• Non ci sono risultati.

A.4 WIRE BONDING

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "A.4 WIRE BONDING "

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

A.1 INTRODUZIONE

In questa appendice verranno esposti brevemente i passi tecnologici necessari alla realizzazione fisica del prototipo di una Tunable Antenna. In Particolare, in sequenza:

• Litografia;

• Deposizione Elettrolitica Galvanica;

• Wire Bonding.

A.2 LITOGRAFIA

Il primo passo tecnologico per la realizzazione fisica del prototipo della Tunable Antenna, è stato quello litografico. A partire da due dielettrici con entrambe le facce metallizzate in rame (uno slab di FR4 (εr = 4.4 – j 0.02) caratterizzato da uno spessore pari a 0.8 mm e uno di RF-60 (εr = 6.15 – j 0.0028 ) di spessore pari a 1.52 mm) abbiamo provveduto alla rimozione del metallo tramite processo litografico in maniera da ottenere la geometria voluto sia per l’antenna di tipo Bow-Tie (Figura A.1) che per la superficie magnetica artificiale (Figura A.2).

Figura A.1- Antenna Bow-Tie.

(2)

Figura A.2 – Superficie Magnetica Artificiale

La geometria della struttura AMC è stata riprodotta su di uno strato di rame di spessore 35 μm su di uno slab di RF-60, mentre l’antenna è stata stampata sullo slab di FR4.

La costruzione di un circuito integrato richiede la realizzazione di una serie di strutture planari (ossia sottili nella direzione ortogonale al piano del circuito) costituite da zone drogate, piste metalliche e strati dielettrici. Alla realizzazione di ciascuna di esse concorre un passo del processo di integrazione:

1. Un processo di mascheratura, che rende suscettibili al processo alcune aree del circuito, immuni da questo altre. A questo scopo si trasferisce sulla superficie del circuito un tracciato (disponibile in forma di immagine su un supporto fisico o elettronico) che rappresenti le regioni da mascherare. Il trasferimento del tracciato è realizzato tramite tecniche litografiche, analoghe a quelle fotografiche o di stampa.

2. Un processo tecnologico attivo solo sulle aree non mascherate (drogaggio, ossidazione, metallizzazione). La maschera deve essere in grado di sopportare l’effetto del processo.

(3)

3. Un processo di rimozione della maschera (attacco chimico o trattamento con solventi).

Definiamo tracciato (pattern) l’immagine di una caratteristica del circuito integrato disponibile sotto forma di immagine fotografica (lastra). Si utilizzano di solito lastre rigide (vetro o quarzo) per evitare distorsioni. Il modo più diretto di trasferire un tracciato sul circuito è ricoprire il circuito con una pellicola fotosensibile (detta fotoresist e analoga alla parte attiva della pellicola fotografica), posizionare sul circuito

l’immagine fotografica, e impressionare il fotoresist con una sorgente di luce di lunghezza d’onda opportuna. Fra la sorgente luminosa e la maschera è frapposto un sistema di lenti che rende paralleli i raggi generati dalla sorgente puntiforme, eliminando eventuali ombre. Questo sistema (litografia ottica per contatto) richiede un’immagine 1:1 del tracciato da trasferire. La litografia ottica per contatto fa uso di luce a bassa lunghezza d’onda (ultravioletta UV) per diminuire gli effetti di diffrazione e aumentare la risoluzione. La risoluzione è definita come la minima larghezza di linea riproducibile (“minimun linewidth”) e nella litografia a contatto è

dell’ordine dei μm.

La tecnica per contatto (Figura A.3-a ) presenta difetti che la rendono inadatta alla produzione su larga scala. Infatti le impurezze aderenti alla maschera o al circuito tendono a danneggiare la maschera, che viene premuta sul circuito durante il processo;

inoltre è necessario utilizzare una scala 1:1. Una soluzione parziale è data dalla stampa per prossimità (Figura A.3-b ) che peraltro diminuisce la risoluzione, pari in questo caso a (g λ)½, dove g è la distanza tra maschera e substrato.

