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Discrimen » Oltre l’avversione imprescrittibile per la prescrizione penale

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(1)

marzo 2015

anno cXX (LVi della 7aSerie) Fascicolo iii

Fondata neLL’anno 1893

da Gennaro ESCOBEDO e già diretta da Giuseppe SABATINI

comitato ScientiFico

FERRANDO MANTOVANI

Emerito di diritto penale

GIOVANNI CONSO

Ordinario di procedura penale Pres. em. Corte Costituzionale

CORRADO CARNEVALE

Presidente di sezione della Corte di Cassazione

PAOLO DELL’ANNO

Ordinario di diritto amministrativo

ORESTE DOMINIONI

Ordinario di procedura penale

ANGELO GIARDA

Ordinario di procedura penale

direttore

PIETRO NOCITA

LA GIUSTIZIA PENALE

comitato di redazione:

redazione:

FAUSTO GIUNTA

Ordinario di diritto penale

CARLO FEDERICO GROSSO

Ordinario di diritto penale

GIUSEPPE RICCIO

Ordinario di procedura penale

GIORGIO SPANGHER

Ordinario di procedura penale

00195 ROMA - Viale Angelico, 38 Telefono (06) 321.53.95 - Fax (06) 372.25.74

E-mail: giustpen@gmail.com

edizione digitale (ebook): www.lagiustiziapenale.org | webmaster: Spolia - info@spolia.it

FRANCESCO BRUNO

Ordinario di pedagogia sociale

GUSTAVO BARBALINARDO, Magistrato; FRANCESCO BUFFA, Magistrato; ANTONELLA DE BENEDICTIS, Avvocato; FABIANA FALATO, Ricercatore procedura penale Univ. di Napoli “Federico II”; ALESSANDRO LEOPIZZI, Magistrato; Dott.ssa ROBERTA MARRONI; IRENE SCORDAMAGLIA, Magistrato

ERCOLE APRILE, Magistrato; GIOVANNI ARIOLLI, Magistrato; FRANCESCO CALLARI, Dottore di Ricerca procedura penale; VITTORIO CORASANITI, Magistrato; DIANA CAMINITI, Magistrato; LUIGI CIAMPOLI, Magistrato; FRANCESCO FALCINELLI, Av- vocato; MARCO MARIA MONACO, Dottore di Ricerca procedura penale; GIUSEPPE NOVIELLO, Magistrato; ANTONIO UGO PALMA, Avvocato; CATERINA PAONESSA, Dottore di Ricerca diritto penale Univ. di Firenze; MARIA SCAMARCIO, Magistrato;

PAOLO SIRLEO, Magistrato; DELIO SPAGNOLO, Magistrato; TIZIANA TREVISSON LUPACCHINI, Università “Tor Vergata” di Roma; ROBERTO ZANNOTTI, Professore associato diritto penale Univ. LUMSA Roma

NATALE MARIO DI LUCA

Ordinario di medicina legale

Rivista mensile di Dottrina, Giurisprudenza e Legislazione

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento Postale

D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1, C/RM/21/2012

In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento resi.

pubblicità inferiore al 50%

GIORGIO SANTACROCE

Primo Presidente della Corte di Cassazione

VINCENZO SCORDAMAGLIA

Ordinario di diritto penale

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fornire la prova della circostanza d’esclusione della deroga, ovvero dell’esistenza di una concentrazione di inquinanti superiore ai massimi consentiti, Sez. 3, n. 37280 del 12/06/2008 - dep. 01/10/2008, Picchioni, Rv. 241087. In dottrina F. MAZZA, Ripartizione dell’onere probatorio in tema di utilizzazione illecita di terre e rocce da scavo, in Dir. e Giur.

agraria alimentare e dell’ambiente, 2009, 6, parte 2, pag. 414.

REATI IN MATERIA DI STUPEFACENTI

Stupefacenti - Detenzione ad uso non esclusivamente per- sonale - Parametri della “quantità”, delle “modalità di pre- sentazione” e delle “altre circostanze dell’azione” - Reciproca autonomia - Esclusione - Conseguenze (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73)

Sez. III, sentenza 16 gennaio - 3 marzo 2015, n. 9227 - Pre- sidente Teresi - Relatore Scarcella.

