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Le citta metropolitane e la riforma introdotta dalla L. n. 56/2014

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza

LE CITTA’ METROPOLITANE E LA RIFORMA

INTRODOTTA DALLA LEGGE N. 56/2014

Relatore Candidato

Prof. Giuseppe Volpe Francesco Gelo

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Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci

in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un

dovere.

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INDICE

Introduzione

pag. 5

Capitolo I: La riforma normativa della l n. 56/2014

1.1 Il decentramento dei poteri attraverso le autonomie locali pag. 8 1.2

1.2. Il riordino delle autonomie locali: dal governo Monti alla legge Delrio pag. 13 1.3. La legge n. 56/2014 c.d. legge Delrio pag. 21

1.4. Profili di illegittimità costituzionale pag. 32 1. 5. La sentenza Corte Cost. n. 50/2015 pag. 45

Capitolo II: le città metropolitane, evoluzione normativa

2.1. Definizione e funzioni pag. 53 2.2. Organi, statuto e risorse pag. 67 2.3. Le problematiche dell‟area vasta pag.84

2.4. La città metropolitana alla luce della riforma costituzionale pag.97 2.5. Studi comparatistici pag. 109

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Capitolo III: Le province

3.1. Le province. Evoluzione normativa pag. 119 3.2. Gli organi della Provincia pag. 141

3.3. Il disegno di legge costituzionale in materia di province pag. 146 3.4. Considerazioni. Le Province enti inutili, il problema della dimensione ottimale per la gestione delle funzioni pag. 152

Capitolo IV: La legislazione su Roma capitale

4.1. Roma Capitale. Premessa pag. 162

4.2. La legge n. 42/2009 ed i decreti attuativi pag. 163

4.3. La legge Delrio e Roma capitale pag. 170

Conclusioni

pag. 179

Bibliografia

pag. 182

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Introduzione

Il presente lavoro si propone di comprendere in che modo la legge 7 aprile 2014, n. 56, detta legge Delrio, abbia avviato un parziale riordino del sistema delle autonomie locali, finalizzato nella sostanza a ridurre i costi della burocrazia italiana razionalizzando il funzionamento delle amministrazioni decentrate.

Aspetto principale della riforma è la trasformazione dell‟ente Provincia, le cui funzioni fondamentali vengono condensate per lo più nel coordinamento e nella programmazione in riferimento a talune specifiche materie.

Anche gli organi provinciali subiscono un mutamento non essendo più eletti direttamente dal popolo, ma da parte degli organi elettivi dei Comuni facenti parte della Provincia.

Di pari passo con il “ripensamento” delle Province, la stessa legge ha disposto l‟entrata a pieno regime delle Città

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metropolitane, una realtà in continua evoluzione e principali driver delle economie in crescita.

Infatti, uno dei principali problemi che negli ultimi decenni i policy makers hanno dovuto affrontare ha riguardato i confini delle politiche pubbliche nelle grandi aree urbane, o la scala ottimale entro cui esse possono essere decise e implementate. La ricerca di una visione adatta ad avvicinare i confini istituzionali del governo delle aree urbane a quelli funzionali, ovvero i luoghi dove si riproducono i fenomeni di natura economica, sociale, demografica, attraverso l‟istituzione delle città metropolitane è alla base di una attività di produzione legislativa che in Italia ha avuto inizio nel 1990 con la legge n. 142 e ha dato luogo nel corso del tempo a un dispiegarsi di norme: la legge n. 463/1993, la n. 265/1999, la n. 42/2009, la n. 135/2012, passando attraverso la riforma costituzionale del 2001.

Le dieci grandi città interessate dalla riforma, alle quali si devono aggiungere, con un percorso diverso, quelle situate entro le regioni a statuto speciale, sono dunque poste di fronte a un processo di mutamento istituzionale gravido di opportunità e di sfide.

Le opportunità attengono alla produzione di nuove politiche entro nuovi confini, che possano valorizzare la densità di risorse delle metropoli in direzione di un nuovo sviluppo.

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Le sfide sono legate alla capacità nel nuovo livello istituzionale di dar vita a processi dotati di piena legittimazione democratica e, insieme, di efficienza tecnico-amministrativa.

La legge Delrio si inserisce nel più ampio progetto di riforma costituzionale prevista dal disegno di legge Costituzionale S. 1429, presentato in Senato l‟8 aprile 2014 e adottato come testo base dalla Commissione Affari costituzionali il 6 maggio 2014, approvato alla Camera ed ora alla seconda lettura al Senato prevista per il prossimo settembre.

Tale disegno di legge costituzionale persegue tra i suoi obiettivi il superamento del bicameralismo perfetto e la revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione.

Il primo aspetto comporterebbe la trasformazione del Senato in una camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali il cui compito principale consisterebbe nella funzione di raccordo fra Stato e autonomie territoriali. Con la revisione del Titolo V, invece, si intende sopprimere qualunque riferimento all‟ente provincia all‟interno del testo Costituzionale affinché quest‟ultimo non debba più essere considerato alla stregua di un livello di governo necessario nella configurazione della Repubblica.

Nell‟ambito di questa rivisitazione viene altresì proposta una nuova ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. In particolar modo si vorrebbe eliminare la legislazione concorrente ed ampliare il novero delle materie oggetto di legislazione esclusiva dello Stato. Questi aspetti ed

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altri della riforma , considerati nel loro insieme, tratteggiano una complessiva rivalutazione delle autonomie territoriali che realizza un sistema più idoneo alle mutate esigenze del governo locale.

Così la legge n. 56/2014 con le sue importanti innovazioni, rappresenta soltanto l‟inizio di un percorso lungo ma fondamentale per la nuova geografia amministrativa dell‟Italia.

CAPITOLO I

La riforma normativa della l n. 56/2014

1.1. Il decentramento dei poteri attraverso le autonomie locali

All‟interno dell‟ordinamento delle pubbliche amministrazioni un ruolo di primaria importanza va certamente riconosciuto alle autonomie regionali e locali, alle quali in sede costituzionale viene riconosciuta la compartecipazione a pieno titolo all‟unità e indivisibilità della Repubblica.

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L‟articolo 5 Cost., afferma il principio del decentramento dei poteri attraverso la promozione e il riconoscimento delle autonomie locali.

È significativo notare che il costituente utilizza, a proposito delle autonomie locali, l‟espressione “riconosce e promuove”, ciò lascia intendere, da un lato, che lo Stato identifica le autonomie locali quali realtà preesistenti al suo strutturarsi in ordinamento della Repubblica e, dall‟altro, che si impegna a potenziare la pluridimensionalità del cittadino, ovvero il suo coinvolgimento in appartenenze diverse e ulteriori rispetto a quelle che lo legano alla comunità statale.1

Le autonomie territoriali sono definite come “enti esponenziali”. Le popolazioni residenti in un determinato territorio trovano nelle comunità organizzate, alle quali necessariamente e spontaneamente appartengono, la struttura organizzativa e decisionale destinata a farsi carico dei loro bisogni e delle loro esigenze qualora ciò non rientri nei compiti istituzionali dello Stato o di altri enti pubblici.

1

Cfr., sul punto, S. MANGIAMELI, La questione locale. Le nuove autonomie

nell’ordinamento della Repubblica, Roma, 2009; C. SPERANDII, La ristrutturazione territoriale ed istituzionale delle province italiane, in www.issirfa.cnr. studi e interventi.

