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LA GIOIA, FRUTTO DELLO SPIRITO Un tema che caratterizza la spiritualità di S. Maria Domenica Mazzarello

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(1)

Un tema che caratterizza la spiritualità di S. Maria Domenica Mazzarello

Gabriel-Marie GARRONE Card.

Torno a rileg g ere queste p agin e che portano ancora l ’im p ro n ta d ella circostanza da cui hanno avuto o rigin e.

Sono l ’eco d elle conferenze ten ute alle Suore d e ll’« A u x iliu m » n e ll’anno 1981 allo scopo di disp o rre m eglio il loro anim o alla cele­

brazione d el prim o centenario d e lla m orte di S. M aria D om enica M az­

zarello , loro C onfondatrice.

H o p referito lasciare a q u este pagine la form a d ella lib era com ­ posizione, essendo esse piutto sto l ’espressione di una sorta di co n ver­

sazione che non u n ’esposizione sistem atica.

I l tem a scelto è stato, in fa tti, trattato senza il rigore e le esigenze le tte ra rie di un discorso scritto . È soltanto la testim onianza di u n ’espe­

rienza legata a una vera collaborazione. È il fru tto d ella scoperta d ella g razia p ro p ria d e lle F ig lie di M a ria A u silia trice p iu tto sto che di una riflessione tecnica.

Q uesta p artico lare p rero gativ a com porta due elem en ti che n el­

l ’opera ed u cativa d elle F iglie di M aria A u silia tric e si trovano p e rfe tta ­ m ente u n iti ed arm onizzati: la preoccupazione di non rifiu tare alle fu tu re fo rm atrici alcun contributo d el progresso n e ll’am bito d elle scienze d e ll’educazione e nello stesso tem po di m antenere profondam ente v iv i e sem pre esp liciti il contatto e l ’isp irazio n e d ella carità d iv in a.

M i è sem brato che, m ettendo in risalto tale caratteristica del lavoro d elle F ig lie di M aria A u silia tric e sulle orm e d ella loro C onfon­

d atrice, av rei p otuto o rien tare la loro riflessione verso ciò che, nello sforzo ed u cativo , è il segno ev id en te d ella riu sc ita: la gio ia.

La g io ia che, irrad ian d osi d al volto di M ad re M azzarello su tu tte q u e lle che la seguono, è senza dubbio ciò che sorprende e spesso con­

q u id e chi ne fa esprienza d ire tta.

Possano q u este poche riflessioni rinnovare o ggi per il bene d ella n ostra m issione q u ella p regh iera e q u ella g ratitu d in e che allora su sci­

tarono in noi.

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L ’uom o d ’o ggi cerca la lib e rtà e si accorge che, se non sa p er che cosa la cerca, la lib e rtà può condurre d ap p ertu tto . L ib ertà p erch é? La risp o sta si m an ifesta m olto ch iaram en te quando si cerca d i ved ere la lib e rtà n ella sua radice e n el suo fine che è l ’am ore di D io: lib e ri p er am are.

L a lib e rtà , che è insiem e condizione e conseguenza d e ll’am ore di D io, p o rta con sé d ei fru tti. S. P ao lo , a lla fine d e lla le tte ra a i G alati, an alizza i fru tti d ello Sp irito . Dopo la c arità, vicin issim a ad essa, c ’è la g io ia. I l fru tto d ello S p irito è carità-gio ia (cf G a l 5 ,2 2 ).

C redo che insiem e con la lib e rtà , quando ne abbiam o trovato la rad ice, dobbiam o ferm arci a riflettere su lla gio ia che m i sem bra c a ra t­

te ristic a d elle F ig lie di M aria A u silia trice.

Sono rim asto m erav igliato , leggendo le le tte re d i S. M aria D om e­

nica M azzarello, n el ved ere a che p u n to e lla sia p reoccupata di trovare neH’anim a d elle sue figlie questo tra tto : un a gio ia vera e sem plice.

Q uesta g io ia che è p ro p ria d ella vocazione d elle F ig lie d i M aria A u silia trice non è soltanto una realtà um ana, è qualcosa d i m olto più profondo. D obbiam o sub ito essere a tte n ti a ll’equivoco. Non è una gioia q u alu n q u e la g io ia d elle F ig lie d i M a ria A u silia trice q u ale la vuole e la chiede M ad re M azzarello. È una gio ia d iv ersa da q u ella p u ram en te u m a­

na perché può rim an ere anche quando non c ’è p iù nessun p iacere, q u an ­ do non c ’è p iù nessun in coraggiam ento in terno o esterno.

Non è n eppure un sem plice o ttim ism o o q u ella specie di e n tu sia­

smo provocato d a una sorta di lav o rio psicologico. O ggi, a b itu a ti a p ren dere le cose d al l ato pedagogico o psicologico, siam o disp o sti a p ensare così la g io ia c ristian a. C ’è qualcosa d i giu sto in q uesto . M a p er noi l ’o ttim ism o non è un valore in se stesso: l ’o ttim ism o è un dono d i n atu ra, non un artificio . L a nostra gio ia non è di questo gen ere: è la g io ia che nasce d a ll’am ore, è la gio ia quale fru tto d ello S p irito , cioè la g io ia d i u n ’anim a lib e ra ta d allo sviluppo d e ll’am ore.

D irei d i p iù : a mio p arere la g io ia d elle F ig lie di M aria A u silia tric e , q u ale la vede e la vuole M ad re M azzarello, ha un carattere o rig in ale. In francese vi è u n ’altra paro la p er d ire g io ia, è a l l e g r e s s e . Ho visto che la

1 « ... La gioia che S. Paolo considera come un primo segno dello Spirito e che [S . M aria Domenica] non si stanca di raccomandare. Quante volte S. M aria Domenica la esige dalle sue figlie [ ...] . Perderla, sarebbe perdere il f in e » ( Ga r­ r o n e G.-M. C ard., P r e fa z io n e , in : Po s a d a M .E. (ed.), L e t t e r e d i S. M aria D o m e n ica M azz arello, C o n fo n d a t r ic e d e l l ’i s t i t u t o d e l l e F ig lie d i M aria A u silia trice, Roma, Istituto FM A, 21980, 13. C iterò: L ette r e .

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paro la a l le g r ia è una parola p referita da M adre M aria D om enica: ciò è chiaro nelle sue le tte re .2 In francese la p aro la a l l e g r e s s e significa qualcosa che zam p illa d alla gio ia, che ha bisogno d i m an ifestarsi, che ha bisogno, d ire i, di can tare.

Non è un artificio , m a un carattere tipico d ella gio ia p ro p ria d ello sp irito d elle F ig lie di M aria A u silia tric e . P er questo m i piace usare la p aro la a lle g r ia , proprio per in d icare questo tipo di g io ia q u ale la grazia dà a uno, m a non necessariam ente a un altro .

