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L'allungamento della vita media e il crescente invecchiamento della popolazione hanno condotto ad un maggior interesse circa le tematiche dell'invecchiamento.

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INTRODUZIONE

L'allungamento della vita media e il crescente invecchiamento della popolazione hanno condotto ad un maggior interesse circa le tematiche dell'invecchiamento.

Al giorno d'oggi risulta evidente quanto sia cresciuta in termini numerici la popolazione anziana in quanto, col passare degli anni, son stati apportati miglioramenti sia a livello delle cure mediche sia a livello della qualità della vita (alimentazione, igiene, cultura, attività fisica, ecc.).

Mentre prima l'età media di sopravvivenza si aggirava attorno ai 50- 60 anni, oggigiorno una persona ha una aspettativa di vita che si aggira attorno agli 80-90 anni. Inoltre è emerso che le donne vivono più a lungo rispetto agli uomini. Davanti a questo aumento della vita media si assiste spesso ad un isolamento sociale che subisce la persona anziana in quanto non le vengono date le giuste attenzioni.

L'anziano a cui si fa riferimento e' quella persona che si accinge a compiere 70 anni, che è ormai tagliata fuori dall'ambiente lavorativo, in particolare, e dal sociale, in generale, quindi non più considerata risorsa produttiva bensì vecchio, inutile e ingombrante.

La nostra società, purtroppo, favorisce l’isolamento degli over 60 ma dal momento in cui si prende consapevolezza che una elevata componente della popolazione e' in età avanzata, occorrerebbe modificare la vita sociale in una ottica di riprogettazione delle strutture sociali e assistenziali, per offrire gli adeguati ausili ai soggetti in questione.

Essere anziano significa affrontare:

 Cambiamenti nei confronti dei ruoli all’interno della famiglia e della società

 Mutamenti nel proprio fisico

 Mutamenti dell’autonomia personale

 La paura della malattia e della morte

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Credo sarebbe opportuno fare una riflessione su chi siano gli anziani, a che età si diventa anziani, cosa può pretendere un anziano dalla società e cosa può fare per essa.

Dopo aver inquadrato bene questa figura, bisogna cercar di comprendere le loro molteplici esigenze aiutandoli a svolgere un ruolo attivo nella società e favorendo la loro autonomia.

Entrando in quest'ottica generale, ho scelto come argomento della mia

tesi il " Ruolo dell'AFA per il superamento dell'isolamento sociale

nell'anziano" proprio perché vorrei mostrare se l'A.F.A (acronimo che

indica Attività Fisica Adattata) è in grado, e come, di fare superare

questo isolamento sociale di cui l'anziano è succube. Prima di andare

ad analizzare il ruolo dell’AFA e come essa opera, mi soffermerò a

trattare i cambiamenti legati al processo di invecchiamento e le

malattie associate, chi è il soggetto anziano in sé e il suo ruolo

all'interno della società. In seguito valuterò la funzionalità del

questionario come strumento da utilizzare per ottenere informazioni

sul gruppo che ci si trova di fronte per poter attuare un miglior

intervento riabilitante.

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CAP. 1 IL PROCESSO DI INVECCHIAMENTO

Ogni essere umano, a partire dal momento in cui viene messo al mondo, è sottoposto ad un processo di invecchiamento continuo, che si protende per tutta la durata della sua vita. L’invecchiamento non è di per sé un nemico da contrastare, in quanto si tratta di un naturale e inarrestabile processo biologico e fisiologico. Quindi dato che non possiamo arrestare la natura, possiamo almeno agire sulla qualità dell’invecchiamento.

Ma che significa invecchiare?

Per invecchiamento fisiologico si intende un processo in cui si verificano una lenta e progressiva riduzione dei meccanismi omeostatici (cioè la capacità di regolare l'ambiente interno) di adattamento all'ambiente esterno e delle riserve funzionali con alterazioni età dipendenti delle capacità psico-fisiche dell'individuo (C.Macchi et al. 2007).

Prendendo in considerazione la biologia dell’invecchiamento possiamo individuare tre tipi di invecchiamento:

1) Invecchiamento associato a malattia: è quello che riguarda la maggior parte delle persone di età avanzata

2) Invecchiamento usuale: è quello che si riscontra nella maggior parte degli individui in assenza di malattia/e

3) Invecchiamento di successo: è quello di soggetti che, in assenza di malattia/e, hanno in età anche molto avanzata prestazioni fisiche e mentali non dissimili dai soggetti di età giovane-adulta.

Alla luce del fatto che il processo di invecchiamento é un fenomeno

che ha caratteristiche individuali e che si manifesta con fenomeni e

tempistiche differenti da individuo a individuo, numerosi studiosi si

son posti il quesito del perché si invecchia e in risposta a ciò son stati

costruiti dei modelli che mirano a spiegarne il fenomeno.

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1.1 LE TEORIE DELL’INVECCHIAMENTO

Le teorie dell'invecchiamento sono divise principalmente in due gruppi principali. Si parla di invecchiamento programmato, quindi di un deterioramento genetico, e di invecchiamento causato dall'ambiente, anche conosciuto come teorie stocastiche o teoria dell'usura (E. Rittà 2008).

a) TEORIE GENETICHE

Propongono che alla base dell'invecchiamento vi siano programmi genetici continui con quelli che determinano lo sviluppo e la morfogenesi.

 Teoria neuroendocrina

(C.Cristini et al. 2005) Tale teoria si basa sul concetto che esiste una sorta di orologio biologico che scandisce la produzione e l'attività degli ormoni e che quando queste declinano si ha l'invecchiamento.

Quindi essa considera la senescenza come una conseguenza dello squilibrio funzionale del sistema neuroendocrino.

Il sistema neuroendocrino funziona come un circuito chiuso con meccanismi di interferenza e di controllo reciproci che regolano la produzione degli ormoni in rapporto alle necessità dell'organismo e alle diverse circostanze (caldo-freddo, alimentazione-digiuno, sonno- veglia, attività-riposo). In particolare è stato visto come due ormoni, il GH e il DEHA, siano implicati in questo processo.

Per quanto riguarda il GH, conosciuto come ormone della crescita, in un famoso studio (Rudman et al. ,1990) è stato dimostrato che la somministrazione per tre volte a settimana di GH in uomini di oltre 60 anni ha incrementato la massa magra, ha ridotto il grasso corporeo e ha aumentato lo spessore della cute (che con l'età tende ad atrofizzarsi).

Il DEHA (deidroepiandrosterone), prodotto dalle cellule della

corteccia surrenale e dal testicolo, tende a diminuire dalla maturità in

poi. Bassi livelli di questo ormone sono correlati ad un più elevato

rischio di malattia cardiovascolare e ad una ridotta efficienza del

sistema immunitario.

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 Teoria immunologica

La teoria immunologica considera l'invecchiamento come una diminuzione dell'efficacia del sistema immunitario nella lotta contro gli attacchi dell'organismo. Infatti negli individui anziani diminuiscono la risposta alle infezioni e la sorveglianza immunitaria alle formazioni tumorali (M. Enrico, 2014).

 Teoria della senescenza cellulare

Attualmente la teoria dei telomeri è una delle più accreditate in campo scientifico. Secondo questa teoria esisterebbero dei geni che comandano il processo di invecchiamento e l'attenzione e' stata posta sui telomeri un tratto del DNA che termina i cromosomi.

I telomeri in seguito alla riproduzione cellulare riducono progressivamente la loro lunghezza cellulare fino a che non riescono più a esplicare la loro funzione protettiva nei confronti dei cromosomi.

Le cellule quindi non riescono più a riprodursi correttamente, invecchiano e muoiono. Alla base di questo processo c'è un enzima, la telomerasi, la cui attività nelle cellule somatiche tende a scomparire e ciò provocherebbe il fenomeno dell'accorciamento delle estremità dei cromosomi che sembra correlato all'invecchiamento.

b) TEORIE STOCASTICHE

Secondo queste teorie l'invecchiamento dipenderebbe da eventi casuali che colpiscono le macromolecole.

