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LA FILIAZIONE DOPO LA RIFORMA

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C ORTE S UPREMA DI C ASSAZIONE

UFFICIO DEI REFERENTI PER LA FORMAZIONE DECENTRATA

ROMA, 14 NOVEMBRE 2013

AULA MAGNA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

LA FILIAZIONE DOPO LA RIFORMA

MICHELE SESTA

ordinario di Diritto civile dell'Università di Bologna

STATO UNICO DI FILIAZIONE E SUCCESSIONI

BOZZA DI RELAZIONE

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Sommario: 1. Parentela, famiglia e successioni nello specchio dell'unico stato di filiazione - 2. I profili successori: la “nuova” disciplina - 3. Il trattamento successorio dei figli non riconoscibili – 4. Le disposizioni transitorie e il problema

della retroattività delle nuove regole.

1. Parentela, famiglia e successioni nello specchio dell'unico stato di filiazione

La disposizione centrale – attorno alla quale ruotano l’intera legge 10 dicembre 2012, n. 219, in tema di stato unico di filiazione ed il relativo decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 luglio 2013, attualmente in fase di definitiva adozione1 – è sicuramente quella relativa all’art. 315 del codice, rubricato “Stato giuridico della filiazione”, la quale afferma che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. A questa norma si collega quella che, modificando l’art. 74 c.c., stabilisce che “la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”. A detta disposizione si allaccia, infine, quella che modifica il testo dell’art. 258 c.c., secondo il quale “il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”.

È evidente che, in forza delle citate disposizioni, il soggetto - una volta conseguito lo stato di figlio a seguito della nascita da genitori coniugati, del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale2 - diventa parente delle persone che discendono dallo stipite dei suoi genitori: egli, quindi, entra a far parte della loro famiglia (estesa), indipendentemente dal fatto che sia stato concepito nel, fuori o contro il matrimonio. Ciò vale anche per il figlio nato da

1 Lo schema di decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 12 luglio 2013 e di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, può leggersi in: Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica della relativa disciplina, presieduta dal Prof. C. M. Bianca (“Commissione Bianca”), Relazione conclusiva, in

http://www.politichefamiglia.it/media/84314/relazione%20conclusiva%20commissione%20bianca.pdf (link consultato 4 novembre 2013), 112; all'indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/714350.pdf (link consultato: 12 novembre 2013) si può consultare l'Atto del governo sottoposto a parere parlamentare n. 25, relativo al citato decreto attuativo.

2 Cfr. infra, nota n. 30.

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genitori tra loro parenti che, in base al nuovo testo dell’art. 251 c.c., può essere riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Di più, il figlio può trovarsi inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna, tra loro non comunicanti, come sino ad ora di regola accadeva, grazie al vincolo di affinità.

Sembra a chi scrive che dalle norme sopra citate risulti radicalmente modificata la nozione di famiglia legale, che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente prescindono da esso. Si pone quindi l’interrogativo della coerenza di tale nuovo assetto rispetto a quanto enunciato dal primo comma dell’art. 29 Cost., che pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e dall’art. 30, ultimo comma, Cost. Ci rendiamo conto che la prospettazione della questione possa sembrare eccentrica, se si pensa che la legge di cui trattasi è stata auspicata da autorevoli studiosi proprio per attuare principi costituzionali3 ed è stata approvata con larghissime maggioranze; tuttavia, a ben vedere, non pare così agevole conciliarne gli effetti con il modello costituzionale di famiglia.

In primo luogo, si intende dire che, in virtù delle disposizioni in esame, il matrimonio non si configuri più quale necessario presupposto per dar vita a relazioni legalmente familiari, che sorgono oramai indipendentemente dalla sussistenza del vincolo, cosicché può affermarsi che esso dispieghi ora effetti esclusivamente con riguardo al rapporto tra coniugi e non impinga sui rapporti giuridici della loro discendenza, se non con riguardo alle differenti modalità di accertamento dello stato di filiazione4. Né, al fine della valutazione di compatibilità di cui trattasi, soccorre l’art. 2 Cost., considerato che la famiglia di cui si discorre è di “diritto” e non di “fatto”, e che quindi essa non pare potersi assimilare ad una generica “formazione sociale”, configurando a tutti

3 Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1; Id., Dove va il diritto di famiglia?, in Familia, 2001, 9;

Ferrando, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, II ed., Torino, 1997, 131.