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Nello specifico, l‟articolo 114 Cost., così come riformulato dalla L. Cost. 18.10.2001 n.3, che ha modificato l‟intera struttura del Titolo V della Costituzione con un nuovo riassetto degli enti locali, afferma che la Repubblica è costituita, oltre che dalla Stato, anche dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, tutti enti autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni che si esplicano entro il limite del rispetto dei principi ricavabili dalla stessa Costituzione.

L‟ordine nel quale le autonomie territoriali vengono elencate dall‟articolo 114 Cost., partendo dal comune, che è l‟ente più vicino alla cittadinanza e progressivamente tutti gli altri, si basa chiaramente sul principio della sussidiarietà, punto nodale dell‟intera riforma costituzionale del 2001.2

Esso impone che siano gli enti più prossimi alla collettività a svolgere le funzioni amministrative.

Infatti, l‟art. 118 Cost. attribuisce proprio ai comuni la titolarità delle funzioni amministrative in generale e, in via subordinata,

2 Cfr., R. BIN, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le

Regioni, 2002; AA.VV., Il sistema amministrativo dopo la riforma del titolo V della Costituzione, Atti del convegno del Centro Vittorio Bachelet, a cura di G. Berti, G.C. De

Martin, Roma 2002; E. LAMARQUE, Funzioni amministrative degli enti territoriali, in

Dizionario di diritto costituzionale, a cura di S. Mangiameli, Il Sole 24 Ore, Milano 2008,

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qualora lo impongano esigenze di carattere unitario, ne prevede il conferimento agli altri livelli di governo.

Il principio di sussidiarietà si snoda, inoltre, anche in senso orizzontale: al comma 4 dell‟art.118 citato, si afferma che ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale, lo Stato e gli enti territoriali sono tenuti “a favorire l‟autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati”.

Altri principi dettati dalla Costituzione in riferimento al conferimento di funzioni sono la differenziazione e l‟adeguatezza.3

Il primo principio comporta che nell‟allocazione delle funzioni si tengano in conto le diverse caratteristiche strutturali, organizzative, demografiche, associative dei diversi enti.

Il secondo, invece, che le funzioni debbano essere attribuite all‟amministrazione che tendenzialmente sia idonea a svolgerle in maniera più efficiente possibile.

Avendo riguardo alla legislazione primaria, la principale fonte normativa che disciplina le autonomie locali è il D.Lgs. n.267/2000, ovvero il Testo unico delle leggi dell‟ordinamento

3 Cfr., G. PASTORI, Principio di sussidiarietà e riparto delle funzioni amministrative, in www.issirfa.cnr.it, aprile 2006, 908.

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degli enti locali, che ha raccolto e coordinato tutta l‟opera di decentramento e potenziamento delle amministrazioni locali portata avanti dal legislatore nell‟arco degli anni ‟90 del secolo scorso.4

In primis con la L. 142/1990, che per prima in maniera specifica e dopo un dibattito estremamente lungo e complesso, ha ridefinto gli assetti del sistema comunale e provinciale, ponendo al centro l‟autonomia statutaria.

Infatti si è riconosciuta per la prima volta a comuni e province la facoltà di dotarsi di propri statuti, che hanno il compito di stabilire le norme fondamentali per l‟organizzazione dell‟ente, determinando in particolare, le attribuzioni degli organi, l‟ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme di decentramento e di accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi.

Sono state istituite le aree metropolitane ed attuati altri numerosi interventi volti a rendere più efficienti tutti gli enti locali.

In seguito sono state emanate le leggi Bassanini del 1997 al 1999, dirette ad attuare in via legislativa il federalismo

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amministrativo, che in attesa di quello costituzionale, puntava a cogliere le massime potenzialità del quadro costituzionale vigente, anzitutto trasferendo ampie funzioni dallo Stato ai livelli più vicini ai cittadini.

Da ultimo, grazie alla L. 56/2014, pur sempre nell‟attesa che si realizzi una decisiva riforma del titolo V della Costituzione, stiamo assistendo, a livello di legge ordinaria, ad un parziale riordino del sistema degli enti locali incentrato principalmente sull‟istituzione delle città metropolitane e sulla ristrutturazione delle province.5

5 Cfr., sulla legge Delrio, G.M. SALERNO, Sulla soppressione istituzione delle Province in

corrispondenza all’istituzione delle Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, in Federalismi, 2014, 1, 12; A. POGGI, Il problematico contesto istituzionale e costituzionale in cui si colloca la legge 56/2014 (Legge Delrio) in relazione alle diverse competenze legislative Stato-regioni sull’attribuzione di funzioni amministrative e sulla definizione delle forme di esercizio “obbligato” delle stesse, in

confronticostituzionali.eu, 14 luglio 2014; G. VESPERINI, Il disegno del nuovo governo

locale: le città metropolitane e le province, in Giornale di diritto amministrativo, 9/2014, p.

786 ss.; M. GORLANI, La “nuova” Provincia: l’avvio di una rivoluzione nell’assetto

territoriale italiano, in Forum Quaderni costituzionali, 8/2014; P. BILANCIA, Regioni, enti locali e riordino del sistema delle funzioni pubbliche territoriali, in AIC, Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 4/2014; F. PIZZETTI, Città metropolitane e nuove province, in Astrid Rassegna, 14 luglio 2014; F. FABRIZI, G.M.

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1.2 Il riordino delle autonomie locali dal governo Monti alla legge Delrio

Negli ultimi anni le riforme che hanno interessato le istituzioni locali sono state sensibilmente condizionate dall‟importante crisi economica che ha investito i Paesi europei ed in particolar modo l‟Italia.

Si è assistito, infatti, ad una sempre maggiore influenza/invadenza da parte di soggetti e regolamentazioni aventi natura internazionale e sopranazionale. Infatti a livello internazionale sono state attuate una serie di procedure che obbligano gli Stati ad adeguarsi alle condizioni richieste per ottenere prestiti dai mercati o dal Fondo monetario internazionale, sostanzialmente rinunciando ad una parte della loro sovranità; negli ultimi mesi assistiamo a diverse forme di condizionamento delle scelte interne ai singoli ordinamenti statali, che hanno raggiunto quote imponenti.

Si tratta di una fitta rete di regole, di natura pubblicistica e privatistica soprattutto a livello europeo indirizzate nel senso di una maggiore ingerenza nell‟agire politico dei diversi

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ordinamenti, abbandonando i tradizionali atteggiamenti di neutrale indifferenza agli assetti interni ai singoli Stati. 6

Di questo cambio di passo, evidenziato maggiormente nei documenti che si riferiscono all‟area europea meridionale cioè a quella più esposta al rischio finanziario a causa della presenza di ingenti debiti pubblici (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia) costituiscono significativa espressione le posizioni assunte nell‟ambito della Banca centrale Europea.

Infatti il Consiglio direttivo della banca più volte ha rivolto all‟Italia precise raccomandazioni su questi temi; così è stato richiesto ad esempio un maggiore impegno ad abolire o a fondere alcuni Stati amministrativi intermedi, come le province con conseguente riduzione della spesa pubblica e taglio dei costi della politica.

In Italia, del resto, la recessione economica è giunta in un contesto già provato da una grave crisi morale e politica, contrassegnata da una diffusa sfiducia nella classe politica, dal successo mediatico di inchieste giornalistiche sui relativi costi, dalla crescita di movimenti antagonisti che hanno ravvivato il

6 Cfr., L. VANDELLI, op. cit..

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dibattito con la proposizione di nuove tematiche, da elevati livelli di corruzione e di cattiva amministrazione.