In questo contesto si distinguono:

 Teoria dei radicali liberi

L'invecchiamento è una conseguenza della produzione di

radicali liberi dell’ossigeno, con conseguente danno cellulare.

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I radicali liberi sono specie chimiche che contengono uno o più neuroni spaiati nell'orbitale esterno e questa e' una situazione energicamente instabile che li rende una specie molto reattiva. Essi son così lesivi che nel corso dell'evoluzione della specie l'organismo si è dotato dei cosiddetti scavengers o spazzini dei radicali liberi che hanno azione antiossidante. Si tratta di enzimi (la superossidodismutasi, la glutatione perossidasi, la catalasi), di vitamine (vitamina E e il beta carotene) o ancora di composti semplici quali l'acido urico e la bilirubina.

La dotazione di sostanze antiossidanti di cui un individuo dispone alla nascita e la riserva antiossidante nel corso degli anni, sono fattori protettivi nei confronti del danno provocato dai radicali liberi.

(T.Vecchi, Cesa-Bianchi 2007).

 Teoria della catastrofe degli errori

Questa teoria è stata formulata nella prima metà degli anni '70 del XX secolo da Leslie Eleazer Orgel. Secondo il biologo i processi biochimici alla base della vita cellulare sono governati dalla trasmissione di informazioni tra il DNA e l'RNA responsabili della sintesi proteica. Se durante il processo di trasmissione dell'informazione si verificano degli errori, essi si propagano con un effetto a valanga fino alla catastrofe (morte cellulare).

Se inizialmente gli errori possono essere corretti, in alcuni casi si stabilizzano o non vengono rilevati in quanto la loro entità è minima di conseguenza nel corso del tempo, seppur lentamente, la ripetizione e il sommarsi degli errori danno luogo a conseguenze negative sempre più evidenti che culminano con il decadimento senile e con la morte.

 Teoria di Hayflick

Nel 1961 Hayflick ha elaborato una teoria secondo la quale ogni cellula dell'organismo umano e' legata alla specie di appartenenza.

Egli osservò che alcuni tipi di cellule si riproducono continuamente

(es quelle della pelle) mentre altri tipi mai (es neuroni). In altre parole

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secondo Hayflick ogni cellula può replicarsi un numero finito di volte e tale numero dipende dal tipo di cellula e dalla specie di appartenenza. Solo le cellule tumorali possono riprodursi in modo indefinito.

1.2 LE CONSEGUENZE DELL’INVECCHIAMENTO

Tutto ciò che vive invecchia, quindi l'invecchiamento va visto come un processo fondamentale biologico a cui è correlata una modificazione delle funzioni vitali e della capacità di organi e tessuti.

Entrando nello specifico, qui di seguito verranno riportate le principali modificazioni cui va incontro l'organismo.

a) Riduzione dell'omeostasi corporea che rende l'anziano vulnerabile anche ad eventi stressanti.

Questa riduzione può esser ricondotta principalmente a due fattori:

 Riduzione delle riserve funzionali dei vari organi, sistemi e apparati a causa dell'invecchiamento intrinseco e a causa dell'ambiente in cui un individuo ha vissuto affiancato allo stile di vita;

 Minore efficienza dei sistemi di integrazione (nervoso, endocrino, immunitario) a cui compete il ruolo di coordinare la risposta omeostatica.

Le alterazioni che si verificano in alcune funzioni che compromettono l'omeostasi nel soggetto anziano sono:

- Recettori beta adrenergici: non diminuiscono ma sono alterati in quanto si riduce il numero di quelli che possono essere stimolati. Così i farmaci che agiscono su questi recettori possono avere un effetto variabile da soggetto a soggetto in rapporto al numero ancora stimolabile;

- Regolazione della pressione arteriosa: nel soggetto anziano i meccanismi di regolazione della pressione arteriosa sono alterati e le modificazioni riguardano:

 La compliance vascolare: con l’avanzare dell’età la parete

vasale subisce modificazioni fisiologiche rappresentate da

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ispessimento dell’intima, per aumento della componente connettivale

 La compliance cardiaca: nel soggetto anziano è alterata a causa delle modificazioni a cui va incontro la parete ventricolare, in cui si riduce il volume della massa muscolare e aumenta la componente connettivale

 La sensibilità barocettoriale: nel soggetto anziano si osserva una riduzione della sensibilità dei barocettori situati nella biforcazione carotidea. In conseguenza di tale alterazione, i barocettori diventano poco responsivi agli stimoli provenienti dalla periferia, per cui l’adattabilità alle modificazioni pressorie non è ottimale

- Regolazione dei fluidi e dei sali: il mantenimento dell’omeostasi dei fluidi corporei richiede una specifica regolazione dell’apporto idrico ed elettrolitico. In tale regolazione sono essenziali alcuni fattori ormonali: renina, aldosterone, ADH, ormone e peptide natriuretico. A 70 anni la portata plasmatica renale è ridotta del 50% e la filtrazione glomerulare del 40-50%: così anche l’attività tubulare è ridotta e il tempo necessario per correggere gli squilibri idro-elettrolitici è maggiore.

Il soggetto anziano ha quindi una ridotta capacità di regolare le variazioni della volemia e dell’osmolarità, perciò è importante controllare lo stato di idratazione e la concentrazione dei sali attraverso il dosaggio degli elettroliti e il controllo dell’ematocrito - Regolazione della temperatura corporea

L’alterazione dei meccanismi di termoregolazione nell’anziano è determinata da molteplici fattori:

 Riduzione della termogenesi muscolare nell’anziano la massa magra si riduce e aumenta la massa grassa; inoltre ha una scarsa attività fisica con ridotta produzione di calore da parte del muscolo;

 Riduzione della capacità del brivido;

 Riduzione della termogenesi glucidica nelle persone anziane la

termogenesi prodotta dalla glicolisi è ridotta del 50% e poichè

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avviene soprattutto a livello muscolare, questa riduzione è causata prevalentemente dall’inattività;

 Riduzione della capacità di vasocostrizione la risposta al freddo è meno efficace sia perché si riduce la percezione dell’abbassamento della temperatura sia perché diminuisce la risposta dei capillari cutanei all’azione dei termorecettori periferici;

 Riduzione della capacità di vasodilatazione e sudorazione: la capacità di adattamento al caldo è alterata sia perché si riduce la capacità di vasodilatazione capillare cutanea sia perché si riduce la capacità di sudorazione.

b) Modificazioni fisiche che riguardano la statura, il peso corporeo e la composizione corporea.

 La Statura

La statura tende a ridursi in modo variabile dopo un lieve incremento che avviene attorno ai 40 anni. La riduzione diviene più marcata dopo i 50 anni e le principali cause son riconducibili a:

 Atteggiamenti viziati;

 Riduzione degli spazi articolari che riguarda soprattutto l'articolazione del ginocchio e i dischi intervertebrali. In particolare, questi ultimi si riducono per la perdita d'acqua e per la progressiva degenerazione del nucleo polposo, ed è proprio la loro riduzione la principale causa di riduzione della statura;

 Cedimento della volta plantare con riduzione di 1-2 cm dell'altezza

 Il Peso corporeo:

Il peso corporeo tende a ridursi nelle persone anziane. Negli uomini si

assiste ad un aumento di peso fino a 50 anni a cui fa seguito un calo

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ponderale progressivo che si accentua dopo i 70 anni. Nelle donne il peso tende ad aumentare fino ai 60 anni e successivamente tende a ridursi. L'incremento di peso legato alla menopausa è una conseguenza della riduzione della produzione ormonale di estrogeni che determina una riduzione del catabolismo generale. Allo stesso tempo, una ridotta o scarsa pratica di attività fisica parallelamente ad un aumento dell'introito calorico favorirebbe l'aumento ponderale.