P rim a di passare a trattare un punto p artico lare, v o rrei ferm arm i un poco su questo tem a generale d ella g io ia. A n zitu tto vo rrei segn a­

lare che q u esta g io ia, in sé, non è una o rig in a lità , m a è qualcosa che ap p artiene al bene com une di tu tta la C h iesa, a q u elli che sono d i C risto .

N el C o ncilio, quando si è posta la questione d e lla v ita religio sa, ta n ti d i n o i, d ella C om m issione, non eravam o disp o sti ad assegnare un capitolo d istin to a lla trattazio n e sui re lig io si, allo scopo di ev id en ­ ziare che c ’è una sola destinazione per tu tti: siam o tu tti chiam ati alla perfezione d ella carità e non si en tra nel regno d i D io senza d i questo . A vrem m o voluto che si vedesse che la v it a r e l i g i o s a è s o l t a n t o d o t a t a d i m ez z i o r ig i n a li p e r e s s e r e c o m e g l i a ltri. È p arad o ssale, m a è così. A i relig io si, quando m i trovavo n ella diocesi d i T olosa, dicevo: « Siete eccezionalm ente come g li a ltri. N ie n t’altro » .

I religio si hanno la com une destinazione d ella carità p erfetta, ma mezzi d iv in i o r i g i n a li p er poter en trare in q u esta strad a. P e r le F iglie di M aria A u silia trice è m olto u tile ten ere p resente che non si tr a tta d i un dono che le m ette « a p arte » . S i tr a tta di un dono essenziale d e lla v ita cristian a che è dato loro ad un grado e con dei m ezzi eccezionali.

L a gio ia d e lla q u ale dobbiam o p arlare — scartando g li equivoci che ho detto — è un dono essenziale d e lla v ita cristian a.

Q uando si considera la vita d i M adre M azzarello si vede a che punto e lla sia com e g li a ltri. Non c ’è nien te in q u esta v ita che faccia lontanam ente pensare che D io abbia fatto d i le i una donna ign ara d ei norm ali im p ed im en ti e difficoltà com uni a tu tti. T u tto è sem plice n ella sua v ita.

L a v ita cristian a sem bra — per usare un term in e che n el lin ­ guaggio com une ha un significato piutto sto p eggio rativo — una v ita b an ale. Q uesta « b an alità » è il segno d ella v e rità. Non c ’è stato n ella

2 Cf L e tte r e 11, 14, 28, 29, 32, 34-36, 39, 41-43, 45, 47, 49, 51, 52, 55-58, 60, 61, 63, 66.

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v ita d i S. M aria D om enica n ien te che non sia ciò che Dio dà a tu tti, anche se vissuto ad un liv ello eccezionale.

I l carism a d ella gio ia è un fru tto dello sp irito che tu tti i battezzati ricevono; le F ig lie d i M aria A u silia tric e lo ricevono a titolo eccezionale.

A mio p arere q u esta eccezionale com unicazione d e lla g io ia, fru tto dello S p irito , è d ata alle F iglie di M aria A u silia trice a causa d ella loro m is­

sione ed u cativa.

O ggi vediam o ch iaram ente come sia asso lutam en te necessario che i gio van i possano scoprire n elle persone che hanno l ’incarico di for­

m arli questa gio ia, che è il segno di una v ita riu scita, il segno — che tu tti noi com prendiam o bene n ella sua radice — che si è raggiunto l ’eq u ilib rio vero e la fonte d ella propria v ita.

Q uesto segno di una v ita riu scita è non soltanto un vantaggio per chi insegna ed educa, m a una necessità. Io credo che il dono, il carism a d ella gio ia, d e ll’a llegria n e ll’is titu to d elle F ig lie di M aria A u siliatrice sia dato da D io in vista di q u esta resp on sab ilità d i form azione: è neces­

sario perché i gio van i possano trovare nei loro form atori il segno di una v ita riu sc ita , cioè di una v ita che ha trovato C risto.

T ale gio ia può essere co n siderata sotto v ari asp etti. Non è diffi­

cile d istin g u e rli benché siano le g a ti tra di loro.

C ’è la g io ia d i a m a r e D io . Non c ’è gioia superiore a q u esta: c g ià la gio ia del cielo che com incia. In questo m ondo tale gio ia c ap erta a ll’uom o.

C ’è la g io ia d i fa r c o n o s c e r e D io. È la gio ia di chi è incaricato d al Signore, in forza d ella sua vocazione, di far trovare Dio agli a ltri.

C ’è la g i o i a d i s e n t i r s i a m a ti d a D io. È una gio ia più difficile di q u ella di am are D io. È difficile, p robabilm ente perché sapendo che cosa siam o dobbiam o credere che D io ci am a.

Io credo che ci sia però un altro aspetto d ella gioia che non dob­

biam o d im en ticare perché m i pare che in M ad re M azzarello sia m olto p resen te: è la g i o i a d i s p e r a r e il c i e l o .

L a gio ia che viene d alla speranza è un richiam o m olto forte in S. M aria D om enica, sia pur espresso in term in i m olto com uni, secondo il suo modo di fare che non cerca m ai di ap p arire e di d istin g u ersi.

E lla p arla la lin gu a del catechism o, una lin gu a sem plicissim a. N elle sue le tte re questo pensiero d el cielo rito rn a spesso.3

' « ... Il cielo, il paradiso è il fine di tutte le aspirazioni, verso cui si è conti­

nuamente tesi; è il luogo d ’incontro promesso al di là del tempo, verso cui S. M aria Domenica stimola instancabilm ente le sue figlie » ( Ga r r o n e G.-M. Card., P re fa z io n e , in: L e tte r e 12-13).

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1. Gioia di amare Dio

V o rrei aiu tare a riflettere su lla gio ia d i am are D io, su lla g io ia che nasce d all 'am ore d i D io. E, co m plem entariam ente, su lla gio ia che nasce d al sentire Dio am ato.

M a vediam o prim a la gio ia d i am are D io. C rediam o che Dio è fe­

lic e ? C rediam o che Dio ha in sé una vita profonda, per noi im p en etra­

b ile ? Ed esprim iam o, certo come si può con le nostre parole um ane, con le n ostre parole teologiche, che però hanno radice n el V angelo, la nostra fede profonda n e lla T rin ità ? D obbiam o pen sarci, non per trovare la spiegazione d e ll’U nità T rin a d i D io, ma per renderci conto che in Dio c ’è una v ita profonda d i am ore, così profonda che c ’è in lu i una gen e­

razione e che c ’è una P ersona che esprim e questo am ore d el P ad re e del F iglio.

In c e rti m om enti d ella v ita accade q u esto : non ci pensiam o troppo, ma andando a ritro so ci accorgiam o che il pensiero di D io com e P adre

— e non lo possiam o pensare com e P adre se non come avente nel suo seno la generazione d el suo F iglio — ci dà l ’im pressione d i essere asso­

lu tam en te a rriv a ti al fondo, o ltre il quale non si può procedere. Rico­

noscere questa v ita in tern a d i Dio che si esprim e n ella T rin ità è per noi il punto in cui l ’anim a um ana trova il v ertice d ella v e rità e dunque il v ertice d ella gioia.