In tale contesto da un‟iniziale aspirazione a riforme organiche, che aveva caratterizzato la legge n.142 del 1990, il Testo unico del 2000, si è passati ad una sequenza di misure puntuali, spesso episodiche e instabili, contenute in manovre economiche adottate con decreto legge.

I presupposti di necessità e di urgenza che, in base all‟art. 77 della Costituzione, legittimano il ricorso alla decretazione di urgenza, vengono ricondotti a motivazioni incentrate sul contrasto alla crisi e sull‟attuazione di vincoli europei, richiamando espressamente e semplicemente l‟esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e di fornire aiuto alla crescita, o di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e il contenimento delle spese oppure l‟ eccezionalità della situazione economica internazionale.

Da ciò, il decreto legge, da fonte straordinaria chiamata ad intervenire solo in casi di necessità ed urgenza, nella prassi è divenuto, fonte di uso ordinario, cui si ricorre in ogni caso di intervento sull‟economia o con effetti sulla spesa.

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Il fenomeno ha riguardato particolarmente la disciplina degli enti locali, in tutti i sui diversificati ambiti.

In particolare con riferimento all‟ordinamento degli enti locali, la Corte Costituzionale ha inteso censurare con nettezza ogni eccesso nel ricorso a decreti legge al di fuori dei già citati criteri, indirizzando, di conseguenza, l‟intervento legislativo verso riforme di sistema.

Infatti proprio in relazione agli interventi operati al governo locale nel contesto di manovre economiche, è intervenuta la Corte con la sent. 19 luglio 2013, n. 2207, che ha dichiarato l‟illegittimità costituzionale del d.l. n. 201, conv. in l. n. 214/2011, nonché del d.l. n. 95, conv. in l. 135/2012, in relazione alla revisione delle province e all‟istituzione delle città metropolitane.

La sentenza non esamina nel merito le scelte compiute dal legislatore, ma si limita a pronunciarsi sul tema generale della utilizzazione del decreto legge per interventi che toccano componenti essenziali dell‟intelaiatura dell‟ordinamento degli

7

Cfr., Corte Cost., 19 luglio 2013, n. 220, in Giur. Cost., 2013, 3157 ss. con nota di N. MACCABIANI, Limiti logici (ancor prima che giuridici) alla decretazione d’urgenza nella

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enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali e istituzionali di lungo periodo.

Così, ci troviamo in presenza di una riforma organica e di sistema, ben distanti dai criteri in base ai quali l‟art. 77 Cost. permette al governo la decretazione di urgenza.

Inoltre, il fatto di ricorrere al decreto legge al fine di incidere sull‟assetto territoriale delle province costituisce secondo i giudici della Consulta, uno strumento ancora più inappropriato in considerazione del fatto che l‟art. 133 Cost., al comma 1, vincola finanche il mutamento delle circoscrizioni provinciali ad alcuni passaggi procedurali come l‟iniziativa dei comuni interessati e il parere della regione, da considerarsi necessari.

In definitiva la Corte rileva come “la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato

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costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema”. 8

Si tratta, si sostiene, di un processo trasformativo che non può nemmeno essere discusso a livello parlamentare a causa dei limiti temporali previsti dallo stesso art. 77 nei commi 2 e 3 Cost. Precisamente la Corte nell‟affermare ciò ribadisce, d‟altra parte, che l‟ordinamento degli enti locali possa essere modificato anche con legge ordinaria ed invece sia indispensabile la legge costituzionale soltanto se si voglia sopprimere uno degli enti previsti dall‟art. 114 Cost. o comunque si intenda togliere allo stesso la garanzia costituzionale.

La sentenza citata, dunque, ha reso ancora più evidente la necessità di un intervento organico del legislatore.

Intervento che si è avviato con la presentazione di un disegno di legge costituzionale, che prevede l‟eliminazione delle province dal testo costituzionale, e con la simultanea adozione di un disegno di legge ordinaria volto a ridefinire gli organi e le funzioni prevedendo contestualmente l‟istituzione delle città metropolitane.

8 Cfr., A. SEVERINI, La riforma delle Province, con decreto legge, “non s’ha da fare, in Rivistaaic.it, luglio 2013.

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1.3 La legge n. 56/2014, c.d. legge Delrio

L‟esperienza fallimentare delle manovre del governo Monti ha indotto il legislatore del 2014 a ritentare la strada delle riforme dell‟ordinamento degli enti locali ricorrendo all‟emanazione di una legge ordinaria in attesa della realizzazione di una decisiva riforma costituzionale.

Così la c.d. legge Delrio, recante “disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, ha introdotto una parziale risistemazione delle autonomie locali finalizzata, da un lato, alla razionalizzazione delle istituzioni locali e, dall‟altro, al perseguimento di una maggiore efficienza nell‟esercizio decentrato delle funzioni.

Tale legge, formata da un unico articolo, dà un nuovo fondamentale impulso all‟attuazione delle città metropolitane.9

Si tratta di enti introdotti nel nostro ordinamento dalla prima legge generale sulle autonomie locali, ovvero la L. n.142/1990, costituzionalizzate grazie alla L. cost.3/2001, ma di fatto rimaste una “scatola vuota” poiché non entrate mai a regime.

9 Cfr., M. GORLANI, La “nuova” Provincia: l’avvio di una rivoluzione nell’assetto

territoriale italiano, in Forum Quaderni costituzionali, 8/2014; G. VESPERINI, Il disegno del nuovo governo locale: le città metropolitane e le province, in Giornale di diritto amministrativo, 8-9/2014,

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Le città metropolitane, istituite attraverso un complicato procedimento previsto dalla legge, sono nove più l‟ordinamento a sé stante di Roma capitale.

Esse, definite enti di vasta area, subentrano alle province espressamente individuate.

Altro punto fondamentale della riforma, sulla quale, tra l‟altro si incentra particolarmente l‟aspettativa di una diminuzione della spesa pubblica, è la riorganizzazione delle Province.

Definite anch‟esse enti di vasta area, sono chiamate a svolgere ben definite funzioni fondamentali in relazione ad ambiti di materie circoscritti, nonché altre specifiche funzioni sulla base di intese con i comuni interessati.

In riferimento ai tagli sui costi della politica si prevede che gli organi delle nuove province non saranno più eletti direttamente dai cittadini, ma saranno organi elettivi di secondo grado nel senso che saranno eletti da parte dei sindaci e dei consiglieri comunali facenti parte della provincia.

Tutti gli incarichi ricoperti presso le province e le città metropolitane saranno svolti a titolo gratuito.

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Sempre nell‟ottica della spending review viene dato nuovo impulso all‟associazionismo nello svolgimento delle funzioni e dell‟accorpamento dei piccoli enti.

La disciplina delle unioni di comuni, da tempo individuate dal legislatore come strumento più idoneo a promuovere l‟esercizio associato di funzioni, viene in parte rimodulata.

Al fine di incentivare modifiche territoriali che comportino fusioni di comuni o incorporazione di uno o più comuni in un altro di maggiori dimensioni vengono inoltre introdotte tutele più incisive per i comuni originari. La legge Delrio, come già rilevato, detta una disciplina completamente innovativa riguardo al vigente sistema delle autonomie locali.