(4)

Figura A.3 – Tecnica per contatto (a) e tecnica per prossimità (b).

La produzione di circuiti stampati su larga scala è resa possibile dalla stampa per proiezione, nella quale è interposto, fra maschera e fetta, un sistema di lenti che consente di riprodurre l’immagine in scala 1:1 oppure con riduzione M:1 (Figura A.4).

Figura A.4 – Tecnica per proiezione.

Vi sono due categorie principali: per scansione e passo-passo (Figura A.5). Nella proiezione per scansione, l’intera immagine in scala 1:1 viene scandita mediante movimento della maschera e della fetta, e solo una sezione della fetta è illuminata. Nei sistemi passo-passo la fetta si muove nel piano ortogonale all’asse del sistema ottico, e si utilizza un’immagine ingrandita del tracciato.

(5)

Figura A.5 – Tecniche di suddivisione dell’immagine per stampa per proiezione. (a) Scansione a campo anulare della fetta. (b) Scansione a campo circolare. (c) Passo-passo con riduzione. (d) Passo-passo 1:1.

Con qualsiasi lavorazione è necessario evitare contaminazioni da parte di particelle di polvere, queste se aderenti alla maschera verranno trasferite automaticamente sul circuito con dimensioni ≥ a quelle dello stesso. I danni prodotti sono gravi (interruzione contatti, distruzione dispositivi attivi etc.) tali da condurre a un circuito non funzionante. Per evitare inconvenienti si utilizzano le camere pulite.

Si definisce camera pulita di classe N, una camera contenente non più di N particelle di polvere per piede cubico di diametro ≥ 0.5μm. I processi litografici richiedono la classe 10.

La buona riuscita del processo litografico è essenziale per garantire la resa del processo di fabbricazione (pezzi funzionanti / prezzi prodotti).

I fotoresist sono composti organici sensibili alla radiazione. Ne esistono due tipi:

1. fotoresist positivo: prima dell’ esposizione non è attaccato dalla soluzione di sviluppo; nelle aree esposte il fotoresist si depolimerizza e diventa solubile.

L’immagine positiva viene riprodotta in positivo.

(6)

2. fotoresist negativo: durante l’esposizione polimerizza nelle aree esposte, mentre le aree non esposte sono rimosse dal solvente di sviluppo. Un’immagine in positivo viene riprodotta in negativo.

Il fotoresist negativo assorbe solvente gonfiando in fase di sviluppo (limita la risoluzione), ma l’energia necessaria per impressionare il fotoresist stesso è minore che con il positivo. In generale il fotoresist è deposto tramite centrifugazione, allo stato di soluzione liquida, e quindi fissato tramite cottura a caldo (circa 100 °C). Lo sviluppo si ottiene tramite asportazione con solventi o attacco chimico assistito.

Descriviamo ora alcune tecniche avanzate:

Litografia a fascio di elettroni (Electron Beam Litography,EBL) usa un sottile

pennello di elettroni, sottoposto a scansione elettronica attraverso un sistema di lenti elettrostatiche e pilotato da un calcolatore (Figura A.6); il pennello è guidato sulla superficie del circuito ricoperto da fotoresist in modo da scrivere direttamente il tracciato senza l’uso di maschere. La risoluzione è data solo da effetti di scattering (gli elettroni sono retrodiffusi dando così luogo ad un’area circostante debolmente impressionata), inoltre essendo un processo sequenziale non si presta a produzioni di scala.

Figura A.6 - Schema di un apparato per la litografia a fascio di elettroni.