Non c ’è altro al di là di questo am ore che sta in D io. che si vive da tu tta l ’ete rn ità in Dio e che ci è aperto da C risto come una pro­

m essa di com unione. B isogna credere alla v ita profonda di D io ed es­

sere capaci d i m antenerci accanto a questa v ita profonda che non può non essere una v ita di g io ia in fin ita. L a gio ia in tern a d i D io nasce d a ll’am ore che in D io si svilu pp a tram ite q u esta generazione etern a n ello Spirito Santo.

Dio non rifiu ta a noi q u esta p o ssib ilità di com unicare a lla sua g io ia. Con d isin teresse per l ’im m ediato noi dovrem m o pen sare che Dio ci chiam a a conoscere la sua gio ia da vicino. D obbiam o av ere il coraggio d ella contem plazione. I l vocabolo c o n t e m p l a z i o n e noi lo sentiam o come un p o ’ presuntuoso. A noi c o n t e m p l a z i o n e suona com e una cosa da ricchi s p iritu a li. Dio ci chiam a a questo. Q ui sta la fonte d ella nostra gio ia. La speranza che abbiam o è appunto che questa g io ia in tern a di D io noi stessi la possiam o p ro vare. D obbiam o dunque fin da adesso avere il coraggio d i d ire a D io che siam o lie ti che E gli sia D io, che abbia in sé q u ella v ita profonda di am ore n ella quale c ’è la possib ilità d ’irrad iam en to d i una gio ia in finita.

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Pensiam o a C risto. D obbiam o ritro v arlo n ei m om enti in cui egli si riv e la , essere capaci d i rim anere senza parole dinanzi a ll’anim a di C risto che si apre a n o i: « T i benedico, o P ad re, Signore del cielo e d ella terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sap ien ti e agli in te llig e n ti e le h ai riv e late ai p ic c o li» (M t 1 1 ,2 5 ). Siam o ch iam ati a questa g io ia di C risto dinanzi a suo P adre.

Q uando chiediam o a C risto che cosa d ire n ella p regh iera, eg li ci dice d i godere che Dio sia D io: « P ad re nostro che sei nei c ie li, sia santificato il tuo nom e, venga il tuo regno, sia fa tta la tua vo lo n tà... ».

È strao rd in ario che, in tro d o tti a ll’atteggiam en to d i p regh iera, siam o ch iam ati a questo am ore d i Dio che ci dà la gio ia di pensare a lu i, di chiam arlo « nostro P ad re » , d i sperare che possa esserlo anche per noi e che lo sia.

T u tti g li a ltri asp etti d ella gio ia trovano in q u esta capacità d i con­

tem plazione d ella gio ia in tern a di Dio la loro fonte. Siam o fa tti per q u esto : Dio ci ha chiam ati a essere suoi fig li, ad essere in C risto p arte­

cip i d e lla sua v ita , ch iam ati a lla com unione col P ad re, com e d ice S. G io­

v ann i (cf l G v 1,3).

Un mezzo per co ltivare la gio ia d i am are D io è q u ello di m ettersi in com unicazione con le persone che, attorno a n o i, am ano D io. P rim a di tu tte la V ergin e M aria . C hi può esprim ere l ’am ore d i D io p resente n el cuore d ella V erg in e? C hi d irà a che punto i san ti, S. M aria D ome­

nica p er esem pio, hanno trovato ciò di cui stiam o parlando n ella re­

lazione e n el contatto con la M ado n n a?

Pensando a S. M aria D om enica noi non pensiam o ad un ricordo sto­

rico; e lla v iv e, non è m o rta: vive in D io. E d unque, quando siam o d i­

nanzi alla sua v ita , quando noi la vediam o nel suo am ore sem plice di D io, quando per esem pio dice che non può p assare un quarto d ’ora senza pen sare a D io,4 noi la contem pliam o im m ersa n ella profonda gioia d ello stesso D io.

L a legge che C risto ci ha dato in questo mondo — am are Dio sopra ogni cosa e am arci fra d i noi in Dio — è la stessa legge che vi sarà n el cielo. R itro verem o questa gio ia di sentire D io am ato d a lla V e r­

gin e, am ato d ai san ti, in un modo pieno, n el P arad iso . In questo mondo siam o sep arati g li uni d ag li a ltri per difficoltà leg ate a lla no stra condi­

4 C f D ep o s iz io n e d i S r . P etronilla M azzarello, in : S a c r a C o n g r e g a t i c i R i t u u m ,

Aquen, B e a ttifica tion is e t ca n o n iz a tio n is S e r v a e D ei M a ria e D o m in ica e M azzarello, P rim a e A n tistita e ln s t i t u t i F ilia ru m M ariae A u x ilia tricis, P o s itio s u p e r v ir tu tib u s , S u m m a riu m s u p e r d u b io , Romae, G uerra et B elli, 1934, 215.

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zione di v ita , a i lim iti d e ll’esistenza um ana, così che non è sem pre pos­

sib ile la m utu a ap ertu ra agli a ltri. C ’è un m istero che non possiam o pe­

n etrare e che non rende possib ile la com unione p erfetta in questo m ondo. Q uando sarem o nel cielo tu tto sarà trasp aren te.

Un m otivo d ella gio ia nel cielo sarà trov are Dio n e ll’anim a d ella V ergin e, d iv en tata per noi trasp aren te, n e ll’anim a dei san ti e d i tante anim e che am iam o: lì sarà la com unione p erfetta.

L a strad a che ci fa en trare nel vero cam po di ciò che chiam iam o

« contem plazione » è la v ita in terio re presa a lla sua fonte.

A ppoggiandoci però a ll’am ore che g li a ltri hanno per D io, dobbiam o essere d iscreti e m antenerci al posto che Dio ci dà. N el V angelo ci dice di non occuparci troppo d eg li a ltri: a S. P ietro che chiede che cosa sarà d i G iovanni il Signore risponde: « C he im porta a te ? » (G v 2 1 ,2 2 ).

D io sa che cosa ha da fare con g li a ltri e non ce lo com unica, non ci p erm ette d i en trare n e ll’anim a di un altro per sapere com ’è, com e egli la tra tta . Q uesto è il segreto di D io e d e ll’anim a.

U na com unità che en tra così n el cam po d ella contem plazione, cre­

dendo cioè a ll’am ore d eg li a ltri p er D io, è una com unità che trova v e­

ram en te la strad a d i un a v ita com une m olto discreta e fratern am en te risp etto sa d i ognuno, m a le g ata da vinco li profondi.

O gni giorno n ella celebrazione eu caristica la n ostra unione ci viene d al fatto che possiam o v iv ere d ello stesso P an e, d e ll’unico P an e. Siam o veram en te « uno » , noi che p artecipiam o a lla stessa E u caristia. Si può av ere, si d eve avere un a m anifestazione sem pre più gran d e d ella gio ia che vien e d a ta le com unicazione n ella p regh iera, n ella lode q u o tid ian a, dove tu tti noi diciam o a D io, ciascuno come può, il proprio am ore.