Essa è scaturita da un disegno di legge di iniziativa governativa già presentato dall‟esecutivo guidato dal presidente Enrico Letta, ed è poi giunta al termine di un non facile percorso parlamentare in cui si sono, anche bruscamente, confrontate differenti posizioni in ordine agli obiettivi e agli strumenti da utilizzarsi. Di questo è testimone il fatto che il testo finale della legge presenta in non pochi punti soluzioni che, dopo alcune

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divergenze di volontà espresse da parte della Camera e del Senato, sono state raggiunte con una certa difficoltà di sintesi. Ciononostante, l‟impostazione di fondo è rimasta la stessa anche con il sopraggiungere del nuovo Governo Renzi.

Infatti l‟ispiratore originario della riforma in oggetto, ovvero il Ministro degli affari regionali del precedente Governo Letta da cui la legge ha poi preso il nome di legge Delrio, ha assunto l‟incarico di sottosegretario alla presidenza del consiglio, potendo in tal modo continuare a seguire il procedimento di formazione in modo particolarmente intenso.

L‟importanza politica che anche l‟esecutivo Renzi ha incentrato su questa riforma è testimoniata dalla questione di fiducia che è stata posta al fine di ottenere la conclusiva approvazione parlamentare in termini temporali non usuali per i procedimenti legislativi ordinari.

Infatti, presentato il 20 agosto 2013, il disegno di legge è stato approvato alla Camera a fine dicembre 2013, per poi passare al Senato ed essere qui approvato a fine marzo 2014 con il discusso ricorso alla questione di fiducia su un testo che ha ripreso integralmente quello approvato nella Commissione competente.

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Infine tale testo è stato approvato alla Camera.

Proprio per l‟apposizione della questione di fiducia, e per le connesse ragioni procedurali relative all‟accorpamento delle disposizioni, si è conclusivamente pervenuto a un testo che, certo, non brilla per tecnica legislativa, in quanto formato da un solo articolo composto da ben 151 commi.

Va, infine, aggiunto che alcune disposizioni sono state repentinamente modificate o soppresse con successivi decreti legge.

Così il legislatore con la presente legge ha inteso concentrarsi su quattro profili fondamentali, introducendo novità di non poco conto nella complessiva organizzazione e nel funzionamento degli enti locali: 1) l‟istituzione ex lege delle città metropolitane; 2) il nuovo ruolo delle province che, private della diretta elettività, si dedicheranno per lo più alle funzioni fondamentali finalmente individuate; 3) l‟istituzione della città metropolitana di Roma capitale; 4) l‟accorpamento funzionale o istituzionale dei comuni di modeste dimensioni.

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Infatti le quattro predette questioni erano da tempo poste all‟ordine del giorno del dibattito politico ma con risultati davvero deludenti.

In particolare, per le città metropolitane, i diversi modelli procedimentali previsti dalle normative che si sono succedute nel corso degli anni novanta del secolo scorso non hanno avuto concreto successo, soprattutto perché caratterizzati da paradigmi partecipativi del tutto teorici che non hanno coinvolto i soggetti istituzionali direttamente competenti.

Sulle province i precedenti tentativi diretti ad eliminare, riordinare o ridurre tali enti di livello intermedio, erano tutti falliti, lasciando soltanto una grande confusione riguardo lo stato di commissariamento degli organi di una buona parte delle stesse, ed un procedimento di ridefinizione delle funzioni, quelle non fondamentali, avviato in parte e lasciato all‟opera discrezionale di ciascuna regione.

Per Roma capitale, la disciplina prima è stata collocata in quella delle città metropolitane e degli altri livelli locali di governo, e poi ricondotta al comune di Roma ed infine ora rimessa ad una

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nuova disciplina (che nel corso del presente elaborato verrà analizzata).

Circa i comuni di piccole dimensioni, le normative succedutesi nel corso degli anni si sono mostrate sin troppo volubili, così a proclami di un certo impatto sono scaturite soltanto alcune parziali forme di aggregazioni funzionali e pochi esiti favorevoli alle ben più sostanziose fusioni e unioni.

Oggi si prosegue nel determinare obblighi e incentivazioni. Le innovazioni derivanti dalla legge Delrio sono formulate in attesa di eventuali e future riforme costituzionali.

Infatti la legge non sembra rivolgersi direttamente, come avveniva negli anni novanta per alcune riforme a costituzione invariata, ovvero ad introdurre un assetto ordinamentale sostanzialmente derogatorio rispetto all‟assetto costituzionale vigente in quel momento; ma, diversamente, essa intende preparare il campo, per l‟avvento di riforme costituzionali prossime venture. Questo metodo procedimentale ha suscitato non pochi dibattiti. Diversi punti della legge sono controversi ed hanno provocato un giudizio di costituzionalità definito con la

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sentenza della corte costituzionale n.50/2015, che approfondiremo in prosieguo.10

In ogni caso, l‟obiettivo del legislatore appare essere quello di pervenire a un migliore assetto del vigente sistema costituzionale delle autonomie nel senso della semplificazione dell‟assetto istituzionale e della razionalizzazione della distribuzione delle funzioni, anche e soprattutto al fine di ridurre i costi sopportati dall‟erario.

Su questo punto, del resto, la polemica tra le forze politiche e in particolar modo tra il Governo e le ragioni delle autonomie territoriali, in particolare le province, ente toccato particolarmente dalla riforma, si è concentrata sui possibili e effettivi esiti di quanto disposto con la citata legge.

Perciò sulla base di quanto ufficialmente rilevato dalla corte dei conti in sede di audizione parlamentare, le probabili riduzioni di spesa pubblica, che sono state uno dei principali argomenti

10 Così ad esempio ha suscitato numerose obiezioni in relazione alle relative garanzie di autonomia provinciale la soppressione della diretta elettività degli organi provinciali; parimenti altri dubbi nascono dalla istituzione/costituzione ex lege delle città metropolitane e dalla contemporanea soppressione delle corrispondenti province senza alcun cenno di applicazione dell‟articolo 133 Cost. Altresì incoerente con l‟articolo 114 terzo comma Cost., appare la sostanziale equiparazione di Roma capitale con le altre città metropolitane.

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evidenziati da chi ha proposto la riforma in oggetto, non sembrano in verità corrispondere alle aspettative.

È verosimile, allora, che in questo caso l‟annuncio del messaggio legislativo prevalga sullo stesso contenuto.

Così il legislatore ha preferito dare all‟opinione pubblica un segnale facilmente percepibile, anche a scapito, appunto, della complessiva coerenza dell‟intervento e dell‟effettività dei risultati che a breve, medio e lungo termine si potranno concretamente conseguire.

Del resto, non si può negare che certi aspetti riguardanti il versante della complessa fase applicativa, necessari per concretizzare quell‟ampio ventaglio di novità dettate dalla legge in questione, siano nebulosi e potrebbero determinare oneri amministrativi e finanziari aggiuntivi.

Tanto più che come è noto, il Parlamento sta esaminando un disegno di legge costituzionale presentato dal Governo, A.S. n.1429, che, tra l‟altro, riforma in diversi punti il titolo V della seconda parte della Costituzione, lasciando percepire che, qualora dovesse essere approvata quest‟ultima riforma, si dovrà

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procedere ad un nuovo intervento legislativo su non pochi dei profili sui quali è appena intervenuta la legge n.56/2014.

In particolare, nel testo ora risultante dall‟approvazione in prima lettura da parte del Senato l‟8 agosto del 2014 e quindi trasmesso alla camera, A.C. n.2613, il livello istituzionale delle province risulterebbe espunto espressamente dalla Costituzione, mentre rimarrebbero a pieno titolo gli altri livelli autonomistici, regioni, comuni e città metropolitane, oltre a Roma capitale.