(7)

Nella litografia a raggi X si fanno uso di raggi con lunghezza d’onda dell’ordine di 1 nm, non si possono usare lenti (qualsiasi materiale ha indice di diffrazione unitario con i raggi X); si utilizza un sistema per prossimità (Figura A.7). La maschera litografica è realizzata con oro su supporto di quarzo (l’oro arresta i raggi X), mentre il fotoresist è lo stesso del processo a fasci di elettroni; infatti il fotoresist colpito dai raggi X emette elettroni in grado di impressionarlo. La tecnica è ad alta produttività ma se si vuole focalizzare la sorgente dei raggi X (maggiore risoluzione) con l’utilizzo di un sincrotrone si hanno costi di gran lunga maggiori.

Figura A.7 – Schema di un sistema litografico a raggi X.

A.3 DEPOSIZIONE ELETTROLITICA GALVANICA

Descriviamo ora in questo paragrafo il secondo passo tecnologico: doratura della superficie magnetica artificiale tramite deposizione elettrolitica galvanica.

Tale processo si è reso indispensabile per una fondamentale motivazione: la possibilità in fase successiva di poter applicare il wire bonding. La connessione tra la AMC e i dispositivi attivi deve avvenire, infatti, con una interconnessione oro-oro (non è possibile saldare oro-rame per le differenti proprietà dei materiali: l'oro è poroso e, per

(8)

via di questa porosità, il rame diffonde nell'oro per effetto della diffusione interstiziale, rendendo il loro legame debole), dal momento che i pad dei dispositivi attivi usati sono dorati.

L’elettrodeposizione di metalli e leghe consiste nell’elettrolisi di una soluzione acquosa i cui componenti principali sono i sali del metallo impiegato per il ricoprimento.

Le soluzioni acquose di acidi, basi e di gran parte dei sali possono condurre la corrente elettrica; per giustificare questa proprietà, si ammette che in soluzione acquosa tali sostanze siano dissociate in specie elettricamente cariche: i cationi (carichi positivamente) e gli anioni (carichi negativamente). Questo processo è la dissociazione elettrolitica e le sostanze che vi partecipano sono note come elettroliti.

Si consideri una soluzione acquosa di un elettrolita in cui sono immersi due elettrodi. Per effetto del campo elettrico generato dalla differenza di potenziale applicata tra i due elettrodi del generatore, i cationi migrano verso il polo negativo (catodo) e gli anioni verso quello positivo (anodo) e si realizza il passaggio di corrente elettrica nella soluzione. A contatto con gli elettrodi avvengono reazioni di ossido- riduzione degli ioni in soluzione con trasferimento di elettroni, rispettivamente la riduzione al catodo e l’ossidazione all’anodo. Questo processo si chiama elettrolisi.

Nella cella elettrolitica (Figura A.8) gli oggetti da ricoprire sono collegati al polo negativo di una sorgente di corrente continua e costituiscono il catodo, mentre l’anodo è collegato al polo positivo e chiude il circuito elettrico.

(9)

Figura A.8 – Cella Elettrolitica.

I cationi metallici liberi in soluzione si scaricano sulla superficie del catodo, ossia acquistano un numero di elettroni pari alla propria carica positiva, secondo la seguente reazione elettrochimica (A.1):

Mn++neM (A.1)

La scarica del catione metallico, con conseguente deposizione del metallo allo stato elementare cristallino, non è l’unico processo catodico possibile, poiché avviene sempre in competizione con la scarica degli ioni H+, da cui si ottiene lo sviluppo di idrogeno gassoso.

L’idrogeno che si sviluppa nel corso dell’elettrolisi di soluzioni acquose ha effetti negativi sulla morfologia dello strato depositato, potendo causare spugnosità e difetti di superficie, con conseguenze negative sulle proprietà estetiche, meccaniche e di resistenza alla corrosione.

L’anodo può essere solubile oppure insolubile nel mezzo elettrolitico: il primo tipo rifornisce la soluzione di ioni positivi, mentre quello insolubile riceve gli elettroni dalla soluzione elettrolitica.