N el lib ro L o s p i r i t o d e l l a li t u r g ia d i R om ano G u ard in i c ’è un ca­

pitolo n el q u ale l ’A u tore cerca d i in terp retare il modo con cu i la C hiesa in ten d e la p regh iera com une.5 E gli so tto lin ea come n ella p regh iera co­

m une D io ci chieda un grande sacrificio: ci chiede d i pren dere d e lle pa­

ro le che non avrem m o forse né il p ensiero, né il gusto d i p ren d ere; per le esigenze d el bene com une siam o o b b ligati a fare com e g li a ltr i, a usare le stesse p aro le d eg li a ltri, ad esprim ere il nostro am ore a Dio in term in i che non sono n o stri. C iò rich ied e un gran d e sforzo d i distacco da noi stessi: la p regh iera com une rich ied e che noi sacrifichiam o il no­

stro gusto agli a ltri.

L ’am ore fratern o non è una carità in più risp etto alla carità verso D io, m a è la c arità verso D io che si traduce n ella com unione m utu a.

5 Cf Gu a r d i n i R ., Lo s p ir it o d e lla litu r g ia , Brescia, M orcelliana, 1961, 70-80.

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Non d obb iamo essere d e lle anim e che pretendono di am are Dio n e l­

l ’esaltazione c in modo id illic o : tu tto deve essere m olto sem plice.

Come occorrerebbe che ogni F ig lia d i M aria A u silia trice si ren ­ desse consapevole di essere ch iam ata a trovare in Dio la fonte d ella sua g io ia: essere lie ta che Dio e sista, che Dio sia am ato, prim a d i pensare a se stessa. A llo ra tu tto il resto segue, anche tu tti gli a ltri asp etti com ­ p lem en tari de lla g io ia, che sono come fium i d iv ersi che hanno però n ella g io ia d 'a m a r e Dio la loro sorgente.

2 . Gioia di far amare Dio

P iù la n o stra anim a si fa co n tem p lativ a, più si m ette dinanzi a Dio e raggiun ge il Signore con la gio ia che è leg ata a questo incontro. Non si può in co n trate Dio senza che la gio ia venga a noi.

Non è un dono solo p er noi: incontrando D io, incontriam o l ’am ore vivo e d un que s ia mo di fatto come trascin ati fuo ri di noi. P iù l ’am ore co n tem plativo è sincero, più ci porta fuo ri di noi, perché q u e s t’am ore è lo S p irito Santo, qu ello S p irito che il giorno di P entecoste è apparso agli A p o sto li sotto l ’im m agine del fuoco. Il fuoco non si può m antenere chiuso, ci trae fu o ri di noi.

M arie de l'ìIncarnation G u yart, una O rsolina francese del X V II secolo, che ha lav o rato in C an ada, ha vissuto in modo strao rd in ario questo am ore di Dio che si è trasform ato in uno slancio in co n ten ib ile di fare am are D io. N elle le tte re scritte al figlio che aveva lasciato in F rancia si percepisce il lavoro di Dio in q u e st’anim a. E lla dice di voler fare il giro d el mondo in sp irito per poter p o rtare al P adre tu tti q u elli che sono sta ti la v a ti nel sangue di C risto . Le sue p agine sono p ien e di questo desid erio che Dio ha esau d ito , perché l ’ha condotta n elle strade del C anada e d e ll’A m erica per tu tta la sua v ita.

S. M aria D om enica M azzarello ha volu to fare, e l ’ha fatto in realtà, questo giro del mondo raggiungendo con lo sp irito tante anim e sparse n elle regioni più lo n tan e.6

D obbiam o d irci che, se l ’am ore d i Dio in noi è un am ore vero, se la nostra gio ia d i am are Dio è au ten tica, si traduce nel bisogno, nella gio ia d i farlo am are.

6 Scrive M adre M azzarello a don Giovanni Cagliero, m issionario in A rgentina:

« Oh che piacere se il Signore ci facesse davvero questa grazia di chiamarci in A m eric a!!! Se non potessimo far altro che guadagnargli u n ’anim a, saremo pagate abbastanza di tutti i nostri sacrifici » (L e tte r e 7, 4).

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Non c ’è una g io ia reale, se non in questo sforzo per fare am are colui che am iam o. È così che si svilu pp a in noi la vera lib e rtà . E ssere lib e ri da sé stessi è la lib e rtà vera. Essa coincide con la gio ia d i non essere ch iusi in sé, ma ap erti, con la gio ia di far am are il Sign o re. B isogna fe r­

m arsi un p o ’ su questo punto. Lo vo rrei cogliere da due an go latu re:

la g i o i a im p a z ie n t e , che è in cap acità di rim an ere tra n q u illi finché il S i­

gnore non è conosciuto e am ato — non c e la vera gio ia c ristian a, la vera gio ia prom essa alle F iglie di M aria A u silia trice così espressam ente d alla loro vocazione, se m anca q u e s t’im pazienza — ; ma insiem e qu esta gio ia deve essere anche paziente: dobbiam o cioè accettare di non essere i testim on i d el nostro lavo ro, d i non avere l ’evidenza del nostro lavo ro, di non godere d el beneficio, dei fru tti d e ll’am ore che sem iniam o attorno a noi.

G io ia im p a z ie n te . Pensiam o alla gio ia d egli A p o sto li a ll’in d o ­ m ani d ella P en teco ste: qu esta gente così tim orosa, così p av id a, che si b u tta fuori del C enacolo, che subito si m ette a p arlare d i C risto , che non può — come dice S. P ietro — non d ire ciò che sa, che non può non p arlare.

È l ’im p o ssib ilità di non com unicare il fuoco che abbiam o in noi.

T utto il lib ro d eg li A tti d e g l i A p o s t o li è pieno di questo fervo re, di q u e­

sta g io ia in tern a di po ter far p artecip i g li a ltri del dono ricevuto . Non è una cosa d istin ta d a lla nostra g io ia, ma un aspetto d ella stessa gio ia.

C ’è q u i u n ’osservazione m olto grave da fare riguard o alla v ita d ella C hiesa d i oggi. Il C oncilio, in d iv ersi d ocum enti, so tto lin ea q u e st’id ea:

dap p ertu tto ci sono tracce evan gelich e; p rep arazio n i m isterio se al V an ­ gelo sono in tu tte le anim e. D ap p ertutto Dio usa d ei m ezzi che sono n elle m ani d eg li uo m in i, anche in relig io n i non cristian e, per p rep arare l ’accesso a C risto nostro Signore. Ebbene, o ggi, alcuni si appoggiano su questo fatto per concludere che le m issioni non sono n ecessarie. Non si può rich iam are il C oncilio e invocare l ’am ore di Dio per non preoccu­

parsi poi d i farlo am are. Q uesto sign ifica che per alcu n i il fatto che il Signore non sia conosciuto è qualcosa d ’irrile v a n te. Il nostro a tte g g ia ­ m ento d e v ’essere d el tu tto opposto. Ho detto come n egli A tti d e g l i A p o ­ s t o l i si m an ifestav a il d esid erio di p arlare d i G esù, di farlo conoscere.