4 Cfr. criticamente Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in NGCC, 2013, 201.

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gli effetti quella famiglia ricompresa necessariamente nell’orbita dell’art. 29 Cost. Ed anche a voler interpretare l’art. 29 Cost. come fattispecie aperta, volta a ricomprendere in essa i modelli familiari concretamente esistenti nella realtà sociale5, resta pur sempre il fatto che la disposizione non sembra affatto consentire di includervi relazioni senza matrimonio6.

Sotto altro riguardo, occorre aggiungere che, in forza delle nuove regole, pare altresì affievolirsi, fino forse ad annullarsi, il principio della compatibilità della tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori dal matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, richiamato nel terzo comma dell’art. 30 Cost.7, atteso che di famiglia legittima pare oramai non sia più dato parlare. Si pensi al caso di un genitore coniugato e padre di figli nati nel matrimonio, che generi un figlio fuori del matrimonio. I suoi figli – tra loro fratelli consanguinei – vantano verso il padre ed i suoi parenti identici diritti, sia di natura personale – cura, mantenimento, istruzione, educazione – che di carattere patrimoniale e successorio. Ai figli nati fuori del matrimonio il padre non potrà in alcun modo opporre la compatibilità dei suoi doveri nei loro riguardi con l'adempimento degli obblighi nei confronti dei figli matrimoniali, né sul piano qualitativo – in termini di tempo e assiduità della cura –, né tanto meno sul piano quantitativo delle risorse, cioè, messe a disposizione.

Un qualche rilievo alla predetta disposizione, altrimenti destinata a diventare un ramo secco della Costituzione, potrebbe configurarsi con riguardo alla previsione dell’art. 2, comma 1, lettera e), n. 1, l. n. 219/2012, che manda al legislatore delegato di emanare una disciplina attinente all’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell’uno o dell’altro genitore, che rimetta esclusivamente al giudice la predetta valutazione di compatibilità: previsione invero poco felice, intesa ad eliminare l’adesione del coniuge e dei figli matrimoniali all’inserimento del figlio nato fuori dal

5 Sesta, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, II ed., I, sub art. 29 Cost., Milano, 2009, 67.

6 Si vedano in proposito le risolute affermazioni di Trabucchi, Natura legge famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 1.

7 Sesta, in Codice della famiglia, cit., sub art. 30 Cost., 89.

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matrimonio, ragionevolmente richiesta dall’art. 252 c.c.8 ed eliminata anche nel testo del decreto delegato.

Con riguardo ai profili successori oggetto specifico di questa relazione, è interessante notare che il tema della compatibilità con i richiamati precetti costituzionali dell’attribuzione di diritti ereditari ai figli naturali venne ampiamente in risalto a seguito della riforma del diritto di famiglia, specie con riguardo alla modifica della disposizione dell’art. 566 c.c., che equiparò figli legittimi e figli naturali ai fini della successione ai genitori. In proposito, alcuni autori fecero persuasivamente rilevare che invero detta disposizione non confliggesse né con l’art. 29 Cost. né con l’art. 30 Cost., sul presupposto che ai fini della successione legittima assume rilievo solo il rapporto tra defunto e successibile, senza riferimento al gruppo familiare e ai diritti dei suoi membri9.

Proprio sulla base di tali considerazioni, è agevole per contro constatare che l’intervento del legislatore del 2012 si muove su un piano diverso da quello propriamente successorio appena descritto, in quanto attua direttamente l’inserimento del figlio non matrimoniale nel gruppo familiare del proprio genitore, avendo creato il vincolo di parentela che sancisce l’appartenenza alla famiglia: vincolo che, direttamente, produce rilevanti conseguenze sul piano successorio. Una cosa è estendere la chiamata alla successione di un determinato “parente naturale”, altra cosa è collocarlo tout court nell’ambito della parentela e, quindi, della famiglia: né pare rilevante, in questo contesto – che più propriamente riguarda l'ambito di tutela previsto dall'art. 29 Cost. –, distinguere tra famiglia ristretta e famiglia estesa, come lo è invece ai fini del giudizio di compatibilità di cui all’art. 30, ultimo comma, Cost.10.