 La Composizione corporea

Nell'anziano il rapporto massa magra/massa grassa si modifica a favore della massa grassa che aumenta medialmente del 30%. Il tessuto adiposo aumenta nell'uomo prevalentemente nell'addome e nella donna nelle cosce e nei fianchi.

Per quanto riguarda la concentrazione di acqua e sali minerali, negli anziani si osserva una riduzione dei liquidi intracellulari e una riduzione della quota di potassio scambiabile. Il volume dei liquidi extracellulari rimane immodificato o si riduce di poco.

c) Modificazioni a carico dell’apparato tegumentario

Con l'avanzare dell'età la cute e i suoi annessi (terminazioni nervose, ghiandole, peli e unghie) vanno incontro a:

 Modificazioni strutturali

- Epidermide: variazione della dimensioni, forma, spessore e proprietà di colorazione dei cheratinociti;

- Derma: riduzione del suo spessore, della vascolarizzazione, delle terminazioni nervose;

- Tessuto adiposo sottocutaneo: riduzione dei bulbi piliferi e delle ghiandole sudoripare.

 Modificazioni morfologiche - Cute sottile e secca

- Presenza di rughe e lentiggini solari

- Unghie secche e fragili con estremità sdoppiate e fragili

- Capelli e peli

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 Modificazioni funzionali - Riduzione della sudorazione

- Riduzione della capacità di termoregolazione - Riduzione delle difese immunitarie

- Aumentata soglia del dolore

- Ridotta capacità di sintesi della vitamina D - Ridotta capacità di rimarginazione delle ferite

d) Modificazioni a carico dell’apparato muscolare

L’invecchiamento del muscolo scheletrico è caratterizzato da una lenta e progressiva diminuzione della massa muscolare che viene definita Sarcopenia.

Essa comporta una diminuzione della forza muscolare e determina inoltre una riduzione della capacità di mantenimento dell’equilibrio con conseguente aumento del rischio di cadute e fratture.

La Sarcopenia ha inoltre conseguenze sul trofismo osseo, sulla termoregolazione, la produzione basale di energia, la regolazione della composizione corporea e l’omeostasi glucidica.

Studi ultrastrutturali hanno messo in evidenza:

- Riduzione delle dimensioni e del numero delle miofibrille

- Riduzione delle aree delle fibre di tipo II rispetto a quelle di tipo I : in queste fibre va a ridursi il diametro piuttosto che il loro numero.

- Riduzione dei mitocondri

- Riduzione delle proteine contrattili

-Pompaggio più lento degli ioni calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico

- Riduzione del 50% degli enzimi che forniscono energia

(gliceraldeide-fosfato-deidrogenasi,lattico-deidrogenasi, trisofosfato-

isomerasi)

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Il deficit di enzimi della glicolisi riduce la capacità di produzione di energia da parte della glicolisi e induce un accumulo di metaboliti non catabolizzati quali l’acido lattico con conseguenti dolori muscolari e crampi.

Nell’anziano si verifica una modificazione della composizione corporea, con incremento della componente grassa e diminuzione di quella magra da ricondurre principalmente al calo della muscolatura scheletrica. Parallelamente all’atrofia muscolare si verifica un aumento del tessuto connettivo e di quello adiposo all’interno del muscolo.

e) Modificazioni a carico degli organi di senso

 Occhio

La principale conseguenza dell’invecchiamento dell’organo della vista è la Presbiopia, ovvero la ridotta capacità di accomodazione nella visione da vicino a causa di una perdita di elasticità del cristallino e di una degenerazione della sua componente proteica. Sul piano patologico la cataratta è l’evento più comune e grave che compare con l’avanzare dell’età, in quanto porta alla cecità a meno che non si intervenga chirurgicamente. Si pensa che a provocarla sia il danno ossidativo indotto dall’esposizione della lente alla luce ultravioletta.

 Orecchio

Espressione dell’invecchiamento a carico dell’orecchio è la presbiacusia per quanto riguarda la funzione uditiva mentre disturbi dell’equilibrio per quanto riguarda la funzione cocleo-vestibolare.

I fattori responsabili delle modificazioni che subisce l’orecchio con

l’età sono la diversa suscettibilità delle sue componenti anatomiche

all’invecchiamento di per sè (circa il 50/ della presbiacusia è

geneticamente determinato), la cronica esposizione durante l’attività

lavorativa a sorgenti particolarmente rumorose, il tipo di

alimentazione per quanto riguarda l’abuso di sostanze tossiche come

ad esempio l’alcool, l’aver subito patologie all’orecchio medio o

interno o aver assunto farmaci ototossici.

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 Tatto e sensibilità dolorifica

La sensibilità tattile è ridotta specialmente a livella del pollice e dell’indice con conseguente riduzione della forza prensile. Anche la sensibilità nocicettiva si riduce perché si innalza la soglia di percezione del dolore, pertanto le reazioni riflesse a stimoli dolorifici sono fortemente rallentate.

f) Modificazioni dell’apporto nutrizionale

L’invecchiamento non comporta necessariamente uno squilibrio dei principi nutrizionali, tuttavia spesso gli anziani sono soggetti a fenomeni di malnutrizione.

Una condizione che interferisce con l’assunzione degli alimenti è l’edentulia parziale o totale da cui deriva un’alterata masticazione dei cibi con conseguenti problemi digestivi soprattutto a livello gastrico.

Inoltre l’edentulia spesso induce un’alimentazione a base di alimenti semiliquidi e poveri di fibre per cui si hanno spesso problemi di stipsi.

Al mantenimento di uno stato nutrizionale normale concorrono diversi fattori:

- Fattori fisici: quali riduzione della vista del gusto e dell’olfatto

- Fattori socio-economici: il soggetto anziano che vive da solo spesso non è in grado di provvedere all’acquisto e alla preparazione degli alimenti

- Fattori psicologici: l’esistenza di stati depressivi o deficit cognitivi (demenze) può interferire con la capacità del soggetto anziano di provvedere ad una alimentazione correttamente sufficiente e varia - Fattori patologici: la presenza di patologie multiple può favorire l insorgenza di stati malnutrizionali, sia per il concorrere delle varie patologie sia per l’assunzione di farmaci che possono provocare irritazione della mucosa gastrica o di ulcere, determinando perciò marcata riduzione dell’appetito oppure alterazione dei processi digestivi.

- Fattori nutrienti: il normale metabolismo non subisce importanti

cambiamenti. Tuttavia quando insorgono problemi metabolici questi

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interessano il metabolismo proteico e dei sali minerali. L’anziano ha un dispendio energetico minore e un fabbisogno proteico inferiore a quello di un giovane anche se nell’anziano prevale la fase catabolica su quella anabolica del metabolismo.

Il metabolismo proteico si riduce parallelamente alla fisiologica diminuzione della massa magra a favore di quella grassa. Questo è correlato alla riduzione di ormoni ad attività anabolizzante (testosterone, estro-progestinici ecc.) e alla riduzione della attività fisica che va ad accentuare uno stato di ipotrofia a livello delle masse muscolari riducendo il metabolismo e la produzione di calore.

Per quanto riguarda il metabolismo dei sali minerali quelli che hanno un maggior impatto con importanti funzioni metaboliche sono il calcio, il ferro e lo zinco.

- Metabolismo del Calcio Il soggetto anziano ha un metabolismo del calcio negativo, per cui tende ad impoverirsi di questo sale minerale.