Tuttavia, allo stesso tempo si prevede, all‟interno della competenza legislativa esclusiva dello Stato, un‟apposita indicazione circa le disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni, secondo la nuova riformulazione della lettera p), nel secondo comma dell‟art.117 Cost.

Questo potrebbe far risorgere il tradizionale livello ordinamentale oggi rappresentato dalle province, poiché si configurerebbe come ente associativo dei comuni rientranti in ambito territoriale sub regionale, così da non escludersi che in futuro la provincia possa corrispondere a quel concetto per lo più indeterminato di ente di area vasta, che è già indicato nella legge n.56/2014 come unico elemento identificativo dell‟attuale provincia.

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Tutto dipenderà dalle scelte che in concreto il legislatore statale farà nel momento applicativo della riforma costituzionale oggi in itinere, potendosi sostanzialmente confermare l‟impianto ordinamentale posto dalle n.56, oppure dare alla competenza regionale maggiore autonomia nella precisazione dei caratteri costitutivi del futuro livello sovra-comunale a carattere associativo. Niente, del resto, esclude il rischio che l‟accavallarsi dell‟applicazione della legge n.56 , la quale comporta tutta una serie di atti e provvedimenti attuativi, con la prossima riforma costituzionale e con la conseguente fase transitoria, provochi tensioni e difficoltà operative nel concreto funzionamento degli enti locali e, di conseguenza, nell‟erogazione dei servizi pubblici, tanto fondamentali per la coesione della cittadinanza che risiede nei territori, di cui trattiamo.

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1.4 Ulteriori profili di illegittimità costituzionale: la trasformazione delle Province e delle Città metropolitane in enti locali territoriali con rappresentanza di secondo livello e la declinazione statale dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ex art.118 Cost.

Il notevole ridimensionamento funzionale delle province e dei suoi apparati politici e burocratici, attuato per esigenze di risparmio delle risorse pubbliche dalla legge n.56/2014, pur se effettuato con lo strumento formale della legge ordinaria e con la provvisorietà tipica di una disciplina ponte, non è immune da ulteriori profili di criticità.11

E‟ noto, infatti, come la legge n.56/2014 configuri sia la città metropolitana, che la provincia, quali organi elettivi di secondo grado e, come tali, a rappresentatività attenuata, riconoscendo solo alla Regione ed ai Comuni la diretta rappresentatività delle comunità territoriali, di cui costituiscono espressione esponenziale.

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Anche a non voler tenere presente la sorte delle province, che sembrano destinate ad essere espunte dal testo costituzionale, permane in ogni caso l‟interrogativo se sia configurabile un ente territoriale costitutivo della Repubblica ex art.114 Cost., qual è la città metropolitana/provincia, che non sia direttamente rappresentativo delle comunità locali di riferimento.

Detto diversamente, posto che lo Stato può regolare gli organi fondamentali degli enti locali e la loro elezione ex art.117, comma 2, lett. p), Cost. , resta comunque controverso se la Costituzione imponga che l‟organo fondamentale (il consiglio) sia eletto direttamente dal corpo elettorale oppure se consenta che esso possa essere eletto indirettamente dai consigli comunali. Nella specie, la legge n. 56/2014 identifica12 di diritto il sindaco metropolitano con quello del comune capoluogo ( art.1, comma 19); prevede per il consiglio metropolitano l‟elezione di secondo grado con elettorato attivo e passivo riservato ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei comuni della città metropolitana (art.1, comma 25) secondo il voto ponderato in base alla consistenza della popolazione dei diversi comuni ripartiti in fasce

12 Cfr., A. MINGARELLI, Poteri e responsabilità negli enti territoriali tra abolizione delle

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demografiche (art.1, comma 30 ss.) e dispone che la conferenza metropolitana sia composta dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana (art.1, comma 41), mentre solo in via residuale è prevista, nell‟esercizio della potestà statutaria, l‟elezione diretta di tali organi di governo (art.1 comma 22).

Parimenti il presidente della provincia ed il consiglio provinciale sono organi elettivi di secondo grado, essendo eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia (art.1, rispettivamente commi 58 e 69), mentre solo l‟assemblea dei sindaci è costituita dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia(art.1, comma 56), configurandosi solo per quest‟ultima un‟ipotesi di elezione diretta, in cui il corpo elettorale elegge contemporaneamente il sindaco del comune ed il componente dell‟assemblea dei sindaci in seno alla provincia.

Con il rilievo che la novella non abroga, ma integra la tradizionale definizione della provincia quale “ente locale intermedio tra comune e Regione, che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo

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sviluppo”, tramandataci dal Testo unico delle leggi sull‟ordinamento degli enti locali.

Ci si domanda allora se nella Costituzione sia previsto necessariamente un modello organizzativo di ente locale, con caratteristiche minime, quali, ad esempio, il carattere elettivo degli organi di governo, su cui neanche il legislatore ordinario potrebbe intervenire.

Come esattamente rilevato da attenta dottrina il punto è se sia “democratica una forma di governo in cui nessun organo è eletto direttamente ovvero in cui un organo è eletto direttamente, ma gioca un ruolo estremamente marginale nei processi decisionali dell‟ente”.

Secondo alcuni, il nuovo assetto degli enti territoriali violerebbe l‟art.114 Cost., che, al primo comma, prevede l‟equiparazione delle province e delle città metropolitane agli altri enti costitutivi della Repubblica ed, al secondo comma, sancisce la loro autonomia , legata al principio di elezione diretta degli organi di governo degli enti locali, per cui la novella risulterebbe in contrasto anche con il principio democratico, in cui si esprime la sovranità popolare.

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D‟altra parte si è ribadita l‟illegittimità della legge n. 56/2014 per violazione del principio autonomistico, ex artt.5 e 114 Cost., che richiede l‟autogoverno delle comunità territoriali mediante organi direttamente rappresentativi, e non come espressione associativa dei comuni, nonché dell‟art. 117, comma 1, Cost., tramite il parametro interposto della Carta europea dell‟autonomia locale, con riferimento ad una legislazione che non garantisce a tutti gli enti intermedi organi di governo eletti direttamente, o, ancora, per violazione del principio di sussidiarietà verticale, sancito, ex art.118, comma 1, Cost., nel vigente modello costituzionale di allocazione/distribuzione delle funzioni amministrative, per carenza di democraticità dei nuovi enti di governo dell‟area vasta e della relativa forma di governo.13

E ciò anche a voler prescindere dal rilievo che la legge n.56/2014 dispone uno svuotamento delle province e la contestuale istituzione delle città metropolitane in deroga alla procedura, che l‟art.133, comma 1, Cost. prevede per la revisione delle circoscrizioni provinciali secondo un meccanismo che “fosse il

13

Cfr., A. SCARAMUZZA, La città metropolitana tra successione degli interventi

normativi, pronunzie della Corte Costituzionale e problematiche attuali, in G. PERULLI, La città metropolitana, op. cit., p. 115 ss.

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frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto” .

