R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai signori magistrati:
dott. Giuseppe ALOISIO Presidente dott. Romeo Ermenegildo PALMA Consigliere dott. Valter DEL ROSARIO Consigliere
dott. Salvatore CHIAZZESE Consigliere relatore dott. Giuseppe COLAVECCHIO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 15/A/2022
nel giudizio di appello in materia di pensioni iscritto al n.
6426/P del registro di segreteria, promosso dall’I.N.P.S., rappresentato e difeso dagli Avvocati Gino Madonia (p.e.c.
[email protected]), Tiziana Giovanna Norrito (p.e.c. [email protected]) e
Antonella Patteri (p.e.c.
[email protected], domiciliato in Palermo, nella Via Maggiore Toselli n.5, presso l’Avvocatura Regionale dell’Istituto
avverso
omissis, nato a omissis (omissis) l’omissis, elettivamente domiciliato in omissis (omissis), Via omissis n.omissis, presso lo studio dell’Avv. Maria Grazia Pino (p.e.c.
[email protected]), che lo rappresenta e difende, disgiuntamente, insieme all’Avv. Andrea Calderone (p.e.c. [email protected]) per la riforma della sentenza n.506/2020, emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana in data 24 settembre 2020 e pubblicata il 29 settembre 2020
nei confronti del
Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Capo Servizio Trattamento Economico – domiciliato in Chieti Scalo, Viale Benedetto Croce n.154 (p.e.c.:
[email protected]), non costituito.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
Udite, alla udienza del 25 gennaio 2022, l’Avv. Tiziana Giovanna Norrito per l’I.N.P.S. e l’Avv. Maria Teresa Parrino, delegata dall’Avv. Andrea Calderone, per l’appellato.
FATTO
Con la sentenza 506/2020, oggi impugnata, la Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana di questa Corte, in composizione monocratica, ha accolto il ricorso del Sig. omissis, Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, cessato dal servizio in data 12 luglio 2017, titolare della pensione n. 17325565, riconoscendo il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento con l’applicazione, sulla quota calcolata secondo il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. 1092/1973 (aliquota del
44% al militare che abbia maturato almeno quindici e non più di venti anni di servizio, aumentata dell’1,80% per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo).
Con atto di appello depositato in data 14 dicembre 2020, l’INPS contesta la violazione degli artt. 44 e 54 del d.P.R. 1092/73, sostenendo che quest’ultima norma (art.54) va letta “in combinato disposto con gli artt. 44 e 52 del medesimo d.P.R., nonché con la legge 335/95, la quale ha introdotto un sistema di calcolo contributivo” a decorrere dal 31 dicembre 1995, mantenendo il sistema di computo retributivo per il dipendente pubblico che avesse maturato, a quella data, più di diciotto anni di anzianità contributiva e prevedendo un sistema “misto” per chi, invece, al 31 dicembre 1995 avesse maturato una anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni.
Ad avviso dell’appellante, l’aliquota unitaria del 44% della base pensionabile trova applicazione solamente nella ipotesi in cui il militare sia cessato dal servizio con almeno quindici e non più di venti anni di servizio utile, trattandosi di una disposizione speciale che prevede una vera e propria fictio iuris in virtù della quale un militare che termina il servizio dopo 15 anni risulta in tutto equiparato, ai fini pensionistici, ad uno collocato in quiescenza dopo (non più di) 20 anni.
Si tratterebbe, secondo l’Istituto appellante, di una normativa di favore per i militari che hanno dovuto lasciare il servizio, prima del raggiungimento dei limiti massimi di età, per cause non
dipendenti dalla loro volontà.
L’art.54 del DPR 1092/73 costituirebbe, quindi, norma speciale rispetto alla disposizione generale contenuta nell’art.52 e, in quanto tale, non sarebbe suscettibile di interpretazione estensiva che, tra l’altro, “porrebbe il problema del riparto della aliquota di rendimento tra i periodo maturati al 31.12.1992 (…
base pensionabile pari all’ultima retribuzione) e quelli maturati successivamente e fino al 31.12.1995 (… base pensionabile pari alla media degli ultimi anni)”.
L’appellante sostiene, inoltre, che l’applicazione dell’aliquota del 44% anche ai militari che al 31 dicembre 1995 non avevano maturato 15 anni di servizio contrasterebbe con la lettera della norma, atteso che lo stesso art.54, al comma 9, afferma che “per il militare che cessa dal servizio (…) per raggiungimento del limite di età, senza aver maturato l’anzianità prevista nel primo comma dell’art.52, la pensione è pari al 2,20 per cento della base pensionabile per ogni anno di servizio utile”.
In conclusione, l’Istituto appellante chiede l’annullamento della sentenza impugnata e la dichiarazione di insussistenza del diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 d.P.R.
1092/73.