Alla luce di quanto precede, i riflessi successori delle disposizioni già entrate in vigore ed in particolare di quelle che modificano gli artt. 74 e 258 del codice civile sono di tutta evidenza. Non vi è dubbio infatti che, in virtù del

8 In argomento, Lena, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, cit., sub art. 252, 1196.

9 Busnelli, Sui criteri di determinazione della disciplina normativa della famiglia di fatto, in Famiglia di fatto. Atti del convegno di Pontremoli, Pontremoli, 1977, 133; Santoro-Passarelli, Parentela naturale, famiglia e successione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, 27; in argomento cfr. Costanza, in Comm. dir. it. fam., Cian, Oppo, Trabucchi, V, Padova, 1992, sub art. 566, 99.

10 Bianca, Dove va il diritto di famiglia?, cit., 9.

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rapporto di parentela che si instaura tra il figlio, anche di genitori non coniugati, e i relativi consanguinei, egli, diversamente da quanto sino ad ora accadeva, sia chiamato a pieno titolo alla successione legittima sulla base di quanto disposto dagli artt. 565 e seguenti c.c.. Da un punto di vista pratico questo effetto è tra i più rimarchevoli di quelli prodotti dalla novella.

2. I profili successori la “nuova” disciplina

Passando ad analizzare nello specifico i più evidenti riflessi successori della riforma, risulta, in primo luogo, modificata la disciplina della rappresentazione, atteso che quanto previsto dall'art. 468 c.c., con particolare riguardo alla linea collaterale, e cioè che la rappresentazione ha luogo a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto, vale d'ora in poi a favore dei discendenti, anche non matrimoniali, dei fratelli e delle sorelle “naturali”11.

Con riguardo alla successione necessaria, deve ritenersi che tra i legittimari di cui all’art. 536 c.c. vadano inclusi anche gli ascendenti naturali, risultando così abrogato in parte qua il disposto dell’art. 538 c.c., che non li ricomprendeva nella quota di riserva ivi contemplata. Inoltre, a seguito dell’affermazione del principio dell’unicità dello stato di figlio e dell’abrogazione della legittimazione (art. 1, comma 10, l. n. 219/2012), risulta abrogato l’istituto della commutazione previsto dall’art. 537, comma 3, c.c.12.

Relativamente alla successione legittima, è evidente che essa subisce una profonda modificazione, perché il combinato disposto dell'art. 74 c.c. e delle svariate specifiche norme del Libro secondo che la disciplinano amplia il novero dei chiamati ex lege.

Seguendo l’ordine delle disposizioni contenute agli artt. 565 e seguenti del codice, risultano nella sostanza modificati gli artt. 565, 569, 570 e 571 c.c., non potendosi più configurare ascendenti “legittimi” e dovendosi ora ricomprendere nel loro ambito la successione tra fratelli e sorelle naturali, in

11 Cfr. già Corte Cost., 14 aprile 1969, n. 79, in de jure, dejure.giuffre.it (link consultato: 11 novembre 2013).

12 Cfr. Commissione Bianca, Relazione conclusiva, cit., 175; cfr. Corte Cost., 18 dicembre 2009, n. 335, in Foro it., 2010, 11, I, 2983.

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precedenza come noto esclusa13, nonché l’art. 572 c.c., da intendersi esteso anche a quei parenti collaterali che sino ad ora non erano tali in rapporto ai figli nati fuori del matrimonio14.

Con riferimento alle predette norme, il decreto legislativo attuativo della l. n. 219/201215 interviene (solo sul piano formale), eliminando dal testo delle disposizioni ogni riferimento ai figli legittimi e ai figli naturali. Detto decreto, mantiene, invece, il riferimento ai figli adottivi, come già enunciata nel testo originario all'art. 567 c.c., precisando, nella Relazione illustrativa16, che tale espressione non debba riferirsi ai soggetti adottati ex art. 27, l. n. 184/1983, che per effetto dell’adozione acquistano lo stato di figlio “legittimo” (da ora

“nato nel matrimonio”) degli adottanti, bensì a quegli adottati per i quali la legge non prevede il venir meno del legame con la famiglia di origine, cioè gli adottati maggiori di età di cui agli artt. 291 ss. c.c. e ai minori adottati ai sensi dell’art. 44, l. n. 184/1983.