Generalmente l’anodo è costituito da lastre o barre del metallo che si desidera depositare e durante l’elettrolisi si consuma per rifornire la soluzione degli ioni

(10)

che si scaricano sul catodo. In questo caso la reazione anodica è quindi la dissoluzione del metallo (A.2):

MMn++ en (A.2)

In alcuni processi, come ad esempio quelli di cromatura, s’impiegano anodi che non sono solubili nel bagno galvanico, per cui periodicamente nel corso dell’elettrolisi è necessario reintegrare i cationi metallici che si sono scaricati aggiungendo alla soluzione i sali opportuni. In questo caso la reazione anodica dipende dalla composizione della soluzione elettrolitica e può essere di vario tipo.

In generale è più economico l’utilizzo di anodi consumabili, mentre quelli insolubili sono usati esclusivamente in alcuni tipi di bagni; ad esempio per la deposizione del cromo si utilizzano anodi di piombo o di leghe piombo-antimonio e per quella dell’oro s’impiegano anodi di acciaio inox.

La struttura cristallina del deposito, che influisce sulle proprietà meccaniche e fisiche dell’oggetto, come la durezza superficiale e la lucentezza, è influenzata dalla composizione e concentrazione dell’elettrolita e dalle condizioni operative, come la densità di corrente, la temperatura e l’agitazione del bagno galvanico.

Per le nostre applicazioni è stato usato un processo di doratura che ci ha permesso di crescere su di uno stato di 35 μm di rame uno spessore di 1 μm d’oro.

A.4 WIRE BONDING

Il “wire bonding” è una tecnologia molto utilizzata nel campo della microelettronica e dell’elettronica ibrida come tecnica di interconnessione di base tra un chip e il substrato sul quale è assemblato, tra pad differenti dello stesso substrato

(11)

o di substrati differenti, tra il substrato e un package che ospita un qualche dispositivo, o tra un chip e il package che lo contiene. Nel nostro dispositivo questa tecnologia è stata utilizzata per interconnettere il chip dell’ Abrupt Tuning Varactor con la piazzola connessa alla vias metallizzata, che permette un collegamento al piano di massa, e con una estremità della cella elementare che compone la superficie magnetica artificiale.

Questi dispositivi attivi sono assemblati sul substrato in die, cioè privi di package, e su di essi sono presenti dei pad in oro che vengono utilizzati per effettuare la connessione tramite wire bonding.

Ci sono sostanzialmente tre tecniche per effettuare il wire bonding: wire bonding a termocompressione, che utilizza fili d’oro, wire bonding ultrasonico,

il quale utilizza invece principalmente fili d’alluminio e wire bonding termosonico.

La tecnica a termocompressione, come dice anche il nome, sfrutta una combinazione di calore e pressione per formare una connessione galvanica tra il filo e la superficie metallica della piazzola.

Come si può notare in Figura A.9 un filo d’oro attraversa una cavità capillare, generalmente fatta di un metallo refrattario come il tungsteno, e si forma una sfera d’oro (per questo motivo questa tecnica è anche chiamata “ball bonding”) all’estremità del filo per mezzo di un arco generatore elettrico o mediante una torcia ad idrogeno.

(12)

Figura A.9 – Wire Bonding per Termocompressione

Il substrato del chip è riscaldato a 350°C e la sfera viene pressata sul pad con una forza sufficiente in modo da realizzare un contatto galvanico con lo stesso; la forza è trasmessa al filo tramite energia ultrasonica. A questo punto il filo è mosso in direzione del pad presente sul substrato del circuito e allo stesso modo si effettua la connessione, anche se in questo caso non viene formata alcuna sfera. L’utilità di formare una sfera sulla prima piazzola risiede nel fatto che è così possibile dirigersi verso la seconda piazzola compiendo col filo delle rotazioni di un qualsiasi angolo, mentre con la tecnica ultrasonica ciò non è possibile.