L’art. 73, comma 1 bis, lett. a), del d.P.R. n. 309 del 1990, come novellato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, indica(va) i parametri, fra loro non reciprocamente autonomi, sulla base dei quali apprezzare la destinazione ad “uso non esclusivamente personale” di sostanze stupefacenti, con la conseguenza che non era sufficiente l’accertamento di uno solo di essi perché la con- dotta di detenzione fosse penalmente rilevante. Deve essere, dunque, affermato il principio - la cui validità pare perdurante pur a seguito del venire meno della norma richiamata - che, pur in presenza di quantità non esigue o di confezioni plurime, ov- vero di entrambe le situazioni, potrebbero essere valutate dal giudice “altre circostanze dell’azione” tali da escludere radical- mente un uso non strettamente personale, quali l’osservazione degli operanti della diretta cessione a terzi e il comportamento tenuto alla vista della polizia con il tentativo di disfarsi degli involucri, tali da denotare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la destinazione a terzi dello stupefacente detenuto, escluden- done l’uso esclusivamente personale. (1)

___________________

(1) Nello stesso senso Sez. 6, Sentenza n. 2652 del 21/11/2013 Ud.

(dep. 21/01/2014 ) Rv. 258245 e Sez. 6, n. 40575 del 01/10/2008 - dep.

30/10/2008, P.M. in proc. Marsilli, Rv. 241522.

Stupefacenti - Registro di entrata e uscita - Modifiche ap- portate dalla L. n. 38 del 2010 - Depenalizzazione della fat- tispecie di cui all’art. 68 d.P.R. 309 del 1990 - Limiti (D.P.R.

9 ottobre 1990, n. 309, art. 68)

Sez. IV, sentenza 6 febbraio - 2 marzo 2015, n. 9168 - Presi- dente Brusco - Relatore Zoso.

In materia di custodia di sostanze stupefacenti, a seguito della modifica introdotta dall’art. 10, comma primo, lett. r), L. 15 marzo 2010, n. 38 - che ha aggiunto all’art. 68 d.P.R. n. 309/1990 il nuovo comma 1-bis, secondo cui “qualora le irregolarità riscon- trate siano relative a violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma primo, si applica la san- zione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 1.500” - la depenalizzazione del reato di irregolare tenuta del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti deve inten- dersi limitata al contesto formale della registrazione, ossia alle sole violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei re- gistri, senza incidere sui fatti riguardanti il contenuto dichiarativo dei registri, ed in particolare i dati relativi alla non corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale. (1)

___________________

(1) Nello stesso senso, Sez. 4, n. 49097 del 07/11/2013 - dep.

06/12/2013, Zelli, Rv. 257654.

DIBATTITI

Oltre l’avversione imprescrittibile per la prescrizione penale(*)

1. Negli ultimi lustri la prescrizione del reato è diventata l’idolo polemico di molti, tra magistrati, politici, opinionisti in genere. Sorte curiosa, questa, per un istituto che - presente già nel truce disegno originario del codice Rocco, come lo è tuttora nell’assoluta maggioranza delle codificazioni penali straniere - ha trascorso la gran parte della sua esistenza all’insegna della discrezione, se non dell’anonimato. Pochi, se si eccettuano per l’appunto gli scritti recenti, sono gli studi di respiro sistematico sull’argomento; scarsa l’attenzione della giurisprudenza negli anni, tanti, durante i quali la prescrizione è stato un istituto li- bresco e un fantasma processuale.

Della sua esistenza ci si è accorti dal momento in cui la pre- scrizione ha iniziato a operare in modo non episodico, ossia da quando, nel 1992, con la riforma dell’art. 79 Cost. e l’introdu- zione di maggioranze qualificate, è cessata la politica delle am- nistie cadenzate, le quali producevano un effetto estintivo della potestà punitiva assimilabile a quello della prescrizione, ma più radicale e precoce, del quale peraltro si assumeva la responsa- bilità il legislatore.

Da allora, sulla prescrizione si è trasferita, di fatto e impro- priamente, la funzione deflativa del sovraccarico processuale, prima, altrettanto di fatto e impropriamente, svolta dall’amnistia, posto che la ratio di quest’ultimo istituto risiede nel persegui- mento di eccezionali istanze di pacificazione sociale.