Quanto si legge nella Relazione illustrativa a sostegno della scelta di mantenere il riferimento ai figli adottivi in materia di successione e, soprattutto alla sua riferibilità alla posizione dei minori adottati ex art. 44, l. n. 184/1983 è, ad avviso dello scrivente, del tutto condivisibile. In un primo commento alla nuova legge17, avevo sostenuto che occorresse procedere a un’interpretazione estensiva dell’art. 74 c.c., nella parte in cui esclude il sorgere del vincolo di parentela solo con riguardo all’adozione di figli maggiori di età18. Infatti, l’art.

55, l. n. 184/1983, nel delineare la condizione giuridica del soggetto adottato ex art. 44, richiama proprio le disposizioni in materia di adozione del

13 Corte Cost. 12 maggio 1977, n. 76, in Giur. cost., 1977, I, 672; in argomento cfr. Perego, Il problema della successione tra fratelli naturali, in Riv. dir. civ., 1978, II, 278.

14 Corte Cost. 15 novembre 2000, n. 532, in Corr. giur., 2001, 1034, con commento di Guerinoni.

15 Lo schema di decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 12 luglio 2013 e di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, può leggersi in: Commissione per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica della relativa disciplina, presieduta dal Prof. C. M. Bianca (“Commissione Bianca”), Relazione conclusiva, in

http://www.politichefamiglia.it/media/84314/relazione%20conclusiva%20commissione%20bianca.pdf (link consultato 4 novembre 2013), 112; all'indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/714350.pdf (link consultato: 12 novembre 2013) si può consultare l'Atto del governo sottoposto a parere parlamentare n. 25, relativo al citato decreto attuativo.

16 Cfr. Commissione Bianca, Relazione conclusiva, cit., 142, 174 e 175.

17 Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231.

18 Sesta, L’unicità dello stato di filiazione, cit., 236.

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maggiorenne e, in particolare, l’art. 300 c.c., che espressamente stabilisce:

“L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge. L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge”. Sulla base di quanto sopra sinteticamente richiamato, la dottrina ritiene pacificamente che l’adozione in casi particolari non costituisca un vero e proprio rapporto di filiazione, e che quindi non attribuisca lo status di figlio, ma, pur essendo predisposta per offrire al minore un ambiente familiare idoneo, si conformi sullo statuto dell’adozione del maggiore di età, alla quale - quanto all’effetto - è stata assimilata19.

È quindi incontroverso che la condizione del figlio adottato nei casi particolari si differenzi radicalmente da quella del soggetto adottato ex art. 6 e ss., principalmente per il fatto che in capo a quest’ultimo si recide ogni vincolo con la famiglia d’origine, vincolo che invece permane integro nella fattispecie regolata dall’art. 44.

Alla luce di quanto precede, deve ritenersi che, ancorché la nuova disposizione preveda espressamente l’esclusione del vincolo di parentela solo con riguardo agli adottati maggiori di età, sia necessario procedere ad una interpretazione estensiva del testo della legge, stante la sostanziale identità, quanto agli effetti, della disciplina tra adozione dei maggiorenni e adozione in casi particolari. D’altronde, la contraria soluzione comporterebbe, a ben vedere, l’abrogazione del combinato disposto dell’art. 55, l. n. 184/1983 e delle norme del codice civile da esso richiamate, abrogazione di cui non vi è traccia nella legge che, se così interpretata, finirebbe per stravolgere gli effetti dell’adozione in casi particolari, che verrebbe sostanzialmente equiparata a quella ordinaria.

In breve, l’interpretazione estensiva dell’art. 74 c.c. si impone proprio considerato che, diversamente opinando, la fattispecie dell’adozione nei casi

19 Cfr. Dogliotti, L'adozione, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, IV, II ed., Torino, 2011, 517; Ciraolo, in Commentario del codice civile, a cura di Balestra, Torino, 2010, IV, sub art. 44, l. n. 184/1983, 249.