Per i sostenitori dell‟elezione indiretta, invece, le città metropolitane, le province e le unioni di comuni si configurano come enti territoriali che esprimono non la rappresentanza dei cittadini del territorio, ma delle relative comunità rappresentate dai loro amministratori, ben potendo coesistere, accanto ai Comuni, alle Regioni ed allo Stato, che fondano la loro rappresentatività sull‟elezione diretta dei cittadini, altri enti di governo di secondo grado, potenzialmente intermediari della legittimazione democratica derivante dalla rappresentatività dei sindaci e dei consiglieri comunali verso le comunità territoriali. Secondo tale dottrina, infatti, la rappresentatività di un organo non deve necessariamente derivare dall‟elezione diretta dello stesso e può essere garantita anche con modalità elettive di secondo grado, ritenendo, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, non precettivo il contenuto della Carta europea dell‟autonomia locale, disconoscendone, quindi, la natura di parametro interposto di legittimità costituzionale ex art.117,

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comma 1, Cost., o interpretando la relativa previsione, secondo cui i membri delle assemblee sono “freely elected”, come comprensiva anche della elezione derivata da un altro organo elettivo.

Da un lato, quindi, si assume il sacrificio del livello di democrazia locale, realizzato dalle province riformate e dalle istituite città metropolitane, dall‟altro, invece, si afferma la compatibilità e la conformità alla Costituzione del sistema elettivo di secondo grado di tali organi.

Infatti, mentre nessun dubbio poteva sussistere nel previgente testo della Carta costituzionale in ordine alla trasformazione mediante legge ordinaria delle province, considerate dall‟art.128 “enti autonomi nell‟ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica”, i dubbi di illegittimità costituzionale sono ora giustificati dalla novellata formulazione dell‟art.114 Cost., che pone sullo stesso piano tutti gli enti in esso menzionati in quanto “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.

Prendendo spunto dalle parole della Corte costituzionale, occorre allora ricordare che “lo stesso art.114 della Costituzione non

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comporta affatto una totale equiparazione tra gli enti in esso indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città metropolitane e le Province( diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa”. Secondo un condiviso orientamento dottrinale, il nuovo art.114, comma 1, Cost. configura un pluralismo istituzionale paritario, sicché “tra le articolazioni di tale sistema non è più possibile individuare alcuna posizione di gerarchia, o comunque di preminenza”, ma vi è anche chi non fa seguire alla pari dignità istituzionale degli enti la necessaria equi ordinazione, ritenendo che l‟elencazione ivi contenuta miri solo ad indicare che la Repubblica si costituisce sussidiariamente attraverso di essi.

Secondo altri, la lettura preferibile dell‟art.114 Cost. non è quella di omogeneizzare gli enti locali ivi considerati, ma di ritenere che la riforma del titolo V abbia inteso costituire una ricognizione dell‟articolazione della Repubblica e garantire gli enti costitutivi della Repubblica da una soppressione mediante legge ordinaria, lasciando comunque a disposizione dello stesso legislatore

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ordinario ampi margini di eventuale differenziazione degli enti intermedi per composizione degli organi di governo e per funzioni, anche a Costituzione invariata.

Se, infatti, si ritiene non incompatibile con l‟art.5 Cost. una riforma costituzionale avente ad oggetto la soppressione di un livello di autonomia locale, non può che ritenersi percorribile anche l‟ipotesi di trasformare, mediante legge ordinaria, le province attualmente esistenti e le nuove città metropolitane in enti di secondo livello: e ciò nonostante la previsione di cui alla VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, la quale, statuendo che “le elezioni (…)degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione”, sembra presupporre il carattere elettivo di (almeno) alcuni degli organi provinciali. D‟altronde, anche la Corte costituzionale in un remoto precedente ha avuto modo di affermare che “il principio di eguaglianza, affermato dall’art.48 della Costituzione, si ricollega a quello più ampio affermato dall’art.3. Cosicché, quando nelle elezioni di secondo grado l’elettorato attivo è attribuito ad un cittadino eletto dal popolo in sua

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rappresentanza, (la relativa norma) non contrasta col principio di eguaglianza, ma anzi vi si conforma”.

In sintesi, la previsione di modalità elettive indirette non solo è consentita al legislatore ordinario, ma non incide sul carattere rappresentativo dell‟ente, trasformandolo in un ente di tipo associativo, per cui risulta compatibile con il dettato costituzionale.

Quindi, non più un “ente costituzionalmente necessario e rappresentativo della comunità locale”, ma un ente legato al territorio con moduli diversi da quelli previsti per l‟elezione in via diretta, in modo da “incardinare su due sole classi politiche direttamente elette, quella comunale e quella regionale, la rappresentanza a livello territoriale dei cittadini” ed affidare “agli amministratori comunali il compito di assicurare, attraverso gli enti di area vasta guidati da organi da loro eletti e formati, la massima sinergia possibile”.

Altro profilo da evidenziare è la declinazione, compiuta dalla legge n.56/2014, dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ex art.118, comma 1, Cost.

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La c.d. “legge Delrio”, pur riconosciuta rilevante ed innovativa per l‟interpretazione degli artt.114 e 118 Cost., non scioglie i nodi connessi alle differenti competenze Stato- regioni in relazione sia alla individuazione delle funzioni non fondamentali, sia in relazione alle modalità di esercizio delle funzioni in sede locale.

E‟ noto, infatti, che, in base al comma 44 della legge n.56/2014, spettano alle Città metropolitane: a) le funzioni fondamentali delle province; b) le funzioni che risulteranno a seguito del processo di riordino delle funzioni provinciali ai sensi dei commi 85-97; c) le funzioni fondamentali attribuite dallo Stato ai sensi dell‟art.117, comma 2, lett. p), Cost.; d) le ulteriori funzioni che potranno essere attribuite loro dallo Stato o dalle regioni, secondo le rispettive competenze, in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ( comma 46). D‟altro canto, il successivo comma 89 prevede che lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, possano attribuire alle province funzioni non fondamentali, in dichiarata attuazione dell‟art.118 della Costituzione, tenendo conto dei seguenti criteri ispiratori: a) individuazione dell‟ambito territoriale ottimale di

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esercizio per ciascuna funzione; b) efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni; c) sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; d) adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni; e) valorizzazione delle autonomie funzionali e dell‟esercizio in forma associata delle funzioni da parte di più enti locali.

Ogni regione dovrà, quindi, procedere alla riallocazione delle funzioni diverse da quelle fondamentali sulla base dei principi e dei criteri direttivi fissati dalla c.d. “legge Delrio” senza deviare dai binari indicati dal legislatore statale.

Se è vero, allora, che la sentenza n.220/2013 della Corte costituzionale consente ad una fonte primaria, non di abolire le province, ma di riconfigurarne le funzioni e l‟organizzazione, purché presenti il carattere della stabilità, se è vero che la prospettiva della “legge Delrio” è la riduzione delle funzioni provinciali a poco più di quelle fondamentali, è altrettanto vero che la novella condiziona pesantemente il legislatore regionale nell‟attribuzione di funzioni alle province diverse da quelle

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fondamentali di cui al comma 85, ponendo stringenti vincoli al loro trasferimento da parte delle Regioni ed escludendo, in caso contrario, il ricorso al livello provinciale.

Sorge allora l‟interrogativo se la facoltà regionale di conferire funzioni amministrative alle province possa essere condizionata dall‟interpretazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui allo art.118 Cost., fornita dal legislatore statale con la legge n.56/2014, senza che risulti violata l‟autonomia regionale costituzionalmente riconosciuta.

In altri termini, occorre stabilire se sia legittimo o meno l‟intervento del legislatore nazionale, laddove imponga vincoli “alle modalità ed ai tempi per il trasferimento regionale di funzioni che, estranee al novero di quelle fondamentali, andrebbero liberamente allocate dalle Regioni, in base al combinato disposto tra gli artt.117 e 118 Cost.”.