Da allora la prescrizione è stata stigmatizzata come male as- soluto, la sconfitta della giustizia (le stesse critiche che per anni si sono abbattute sull’amnistia), dando vita a nuove mitologie (o mitomanie) giuridiche come quella secondo cui il traguardo della prescrizione incentiverebbe le tattiche dilatorie degli avvocati di- fensori, forse desiderosi di attuarle, ma in realtà impotenti di farlo con successo. Chi ha un minimo di esperienza forense e onestà intellettuale sa che il governo dei tempi processuali è nelle mani del giudice, in minore misura in quelle del pubblico ministero, non dei difensori. A meno che non si intenda considerare tattica dilatoria l’esercizio del diritto all’impugnazione, di cui è titolare tutt’altro che passivo anche la pubblica accusa. Mentre l’appello del pubblico ministero risponderebbe a esigenze di giustizia, l’abuso difensivo consisterebbe nel non accettare la condanna:

nell’attivare il controllo di legittimità, quale garanzia costituzio- nale, e prima il giudizio di appello, in relazione al quale la signi- ficativa percentuale delle condanne annullate dovrebbe far riflettere quanti vorrebbero eliminarlo. Del resto, quando la pre- scrizione matura nelle more del giudizio di appello o davanti alla Corte di cassazione, ciò accade perché l’atto di impugnazione non viene ritenuto inammissibile dalla stessa giurisdizione, ossia quando esso è plausibile e non pretestuoso.

185 LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Seconda: Diritto Penale) 186

(*)Testo dell’intervento all’incontro di studio dal titolo “Contro la logica delle emergenze. Prescrizione Reato & Processo: un nodo da sciogliere”, Roma 31 marzo, 2015.

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2. I problemi della nostra giustizia penale - sia chiaro - ci sono e hanno natura sistemica: ma la prescrizione non li crea, semmai li di- svela. Invece quanta attenzione per il dito che indica la luna!

Tra i problemi strutturali cui si è fatto riferimento ne vengono qui in rilievo soprattutto due, tra loro interconnessi: il primo, anche in or- dine di importanza, è il sovraccarico processuale; il secondo, conse- quenziale, è costituito dai tempi lunghi del nostro processo penale.

La prescrizione è un istituto sostanziale, per l’esattezza una causa estintiva del reato, al pari dell’amnistia; ed entrambi gli istituti nulla hanno a che fare con queste patologie di natura processuale.

La prescrizione, infatti, è il punto di intersezione di due fondamen- tali direttrici culturali che attengono al rapporto tra reato, pena e reo.

E precisamente: da un lato, la secolarizzazione del diritto penale e il suo conseguente ancoraggio alla logica razionalistico-utilitaristica della prevenzione, piuttosto che a quella retrospettiva ed etica della retribuzione; dall’altro, il diritto all’oblio come risvolto del principio personalistico, per il quale, in linea di massima, la memoria dell’or- dinamento giuridico non può perseguitare il reo per tutta la sua esi- stenza. Punire fatti troppo lontani nel tempo, oltre che difficile per lo sbiadirsi delle prove, per un verso, non è utile alla logica, laica, della prevenzione, che privilegia la criminalità recente per la quale più ele- vato è l’interesse sociale, per l’altro verso, non tiene conto del cam- biamento del contesto sociale e delle persone, compresa quella del cittadino presunto autore del fatto di reato. Ritengo che a nessun teo- logo sia venuto in mente di approfondire la prescrizione nel contesto del giudizio universale, per la semplice ragione che quello sarà - per chi crede - un giudizio che sta al di fuori della storia, nel quale, a dif- ferenza del giudizio umano, valgono valori retributivi assoluti ed è irrilevante la dimensione della temporalità.

In breve: la prescrizione limita il raggio di azione del sistema re- pressivo a quei fatti storici astrattamente tipici che sono ancora so- cialmente significativi e, se accertati, idonei a convalidare il divieto penale e la sua funzione di tutela. Si tratta, ovviamente, di una valu- tazione presuntiva, come tale misurabile solo in termini di ragione- volezza. Ciò spiega ad un tempo l’imprescrittibilità di alcuni reati, essenzialmente le fattispecie di omicidio doloso, in quanto espressivi di disvalori assoluti.

3. Alla ratio della prescrizione sono estranei, come si diceva, sia la finalità deflativa, sia quella di contenimento dei tempi processuali.

Il paradosso è che sono proprio queste due funzioni a caratterizzare nella prassi l’attuale funzionamento dell’istituto.