Spesso si osserva una riduzione dell’apporto alimentare di sali di calcio parallelamente ad una carenza di vitamina D dovuta sia ad un ridotto assorbimento a livello intestinale sia ad una ridotta produzione della stessa

- Metabolismo del Ferro di solito nelle persone anziane il Ferro non è ridotto, ma in caso contrario bassi livelli di questo minerale dipendono da un ridotto apporto con la dieta (malnutrizione), da malassorbimento (patologie gastro-intestinali) oppure da perdite croniche (ulcere, emorroidi, ernia iatale)

- Metabolismo dello Zinco Lo Zinco è importante per l’organismo per

cui una sua carenza deprime fortemente alcune funzioni dell’immunità

tra cui la fagocitosi, l’attività dei macrofagi e quella dei

polimorfonucleati. Nei soggetti anziani lo zinco è spesso ridotto a

causa di malnutrizione.

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1.3 INVECCHIAMENTO E MALATTIE ASSOCIATE

Dopo aver visto che il processo di invecchiamento è un evento fisiologico e naturale dovuto all’interazione di processi intrinseci ed estrinseci, andrò ad analizzare quali sono le malattie che più frequentemente colpiscono il soggetto anziano.

a) LA SARCOPENIA

(Clinical definition of Sarcopenia; pubmed ; Santilli,Bernetti et al.) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4269139/

La sarcopenia è una sindrome caratterizzata dalla progressiva e generalizzata perdita di massa muscolare e di forza ed è strettamente correlata con disabilità fisica, scarsa qualità di vita e morte. Vi e’ una correlazione importante tra inattività fisica e perdita di massa muscolare e forza, a dimostrazione del fatto che l’attività fisica sia fondamentale sia per la prevenzione che per il trattamento della malattia.

Dal punto di vista epidemiologico, l’incidenza di sarcopenia incrementa dal 14% nei soggetti tra i 65-70 anni fino al 53% nei soggetti che hanno un’età maggiore a 80 anni.

I fattori di rischio includono l’età, il sesso e il livello di attività fisica ma e’ anche associata a malattie quali obesità, osteoporosi, diabete di tipo 2 e insulino resistenza.

La sarcopenia può essere classificata in primaria se è legata all’età e a nessun’ altra causa mentre secondaria quando è conseguente ad una malattia

b) L’OSTEOPOROSI

L’osteoporosi e’ stata definita dalla World Health Organization

(WHO) nel 1993 come una patologia progressiva dello scheletro,

caratterizzata da riduzione della massa ossea e deterioramento della

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microarchitettura, cui consegue un aumento della fragilità ossea e della suscettibilità alle fratture. (U. De Nicola; E.C. Marinoni 2006).

Questa riduzione della massa ossea deriva da uno squilibrio tra il riassorbimento e la neoformazione ossea conseguente alla prevalenza dell’attività degli osteoclasti rispetto a quella degli osteoblasti.

L’osteoporosi va distinta in primitiva e secondaria.

L’osteoporosi primitiva comprende le seguenti forme:

 L’osteoporosi post-menopausale (TIPO I)

Si osserva in donne tra i 55 e i 75 anni, per aumento dell’attività osteoclastica, e quindi del riassorbimento osseo, soprattutto nelle sedi di maggior contenuto di osso trabecolare quali vertebre, femore e polso. La perdita ossea e rapida e di breve durata, i livelli di calcemia e fosforemia sono normali mentre diminuiscono i livelli di PTH (paratormone) e di conseguenza l’assorbimento intestinale di calcio.

 L’osteoporosi senile (TIPO II)

Si osserva in donne >70 anni e in uomini >80 anni. Aumenta l’attività osteoclastica e si riduce la deposizione minerale sia nell’osso trabecolare che in quello corticale. Il processo è lento e di lunga durata e le fratture sono più frequenti a livello delle vertebre, tibia, omero e femore. L’attività del PTH (paratormone) aumenta mentre diminuiscono la conversione renale della vitamina D3 e l’assorbimento intestinale di calcio.

L’osteoporosi colpisce un elevato numero di persone, di entrambi i sessi e di tutte le razze e la sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età.

 L’osteoporosi post-gravidica

Sembra facilitata da una dieta povera di calcio negli ultimi mesi della gravidanza.

L’osteoporosi secondaria è conseguente a:

-malattie endocrine (es. ipertiroidismo, iperparatiroidismo)

-malattie gastrointestinali (es. malassorbimento)

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- malattie ematologiche (es. leucemie) -malattie reumatiche (es. artrite reumatoide)

-malattie del tessuto connettivo (sindrome di Marfan) - assunzione di farmaci (corticosteroidi, antiepilettici)

I fattori di rischio noti sono: l’età, il sesso femminile, la menopausa precoce, la magrezza (tutti legati a variazioni dei livelli ormonali). Un altro importante fattore di rischio è la sedentarietà, in relazione alla mancata stimolazione dell’osso tramite la sollecitazione prodotta dal movimento, e indirettamente, alle alterazioni ormonali causate dalla sarcopenia. Infine anche il fumo, l’alcool, l’anoressia, il malassorbimento e l’uso protratto nel tempo di alcuni farmaci (es.

glucocorticoidi, eparina calcica ecc.)

Un caso di frattura in qualsiasi sito scheletrico in un soggetto di età superiore a 50 anni è da considerarsi come significativo per la diagnosi della malattia.

(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4176573/)

c) L’ARTROSI

L’artrosi è la più diffusa delle patologie articolari. Si tratta di una patologia articolare cronica caratterizzata da lesioni degenerative della cartilagine articolare. L’eziologia è sconosciuta mentre la patogenesi è di tipo multifattoriale, includendo fattori esterni all’articolazione (il carico articolare) e fattori intrinseci all’articolazione di tipo anatomico e biochimico (incluse le caratteristiche della cartilagine). L’artrosi si differenzia dal processo di invecchiamento fisiologico soprattutto perché in quest’ultimo il contenuto di acqua a livello della cartilagine diminuisce mentre nell’artrosi aumenta inoltre aumentano gli enzimi degradativi e i proteoglicani nella cartilagine e c’è un’invasione da parte di cellule del midollo osseo all’interno dell’articolazione che producono neocartilagine e osso (osteofitosi).

Si distinguono una forma primaria in cui le articolazioni interessate

sono la colonna, l’anca il ginocchio e le mani) ed una forma

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secondaria quando fattori estrinseci alla cartilagine possono essere individuati come causa di patologia in relazione ad attività lavorative o sportive che sovraccaricano un determinato distretto articolare oppure a seguito di patologia.

L’attività sportiva ad alto impatto (che prevede salti o un notevole sovraccarico articolare) può predisporre ad artrosi localizzata, mentre l’attività fisica regolare a basso o moderato impatto la previene in quanto la mobilizzazione dell’articolazione ne favorisce il trofismo.

L’artrosi è estremamente comune in età avanzata e generalmente il sintomo principale è l’insorgenza del dolore.

Questo sintomo porta il soggetto ad assumere un comportamento finalizzato ad evitarne la sua percezione con frequente immobilizzazione e conseguente comparsa di rigidità e atrofia muscolare da disuso.

Per quanto riguarda il trattamento, in una prima fase bisogna intervenire sul processo infiammatorio con farmaci e terapia fisica (ghiaccio, ultrasuoni)

d) L’ARTRITE REUMATOIDE

E’ una malattia infiammatoria sistemica che colpisce generalmente le

prime articolazioni distali, per poi interessare quelle prossimali. Sono

interessate le articolazioni di polsi, mani, ginocchia, piedi, caviglie,

spalla e anca e sono colpite più le donne rispetto agli uomini in un

rapporto 4:1. Questa affezione comporta disturbi sistemici come

astenia, perdita di peso e alterazioni articolari; a livello articolare le

alterazioni anatomopatologiche tipiche sono rappresentate da una

sinovite fino alla distruzione della cartilagine, da osteoporosi

subcondrale, dalla presenza di noduli articolari e di vasculite

(infiammazione dei vasi sanguigni). L’andamento della malattia

presenta fasi alterne con progressiva evoluzione fino all’anchilosi

(saldatura dei capi articolari). Nelle riacutizzazioni le articolazioni

sono dolenti e i movimenti sono limitati; se la malattia non è

opportunamente curata, i capi articolari vengono distrutti, con

tendenza alla rigidità e alla deformazione che causano invalidità.