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particolari verrebbe sostanzialmente a configurarsi quale adozione legittimante; né è ipotizzabile una terza via, che faccia salvi i caratteri dell’adozione in casi particolari e al contempo ammetta la creazione di coesistenti rapporti di parentela dell’adottato con due distinti stipiti (quello dei genitori biologici e quello degli adottivi). Ciò significherebbe, infatti, collocare il figlio in più famiglie, stravolgendo la natura stessa della società familiare, alla quale l’istituto dell’adozione è chiamato a conformarsi.

Di recente, tale tesi, che risulta ora condivisa dalla precitata Relazione illustrativa, è stata invece criticata da alcuni autori, a parere dei quali l’art. 74 c.c. innovato introdurrebbe un unico status di figlio-parente, comprensivo di tutte le filiazioni biologiche e di tutte le filiazioni adottive, incluse quelle in casi particolari, escludendo invece le adozioni dei maggiorenni 20. L’interpretazione letterale del nuovo art. 74 c.c. comporterebbe, dunque, l’abrogazione tacita dell’art. 55 l. n. 184/1983, nella parte in cui richiama l’art. 300, comma 2, ultimo periodo, c.c. A parere di chi scrive, le ragioni addotte, di carattere prevalentemente testuale, non superano le obiezioni “di sostanza” sopra illustrate.

In conclusione, dunque, quanto alla successione necessaria e alla successione legittima, nessuna differenziazione di trattamentoresidua con riferimento ai figli – matrimoniali, non matrimoniali e adottivi “pieni” – e agli ascendenti. Differente è, invece, la posizione dei figli adottati ai sensi degli artt.

291 ss. c.c. e 44, l. n. 184/1983, per i quali trova applicazione: a) l’art. 304 c.c.

(direttamente, per i primi, e per effetto del richiamo dell’art. 55, l. n. 183/1984, per i secondi), che non attribuisce all’adottante alcun diritto successorio; b) l’art. 567, comma 2, c.c. (applicabile agli adottati ex art. 44, l. n. 183/1984, in forza del combinato disposto degli artt. 55, l. n. 183/1984, e 304, comma 2, c.c.), alla cui stregua i figli adottivi restano estranei alla successione dei parenti dell’adottante. Questa ultima disposizione, che risulta invariata anche a seguito

20 Morozzo Della Rocca, Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari, in Fam. dir., 2013, 838; Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, 528; Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in NGCC, 2013, 202; M.

Dossetti, La parentela, in M. Dossetti, M. Moretti e C. Moretti, La riforma della filiazione, Bologna, 2013, 20; nonché Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, a cura di Anelli e Granelli, Milano, 2013, 1205.

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degli interventi del decreto attuativo, ulteriormente conferma – a contrario – il fondamento della tesi che si è sostenuta in ordine alla mancata ricomprensione degli adottati ex art. 44, l. n. 183/1984, nella previsione riferita ai figli adottivi nell’art. 74 c.c.

Sempre con riguardo al profilo successorio deve, infine, menzionarsi l’art.

448 bis c.c., come introdotto dall’art. 1, comma 9, l. n. 219/2012, che stabilisce che il figlio possa escludere dalla propria successione il genitore che si sia reso responsabile di fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’art. 463 c.c..

La norma si collega con quella che, nel 2005, introdusse la previsione di un nuovo caso di indegnità (art. 463, n. 3-bis), c.c.) nei riguardi di chi sia decaduto a norma dell’art. 330 c.c. dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta e non sia stato reintegrato alla data di apertura della successione della medesima. Di detta disposizione, quella del legislatore del 2012 costituisce, a ben vedere, ampliamento e integrazione, non nel senso di creare una nuova ipotesi di indegnità, bensì consentendo al figlio – con apposito testamento – di diseredare colui che, ancorché non indegno, si sia reso responsabile di fatti, peraltro non meglio precisati dalla norma, che evidentemente si assumono pregiudizievoli per il figlio21. Si deve pensare che il legislatore abbia inteso riferirsi a comportamenti del genitore che – pur non avendo dato adito alla declaratoria di decadenza, ovvero in caso di relativa reintegrazione nell'esercizio della responsabilità genitoriale – costituiscono grave violazione dei doveri familiari, quali ad esempio quelli di cui all'art. 333 c.c., nonché quelli oggetto di recente analisi giurisprudenziale sotto il riguardo della conseguente responsabilità del genitore ex art. 2043 c.c.22.