L’elevato numero delle prescrizioni che maturano nella fase delle indagini preliminari dimostra che la prescrizione sanziona la tardività della notizia di reato o le lungaggini dell’attività investigativa. Sia chiaro, non è una critica, ma una constatazione. Il penalmente denun- ciato e ancora di più il penalmente rilevante è così eccedente, rispetto alle capacità di lavoro della macchina repressiva, da non potere essere conosciuto e perseguito nella sua globalità. Nella nostra società con- temporanea la repressione penale è destinata a essere episodica, pro- cessualmente oltre sostanzialmente discontinua, con buona pace del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Il pubblico ministero è costretto a scegliere quali fatti di reato privilegiare, e sceglie per lo più con criterio, attuando linee di politica criminale, alternative alla logica del caso. Osservare, dunque, che nei sistemi di common law la prescrizione (per come siamo abituati a concepirla nel nostro ordi- namento) non esiste ha poco senso, perché in quei sistemi la funzione deflativa che da noi svolge, seppur surrettiziamente, la prescrizione è assorbita, alla luce del sole, dalla discrezionalità dell’azione penale e dal suo uso corretto da parte dei public prosecutor; senza contare che, per esempio negli USA, a livello federale, sono previsti mecca- nismi di limitazione temporale dell’azione penale, seppure non pe- rentori e con molte eccezioni.

Quanto alla durata ragionevole del processo, a fronte della sua re- cente costituzionalizzazione nel riformato art. 111, essa è tutt’altro

che realizzata, come dimostrano le condanne del nostro Paese per violazione dell’art. 6 Cedu. Il solo istituto che pone un limite rigido, e una garanzia di durata, a un processo penale altrimenti proiettato verso l’infinito, è per l’appunto la prescrizione. È tutto dire.

4. I recenti disegni di legge in materia di prescrizione non affron- tano queste complesse problematiche. Il loro tratto comune è quello di allungare generalmente i tempi di operatività della prescrizione, i quali - è bene ricordarlo - già oggi conoscono punte parossistiche.

Valgano alcune cifre e altrettante esemplificazioni: un sequestro di persona a scopo di estorsione, che duri mesi o solo qualche ora, che sia coronato dal conseguimento del profitto o meno, se consumato oggi, è punibile ancora nel 2075, con un margine di ulteriori quindici anni per iniziare e completare il processo. Un’associazione mafiosa, scoperta oggi, risulta processabile fino al 2063, senza contare l’in- cremento di ulteriori dodici anni nel caso di interruzione. Lo stesso dicasi per l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Si tratta di un lasso di tempo complessivamente tutt’altro che breve, specie se si considera il carattere strumentale del reato, e la circostanza che, nel frattempo, l’associazione possa essersi estinta.

Nondimeno, la regola generale vigente, che identifica il tempo della prescrizione con la durata della pena massima comminata, salvo deroghe che ne consentono il raddoppio, è apparsa fin troppo bene- vola al d.d.l. C. 2150, approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 14 gennaio scorso. Questa proposta di riforma aumentava di un ulteriore quarto il tempo necessario a prescrivere. A ciò si aggiungeva la previsione di nuove cause di sospensione del de- corso della prescrizione pari a due anni per il grado di appello e un anno per il giudizio di legittimità.

Il più recente disegno di legge, approvato alla Camera dei Deputati il 24 marzo scorso, fa parzialmente marcia indietro. L’aumento del tempo necessario a prescrivere, nella misura della metà, risulta limi- tato alle sole fattispecie di corruzione. Per il resto, vengono ampliate le cause di sospensione della prescrizione e, segnatamente, le ipotesi della sospensione per il giudizio di appello e quello di legittimità nei termini di cui si è detto a proposito del d.d.l. C. 2150.

5. Se questa intolleranza per la prescrizione anima la prospettiva riformistica nella quale ci si muove, viene spontaneo chiedersi perché non optare allora per la soluzione radicale dell’abrogazione dell’isti- tuto; sarebbe una scelta consona alla diffusa allergia culturale per ogni limite esterno alla giurisdizione, che tuttavia accelererebbe la presa di coscienza dei veri problemi che affliggono la nostra giustizia pe- nale; i quali emergerebbero ancora più chiaramente nella loro dimen- sione irrisolta.