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Gli obiettivi della riabilitazione nei pazienti affetti da artrite reumatoide sono volti al mantenimento o al recupero della funzione attraverso:

• La riduzione del dolore

• La conservazione dell’ampiezza del movimento

• Il mantenimento della forza muscolare

• La riduzione della deformità articolare

Nei pazienti anziani l’obiettivo è quello di preservare quanto più possibile la funzione residua. Infatti la prevalenza di disabilità indotta dalla malattia è proporzionale alla sua durata.

e) LE SINDROMI DEMENZIALI

Si definisce demenza un deterioramento mentale cronico, progressivo e ingravescente, ad insorgenza insidiosa, che compromette la memoria, il giudizio e la capacità di gestire le attività della vita quotidiana. La prevalenza e l’incidenza della demenza senile sono età dipendenti, raggiungendo i valori più elevati tra la sesta e l’ottava decade di vita. Le cause più frequenti di demenza sono la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson.

I primi a notare i cambiamenti nella persona che si avvia alla demenza sono solitamente i famigliari e gli amici. I disturbi iniziali includono le amnesie, la perdita di iniziativa, la difficoltà di concentrazione, la diminuzione della capacità di giudizio, la riduzione delle capacità verbali, disorientamento e paranoia. Nelle ultime fasi della malattia il paziente passa ad un’esistenza vegetativa, a causa della totale limitazione della motilità e della riduzione della coscienza e non è più in grado di provvedere a se stesso.

Una volta che è stata fatta diagnosi di demenza, il paziente non deve

venire necessariamente ospedalizzato. Molti soggetti sono in grado di

provvedere a se stessi e di poter vivere da soli o in famiglia. Con le

opportune stimolazioni sociali (terapia occupazionale, gruppi di

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interazioni ecc.) alcuni di essi riescono a migliorare il proprio quadro sintomatologico e a ritardare la progressione del processo demenziale.

Con il paziente affetto da demenza è necessario usare un linguaggio semplice e chiaro, con eventuali domande precise ed espresse in frasi brevi. (A. Sartorio, G. Silvestri 2001)

 MORBO DI PARKINSON

La malattia di Parkinson (MP) è una patologia neurodegenerativa evolutiva e rappresenta una delle più frequenti malattie neurologiche dell’età media-avanzata. E’ possibile un esordio precoce della malattia nel 5-10% dei pazienti in cui i sintomi iniziali compaiono tra i 21 e i 40 anni. In forme più rare, definite ad esordio giovanile, i sintomi compaiono prima dei 20 anni. La causa principale del MP è la degenerazione delle cellule dopaminergiche nigrali che proiettano dalla sostanza nigra pars compatta allo striato (nucleo caudato e putamen).

Nella MP la perdita di neuroni dopaminergici (intorno al 45% per decade) è superiore di 10 volte rispetto a quanto si osserva nell’invecchiamento cerebrale fisiologico. Oltre alle cellule dopaminergiche risultano alterati altri sistemi neurotrasmettitoriali, quali quello noradrenergico, serotoninergico, colinergico, GABAergico, glutamatergico. L’insieme delle modificazioni patologiche dei diversi sistemi neuronali contribuisce all’insorgenza delle complicanze motorie e non motorie che si riscontrano con il progredire della malattia (F.Girotti, V. Fetoni 2010).

Il MP è caratterizzato da ipocinesia/bradicinesia (riduzione/rallentamento dei movimenti). L’ipocinesia insorge lentamente assieme a movimenti involontari, prevalentemente a livello degli arti, del tronco e della muscolatura facciale. Il tremore si presenta a riposo mentre è assente o ridotto durante un’azione; la rigidità interessa in maggior misura i muscoli flessori determinando la tipica postura distonica in flessione del soggetto.

Spesso (50-60% dei casi) è associata a demenza.

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 MALATTIA DI ALZHEIMER

Il morbo d’Alzheimer è la causa più comune di demenza. Rappresenta il 60-70% di tutte le demenze con aumento dell’incidenza in rapporto all’età e con l’inizio dei sintomi compreso tra i 40 e i 90 anni.

Una diagnosi accurata della malattia si può fare soltanto con l’esame autoptico del cervello. La TAC e la RM mettono in evidenza un’atrofia delle circonvoluzioni cerebrali e una dilatazione dei ventricoli. Uno dei primi sintomi è il deterioramento della memoria. Il paziente ha difficoltà a ricordare informazioni apprese recentemente come nomi, appuntamenti o numeri telefonici. La smemoratezza è accompagnata da impoverimento delle funzioni cognitive quali il linguaggio, l’orientamento, le abilità visuo-spaziali, l’astrazione il problem solving. (F. De Felice; 2002)

Al progredire della malattia, i malati di Alzheimer non sono più in grado di badare a loro stessi e la perdita di funzioni cerebrali porta al collasso di altri sistemi fisiologici che conduce alla morte in un periodo variabile tra i tre e i vent’anni dalla comparsa dei sintomi.

L’Alzheimer è più semplicemente un disturbo cognitivo: non si tratta di un normale invecchiamento e colpisce le funzioni cognitive in molteplici aree del cervello. Dato che la durata della vita nei paesi industrializzati è in continua crescita, L’Alzheimer è diventato uno dei disordini cerebrali più comuni.

Generalmente si identificano varie fasi della malattia:

• STADIO INIZIALE

Chiamata anche Alzheimer lieve è spesso scambiata falsamente per senilità. Spesso il paziente e i familiari trascurano i sintomi e li attribuiscono ad altre ragioni (es. stress, preoccupazioni, età) o non li tengono in dovuta considerazione. Le principali caratteristiche di questa fase sono:

- Le persone affette dimenticano con rapidità nuovi avvenimenti a causa di una perdita della memoria a breve termine

- Incapacità a nominare correttamente gli oggetti

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- Spesso vengo persi gli oggetti oppure vengono riposti nei luoghi inusuali e inappropriati

- Depressione e ansia

• STADIO INTERMEDIO

Chiamata anche Alzheimer moderato. I sintomi diventano molto apparenti a mano a mano che la malattia progredisce e questo è lo stadio in cui generalmente i familiari cercano aiuto perché i sintomi sono aumentati oltre la semplice perdita di memoria e cominciano a preoccupare i membri della famiglia che si occupano della persona malata.

Le principali caratteristiche di questo stadio sono:

- dimenticare le cose del loro passato più remoto o a confondere il passato col presente

- progressiva perdita di produrre linguaggio

- progressiva perdita della capacità di seguire o di sostenere una conversazione o delle istruzioni

- Inizio a perdersi nei negozi o nei luoghi in cui son stati spesso diminuisce il senso dell’orientamento

- Deliri: i malati iniziano a credere che cose mai successe siano accadute oppure che il coniuge o l’assistente sia un impostore

• STADIO AVANZATO/FINALE

Spesso definito come Alzheimer grave. La patologia è presente da anni e la maggior parte delle persone son ospiti di strutture di cura a lunga degenza. Le persone sono totalmente dipendenti dagli altri per la cura e la sopravvivenza, perdono la capacità di riconoscere i loro cari (anche il compagno di vita) e quella di esprimere i propri bisogni.

Le caratteristiche di questo stadio sono le seguenti:

- Compromissione della memoria a breve e lungo termine - Perdita della produzione linguistica

- Perdita di discernimento

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- Incontinenza

- Difficoltà di nutrizione e deglutizione

f) LA DEPRESSIONE

La depressione dell’anziano assume spesso, forse nella quasi totalità dei casi, la tonalità della melanconia, con ritiro dalla vita sociale e con la tendenza all’abbandono di sé, alla mancanza di cure per il proprio corpo e al ritiro nella propria solitudine. Più che le modificazioni anatomiche o biochimiche cerebrali, spesso sono le malattie, i lutti e il deterioramento delle relazioni sociali ad influire maggiormente sulla gravità della sindrome.

