Adempimenti prima dell’inizio dei lavori subaffidati. L'appaltatore deve inviare alla Stazione appaltante ulteriore documentazione e, segnatamente, la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o collegamento, a norma dell'art. 2359 del c.c., fra

appaltatore e subaffidatario (la norma non vieta tale controllo o collegamento, però deve essere dichiarato), il "modulo subappaltatori" relativamente a qualsiasi subappalto relativo ad un

appalto principale di valore superiore a 100 milioni. (Circ. Alto Commissario 28.3.1989) e

l’avvenuta "denuncia" da parte dei subappaltatori all'INPS, INAIL, Cassa edile ed Ispettorato del Lavoro. Tali dati vengono confrontati con quelli contestualmente comunicati dalla s.a. agli stessi enti. La denuncia viene poi trasmessa all'appaltatore e, da questi, alla s.a. prima dell'inizio dei lavori subappaltati (art. 118, comma 6° codice).

4. Adempimenti dopo l’inizio dei lavori subaffidati. Ai fini del pagamento degli stati di

avanzamento dei lavori o dello stato finale dei lavori, l'affidatario e, suo tramite, i subappaltatori trasmettono all'amministrazione o ente committente il documento unico di regolarità contributiva (art. 118, comma 6° codice). Secondo le disposizioni del bando di gara, o la s.a. paga

direttamente ai subaffidatari l'importo dei lavori eseguiti o l'impresa appaltatrice manda copia

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delle fatture quietanzate relative ai pagamenti via via corrisposti agli stessi subaffidatari, con indicazione delle ritenute di garanzia effettuate (Art. 118, 3° codice). Alla fine dei lavori, la s.a.

comunica all'Ispettorato del Lavoro, INPS, INAIL e Cassa edile una serie di dati relativi anche ai subaffidatari. Questi enti previdenziali e assicurativi inviano alla s.a. il D.U.R.C. attestante la regolarità dei versamenti contributivi da parte dei subaffidatari.

NOTE:

(1) AVCP, Deliberazione n. 157 del 14/10/2004

(2) Tranne il caso in cui la prima abbia optato, in sede di bando, per il pagamento diretto del subappaltatore, il quale conseguentemente potrà agire direttamente verso la Stazione appaltante nel caso in cui non adempia al suo preciso e volontario obbligo

(3) Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 20/05/2003 n. 2755; AVCP, Deliberazione n. 209 del 24/07/2002; Corte di Cassazione, sezione civile, Sezione II 29/05/1999 n. 5237.

(4) Seppur con riferimento alla disciplina previgente, ma con definizioni pienamente applicabili anche oggi, cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. III, sent. 18 gennaio 2006 n. 99, Consiglio di Stato, Sezione VI - Sentenza 31/05/2005 n. 2584, AVCP, Determinazione n. 6 del 27/02/2003 (5) TAR Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 12 febbraio 2007 n. 525, Tribunali Amministrativi Regionali, Sezione II - Sentenza 13/12/2005 n. 4002, Tribunali Amministrativi Regionali, Sezione I - Sentenza 18/04/2005 n. 1551, Tribunali Amministrativi Regionali - Sentenza 04/02/2005 n. 127, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana, Sezione giurisdizionale - Sentenza 27/01/2005 n. 22, Consiglio di Stato, Sezione IV - Sentenza 19/10/2004 n. 6701, Tribunali Amministrativi Regionali, Sezione II - Sentenza 11/10/2004 n.

2217, TAR Lazio, Roma, Sezione IIIter - Sentenza 11/03/2004 n. 2371, TAR Lazio, Roma, sez.

Ibis - Sentenza 27/10/2003 n. 9012, Consiglio di Stato, Sezione VI - Sentenza 03/04/2003 n.

1716, AVCP, Determinazione n. 25 del 20/12/2001,AVCP, Deliberazione del 06/04/2000.

(6) TAR Sicilia, Catania, sez. IV, sent. 08 maggio 2006 n. 690, AVCP, Deliberazione del 25/10/2000, Consiglio di Stato, Sezione IV 05/07/1999 n. 1163, Consiglio di Stato, Sezione V 23/06/1999 n. 438, Tribunali Amministrativi Regionali 21/04/1999 n. 1065

(7) AVCP, Deliberazione n. 184 del 15/12/2004 nonchè Tribunali Amministrativi Regionali - Sentenza 04/05/2004 n. 574

(8) (sotto la vigenza dell’art. 37, 11° codice, prima del terzo decreto correttivo) Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 6 giugno 2008, n. 2683, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 13 febbraio 2004, n. 557, TAR Abruzzo, L’Aquila, sent. 4 maggio 2004 n. 574, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 28 febbraio 2002, n. 1229

(9) AVCP, Deliberazione del 09/08/2000, Tribunali Amministrativi Regionali 10/07/1999 n. 907, Tribunali Amministrativi Regionali 08/07/1999 n. 437, Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., sent. 22 dicembre 2005 n. 965

(10) TAR Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 12 settembre 2005 n. 1463

(11) AVCP, Deliberazione n. 17 del 21/03/2006, AVCP, determinazione 5 maggio 2000, n. 20 (12) AVCP, Deliberazione n. 8 del 18/01/2007 e Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 27/09/2004 n. 6320

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