Con memoria depositata il 27 maggio 2021, il Sig. omissis, come sopra rappresentato e difeso, afferma innanzitutto l’inammissibilità e/o improcedibilità del giudizio di appello per
mancata notifica nei termini del decreto di fissazione di udienza.
Secondo l’appellato, la notifica tardiva, comunque, costituirebbe violazione del diritto di difesa per il mancato rispetto dei termini a comparire.
Nel merito, il Sig. omissis sostiene l’applicabilità, al caso di specie, dell’aliquota del 44% prevista dall’art.54 sopra citato, norma di riferimento per il personale militare, applicabile anche ai trattamenti pensionistici calcolati con il sistema misto, non abrogata dalla normativa successiva.
Inoltre, ad avviso dell’appellato, “nei confronti del personale militare non può trovare applicazione la norma di cui all’art.44, comma 2, del DPR 1092/1973, applicabile esclusivamente in ipotesi eccezionali, di stretta interpretazione, al personale civile”.
Viene, infine, richiamata la sentenza delle Sezioni Riunite 1/2021/QM, per sostenere l’applicabilità al caso di specie dell’aliquota del 2,44% per ogni anno di servizio utile maturato al 31.12.1995.
All’udienza dell’ 8 giugno 2021, l’Avv. Norrito, dopo aver sottolineato che la tardività della notifica del decreto di fissazione di udienza risulta sanata dalla costituzione in giudizio dell’appellato, ha chiesto la sospensione del giudizio, richiamando l’ordinanza n.5/2021, con la quale la terza Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello ha deferito alle Sezioni Riunite la questione di massima avente ad oggetto il coefficiente annuo da applicare alle pensioni “miste” per i militari cessati dal
servizio con oltre 20 anni di anzianità che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità di servizio inferiore a quindici anni.
Con Ordinanza n.16/A/2021, questo Collegio ha disposto la sospensione del presente giudizio, in attesa della pronunzia sulla questione di massima, con onere, a carico dell’INPS, di richiedere la fissazione dell’udienza di prosecuzione entro tre mesi dalla pubblicazione della sentenza delle Sezioni Riunite, ai sensi dell’art. 107 c.g.c.
Con memoria del 23 dicembre 2021, il Sig. omissis, sul presupposto che il termine per la presentazione dell’istanza di prosecuzione fosse spirato il 9 dicembre 2021 (tre mesi dopo la pubblicazione della sentenza delle Sezioni Riunite), senza alcuna iniziativa da parte dell’Istituto appellante, chiede che venga dichiarata l’estinzione del presente giudizio ed il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata (n.506/2020).
Sulla base della suddetta istanza, constatata la mancata presentazione dell’istanza di prosecuzione da parte dell’INPS, con decreto n.736/2021 del 29 dicembre 2021, il Presidente di questa Sezione d’Appello ha fissato per la data odierna l’udienza pubblica per la dichiarazione di estinzione del giudizio di appello.
Con memoria depositata il 7 gennaio 2022, l’INPS, richiamando il dettato dell’art. 107 del codice di giustizia contabile, sostiene
che il termine perentorio di tre mesi per la presentazione dell’istanza di prosecuzione del giudizio non decorre dalla pubblicazione della sentenza, bensì dal suo passaggio in giudicato e poichè, ai sensi dell’art.111 della Costituzione, la sentenza delle Sezioni Riunite, emessa in sede giurisdizionale, è soggetta a ricorso per Cassazione, per questioni di giurisdizione, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione, la pronunzia nomofilattica non ha ancora acquisito autorità di cosa giudicata e, di conseguenza, l’istanza di prosecuzione deve considerarsi ammissibile in quanto depositata nei termini.
All’udienza del 25 gennaio 2022, l’Avv. Norrito, richiamando l’atto scritto per la questione preliminare, ha confermato, nel merito, la richiesta di riliquidazione del trattamento pensionistico, con applicazione dell’aliquota del 2,44% per ogni anno di servizio anteriore al 31 dicembre 1995, come stabilito dalla sentenza 12/2021/QM delle Sezioni Riunite.
L’Avv. Parrino richiamando nel merito l’atto scritto, ha confermato la richiesta di dichiarazione di estinzione.
DIRITTO
In via preliminare, questo Collegio deve pronunziarsi sull’istanza di prosecuzione del giudizio, depositata dall’Istituto previdenziale appellante in data 7 gennaio 2022.
L’istanza è ammissibile.
Invero, l’ordinanza di sospensione n. 16/A/2021 assegnava all’INPS il termine di tre mesi dalla pubblicazione del
provvedimento delle Sezioni Riunite di questa Corte per richiedere la fissazione dell’udienza di prosecuzione, ai sensi dell’art. 107 c.g.c., ma tale termine, assegnato dal Collegio giudicante con funzione meramente propulsiva, non può considerarsi, nel caso concreto, perentorio, atteso che, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.