21 Al riguardo, cfr. M. Moretti, La diseredazione, in Tratt. dir. succ. e don., Bonilini, II, Milano, 2009, 264 e già M.

Comporti, Riflessioni in tema di autonomia testamentaria, nomina testamentaria, indegnità a succedere e diseredazione, in Familia, 2003, 27.

22 Al riguardo, cfr. Facci, La responsabilità dei genitori per violazione dei doveri genitoriali, in Sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni familiari, Torino, 2008, 203.

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Al di là della rilevanza pratica, la disposizione è significativa perché apre la via all’ammissibilità della diseredazione, di cui a lungo si è dubitato e che proprio di recente la Cassazione ha ritenuto valida23.

Deve peraltro osservarsi che - in linea di principio - la clausola di diseredazione, se ritenuta ammissibile, vale solo nei limiti della esclusione dalla successione degli eredi ab intestato24, mentre la diseredazione di cui alla novella può colpire anche la quota di riserva del genitore (artt. 538, 544 c.c.). È singolare notare che nel diritto romano25 il pater familias era dotato del potere di escludere dalla successione i propri eredi necessari (che voleva evidentemente sanzionare per offese ricevute), mentre adesso questo potere è attribuito al figlio: sotto questo riguardo, la novella ha quindi attuato una vera e propria inversione di poteri, a testimonianza dell’ormai integrale consumazione dello spodestamento dei padri26.

3. Il trattamento successorio dei figli non riconoscibili

Nessuna delle disposizioni della nuova legge, neppure tra quelle affidate alla legislazione delegata, si occupa della condizione dei figli non riconoscibili cui si riferiscono gli artt. 279, 580 e 594 c.c., disposizioni non toccate dalla riforma. In prima approssimazione, potrebbe ritenersi che tale categoria di figli non esista più, considerato che tutti i figli, compresi quelli di genitori legati da vincolo di parentela, sono oggi riconoscibili.

Invero, a ben vedere, paiono tutt’ora da ricomprendersi nella previsione dell’art. 279 c.c. le seguenti fattispecie:

a) figli non riconoscibili, perché nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio (art. 250, comma 5, c.c.);

23 Cass. 25 maggio 2012, n. 8352, in Fam. pers. succ., 2012, 11, 763, con nota di Barba, e in NGCC, 2012, 11, 1, 991, con nota di Pacia.

24 Cfr. M. Bin, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, 255; G. Azzariti, Diseredazione ed esclusione di erede, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, 1182.

25 Burdese, Diseredazione (Diritto romano), in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, 1113.

26 In argomento, cfr. Cavina, Il padre spodestato. L’autorità paterna dall’antichità a oggi, Bari, 2007.

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b) figlio ultraquattordicenne non riconoscibile per mancanza del suo assenso (art. 250, comma 2, come modificato dall’art. 1, comma 2 lettera b), l.

n. 219/2012);

c) figlio infraquattordicenne non riconoscibile per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione del tribunale (art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’art. 1, comma 2, lettera d), l. n. 219/2012);

d) figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo (art. 11, ultimo comma, l. n. 184/1983);

e) figlio matrimoniale e figlio riconosciuto da altri, entrambi non riconoscibili dal preteso padre biologico (art. 253 c.c.; art. 2, comma 1, lettera e), n. 2, l. n. 219/2012). In proposito, occorre rilevare che in forza di quanto disposto dagli artt. 18 (recante “Modifiche all’art. 244 del codice civile”, in teme di termini dell’azione di disconoscimento della paternità, ora regolata dal nuovo art. 243 bis c.c.) e 28 (recante “Modifiche all’articolo 263 del codice”, in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità) del decreto delegato, l’azione di disconoscimento della paternità e di impugnazione del riconoscimento sono imprescrittibili con riguardo al figlio che, quindi, non incontra più la decadenza sino ad ora prevista dall’art. 244, comma 3, c.c., rendendo così possibile in qualsiasi tempo l'accertamento della propria paternità.