Il sistema diventerebbe ingovernabile, ed affiorerebbe con urgenza la necessità di occuparsi, in modo finalmente diretto, in primis della legalità e trasparenza dei criteri di esercizio dell’azione penale e, in secundis, della disciplina della ragionevole durata del processo, cre- ando comparti temporali efficaci a garantirla. A quel punto, l’esigenza della prescrizione del reato riemergerebbe nella sua indispensabile (e più limitata) funzione attuativa del tempori cedere, ossia al fine di as- sicurare un nesso stretto temporale tra la consumazione del reato e l’inizio del processo, lasciando alla prescrizione processuale la san- zione per i procedimenti dai tempi irragionevoli. A tal fine, come pure è stato prospettato, si potrebbero prevedere apposite scansioni tem- porali entro le quali devono essere concluse le varie fasi del processo (sentenza di primo grado, appello e giudizio di legittimità).

Semmai, stante il carattere personalistico del nostro ordinamento, che pone al centro dell’attenzione, oltre all’imputato, anche la vittima, opportuni accorgimenti potrebbero essere previsti per i soli reati, tas- sativamente individuati, con soggetto passivo persona fisica (non ba- stando la qualifica di mero danneggiato). Il riferimento è a brevi compassi temporali supplementari per ciascuna fase (o a specifiche cause sospensive della prescrizione sostanziale e processuale), onde 188 LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Seconda: Diritto Penale)

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evitare che l’inerzia o il ritardo dell’apparato repressivo sacrifichi l’interesse della persona offesa. È fin troppo evidente che, quando il reato offende beni della persona, l’esito del bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto alla memoria è diverso da quello che si registra nei casi di reati senza offesa o con bene giuridico superindividuale.

C’è da augurarsi, invece, che il mantenimento dell’attuale mecca- nismo prescrizionale non risponda a un altro e più inquietante dise- gno: porre il cittadino, già prigioniero dell’incertezza del diritto penale sostanziale, nell’incertezza anche delle vicende e dei tempi del pro- cesso. A tutto vantaggio di un novello Leviatano giudiziario che vigila occhiuto su una società panottica, dove ciascun cittadino può essere costantemente osservato e condizionato, come avviene in carcere.

FAUSTO GIUNTA

RECENSIONI

MASSI SILVIA, ‘Veste formale’ e ‘Corpo organizzativo’

nella definizione del soggetto responsabile per l’illecito da reato.

Un’analisi della ‘statica’ della responsabilità degli enti nella pro- spettiva del diritto italiano e comparato, Jovene editore, 2012, pp. 288.

Il volume presenta un titolo complesso e non immediato, che attira subito l’attenzione del lettore, che, incuriosito, è indotto a leggerlo e ad “inspicere” per capirne di più sul contenuto. Di- midium facti, qui coepit, habet; quindi, già così, il libro è “a metà dell’opera”; l’altra metà si compie conseguentemente con la sua densa lettura ed il suo studio attento. In effetti, è proprio intorno al ricorrente dilemma tra “veste formale” e “corpo organizza- tivo” che si svolge la trama interpretativa del tema trattato: la definizione del soggetto responsabile nel caso dell’illecito da reato degli enti.

La monografia della Massi si inscrive in quel più ampio am- bito di studi che, a più di dieci anni dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 231/01 sulla responsabilità da reato degli enti, cercano di tracciarne un primo bilancio; con essa l’Autrice, che già vanta numerose pubblicazioni di notevole rilievo scientifico, tratta un argomento forse non ancora affrontato a livello monografico, vale a dire il suo ambito soggettivo di applicazione: in altri ter- mini, il tema della tipologia dei soggetti attivi che rispondono ai sensi di quella particolare forma di responsabilità. La que- stione, effettivamente, è di particolare importanza, considerando le indicazioni offerte dal testo normativo (art. 1, D.lgs. n.

231/01) sia in positivo, sia in negativo: per espressa indicazione legislativa, infatti, le disposizioni del decreto in parola si appli- cano agli “enti”, fatta eccezione per lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzio- nale, come pure per gli enti pubblici non economici. Eppure, nelle pieghe di indicazioni che all’apparenza sembrano suffi- cientemente determinate, l’interprete può accorgersi, già in via di prima approssimazione, dell’eterogeneità dei criteri offerti dalla norma stessa. Infatti, il ventaglio relativo all’ambito sog- gettivo di applicazione del d. lgs 231/2001, così come descritto dalla disposizione citata, è molto ampio, abbracciando, sotto il profilo del “corpo organizzativo”, da un lato gli enti con perso- nalità giuridica, e quindi quelli che strutturalmente dovrebbero presentare una maggiore complessità, dall’altro quelli che ne sono privi e quindi strutturalmente più semplici.