Pertanto, considerato che l’ordinanza appena richiamata non ha fissato l’udienza di prosecuzione, trova applicazione, nella fattispecie, il primo comma dell’art. 107 c.g.c. (peraltro richiamato dall’ordinanza stessa), a tenore del quale “entro il termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia di cui all’art.106, comma 1, le parti debbono chiedere al giudice, che provvede con decreto, la fissazione dell’udienza di prosecuzione”.
Nel caso di specie, in base al dettato dell’ultimo comma dell’art.111 della Carta Costituzionale (“Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”) la sentenza delle Sezioni Riunite, in sede giurisdizionale, deve considerarsi soggetta ad impugnazione di fronte alla Suprema Corte, in mancanza di notifica, entro il termine di sei mesi dalla sua pubblicazione (art.178 c.g.c., 5° comma).
Al riguardo, occorre rammentare: che, in base all’art. 11 c.g.c.,
le Sezioni Riunite in sede giurisdizionale costituiscono un’articolazione interna della medesima Corte in sede d'appello;
che, ai sensi del primo comma dell’art. 116 c.g.c., ad esse si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni riguardanti i giudizi di appello e che, secondo il dettato dell’art. 207 del medesimo codice, le decisioni della Corte dei conti in grado d'appello (…) possono essere impugnate innanzi alla Corte di Cassazione, ai sensi degli articoli 362 del codice di procedura civile e 111, ottavo comma, della Costituzione, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
Tutto ciò premesso, considerato che la pronunzia in questione è stata pubblicata il 9 settembre 2021 e non risulta, peraltro, provato che sia stata formalmente notificata ai legali che rappresentano l’Istituto previdenziale nel presente giudizio, a tutt’oggi non può considerarsi passata in giudicato e, conseguentemente, in base alle norme sopra citate, il termine perentorio fissato dall’art. 107 c.g.c. non può ritenersi spirato.
Anche nella mera ipotesi in cui la sentenza nomofilattica fosse stata notificata il giorno stesso della sua pubblicazione, da tale data avrebbe preso il via il termine di sessanta giorni previsto dal 1° comma dell’art. 178 c.g.c. per il ricorso in Cassazione e soltanto allo scadere del sessantesimo giorno (8 novembre 2021), in mancanza di impugnazione, la sentenza delle Sezioni Riunite sarebbe passata in giudicato e, di conseguenza, soltanto da quest’ultima data sarebbe iniziato il decorso del termine
trimestrale previsto dall’art. 107 c.g.c. per presentare l’istanza di prosecuzione, depositata dall’I.N.P.S. il 7 gennaio 2022, circa un mese prima della scadenza di tale termine, ancora pendente alla data odierna.
A questo punto, seguendo l’iter tracciato dallo stesso art. 107, al primo comma, in accoglimento dell’istanza avanzata dall’INPS, con decreto presidenziale, dovrebbe essere fissata l’udienza “in prosecuzione”.
Considerato, però, che entrambe le parti in causa erano presenti all’ultima udienza ed hanno formulato le loro conclusioni nel merito, richiamando quanto affermato e richiesto con gli atti scritti, la fissazione di una nuova udienza risulterebbe del tutto superflua. Pertanto, in ossequio ai principi di economia processuale, nonché alle disposizioni generali aventi ad oggetto il “giusto processo” e la sua ragionevole durata, si ritiene che sussistano tutti i presupposti per definire il giudizio nel merito, senza scalfire il regolare contraddittorio o penalizzare, in alcun modo, le parti, atteso che un ulteriore rinvio comporterebbe solamente un inutile allungamento dei tempi.
Ciò premesso ed entrando nel merito, non appare superfluo riassumere i termini della questione dopo la pubblicazione della recentissima sentenza n.12/2021/QM delle Sezioni Riunite di questa Corte, chiamata ad integrare la pronunzia delle medesime Sezioni n.1/2021/QM che, al fine di dare una interpretazione coerente ad una normativa caratterizzata da
sovrapposizioni e lacune, è stata costretta a spingere la funzione nomofilattica al confine con quella normativa, individuando un coefficiente annuale, riguardante le pensioni del personale militare, ricavato da un calcolo matematico basato su dati normativi, ma non previsto da specifiche disposizioni.
Rispondendo ad un quesito derivante da un contrasto giurisprudenziale, soprattutto tra le Sezioni d’Appello, le Sezioni Riunite hanno affermato, con la prima delle due sentenze richiamate, che la norma in questione va interpretata nel senso che l’aliquota fissa del 44%, prevista per il personale militare, trova applicazione soltanto nelle ipotesi di collocamento in quiescenza con un’anzianità compresa tra i 15 ed i 20 anni e non anche per coloro i quali, pur vantando la medesima anzianità al 31 dicembre 1995, e rientrando nel calcolo “misto” (retributivo e contributivo) della pensione, sono stati collocati in quiescenza con anzianità superiore ai vent’anni.