Esaminando i suddetti casi, è dato rilevare come in quello sub b) e sub e) il mancato riconoscimento dipenda dalla volontà del figlio medesimo, che avendo compiuto i quattordici anni non presta l’assenso al riconoscimento, ovvero che non si attivi per rimuovere lo stato di figlio altrui che gli impedisce di conseguire quello corrispondente alla verità biologica; in tutti gli altri, il figlio si trova, invece, dinnanzi ad un ostacolo non dipendente dalla propria volontà.

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Come si è anticipato al punto e) che precede, deve ritenersi che l’azione possa essere esercitata anche da colui che abbia lo status di figlio matrimoniale o riconosciuto altrui e quindi non possa essere riconosciuto da chi si affermi suo padre naturale, né essere dichiarato suo figlio, stante il richiamato divieto dell’art. 253 c.c. Dopo un lungo iter27, ciò è stato espressamente affermato dalla Corte di cassazione, la quale ha stabilito che l’azione ex art. 279 c.c. può essere esercitata anche dal figlio che abbia lo stato di figlio legittimo altrui e che sia impossibilitato ad esercitare l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità per aver omesso il tempestivo esperimento, nel termine di decadenza, dell’azione di disconoscimento del padre legittimo28. In tal caso, il figlio potrà vantare altresì i diritti contemplati dagli artt. 580 e 594 c.c.

Oggi, invero, considerato che il figlio non è mai impossibilitato all'esercizio dell'azione, in quanto è venuta meno la decadenza ad esercitare l'azione di disconoscimento della paternità (art. 18 decreto delegato), ovvero a impugnarne il riconoscimento per difetto di veridicità, forse, tale affermazione è da ripensare.

In conclusione, per tutti coloro che si trovano nelle predette condizioni, è tutt’ora previsto (unicamente) il ricorso agli artt. 279, 580 e 594 c.c., considerato che la legge, sia nella parte immediatamente in vigore, sia con riguardo alla delega al Governo, non supera il principio secondo il quale la formazione di un titolo di stato di filiazione sia sempre necessaria perché possa propriamente parlarsi di stato di filiazione29.

Quanto precede risulta altresì confermato dal decreto legislativo, che ha mantenuto pressoché integra la formula dell’art. 573 c.c., in forza della quale disposizioni relative alla successione dei figli nati fuori del matrimonio si applicano quando la filiazione sia stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata, salvo quanto disposto dall’art. 580 c.c.; norma, quest’ultima, pure rimasta sostanzialmente invariata, così come quella dell’art. 594 c.c.

27 Sesta, La filiazione, in Tratt. Bessone, II ed., Torino, 2011, 307.

28 Cass. 1 aprile 2004, n. 6365, in Fam. dir., 2005, 31, con nota di Sesta, Un ulteriore passo avanti della S.C. nel consentire la richiesta di alimenti al preteso padre naturale da colui che ha lo stato di figlio legittimo altrui.

29 Cicu, La filiazione, in Tratt. dir. civ. it., a cura di Vassalli, rist., III ed., Milano, 1969, 1.

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Al riguardo, nella Relazione illustrativa, si esplicita il convincimento dell’utilità del mantenimento dell’art. 573 c.c., il quale ribadisce che il figlio nato fuori del matrimonio acquisisce lo status di figlio, con i diritti e i doveri conseguenti, solo per effetto del riconoscimento o dell’accertamento giudiziale della filiazione30. Di notevole interesse sono anche le riflessioni dedicate, nella Relazione, agli artt. 580 (rubricato “Diritti dei figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili”, secondo la formulazione introdotta dal decreto attuativo) e 594 (“Assegno ai figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili”) del codice civile, oggetto di semplice adeguamento lessicale, e cioè che deve ritenersi giustificato il differente trattamento riservato ai figli non riconoscibili o non riconosciuti, rispetto ai figli riconosciuti, in coerenza con il sistema che attribuisce diritti successori “pieni” solo ai figli nati fuori del matrimonio per i quali sia intervenuto il riconoscimento ovvero l’accertamento giudiziale della filiazione31.