Come puntualmente rilevato, trattasi nella specie di un sostanziale ridimensionamento della potestà legislativa regionale mediante azioni di interferenza e condizionamento della stessa, che può comprimere oltre modo l‟autonomia regionale.

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Su questi ed altri profili, oltre che, in generale, sull‟intero impianto istituzionale della legge n.56/2014, sarà chiamata nuovamente la Corte costituzionale a far luce, avendo alcune regioni impugnato la novella dinanzi alla Consulta, sollevando molteplici profili di illegittimità costituzionale e dubbi sulla ragionevolezza delle scelte effettuate dal legislatore nazionale attraverso una “innaturale anticipazione della revisione costituzionale”.

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1.5 La sentenza della Corte Cost. n. 50/2015

Con il deposito in data 24 marzo 2015, della sentenza n. 50/2015 la Corte Costituzionale si è pronunciata sui ricorsi presentati da quattro Regioni e precisamente dal Veneto, Campania, Puglia, Lombardia avverso 58 dell‟unico articolo della c.d. legge Delrio.14

La sentenza appare piuttosto complessa in ragione delle tematiche affrontate: seguendo il ragionamento delineato dalla Corte nell‟affrontare le questioni sottoposte e possibile individuare quattro gruppi di temi affrontati.

Si tratta in particolare della disciplina delle città metropolitane, della ridefinizione dei confini territoriali e del quadro delle competenze delle Province, del procedimento di redistribuzione delle funzioni “non fondamentali” delle Province ed infine della disciplina delle unioni e fusione di Comuni.

Le questioni esaminate riconducibili alle Città metropolitane possono essere, per comodità espositiva, suddivise in due distinte sezioni: la prima dedicata alla loro “istituzione” e la seconda relativa alla disciplina del nuovo ente di area vasta.

14 Cfr., E. MICHETTI, Riforma delle province e città metropolitane: la legge Delrio supera

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La dottrina dominante si è espressa nel senso della prevedibilità e condivisibilità della pronuncia della Corte.15

Tuttavia è stato rilevato “che alcune delle argomentazioni del Giudice delle leggi appaiono forse ultronee rispetto alla definizione dell‟esito del giudizio. L‟impressione, insomma, è che non sempre si evince la necessità di certe argomentazioni per giustificare la legittimità delle norme statali sulle Città metropolitane.”16

Con riferimento alla questione “istituzione di un nuovo ente” la Corte ha sciolto alcune questioni interpretative giustificando con l‟eccezionalità dell‟istituzione di un nuovo ente la possibilità che la legge statale sfugga alla procedura aggravata ex articolo 133, comma primo, Cost.

Ciò in quanto, si sostiene, con le citate norme il legislatore costituzionale del 2001 ha disciplinato solo e soltanto il procedimento di variazione delle circoscrizioni territoriali delle Provincie e nulla ha previsto per le Città metropolitane.

15 Cfr., per tutti sul punto, A. STERPA, F. GRANDI, Corte costituzionale, sentenza n. 50

del 2015; scheda di lettura, in www.federalismi.it n.7/2015; A. LUCARELLI, La sentenza

della Corte costituzionale n. 50 del 2015. Considerazioni in merito all’istituzione delle città metropolitane, in www.feralismi.it, n. 8/2015,

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Ulteriore questione affrontata riguarda l‟obbligo per l‟istituzione delle nuove città metropolitane di seguire o meno l‟iter legislativo che, prevede l‟iniziativa dei Comuni, il parere della Regione e la competenza della legge statale.

La Corte costituzionale seguendo la scelta del legislatore statale di far coincidere le Città metropolitane con le dieci precedenti Province ha evidenziato che fosse sul punto necessario un intervento legislativo cioè una legge statale idonea a garantire una disciplina unitaria del nuovo ente.

Ciò in quanto l‟istituzione della città metropolitana non costituisce diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, una materia di competenza residuale del legislatore regionale considerata anche la sua assenza dall‟elenco di cui all‟art. 117, comma secondo, lettera p).

La Corte ha dovuto giudicare anche della legittimità costituzionale delle norme statali sull‟istituzione delle Città metropolitane con riferimento all‟ulteriore eccezione sollevata dai ricorrenti secondo cui si trattava di una “legge provvedimento”.

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Sul punto i giudici hanno argomentato negando natura di provvedimento all‟atto del Parlamento.

Con riferimento al secondo gruppo di questioni esaminate nella sentenza n. 50, cioè quelle relative al funzionamento del nuovo ente ed in particolare a quelle riferite al “modello di governo” di secondo grado la Corte si è pronunciata nel seguente senso.

L‟elezione indiretta degli organi delle Città metropolitane, come per le Province, rispetta il principio democratico secondo quanto stabilito già in precedenza dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 96 del 1968. 17

Sempre con riferimento all‟elezione di secondo livello dell‟ente di area vasta città metropolitana, in risposta al richiamo fatto dai ricorrenti, alla Carta europea dell‟autonomia locale la Corte costituzionale18 ha evidenziato che essa possiede la “natura di documento di mero indirizzo” pur essendo ratificata dalla legge statale n. 439 del 1989.

Inoltre la Corte costituzionale evidenzia come il riferimento contenuto nella citata Carta relativamente al “freely elected” cioè

17 Tuttavia sul punto è stato rilevato che l‟argomentazione della Corte secondo cui per tutti gli enti autonomi ex art. 114 Cost. si potrebbe optare per l‟elezione indiretta appare ultronea, cfr. A. STERPA, op.cit.

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alla libera elezione degli organi degli enti autonomi non determina l‟elezione a suffragio universale e diretto come sostenuto dai ricorrenti.

Secondo il Giudice delle leggi l‟espressione citata dovrebbe intendersi “nel senso sostanziale della esigenza di una effettiva rappresentatività dell‟organo rispetto alle comunità interessate”. A giudizio della Corte costituzionale, infatti, non è irragionevole che “in fase di prima attuazione del nuovo ente territoriale il Sindaco metropolitano sia ope legis coincidente con quello del Comune capoluogo”.

Si tratta, infatti, di una scelta non irreversibile in virtù della sua modificabilità. Sul punto va comunque precisato che a tutt‟ oggi soltanto le tre principali Città metropolitane cioè Roma, Milano e Napoli hanno deciso di sperimentare il modello di elezione diretta.

La decisione non è casuale in quanto trattasi delle tre Città metropolitane che, contando più di tre milioni di abitanti, non devono necessariamente, al contrario delle altre sette, sciogliere il Comune capoluogo in più Comuni prima di poter aderire

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all‟elezione a suffragio universale e diretto dei propri organi (ex comma 22 della legge n. 56/14).19

La Corte ha negato la sussistenza anche dell‟ulteriore profilo di illegittimità costituzionale sollevato dai ricorrenti con riferimento al mantenimento, per il personale provinciale trasferito al nuovo ente, dello stesso trattamento.

Ciò in quanto si tratta di una previsione transitoria e riconducibile alla materia statale dell‟ordinamento civile ai sensi dell‟articolo 117, comma secondo, Cost..

Un‟altra questione di legittimità costituzionale sollevata in via principale ha riguardato poi le competenze previste dalla legge statale per il Consiglio metropolitano: secondo la Corte non presenterebbero il carattere “riduttivo” evidenziato dai ricorrenti in quanto lo Stato può ampliarle sempre nel rispetto della riserva di compiti del Sindaco.