Non meno problematico è il versante pubblicistico, sotto il

profilo della c.d. veste formale; ferma - secondo quanto segue - l’esclusione dello Stato, degli enti territoriali e di quelli con ri- lievo costituzionale, le indicazioni normative fornite dal predetto art. 1, D. lvo n. 231/01 si rivelano perlopiù inadeguate rispetto alle realtà caratterizzate dalla recente tendenza alla privatizza- zione, nel variegato versante degli “enti pubblici economici” e delle fondazioni, ad esempio, nel versante degli “enti pubblici non economici”.

Inoltre, la ratio della logica di “esclusione” dovrebbe fare pendant o quanto meno essere “dinamicamente” ragguagliata al catalogo dei reati-presupposto, ma qui la situazione si complica.

Infatti, a fronte dei reati originariamente previsti e che cristal- lizzavano il nesso tra l’esercizio dell’attività d’impresa ed il pro- fitto illecito (da qui le correlative previsioni aventi di mira il

“profitto” dell’ente o quelle che addirittura prevedono l’appli- cabilità dello stesso “commissariamento giudiziale” per l’ente) ora, soprattutto con l’avvento della previsione dei reati colposi, si finisce per punire anche il danno. I conti, a questo punto, ma- nifestano una certa difficoltà a tornare, avendo inserito un ele- mento spurio rispetto al primo. Il che si traduce, in termini di

“geografia applicativa” ed alla luce di una previsione normativa non più coerente, in una “rischiosa” operazione «suppletiva» di concretizzazione giurisprudenziale.

In questa cornice, dunque, va vista la ricerca dell’autrice che nella “Premessa” evidenzia la necessità di dover far riferimento a due criteri definitori per individuare il “soggettivo” nella ma- teria de qua: il criterio ‘formale’ e quello ‘funzionale’, quest’ul- timo più attento alla reale attività svolta dall’ente; criteri, questi, che possono esercitare la loro funzione “euristica” tanto auto- nomamente quanto in combinazione tra loro.

La prima parte dell’opera è dedicata alla disciplina italiana.

La seconda guarda agli ordinamenti europei.

Nell’ambito della prima parte, il primo capitolo tratta dello

“Stato e delle sue articolazioni”. Come è noto, gli argomenti fa- vorevoli all’“esclusione” compiuta dal legislatore sono quelli che si fondano essenzialmente sulla “non economicità” della sanzione, poiché in ultima analisi i relativi effetti vanno poi a ridondare negativamente sugli stessi cittadini, o nella loro qua- lità di contribuenti o nella loro qualità di fruitori di servizi, non- ché sulle inevitabili interferenze giudiziarie nell’esercizio dell’azione amministrativa. Gli argomenti contrari e critici della scelta legislativa, invece, sono tutti essenzialmente fondati su una presunta “disparità di trattamento”. Al riguardo però sia con- sentito di proporre un ampliamento della prospettiva in termini problematici, richiamando all’attenzione del dibattito su questo tema, l’art. 28 Cost., tanto da solo, quanto in combinato con gli artt. 2 e 97 Cost. Esso, in prima battuta, sta a dimostrare che il settore degli enti pubblici, pur escluso dall’ambito di operatività del D. lgs. n. 231/01, non è del tutto privo di considerazione sotto il profilo della responsabilità da atto illecito. La norma co- stituzionale, infatti, prevede la responsabilità a carico dei “fun- zionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici”, in caso di

“violazione di diritti”, statuendo, in dette ipotesi, l’estensione della responsabilità civile allo Stato e agli enti pubblici. Per- tanto, sempre a prima vista, sembrerebbe sì porsi un problema di uguaglianza, ma in termini ribaltati: di uguaglianza sostan- ziale. Invero, rebus sic stantibus, la responsabilità del pubblico funzionario, “secondo le leggi penali, civili e amministrative”, costituzionalmente prevista, si traduce in ben cinque forme: pe- nale, civile, amministrativo-contabile, disciplinare e dirigen- ziale. Il loro ambito di applicazione, peraltro, ha conosciuto di recente un certo ampliamento; solo a titolo esemplificativo, si pensi alla tematica del risarcimento del danno per violazione di situazioni giuridiche quali l’interesse legittimo, nonché al tema del “silenzio-inadempimento” o della responsabilità dello Stato

189 LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Seconda: Diritto Penale) 190

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