Oltre ai lutti, possono concorrere fattori meno drammatici quali la solitudine e l’isolamento, il trasferimento dei figli per lavoro oppure il cambiamento di casa in un quartiere estraneo. La depressione è caratterizzata da uno stato d’animo che va dalla noia alla tristezza, alla disperazione, a volte anche al desiderio di suicidio che non sempre trova ragione negli eventi esterni.

L’ambiente che circonda il depresso dovrà essere il più possibile stimolante per dare la possibilità al paziente di superare lo stato depressivo, con l’interessamento a qualche attività (lettura, musica ecc.), nel rispetto delle iniziative personali e delle attitudini individuali.

In questa patologia bisogna aver cura (più che curare) di tutto l’uomo, nei suoi bisogni fisici, mentali, familiari e sociali.

Nei casi più gravi, quando il soggetto non riesce a superare l’inerzia e presenta inappetenza, dimagrimento, ipersonnia/insonnia, sarà necessario l’ausilio farmacologico con anti-depressivi. (A. Sartorio, G.

Silvestri; 2001)

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g) L’IPERTENSIONE ARTERIOSA

L’ipertensione o ipertensione arteriosa è una patologia che troppo spesso viene sottovalutata, che aumenta il rischio di gravissimi danni all’apparato cardiovascolare e a organi vitali come cuore, cervello e reni. Si accompagna spesso ad altri fattori di rischio, come l’ipercolesterolemia o l’obesità, sia perché nella maggior parte dei casi agisce in sordina, senza dare alcun disturbo che possa costituire un campanello d’allarme.

L’ipertensione è una condizione clinica in cui la pressione del sangue nelle arterie (pressione arteriosa) della circolazione sistemica risulta elevata.

Si definisce pressione arteriosa la forza esercitata dal sangue sulle pareti interne delle arterie. Questo valore varia a seconda della fase del ciclo cardiaco poiché è appunto il cuore, con le sue pulsazioni ritmiche, a imprimere al sangue la spinta che gli permette di circolare all’interno dell’apparato circolatorio. Durante la sistole, quando la spinta esercitata dal sangue aumenta, le pareti delle arterie si distendono, mentre durante la diastole, si contraggono.

Per valutare i due valori della pressione, quello massimo e quello minimo, si utilizza come unità di misura il millimetro di mercurio (mmHg).

La pressione arteriosa è determinata da diversi fattori:

• Forza con cui il cuore si contrae

• Quantità di sangue immessa in circolo ad ogni sistole e la sua viscosità

• Resistenza opposta dai vasi periferici al flusso sanguigno

• Elasticità delle grandi arterie, in particolare dell’Aorta

• L’età: negli anziani l’indurimento delle arterie legato

all’invecchiamento generale dell’organismo aumenta le resistenze

periferiche e quindi anche la spinta che il cuore deve imprimere al

sangue in circolo per superarle

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• Il momento della giornata e il ritmo sonno-veglia: la pressione in genere raggiunge i suoi valori maggiori al mattino al risveglio, varia durante il giorno a seconda delle attività svolte e dello stato psicologico e tocca i valori più bassi durante il riposo notturno, quando tutte le funzioni dell’organismo rallentano

L’OMS ha stabilito che, per gli adulti dai 20 ai 60 anni, sia da considerarsi normale una pressione massima inferiore a 140 mmHg e una minima inferiore a 90 mmHg, indicando come ottimali i valori compresi tra 100 e 120 mmHg per la massima e inferiori a 80 mmHg per la minima.

Quindi essere ipertesi significa avere valori di pressione costantemente elevati, cioè pari o superiori a 140 mmHg per la massima e pari o superiori a 90 mmHg per la minima.

La tabella sottostante mostra i valori di classificazione dell’ipertensione

(Ipertensione arteriosa- Medico in famiglia; Script Edizioni 2012).

Possiamo individuare due tipi di ipertensione:

• Primaria: è la forma più comune termine utilizzato per indicare un tipo particolare di ipertensione, di cui non si conoscono ancora a fondo le cause. Si parla in questo caso di patologia idiopatica e multifattoriale.

Tra i possibili fattori alla base della patologia i più importanti sono la familiarità (influenza genetica), le abitudini alimentari, il sovrappeso, la sedentarietà ed eventuali squilibri ormonali.

L'ipertensione essenziale rappresenta la forma di ipertensione più diffusa in età adulta ed anziana (circa il 95% dei casi).

• Secondaria: è dovuta da una causa identificabile. Rientrano in tale

definizione tutte quelle forme di ipertensione secondarie a patologie

ben definite, come le malattie renali o cardiache. E' poco diffusa e

rappresenta soltanto il 5 % dei casi.

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TRATTAMENTO

Il trattamento di prima linea per l'ipertensione prevede cambiamenti dello stile di vita quali: cambiamenti nella dieta, esercizio fisico e perdita di peso. Queste accortezze hanno dimostrato di ridurre in modo significativo la pressione sanguigna nelle persone sofferenti di ipertensione. Se l'ipertensione è sufficientemente elevata allora bisogna affiancare al cambiamento dello stile di vita la terapia farmacologica.

L'adozione di una dieta a basso contenuto di sodio è utile.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, esistono numerose classi di farmaci, chiamati appunto antiipertensivi, in grado di ridurre la pressione arteriosa. Tra questi ci sono:

- ACE inibitori: inibitori dell’enzima di conversione dell’Angiotensina - Antagonista del recettore per l'Angiotensina II

- Calcio antagonisti - Diuretici

- Alfa bloccanti con azione bloccante dei recettori α-adrenergici nelle arterie e nella muscolatura liscia

- Beta bloccanti, che agiscono bloccando le diverse classi di recettore beta adrenergici.

h) L’ICTUS

L’ictus viene definito come l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore non attribuibile ad altra causa apparente se non a vasculopatia cerebrale. E’ la principale causa di disabilità e rappresenta la terza causa di mortalità dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. (Secondo rapporto sull'ictus; 2005)

Spesso la sede primaria della malattia, non è il cervello bensì il cuore

o i vasi arteriosi. Nella maggior parte dei casi, l’ostacolo al flusso

ematico responsabile dell’ictus è dovuto alla presenza di un coagulo

(trombosi) oppure dalla rottura di una parete arteriosa (emorragia).

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In base alle cause scatenanti, si distinguono due forme di ictus, ciascuna delle quali è suddivisa in altrettanti sottogruppi:

 Ictus ischemico

L'ictus ischemico è la forma più frequente di ictus (circa l'85% dei casi). Si verifica a seguito di un restringimento, o di una completa chiusura, di uno dei vasi arteriosi che attraversano e irrorano il cervello (ischemia).

L'ictus ischemico può essere:

 Trombotico: se l'interruzione del circolo sanguigno è dovuta alla formazione di un coagulo di sangue;

 Embolico: se è dovuto a un embolo. Il coagulo di sangue non è ancorato alla parete di un vaso, ma si stacca e viaggia nel torrente circolatorio; se non si scioglie in tempo, viene spinto in vasi di diametro via via inferiore, fin quando non rimane incastrato per le sue dimensioni

 Attacco ischemico transitorio (TIA) presenta sintomi del tutto simili a quelli dell'ictus ischemico (tant'è che non è possibile distinguerli se non con una diagnosi precisa) ma anziché essere permanenti come nell'ictus, si esauriscono dopo poco tempo (ecco perché si definisce transitorio).

 Ictus emorragico

L'ictus emorragico avviene quando un vaso sanguigno, che irrora il cervello, si rompe o subisce una perdita di sangue, dando luogo alla cosiddetta emorragia cerebrale.