Ciò che Dio fa nel segreto d ei cuori non lo sappiam o; ma accettare di non fare il nostro com pito per farlo conoscere sign ifica che non lo am iam o. È im possibile am are il Signore e conoscere la gio ia di am arlo se non abbiam o in noi la vo lontà e l ’im pazienza che eg li sia conosciuto.

Sono commosso nel co n statare come tu tto questo am ore im paziente si m an ifestav a in sem p licità e chiarezza n e ll’anim a d i S. M aria D om enica.

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Così si esprim ev a a ll’inizio d ella sua opera, parlan do alla sua prim a com pagna circa il lavoro da fare presso le ragazze: im p ed ire anche la p iù piccola offesa di Dio e p o rtarle a fare tu tto per am or suo.7

Chi non sente in se stesso questo desid erio non vede a che punto questo sia il segno vero d ella presenza di Dio n e ll’an im a. M ad re M aria D om enica esprim e questo zelo con asso luta sem p licità e senza la m inim a ricercatezza di espressio n e.8

T u tto questo m i sem bra il segno vero d ella q u alità au ten tica in u n ’an im a. O gni F iglia di M aria A u silia tric e dovrebbe scoprire quale v e rità è contenuta dentro a q u esta gio ia im paziente di M ad re M azzarello d i far conoscere e am are il Sign o re, q u ale bellezza, q u ale u m iltà , quale sem p licità.

G io ia p a z ie n t e . La gio ia di far conoscere e am are il Signore chiede a noi tan ta pazienza. C ’è un solo P asto re; tu tti g li a ltri non sono che stru m en ti. Uno solo conosce le an im e, le chiam a, sa il nome di ognuna.

C ’è uno solo la cui voce è sensib ile a ll’anim a d eg li u o m in i: è la voce del Sign o re, non la nostra. La sua voce, la sua paro la è l ’unica che può cam biare le anim e. Se dun que noi non otteniam o q u e st’ap ertu ra delle anim e, non dobbiam o stu p irci, offenderci, av er p au ra. È il Signore che d eve pren dere possesso d elle anim e, non noi. I l lavoro per far am are D io d e v ’essere, da p arte n o stra, p rivo d i ogni in teresse personale. P er questo la riu scita può risu lta re pericolosa nella m isura in cui può sem ­ b rarci fru tto d ella nostra opera. Il Signore è m olto buono con noi non dandoci l ’evidenza d ella riu scita del nostro lavoro. C ’è un p erico lo più grande n ella riu scita che n e ll’insuccesso.

S. Francesco di Sales dice spesso che occorre accettare l ’idea che a ltri possano riu scire dove noi non siam o riu sc iti, che a ltri o ttengano il risu ltato d el nostro lavoro e d ella n ostra sofferenza. B isogna essere ca­

paci di rin graziare Dio quando lo vediam o conosciuto e am ato anche se in questo esito non risu lta per n u lla il nostro lavoro.

7 « ... Accetterem o qualche ragazza [diceva M aria Domenica a ll’amica Petro­

nilla M azzarello] che vorrà im parare a cucire e le insegneremo col fine principale però [ ...] di toglierla dai pericoli, di farla buona e specialm ente di insegnarle a conoscere e amare il Signore » : Ca p e t t i G. (ed.), C r o n is to r ia d e l l ’i s t i t u t o d e lle F ig lie d i M aria A u silia trice, Roma, Istituto FM A , 1974, I, 98.

* « Sento che [ ...] avete molto da fare per le ragazze che vengono al catechismo.

Sono proprio contenta che avete tanto da lavorare per la gloria di Dio e per la salute delle anime » (L e tte r e 37, 2).

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R icordiam o la tentazione che S. T eresa d i G esù B am bino provava quando qualcun a spacciava per suo un lavoro o un pensiero che le i aveva fo rm ulato . L ei stessa rin graziav a Dio per la luce che E gli p ro iettav a su lla sua m iseria e piccolezza: la v alu tav a un a grazia p iù grande che u n ’illum in azio n e su lla grandezza di Dio.

E la strad a g iu sta. Q uesta p o vertà in terio re accettata apre la v ia al Sign o re, g li p erm ette di essere p er noi veram ente il nostro P ad re, l ’autore d el nostro b en e; a noi p erm ette d i essere asso lutam en te d ed iti e abban­

d o n ati a l suo am ore.

L a gio ia di far am are Dio può sem brare d iv ersa d alla gio ia di am are D io; in re a ltà si tra tta di una ved u ta p iù in p ro fo n dità d ella p resa di possesso d ella nostra anim a da p arte di D io. O gni F ig lia d i M aria A u si­

lia tric e dovrebbe lav o rare p er creare tra le giovani rad u n ate n egli am ­ b ien ti ed u cativ i questo clim a di g io ia, d i purezza, di chiarezza, n el quale l ’am ore di Dio possa farsi strad a. D obbiam o, in fa tti, an d are m olto più in là di un modo d ’in tend ere l ’a lle g ria , la gio ia salesian a, sotto l ’aspetto esterio re. L ’a lle g ria , la gio ia salesian a non è qualcosa di solo esterio re.

È un a g io ia in terio re che si traduce a ll’estern o . É la g io ia di am are Dio e di farlo am are.

3. Gioia di sentirsi amati da Dio

Dopo aver riflettu to su lla gio ia che viene d a ll’am are Dio e d al farlo conoscere dobbiam o ferm arci su lla g io ia d i sentirci am ati d a D io.

D obbiam o credere a ll’am ore d i Dio per ciascuno di noi. È un am ore che raggiu n ge realm ente ciascuno: « V ivo n ella fede di C olu i che mi ha am ato ed è m orto per m e » ( G al 2 ,2 0 ).

Non possiam o am are Dio in v e rità, né farlo am are senza la fede nel suo am ore per noi. Il salm ista si stupisce al pensiero che D io, che ha creato il cielo e la terra, possa am are una creatu ra m iserab ile come sia ­ mo noi (cf S l 8,4-5 ).

In certi m om enti credere questo è più difficile che credere v erità più profonde che non siano così vicine a lla n ostra esperienza q u o tid ian a.

Noi sappiam o ciò che c ’è in noi, sappiam o cosa siam o, sappiam o ciò che c ’è n el nostro cuore, ciò che accade n ella nostra anim a. P ensare che D io ci am a, che si occupa di noi, che è vicino a noi, che ci conosce p er nom e, costa uno sforzo. Q uando, sfo rtu n atam ente, qualche occasione di m inore genero sità o un p o ’ di assenza di fed eltà ci ha rovinato l ’anim a, viene da ch ied erci: « V eram en te Dio m i am a? » . In ogni caso la r i­

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sposta va cercata in questa lin e a : credere con un profondo atto di fede che noi siam o am ati da D io.