Il wire bonding a termocompressione è raramente utilizzato per varie ragioni :

1 l’azione di termocompressione non rimuove effettivamente le tracce di contaminanti sulla superficie del filo e della piazzola, tanto che la loro presenza potrebbe poi interferire col processo di formazione del contatto galvanico;

2 la temperatura richiesta per il riscaldamento del substrato del chip è sopra la temperatura di soglia a cui si forma il composto tra oro (filo) e alluminio (pad).

Siccome il tasso di diffusione dell’alluminio nell’oro è molto maggiore di quello dell’oro nell’alluminio, e poiché la piazzola di alluminio è molto sottile, quest’ultimo tenderà a rifluire nel primo lasciando dei “vuoti” tra il silicio e il contatto metallico.

Questi vuoti sono detti “vuoti di Kirkendall” e la loro formazione contribuisce in

(13)

maniera considerevole all’aumento della resistenza di contatto e alla diminuzione della resistenza meccanica della connessione;

3 l’alta temperatura di riscaldamento del substrato preclude l’utilizzo di resine epossidiche per il montaggio degli integrati in die sul substrato.

Il processo di wire bonding ultrasonico (anche chiamato “wedge wire bonding”) utilizzal’energia ultrasonica (f=60KHz) per porre in vibrazione il filo di alluminio; dallo sfregamento del filo sulla piazzola si ottiene un riscaldamento locale all’interfaccia con il pad, mentre il substrato di silicio non viene affatto riscaldato.

Questa azione di vibrazione contribuisce alla distruzione di strati di ossido che si formano sulla superficie dei metalli ostacolando la formazione di un contatto galvanico tra di essi. Il composto intermetallico non è critico come nel caso del

“ball bonding” poiché i metalli sono entrambi di alluminio. Il contatto è realizzato pressando un’estremità del filo sulla prima piazzola, dirigendosi verso la seconda piazzola e pressando la seconda estremità del filo di alluminio (Figura A.10).

Figura A.10 – Wire Bonding ultrasonico.

Questo processo è più lento del primo e non consente al filo dei cambi di direzione dopo che la prima estremità è stata fissata, cioè i due piedini del bond devono essere coassiali.

(14)

Il wire bonding termoionico risolve gran parte dei problemi insiti in quello a termocompressione; utilizza anch’esso fili d’oro, ma in questo processo il substrato è riscaldato fino a soli 150°C, mentre l’energia ultrasonica è utilizzata per rompere gli strati di ossido sulla superficie del filo e per pressare la sfera d’oro contro la superficie della piazzola (Figura A.11).

Figura A.11 – Wire Bonding Termoionico.

Questo tipo di tecnica è di gran lunga la più diffusa poiché è più veloce rispetto al wire bonding ultrasonico con fili di alluminio, ma allo stesso tempo non presentando gli stessi difetti di quello a termocompressione.

Riferimenti

Documenti correlati

Dopo tutte queste osservazioni, considerando anche le caratteristiche della colonna in uso, si può concludere che la migliore separazione si ha a pH 4: a

• A general behavior of radical center with exploit delocalization through interaction with electron pair on beta atom (both as non-bonded pair on a single atom or as bond pair,

I risultati sono la media di 10 trasmissioni di dati, di dieci secondi l’una, e riportano le prestazioni di aiodda2 collegata alle scivu con una sola interfaccia ethernet e con

Se la velocità di comunicazione è importante (come ad esempio nel caso di un ADC o DAC ad alta frequenza di campionamento), allora l’interfaccia più adeguata è SPI, che può

It has been reported that glass-ionomer cement and resin-modified glass ionomer showed an initial higher fluoride burst effect and higher fluoride uptake in comparison

In periodontally involved teeth, the exposure of acellular extrinsic fiber cementum to the environment of oral cavity or periodontal pocket creates constantly changes in the

Effect of etching time and acid concentration on resin shear bond strength to primary tooth enamel.. Hosoya Y, Nakanura N, Shmagawa H,

In particolare si vuole andare a creare un composito con matrice in alluminio e rinforzo fibroso di vetro o carbonio, andando così a realizzare un materiale che goda