Inoltre, secondo la Corte costituzionale compete agli Statuti metropolitani: 1) porre le “norme fondamentali per l‟organizzazione dell‟ente” comprese le attribuzioni degli organi

19

Cfr., A. LUCARELLI, La sentenza della Corte Costituzionale n. 50/2015.

Considerazioni in merito all’istituzione delle città metropolitane, in www.federalismi.it, n. 8/2015.

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e le rispettive competenze ai sensi dell‟art. 117, comma secondo, lettera p); 2) individuare le “modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane”.

La Corte, dunque, pone lo Statuto metropolitano, in una posizione nettamente centrale, ruolo che appare confermato dall‟esistenza di poteri sostitutivi statali in caso di inerzia da parte del nuovo ente di area vasta.

Si tratta di poteri sostitutivi che trovano la loro “giustificazione nell‟esigenza di realizzare il principio dell‟unità giuridica su tutto il territorio nazionale in merito all‟attuazione del nuovo assetto ordinamentale” di cui alla legge n. 56 del 2014.

contenuto nell‟art. 14 della legge 142 del 1990 e poi trasfuso nell‟art. 19 del Tuel (d.lgs. 267 del 2000).

Orbene, se alcune di queste funzioni possono essere fatte rientrare nell‟ampia formulazione dell‟articolo 1, comma 85, lett. a), della legge Delrio, ove si fa riferimento alla “tutela e valorizzazione dell‟ambiente, per gli aspetti di competenza”, per altre l‟omissione appare comprensibile, solo nell‟ottica del disegno di una futura abolizione dell‟ente.

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Capitolo II

le città metropolitane, evoluzione normativa 2.1 Aree e città metropolitane. Nozione

Analizzando l‟etimologia della parola Città Metropolitana, dal greco antico: (mḗtēr (μήτηρ), che significa madre, in combinazione con pólis (πόλις), città) si possono delineare immediatamente le caratteristiche fondanti dell‟istituto.

I coloni greci disseminati nel Mediterraneo e nell‟Egeo chiamavano così la Città d‟origine, con cui rimanevano in saldi contatti economici, politici e culturali; il “nodo principale della rete” (si potrebbe dire oggi) anche quando le nuove città a loro volta iniziarono a diventare basi di partenza per altre imprese colonizzatrici.

L‟uso del termine non è cambiato tanto visto che oggi con città metropolitana si indica in generale una ampia area urbanizzata e densamente popolata, costituita da un centro, la città principale, e da una serie di aggregati urbani e di insediamenti produttivi che si relazionano in maniera intensa e permanente con il centro.20

20 Cfr., G. VESPERINI, Il disegno del nuovo governo locale: le città metropolitane e le

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Il rapporto con la città principale permette di sviluppare anche rapporti secondari tra le realtà urbane e produttive che vi “ruotano” attorno, con il rafforzamento di specializzazioni e complementarietà.

Dietro questa definizione generale, le città metropolitane possono differire in molteplici aspetti, sia sul fronte dei vincoli e dei problemi con cui misurarsi, sia su quello delle potenzialità.

Infatti, come già rilevato, al di là dell‟obiettivo di ridimensionare o eliminare la provincia e le spese che alla stessa vengono ricondotte, le finalità che sono attribuite alle città metropolitane sono assai rilevanti per l‟assetto del nostro Paese, dove il ruolo delle aree urbane è divenuto negli ultimi decenni assolutamente dominante da un punto di vista economico, sociale, urbanistico, industriale, agricolo ed in altri ambiti prioritari dell‟intero sistema.

Per capire le finalità dell‟istituto della città metropolitana occorre risalire non solo ai lavori preparatori ma anche ai dibattiti dottrinari che precedettero l‟approvazione della legge di riforma degli enti locali, ossia la legge n. 142/1990, nonchè alla

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fondamentale legge n. 83 del 1991, che ha previsto l‟elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province. 21

Tale elezione diretta dei sindaci, a detta di diversi osservatori, ha inciso profondamente sul nostro sistema politico-amministrativo, forse più della stessa legge n. 142, rendendo più personale la responsabilità dell‟amministratore individuato direttamente dagli elettori anche al di là della sua appartenenza politica.

La forza acquisita dai sindaci eletti a suffragio diretto, specie quelli delle grandi città, ne ha fatto, ed oggi ancor di più, di per sé dei protagonisti della vita politica nazionale paragonabili ai leader dei partiti nazionali.

Anzi spesso si è assistito, negli ultimi anni, alla trasformazione di sindaci di grandi comuni in leader di partito o in ministri o in premier, o viceversa.

Questa personalizzazione della classe dirigente locale si inserisce nel quadro della riforma della legge n. 142, in riferimento agli enti locali, i quali vengono modernizzati in senso aziendalistico.

21

Cfr., F. PIZZETTI, Una grande riforma di sistema. Scheda di lettura e riflessioni su

Città metropolitane, Province, unioni di Comuni: le linee principali del ddl Delrio, in

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Si prevede, infatti, un‟attribuzione di maggiori poteri decisionali all‟esecutivo e ai dirigenti, per consentire di dare risposte immediate alle richieste provenienti dagli amministrati.

Così l‟istituzione della città metropolitana nella discussione dell‟epoca doveva servire a dare ai cittadini delle risposte più rapide ed efficienti nelle grandi periferie delle maggiori città italiane sviluppatesi impetuosamente e spesso disordinatamente con l‟esplosione urbana e demografica degli anni „60 e ‟70 del secolo scorso.22

Con l‟inserimento della città metropolitana nella riforma del titolo V della costituzione nel 2001, si è cercato di rispettare i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, contenuti nell‟art 118 Cost.: in tal senso ciò consentirebbe all‟ente in esame di attuare meglio quei principi autonomistici e federalisti presenti nel dettato costituzionale, che il mancato potenziamento dell‟istituzione regionale non aveva realizzato. Ancor prima di valutare le utilità e funzionalità della nuova entità giuridica amministrativa città metropolitana, ci si deve interrogare sulla sua corretta definizione ed in particolare su cosa

22 Cfr., F. MERLONI, Il riordino del sistema istituzionale e l’individuazione delle funzioni

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significhi per la storia del nostro Paese. La definizione che viene data alla voce “Aree Metropolitane” nel 2001 nell‟enciclopedia delle scienze sociali dal Martinotti23 è una definizione tutt‟altro che precisa e molto problematica.

L‟Autore, infatti, osserva: “possiamo definire area metropolitana il territorio legato a una o più città centrali da rapporti di interdipendenza funzionale, misurata direttamente o tramite l‟individuazione di aree di omogeneità o propinquità. Questa definizione ci rimanda l‟immagine famigliare di una grande conurbazione, o zona urbanizzata, formata da un nucleo centrale e da un ampio territorio cosparso di insediamenti collegati tra loro da una fitta rete di trasporti e vie di comunicazione. Da un punto di vista evocativo, dunque, il concetto di area metropolitana è semplice e di immediata comprensione.

Analiticamente, invece, questo concetto presenta non pochi problemi che derivano dalla difficoltà di tradurre l‟idea di interdipendenza funzionale o di elevata integrazione economica e sociale, in un ambito territoriale ben definito e dalle complessità amministrative e di governo locale connesse con diverse possibili

23 Cfr., G. MARTINOTTI, voce “città metropolitane”, in Enc scienze sociali, Treccani, supplemento 2001.

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