C ’è una gio ia singolare che scaturisce da questo atto di fede. In certe ore Dio ci dà la gio ia d i accorgercene, d i accorgerci che c ’è in noi q u esta gio ia di am arlo. Non è presuntuoso pensare d i avere in noi q ue­

sta gio ia: è un dono di D io, ma c’è in noi. D al m om ento che abbiam o in noi la g io ia di am are D io, abbiam o l ’evidenza che Dio ci am a. Come potrebbe esserci in noi l ’am ore p er D io, se Dio non ci am asse p er prim o (cf l G v 4 ,1 9 )? È Dio che ha l ’in izia tiv a e d u n q u e, quando noi sentiam o un m ovim ento verso di lu i, ciò significa che D io ha già fatto un m ovi­

m ento verso di noi. L ’am ore di Dio nel nostro cuore è segno, è frutto , è l ’eco d e ll’am ore di Dio per noi.

Incontrando nel V angelo il dialogo tra qualcuno e C risto , noi dob­

biam o pensare che siam o ch iam ati allo stesso dialogo . Q uando noi d i­

ciam o a Dio che vogliam o am arlo , che l ’am iam o, è D io che ci dice che ci am a. Non potrebbe sv eg liarsi nel nostro cuore un m ovim ento verso D io se Dio non fosse prim a sceso verso di noi. D irei che la gio ia di am a­

re Dio « si sdoppia » n ella g io ia di sen tirsi am ati da lu i.

Non dobbiam o credere a ll’am ore di Dio in g enere: siam o in v itati da Dio a credere al suo am ore verso ciascuno d i noi. Non è o rgo glio , p re­

sunzione, tem erità; è la v erità stessa d ella fede: « V ivo n ella fede di colui che m i ha am ato — P aolo p arla in prim a persona — ed è morto p er m e » (G a l 2 ,2 0 ).

B asta lasciare il nostro cuore andare av an ti verso di lu i e trovare in questo sem plice fatto d e ll’am ore che è in noi, ma non è nostro, l ’ev i­

denza d e ll’am ore a t t u a l e d i D io per noi.

D io non ci am a in astratto , ma in realtà, più che ogni altro . N ella p o ssib ilità che abbiam o di am arlo troviam o la prova evid en te, per fede, d el suo am ore per noi.

C i am a ciascuno con il nostro nom e, q u el nome che egli solo cono­

sce, come chiam ava P ietro , M aria , F ilip p o ...

N ella nostra anim a ci sono spesso a questo riguardo d eg li in terro ­ g a tiv i, dei d u b b i: « È po ssib ile che Dio possa in teressarsi a m e? » . La prova è il nostro am ore per lu i: « N essuno viene a m e se non lo attira il P adre » (G v 6 ,4 4 ).

L ’am ore di Dio è a t t u a le , p erm anente: e g li è in noi. C i ha dettato egli stesso le parole del colloquio che intesse con noi: ecco i salm i, con i q u ali Dio m ette sulle n ostre lab b ra ciò che dobbiam o rispondere al suo am ore.

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Se noi pensiam o alla nostra gio ia di farlo am are, abbiam o u n ’altra prova d el suo am ore per noi. Se non am assim o D io, in fa tti, non ci in te ­ resserebbe di farlo am are. M a, allo stesso tem po, se noi lo am iam o è perché e g li ci am a. Q uando P ietro nel m om ento d e lla proclam azione d ella sua fede dice al Signore di credere che eg li è veram ente il F iglio di D io, G esù risponde: « Non la carne e il sangue te l ’hanno riv elato , ma il P adre m io ... » (M t 1 6 ,1 7 ).

La volontà d i serv ire il Sign o re, di p o rtare agli a ltri la n ostra gio ia di am arlo è la prova d ella presenza di Dio in noi, è il segno d ella p re­

senza in noi d ello stesso am ore d el F iglio verso il P ad re. Non p o trem ­ mo p regare D io se eg li stesso, m ed ian te lo S p irito Santo presen te in noi, non guidasse la n o stra p regh iera p erm ettendoci di ch iam arlo P ad re. Il nostro am ore, qu an tu n q u e im p erfetto , è veram en te il fru tto d ello S p irito n ella nostra anim a che ci p erm ette di chiam are Dio P adre (cf R orn 8 ,1 5 ).

La nostra stessa debolezza d e v ’essere per noi u n ’occasione m erav i­

gliosa per acq u istare a poco a poco qu esta certezza: « Sono am ato da Dio » . C hi avrebbe il coraggio di p en sarlo ? Se Dio non lo volesse e non ce l ’avesse d etto , chi lo cred ereb b e? I l Signore si è chinato su di me e ha voluto am arm i; m i ha voluto da tu tta l ’e te rn ità , m i chiam a con il m io nome e risv eg lia in me una capacità di am arlo che non è m ia.

È il P ad re che fa questo in noi, continuando ciò che da tu tta l ’etern ità fa am ando suo F ig lio . Q uesta è una grande fonte di gio ia.

U n altro segno d e ll’am ore di Dio verso di noi, un segno che può esserci di m olto aiu to , è la conoscenza, l ’in tellig en za che Dio ci dà del suo m istero e del suo am ore n e ll’E u caristia. L ’in tellig en za d e ll’E u cari­

stia è una prova d e ll’am ore di Dio per noi. N ell’E u caristia eg li ha v era­

m ente riassun to tu tto il suo lavoro di dono p erson ale; si è asso lu ta­

m ente dato per noi, è sceso fino al fondo e ci ha dato q u esta com unica­

zione m erav iglio sa, dinanzi alla q u ale il pensiero um ano, il cuore um ano, come quello d ei G iu d ei, non vuole credere. Q uando G esù dice ai G iudei che devono m an giare « questo P ane » p er en trare n ella v ita , i G iudei dicono che questo è troppo (cf G v 6 ,5 2 ). Non capiscono, non possono cap ire. È un segno d ella grazia di Dio l ’in telligen za di questo m istero ; è in noi una luce che non viene da noi. N el V angelo di S. G iovanni le g ­ giam o che quando g li A p ostoli accettano d i stare con G esù — « Da chi andrem o, T u solo hai paro le d i v ita etern a » (G v 6 ,6 7 ) — G esù afferm a:

« N essuno può ven ire a me se il P adre non lo a ttira » (G v 6 ,4 4 ).

L ’E u caristia resta per m o lti un obbligo sacram en tale; in realtà è il punto suprem o d ella nostra gio ia sp iritu ale , è la com unione al m istero

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d i C risto com unicato a noi sotto le form e eu caristich e. Q uale grazia è q u esta! E la grazia non è una cosa che D io ci d à, è la presenza d i Dio.

Non possiam o cap ire, g u stare il dono di Dio se D io non ci dà la cap acità di capirlo e g u starlo . In qu esta cap acità è la prova che Dio ci am a.

D ire a Dio n ella com unione che noi lo am iam o è un modo d i d irg li che ci sentiam o am ati da lu i.