Per questi ultimi, i Giudici della nomofilachia hanno individuato il coefficiente annuale del 2,44%, ottenuto dividendo l’aliquota del 44% per 18 (anzianità massima al 31/12/95 prevista per l’attribuzione del trattamento pensionistico “misto”).
Il personale con anzianità superiore (ai 18 anni al 31 dicembre 2021) non risulta interessato, rientrando nel sistema
retributivo puro, mentre la stessa sentenza 1/2021/QM ha affermato testualmente che “l’aliquota del 44% non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore dei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”.
La questione sembrava del tutto risolta ma, a ben vedere, i Giudici delle Sezioni Riunite dichiaravano l’inapplicabilità dell’aliquota fissa del 44%, ma non chiarivano se, per la quota retributiva di una pensione mista, inferiore ai 15 anni, potesse applicarsi l’aliquota annuale del 2,44%.
Su deferimento della III Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello (ordinanza n.5 del 1°giugno 2021) e della I Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello (ordinanza n.25 dell’11 giugno 2021), in data 9 settembre 2021 veniva quindi depositata una seconda sentenza in materia, la n.12/2021/QM.
In particolare, si legge in quest’ultima che la prima sentenza (1/2021/QM), risponde “negli esatti termini posti dai quesiti, affermando quindi che sotto i 15 anni non si applica l’aliquota del 44%, cosa, in verità, ben diversa dal riferimento all’aliquota di valorizzazione annua fissata nel 2,44%” e “si limita, per gli under 15 (…) a rispondere al quesito del remittente, escludendo l’applicabilità secca del 44% (…) Altra questione è la valorizzazione di quegli anni di servizio che non raggiungono il quindicesimo”.
Non può trovare applicazione il comma 9 dell’art.54 citato (“Per il militare che cessa dal servizio permanente o continuativo per raggiungimento del limite di eta', senza aver maturato l'anzianita' prevista nel primo comma dell'art. 52, la pensione e' pari al 2,20 per cento della base pensionabile per ogni anno di servizio utile”), atteso che detto coefficiente del 2,20% rimane, confinato alla sola ipotesi delineata dal citato comma 9, alla cui stregua il militare che cessa dal servizio permanente o continuativo per raggiungimento del limite di età, senza aver maturato l'anzianità prevista nel primo comma dell'art. 52, ha diritto a un trattamento pensionistico pari “al 2,20 per cento della base pensionabile per ogni anno di servizio utile ".
Parimenti, non può richiamarsi il primo comma dell’art.44 del d.P.R. 1092/1973, che fissa l’aliquota del 35% per il personale collocato in quiescenza con 15 anni di servizio utile, per arrivare ad un coefficiente annuale del 2,33%, ottenuto dividendo 35%
per 15, atteso che tale norma risulta espressamente ed esclusivamente dettata per il personale civile e non può, quindi, essere considerata norma di sistema, applicabile anche al personale militare.
In conclusione, inserendo il tassello mancante, le Sezioni Riunite hanno affermato che “la quota retributiva della pensione da liquidarsi con il sistema misto (…) in favore del personale militare cessato dal servizio con un’anzianità superiore a 20 anni e che al 31 dicembre 1995 vantava un’anzianità inferiore a 15
anni, va calcolata (…) con l’applicazione dell’aliquota del 2,44%
per ogni anno utile”.
In questo senso si era già pronunziata, in fattispecie sovrapponibili, questa Sezione d’Appello, con le recenti sentenze n.57/2021, 69/2021 e 83/2021.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio, in considerazione della particolare complessità della materia e del contrasto giurisprudenziale esistente tra le Sezioni d’Appello, solo di recente risolto con l’intervento delle Sezioni Riunite di questa Corte.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello proposto dall’I.N.P.S. e, in riforma della sentenza impugnata, riconosce il diritto del Sig. omissis alla riliquidazione del trattamento pensionistico con applicazione del coefficiente di rendimento del 2,44% annuo per la valutazione del servizio maturato al 31/12/1995, giusta i principi fissati dalla sentenza n. 12/2021/QM delle sezioni riunite di questa Corte; riconosce, altresì, il diritto del sig. omissis al pagamento degli arretrati, con la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, quest'ultima calcolata secondo gli indici I.S.T.A.T.
Spese compensate.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 25 gennaio
2022.
L’estensore Il Presidente (f.to Salvatore Chiazzese) (f.to Giuseppe Aloisio)
Depositata in Segreteria Palermo, 07/02/2022 Il Funzionario preposto
(f.to Dott.ssa Pietra Allegra)