Può essere classificato in:

 Ictus emorragico intracerebrale: L'emorragia è intracerebrale

quando la rottura del vaso sanguigno si verifica all'interno

dell'encefalo. Il sangue che fuoriesce, oltre a non rifornire più le

aree di cervello a cui era destinato, esercita una pressione sul

tessuto cerebrale circostante, danneggiandolo;

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 Ictus emorragico subaracnoidale: L'emorragia è subaracnoidea quando si rompe un vaso arterioso situato sulla superficie del cervello, nello spazio tra esso e il cranio. La comparsa di tale disturbo è dovuta, di solito, alla rottura di un aneurisma ed è segnalata da un improvviso mal di testa.

Come nel caso precedente, dopo l'emorragia manca il rifornimento di ossigeno e nutrienti al tessuto cerebrale coinvolto, il quale comincia piano piano a morire.

Per quanto riguarda i fattori di rischio possiamo fare una distinzione tra quelli modificabili e quelli non modificabili.

I fattori di rischio non modificabili sono: l’età, il sesso, la razza, la storia familiare.

Quelli parzialmente modificabili sono: ipertensione, fumo, alcol, diabete, inattività fisica, uso di droghe.

TRATTAMENTO

Nella fase acuta (nelle prime ore dalla comparsa dei sintomi), la persona colpita da ictus va rapidamente trasportata in un centro di primo soccorso. In questa fase può essere necessario un intervento chirurgico sul vaso colpito e/o la somministrazione di farmaci per sciogliere il trombo.

Risolta la fase acuta, tutti i farmaci che occorrono per tenere sotto controllo i fattori di rischio (aterosclerosi, malattie del cuore, ipertensione) e la dieta adatta, sono efficaci anche per curare l’ictus.

È molto importante che la persona colpita da ictus pratichi, con il consiglio dei medici, costanti esercizi di riabilitazione (fisioterapia) per recuperare le funzioni perse nella fase acuta.

Bisogna sempre tener presente che, tutte le persone, anche se non anziane, con pressione alta o aritmie o precedenti malattie di cuore, ipercolesterolemia e diabete vanno tenute in regolare controllo medico, perché hanno maggiori probabilità di sviluppare un ictus.

(http://www.saperesalute.it/disturbi-patologie/ictus)

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29

CAPITOLO 2. IL SOGGETTO ANZIANO

2.1 EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL’ANZIANO E DEL SUO RUOLO NEL CORSO DEI SECOLI

La condizione dell’anziano ha subito vari mutamenti nel corso della storia. Talvolta egli ha rivestito un ruolo centrale a livello familiare e sociale, talvolta invece è stato considerato come un peso ed è stato buttato i margini della società. In alcuni casi, a causa delle precarie condizioni economiche, per alleggerire il peso del mantenimento globale della famiglia, è stato sacrificato, venendo soppresso o abbandonato, poichè ritenuto improduttivo e quindi inutile. A seconda delle condizioni economiche, sociali e religiose il soggetto poteva essere venerato e rispettato o, al contrario, disprezzato ed emarginato. L’ingresso nell’età anziana, che nell’antichità si faceva risalire intorno ai 30 anni, oggi si attesta a partire dai 60 anni.

Ma come si è evoluta la figura dell’anziano nel corso dei secoli?

Prendiamo come punto di partenza le società primitive. In esse non vi era una vera e propria distinzione per fasce di età e le uniche due fasi che si riconoscevano erano intrecciate con la funzione pratica dell’uomo, e quindi riguardavano l’ingresso nel mondo del lavoro e la sopraggiunta della morte. Fare un discorso unico sulla considerazione della vecchiaia che vi era all’epoca è impossibile, poiché vi erano differenze sostanziali da un popolo all’altro. Alcuni ad esempio dell’anziano esaltavano la preziosa conoscenza dei metodi per cacciare e coltivare che possedeva, altri ritenevano preziose le loro memorie, che facevano da tramite tra una generazione e l’altra.

Nell’Antica Grecia, ad Atene e a Sparta, troviamo due posizione totalmente opposte.

Ad Atene la condizione psico-fisica decadente dell’anziano era ritenuta inaccettabile e vi era la tendenza ad eliminarne la presenza.

Ciò risulta chiaro se si prendono in considerazione i principi della

società greca che enfatizzavano la perfezione, la bellezza, la

giovinezza e la forza. A Sparta invece il vecchio occupava un posto

privilegiato: era visto come un uomo saggio, sopravvissuto a tante

battaglie. Era stata costituita la gerusia, ovvero l’assemblea degli

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30

anziani, che possedeva i massimi poteri per le leggi, per l’educazione collettiva e che aveva il ruolo di giudice nelle questioni giuridiche.

Delle contrapposizioni evidenti si hanno tra due grandi filosofi, ovvero Aristotele e Platone.

Aristotele escludeva la presenza degli anziani dal governo della polis.

Di questi non era assolutamente preso in considerazione né il presente né il futuro poiché, essendo diventati inutili per la società, vivevano in una fase di attesa della morte. Per Aristotele l’uomo presenta anima e corpo uniti e indivisibili, di conseguenza se il corpo decade lo fa anche la mente, e quindi l’uomo nella sua complessità.

Platone, al contrario, sostiene che sono solo gli uomini anziani a poter governare. Non considera la decadenza del corpo, ma ritiene che la saggezza e le virtù siano nell’anima e che il corpo sia pura apparenza.

Nel II secolo a.C. la funzione del vecchio a Roma risulta centrale, poiché è in mano agli anziani che sta il potere e solo loro possono ambire alle più alte cariche della repubblica. Essi godono di un potere illimitato sulle cose di tutti i familiari, ed è proprio da questo che deriva l’odio talvolta nei loro confronti e la voglia di rivalsa.

Lentamente però il potere della potestà svanisce e la condizione del vecchio peggiora, diventando egli impotente e perdendo anche il ruolo centrale a livello politico e sociale. È evidente come a Roma vi sia un’ambivalenza nella considerazione della vecchiaia, e questo è legato al diverso processo che può avvenire con l’invecchiamento del corpo e dello spirito. Al primo invecchiamento, cioè quello del corpo, non ci si può opporre, mentre al secondo, cioè quello dello spirito si, dedicando gli anni di vita che rimangono ad attività ludiche come il canto e ad attività intellettuali, come lo studio della filosofia.

Dal XV secolo in Europa si susseguirono in maniera ciclica catastrofi

demografiche dovute a guerre, carestie ed epidemie, che portarono ad

una vita media di 34 anni per le donne e di 28 anni per gli uomini. La

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conseguenza di questo quadro demografico fu che i vecchi si ridussero considerevolmente ricoprendo posizioni di prestigio nella società.

A differenza di ciò che succede oggi, era raro che l’anziano rimanesse da solo, poiché accadeva che una figlia nubile rinunciasse alla sua indipendenza per prendersi cura del padre. Queste attenzioni non erano elargite spassionatamente, ma dietro vi era un tornaconto personale legato all’eredità del genitore.

Nella letteratura di questo periodo emerge la figura dell’anziano, connotata da aggettivi negativi che ne ricalcano i difetti fisici, la morte imminente e la bruttezza. Non è migliore la sorte delle donne anziane, che, soprattutto quando sole, subiscono disprezzo e vengono ritenute paragonabili a delle streghe e rappresentazioni viventi del male.

Tra il XV e il XVI secolo, con l’avvento del Rinascimento vengono enfatizzati gli antichi valori che primeggiavano in Grecia, cioè i concetti di bellezza e freschezza giovanile. Queste memorie le abbiamo grazie alla letteratura, dove non ci si nasconde nell’esprimere il disprezzo verso la condizione dell’anziano, che viene rappresentato come una caricatura di se stesso, dove spiccano difetti fisici e sfortuna. Quanto detto però non combacia con il ruolo effettivo che aveva l’anziano nell’epoca rinascimentale, durante la quale, a livello politico, ricopriva un ruolo centrale.