D obbiam o custo dire qu esta gioia n ella sua form a più p u ra e tran ­ q u illa . La V ergin e ci dà l ’esem pio più pieno di qu esta gio ia d i sentirci am ati da D io: « T u tte le generazioni m i chiam eranno b eata » (L c 1,48 ).

M aria è lie ta d i sentire il dono che D io le ha fatto , di sentire fino a che punto Dio è stato buono con le i chinandosi verso la sua u m iltà.

Possiam o anche noi d ire a Dio questo M a g n ific a t , come una prova di riconoscenza, m a, ancora di p iù , come u n ’afferm azione d ella nostra fede asso luta nel suo am ore p er noi. A m ati d a lu i, non possiam o am arlo se e g li non ci am a per prim o.

È una nuova fonte di g io ia, q u esta, anche se è la stessa gio ia vista sotto un altro asp etto. D obbiam o sfru ttare a fondo q u esta g io ia, non p erm ettendo m ai che n el nostro cuore si perda q u esta certezza, n ella fede, d e ll’am ore di Dio p er noi.

Le anim e più care a Dio sono p iù esposte alla tentazione d i perdere q u esta certezza in tern a , di tro v are d elle false ragioni per p erd ere la fe­

lic ità d i sen tirsi am ate da D io. Il dialogo che troviam o nel V angelo con persone così care a C risto — M ad d alen a, P ie tro ... — è l ’esem pio di ciò che d e v ’essere la nostra fede profonda: sen tirci am ati. Q u elli che ci am a­

no su lla terra non ci am ano m ai fino in fondo perché non ci conoscono fino in fondo, non conoscono né il nostro bene a fondo, né il nostro m ale. L ’am ore um ano è un am ore lim itato ed è un am ore che può sem ­ pre perdere qualcosa del suo fervo re. Dio è fedele. A nche se noi siam o in fed eli — ci dice S. Paolo — egli è fed ele (cf 2 T im 2 ,1 3 ).

La serenità che si vede sul volto e si coglie n ella parola e n ella v ita di S. M aria D om enica è il segno di qu esta certezza profonda: Dio ci am a.

4. Gioia di sperare il cielo

Se la gio ia d ella q u ale abbiam o p arlato finora si lim itasse p er noi a lla gio ia del presente non avrem m o capito esattam ente ciò che il S i­

gnore vuol d irci.

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A lla gio ia di am are il S ign o re, alla gio ia d i farlo am are e d i sentirsi am ati da lu i si deve aggiu n gere la gio ia d i sperare il giorno in cui lo vedrem o. C hi non vede che la gio ia di cui abbiam o p arlato non è altro che una serie d i asp etti d e lla gio ia d el cielo d im o stra d i non aver capito né la g io ia di o ggi, né la gio ia prom essa per dom ani.

Non possiam o non riconoscere n ella p aro la d el Sign o re e nel V angelo qu esta chiam ata a lla gio ia che ci asp etta n el regno d i D io, q u esta ven uta d i C risto : il m om ento in cui tu tto ciò che C risto ha v o lu to , tu tto ciò che il P ad re l ’h a in caricato d i attu are sarà un fatto com piuto. P aolo anela a l m om ento in cui sarà con C risto (cf F il 1 ,2 3 ), G iovanni al m o­

m ento in cui sarem o sim ili a Dio perché lo vedrem o come E gli è (cf l G v 3 ,2 ). I p rim i c ristian i sono tu tti p resi d a ll’attesa perché C risto aveva fatto loro sperare so prattu to la gio ia del cielo.

La nostra g io ia è una gio ia d i speranza. S. M aria D om enica, n el suo sem plicissim o lin gu aggio così b ello , così pieno d i fed e ltà, chiam ava « il P arad iso » q u esta gio ia che ci asp etta.

D obbiam o avere il coraggio d i ten ere g li occhi fissi al m om ento in cui C risto sarà dinanzi a noi n ella pienezza d e lla sua g lo ria e noi l ’a ­ vrem o raggiun to in pienezza d i lu ce, in una gio ia senza lim ite.

Io penso che non sarei fed ele alla lin ea d a ta da S. M aria D om enica, se non facessi una riflessione profonda su lla g io ia che ci asp etta. L a q u e ­ stione non è d i trad u rre q u esta p ro sp ettiv a d ata d alla n o stra fed e con im m agin i facili e, in u ltim a an a lisi, p u e rili. L a cosa è m olto profonda:

dobbiam o sapere che cosa asp ettiam o .

T an te vo lte S. M aria D om enica nelle sue le tte re apre q u esta p ro ­ sp ettiv a e m i piace che la ch iam i con il nom e cristian o : « il P arad iso » . P en siam o un p o ’ a come la S an ta ha espresso, in term in i m olto sem plici e p erfettam en te g iu sti, la chiave d e lla scoperta d i che cosa è la gio ia prom essa da C risto , quando ha scritto : « D ove regna la carità v i è il P arad iso » .9 Non si può d ire di p iù ; non si può d ire m eglio.

Q u ale conoscenza strao rd in aria c ’è in questo , q u ale senso profondo d ella co n tin u ità che esiste tra la felicità che D io ci pro m ette n e ll’altra vita e la gio ia che abbiam o potuto trov are in questo m ondo am ando D io e p artecipand o , p artico larm ente n ella com unione eu caristica, a ll’a­

more div in o p er noi!

Q uesta espressione, nel paradosso d ella sua sp on tan eità, è qualcosa d i lum in o so : « D ove regna la carità vi è il P arad iso ».

9 L e tte r e 49, 3.

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D obbiam o avere il senso di qu esta co n tin u ità tra il presen te e l ’av ­ v en ire, tra la nostra v ita di gio ia in questo mondo difficile, im p erfetto , duro, e il mondo da v en ire. La gio ia d i questa v ita è g ià fatta d ella gioia d i dom ani; e la gio ia d e ll’a ltra v ita continuerà la gio ia di o ggi: è la stessa gio ia. T ra il presen te e il futuro — tra la gio ia di oggi e la g io ia d i do­

m ani — c ’è om ogeneità asso lu ta: la gio ia d el cielo è fatta di c arità ed è la stessa c arità che v iv e adesso nel nostro cuore.

Non dobbiam o pensare che noi lascerem o alla porta d el cielo le nostre banconote p er cam b iarle con oro. P orterem o tu tto e n ie n t’altro che quello che è stato carità n ella nostra v ita.

D om ani sarem o v iv i d ella carità che oggi abbiam o nel cuore. E tu tto ciò che la n o stra v ita av rà potuto p resen tare, realizzare e, d ire i, in qualche modo « eternizzare » con la c arità, sarà proprio la stru ttu ra in tern a d ella nostra anim a n e ll’altra v ita.

N el m om ento in cui la c arità tocca n ella n ostra v ita q ualcosa, su­

bito qu esta cosa è etern izzata, perché, come dice P aolo, la carità rim ane, non m uore (cf l C o r 1 3 ,8 ). N iente d ella v ita di oggi sarà assente dom ani:

carità verso g li a ltri, c arità verso D io, la gio ia d elle cose b elle d el m on­

do, la gio ia di vedere un fiore e d i trov arlo bello d av an ti a D io, come faceva C risto . Q uando sarem o n el regno di Do sarem o felici d i una g io ia che sarà fa tta di tu tti q u esti elem en ti v issu ti di nuovo in u n ’altra lu ce, che non è più q u ella d e lla fede, ma la luce p erfetta d ella visione.

Siam o forse un p o ’ in clin i a separare la carità di Dio d alla carità verso il prossim o a causa d el modo in cui si p resen ta a noi la c arità sotto form a di p recetto : c ’è un p recetto di am are Dio e d i am are il prossim o.

I l p recetto di am are Dio e il prossim o non ci sarà più n e ll’a ltra v ita ; ma la c arità che avrem o avuto verso il prossim o, questa carità con tu tte le sue d eterm in azion i, rim arrà perché è d ella q u alità d elle cose che non m uoiono. R itro verem o tu tto ciò che è c arità. S. Francesco d i Sales spes­

so dice che le am icizie d i questo m ondo non sono cose che possono spa­

rire ; al co n trario, saranno la sostanza d ella nostra v ita quando sarem o dinanzi a Dio.

« D ove regna la c arità vi è il P arad iso » . Non vuol d ire solo che dove è la carità siam o felici. La Santa vede m olto più a fondo e m olto più in là . V uol d ire che il P arad iso è fatto di questo, è co stitu ito di questo . Non abbiam o altro v alo re, noi, che il valore di carità che la nostra v ita avrà potuto raggiu n gere.

L a d isco n tin u ità consiste solo in q uesto : ciò che si è vissuto come carità in questo m ondo si è vissuto sotto la luce d ella fede; in cielo tu tte le om bre spariscono, in cielo è piena luce: lì vediam o che Dio ci am a,

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che è P ad re, che C risto è in noi. S. P aolo lo dice in term in i ch iarissim i:

« ... perché anche la vita di G esù si m an ifesti » (2 C o r 4 ,1 1 ). Il cielo è il m om ento in cui il S i g n o r e s i m a n ife s t a in noi. P rim a, lo vedevam o solo con la fed e; in cielo lo vedrem o come u n ’evidenza.

Un au to re, p arlan do d ella V ergin e, ha u n ’espressione strao rd in aria per p rofondità e chiarezza. Si chiede che cosa è l ’assunzione d ella V er­

gin e: è il m om ento in cui ella vede che era la M adre d i D io. Non si può dire m eglio. Ciò che M aria ha cred uto, ciò che aveva avuto la gio ia di credere, ora lo vede. M aria c r e d e v a che era la M adre di D io; n e ll’assun­

zione vede che è la M ad re di Dio.

In cielo vedrem o anche che siam o fra te lli. O ggi lo crediam o con la fede; dom ani lo vedrem o perché la nostra frate rn ità non è soltanto una realtà fatta dei no stri m utu i sen tim en ti, ma una realtà ontologica.

Non è una fratern ità a parole, ma in v e rità ; siam o veram ente figli di D io, non a p aro le, ma in v e rità, come dice S. G iovanni (cf lG v 3 ,1 ).

Q uesto è il cielo : nien te di nuovo, ma tu tto nuovo. N iente che si possa aggiun gere a ciò che era, ma l ’evidenza che non siam o sta ti in ­ gan n ati, che tu tto era verità. V edere che D io è veram ente il P ad re, ve­

derlo n ella sua n atu ra: P ad re che da tu tta l ’etern ità genera il F iglio ; vedere l ’am ore m utuo tra P adre e F iglio che è lo S p irito Santo.

Q ueste cose che diciam o con tanta difficoltà, questo Dio al quale p arliam o la lin gu a d ella filiazione « con g em iti in en arrab ili » (R o m 8 ,2 6 ), tu tto questo noi lo vedrem o. O ra lo crediam o ; ma c ’è sem pre nel modo in cui p arliam o la lin g u a filiale qualcosa che costituisce un lim ite di percezione, analogo alla differenza che c ’è tra il credere che esiste la città di R om a e il vederla.

Q uando verrà la luce noi potrem o vedere C risto e C risto in noi come u n ’evidenza. V edrem o che siam o in v erità figli d i Dio e Dio ci farà vedere a modo di evidenza d ire tta che il suo am ore verso di noi è l ’a­

m ore di un P ad re che vuole essere am ato n el suo F iglio come eg li am a lo stesso suo F iglio G esù. Q uesto è il senso d ella m orte per noi: asp et­

tare il m om ento in cui si m an ifesterà C risto.

V edrem o in o ltre che siam o fra te lli tra noi. Credo che questo sia un punto sul quale dobbiam o spesso ferm arci. L ’am ore fraterno in una com unità appare com e una fonte d i g io ia: una com unità in cui regna l ’am ore m utuo e già un poco di P arad iso . La p aro la di S. M aria D om eni­

ca è vera anche in questo senso.10 M a c ’è m olto di p iù . C ’è tra noi una

« Datemi presto questa consolazione, mie care figlie: am atevi tra di voi con vera carità. [ ...] Dove regna la carità vi è il P a ra d iso » (L e tte r e 49, 2-3).

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relazione in tern a p iù profonda di q u ella che può creare il sangue. La fratellan za di sangue tra i m em bri d ella stessa fam iglia è nien te in con­

fronto con q u e ll’un ità che in C risto ci vincola tu tti e che g ià ci riunisce n e ll’om bra d ella fede.

Q uando C risto ci chiede di am arci tra noi com e lu i ci ha am ato è perché lu i fa questo in n o i. L a nostra carità fratern a è un dono, come la nostra vita p erson ale; e q u in d i quando sarem o dinanzi a D io, con C risto vivo ed evid ente in noi, la realtà d ella com unione fratern a sarà an ch ’essa una re a ltà ev id en te. Sarà passare da un am ore fratern o che è stato p er noi uno sforzo notevole d ella vo lontà, n ella fede, a un m o­

m ento in cui non ci sarà p iù tra noi nessun ostacolo d i com unicazione, dove la com unione tra noi sarà in te g rale come lo sarà con C risto e il P ad re nello S p irito ; questo sarà il cielo.

Sarà così anche con l ’anim a d ella V ergin e. G ià q u i ci attrae la sua im m acolatezza. Un giorno traverserem o il suo m istero , la sua immaco- latezza: tu tto questo sarà nostro, questa realtà del cuore d ella V ergine pieno d e ll’am ore di Dio.

V edere non con la speculazione dei filosofi, ma vedere che tu tte le cose d ette d alla fede erano v ere; non credere più in Dio ma ved erlo ; non d irg li P ad re con la forza d ella volontà ma per l ’evidenza d ella sua luce e d el suo am ore; vedere che C risto viv e in n o i; vedere che siam o fra te lli n e ll’u n ità di q u ella com unione creata d alla volontà sovrana del P ad re, d al sacrificio di C risto , d alla grazia di D io; vedere che siam o uno tra noi avendo vissuto d ello stesso P an e: questo è il cielo.

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