Nel ’600 il potere è in mano ai giovani, alle persone anziane viene riconosciuto il rispetto nel momento in cui erano detentori di memorie ed esperienza utili ai posteri. Ai vecchi di basso ceto e inattivi viene riservato un trattamento connotato dall’abbandono e dall’emarginazione.

È in Inghilterra che si ha una svolta positiva per gli anziani, poiché lì nascono i primi ospizi. Tale nascita fu sollecitata dalla Chiesa che predicava il rispetto per la povertà. Con l’espandersi delle idee illuministe si acquisisce una visione migliore della vecchiaia, valutata come una condizione attiva e positiva.

Il ’700 è un secolo segnato dalla nascita delle industrie, che comporta

un miglioramento generale delle condizioni sanitarie e alimentari. I

vantaggi derivati da tale sviluppo economico però inizialmente erano

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32

diretti solo alle classi privilegiate. L’unica speranza per chi non godeva di una buona condizione economica erano gli ospizi e le associazioni di carità.

È a cavallo tra il ’700 e l’800 che si ha un altro passo in avanti per l’anziano: dopo la costituzione degli ospizi, infatti, in Francia, viene stabilita la prima forma pensionistica per coloro i quali avevano lavorato per almeno 30 anni al servizio dello stato. Nello stesso periodo si sviluppa la prima forma di geriatria, il ramo della medicina specializzato nella cura dell’anziano. Essa ha come oggetto di studio non l’uomo nella sua interezza, ma soltanto il suo corpo, tracciato dai segni delle patologie croniche e non da ciò che comporta l’anzianità.

Con l’arrivo dell’800, la popolazione, in meno di 70 anni, raddoppia, arrivando a contare 300 milioni di unità. Tralasciando i problemi che apportò lo sviluppo industriale con il conseguente spopolamento delle campagne, fu in questo periodo e soprattutto con l’arrivo del ’900 che la figura dell’anziano venne rivalutata. Venne posto l’accento sull’importanza delle conoscenze, delle esperienze e soprattutto dei valori tradizionali di cui gli anziani sono portatori, e sulla funzione di guida che avrebbero potuto svolgere nei confronti delle nuove generazioni.

Purtroppo questa fase di rivalutazione durò appena un ventennio, poiché intorno al 1925 l’anziano venne di nuovo accantonato e ritenuto un problema sociale. Bisogna attendere la conclusione della 2° guerra mondiale per avere una stabilità sociale. Si allarga il benessere a tutta la popolazione e grazie ai progressi della scienza e della medicina si ha un allungamento della vita non indifferente.

Alla fine del ’900 però, si ritorna al concetto utilitaristico dell’uomo, che vale a seconda della sua produttività e utilità per la famiglia e per la società. Proprio a causa di questo atteggiamento la vecchiaia assume il connotato di pura sopravvivenza, senza avere più scopi, ma essendo una pura attesa della morte.

Alla fine del XX secolo, ciò che avrebbe contribuito

all’isolamento degli anziani e alla perdita del loro ruolo sociale, si può

sintetizzare in 4 cause:

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• L’avvio della retribuzione pensionistica, che simboleggia l’uscita definitiva dell’uomo dal mondo del lavoro.

• Lo sviluppo tecnologico, che sorpassa la valenza dell’esperienza dei lavoratori più adulti.

• La dislocazione delle famiglie, che per cause lavorative e con il processo dell’urbanizzazione si disgregano, comportando una saltuarietà nei rapporti tra parenti.

• La diffusione dell’alfabetismo che ha tolto all’anziano l’antico ruolo di trasmettitore di cultura, miti e saperi.

(http://www.postazioneavanzata.com/linvecchiamento-la- considerazione-dellanziano-nella-storia_14_11_2012/)

2.2 IL SOGGETTO ANZIANO NELLA SOCIETA’

CONTEMPORANEA

All’interno della società moderna, se da un lato l’anziano viene nutrito e curato molto meglio rispetto al passato dall’altro viene penalizzato con il disinteresse l’isolamento, il disinserimento sociale post-pensionistico.

I principali fattori socio-culturali che condizionano la vita dell’anziano sono:

• La famiglia

Lo stato di salute dell’anziano risente molto dell’ambiente familiare e

sociale. Purtroppo un vecchio può essere emarginato e appena

sopportato in famiglia, anche se assistito sul piano fisico a causa del

cambiamento delle abitudini, delle tradizioni, del sentimento di

inutilità tanto più se l’anziano è totalmente o parzialmente inabile e

per tale motivo è anche causa di difficoltà pratiche ed economiche per

la famiglia. Altre volte l’anziano può essere represso, per un eccesso

di protezione, in una situazione di dipendenza fisica e psichica, che

impedisce ogni possibilità di autonomia e di autosufficienza.

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• La solitudine

E’ forse il male più grande per gli anziani, sia che essi vivano da soli che in famiglia. Numerosi sono gli anziani che dichiarano di avere rapporti saltuari coi familiari ed i conoscenti.

• Il pensionamento

A seconda del modo in cui lo si affronta, il pensionamento può essere l’inizio di una vita più gradevole oppure può essere un motivo di sofferenza. Le differenti eventualità dipendono da vari fattori, quali le condizioni di salute, le condizioni economiche e soprattutto dal ruolo che il lavoro aveva nella vita del soggetto. Se il lavoro contribuiva a conservare l’autostima, la fiducia e l’equilibrio di conseguenza la perdita del lavoro può portare all’isolamento, alla riduzione della gioia di vivere persino alla depressione. Se invece il lavoro era insignificante e monotono, oppure motivo di frustrazione e di stress, il suo abbandono può portare al miglioramento di una sindrome depressiva e allo sviluppo di altre occupazioni più gratificanti e gradevoli.

• La moderna tecnologia

La persona anziana, in genere, ha un rapporto di diffidenza verso la

tecnologia, che non fa parte della sua cultura e che tende ad

emarginarlo, a vantaggio dei giovani che hanno maggior interesse

verso tutto ciò che è “moderno”. Tuttavia anche l’anziano può trarre

vantaggio dalla moderna tecnologia sia per il mantenimento della sua

autosufficienza e della comunicazione (telefono, controllo degli

impianti di riscaldamento e ventilazione, televisione, hobbies,

automobile).

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2.3 INDICI DEMOGRAFICI E STRUTTURA DELLA

POPOLAZIONE IN ITALIA

E’ opportuno, per aver meglio in mente la situazione demografica e la struttura della popolazione all’interno del nostro Paese, riportare qualche indice percentuale.

Prendendo in considerazione la struttura della popolazione dal 2002 al 2014 (fonte banca dati ISTAT) è stata fatta un'analisi della struttura per età. Questa considera tre fasce di età: giovani 0-14 anni, adulti 15- 64 anni e anziani 65 anni ed oltre. In base alle diverse proporzioni fra tali fasce di età, la struttura di una popolazione viene definita di tipo progressiva, stazionaria o regressiva a seconda che la popolazione giovane sia maggiore, equivalente o minore di quella anziana.

Tab. I Struttura per età della popolazione

Osservando il grafico si può vedere che in quest’arco di tempo la popolazione anziana (> 65 anni) aumenta gradualmente passando dal 18,7 % nel 2002 al 21,4% nel 2014.

Sempre secondo dati ISTAT (http://www.istat.it/it/archivio/149003)

sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al

2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia. I morti sono 597 mila unità,

circa quattromila in meno dell'anno precedente. Il numero medio di

figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013. L'età media al parto sale

a 31,5 anni. Calano le nascite da madri sia italiane sia straniere, con le

prime che nel 2014 procreano 1,31 figli contro 1,97 delle seconde.

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