Ancorché le considerazioni della Relazione siano prive di motivazione, mi pare che esse colgano nel segno, soprattutto tenendo conto che oggi non esistono più figli non riconoscibili – salvi i casi particolari sopra indicati – e ciò viepiù a seguito delle modificazioni apportate dal decreto attuativo alla disciplina delle azioni di stato. Infatti, sotto un certo riguardo, il diritto all’accertamento della verità della filiazione risulta, per il figlio, ulteriormente esteso, sia perché costui può essere riconosciuto dal genitore incestuoso (già potendo essere dichiarato, secondo la nota decisione della Corte costituzionale32), sia e soprattutto perché il decreto legislativo (art. 18,

“Modifiche all’art. 244 del codice civile”) modifica l’art. 244 c.c., rendendo imprescrittibile l’azione di disconoscimento riguardo al figlio, che si vede dunque aperta in qualsiasi tempo la possibilità di rimuovere l’apparente status di figlio matrimoniale e di conseguire quello di figlio naturale del vero padre.

30 Cfr. Commissione Bianca, Relazione conclusiva, cit., 176.

31 Cfr. Commissione Bianca, Relazione, cit., 177.

32 Corte Cost. 28 novembre 2002, n. 494, in Fam. dir., 2003, 119, con nota di Ferrando.

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Pur nella raggiunta unicità di stato, restano quindi figli che si trovano rispetto a colui che li ha generati in una situazione diversa, e che godono solo della tutela specifica prevista dalle disposizioni in commento; il che, peraltro, pare in sé giustificabile, considerato che essi, al contempo, godono di un diverso stato di filiazione, ovvero che non ne hanno voluto conseguire alcuno, o che non è stato giudicato nel loro interesse farglielo conseguire.

4. Le disposizioni transitorie e il problema della retroattività delle nuove regole.

Il legislatore delegante non ha dettato direttamente norme transitorie relative alle disposizioni sopra esaminate, limitandosi a prevedere il principio di delega di cui all’art. 2, comma 1, lett. l), l. n. 219/2912, di cui si dirà a breve.

Al contrario, il più volte citato decreto legislativo ha dedicato specifica disciplina transitoria, nell’art. 104 (“Disposizioni transitorie”).

Tale articolo, nella numerazione e nel tenore di cui agli atti del Senato33, nei primi quattro commi, dispone: “1. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi dell’articolo 533 del codice civile, coloro che, in applicazione dell’articolo 74 dello stesso codice, come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il riconoscimento della qualità di erede.

2. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, possono essere fatti valere i diritti successori che discendono dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla medesima legge.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 2 si applicano anche nei confronti dei discendenti del figlio, riconosciuto o la cui paternità o maternità sia stata giudizialmente dichiarata, morto prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219.

4. I diritti successori che discendono dall'art. 74 del codice civile, come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, sulle eredità aperte

33 Cfr. nota n. 1.

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anteriormente al termine della sua entrata in vigore si prescrivono a far data dal suddetto termine”.

Un punto che suscita notevoli perplessità è quello relativo alla attribuzione della legittimazione di coloro che, in applicazione del rinnovato art. 74 c.c., avrebbero attualmente titolo a chiedere il riconoscimento della qualità di erede, a proporre azione di petizione e a far valere diritti successori che discendono dall'art. 74, come modificato, nelle eredità apertesi prima dell’entrata in vigore della l. n. 219/2012 (1 gennaio 2013). Con la precisazione – in sé, ovviamente, corretta – che i predetti diritti sulle eredità aperte anteriormente al termine dell'entrata in vigore della novella si prescrivono a far data dal suddetto termine. Il che comporta che, essendo la petizione di eredità imprescrittibile, con detta decorrenza si prescrive il diritto di accettare – espressamente o tacitamente – le predette eredità.

È evidente, infatti, da un lato, che l’art. 74 c.c. ha innovato rispetto alla disciplina previgente, prevedendo la chiamata ex lege all’eredità dei parenti

“naturali” che prima ne erano esclusi; dall’altro, che le modificazioni degli artt.

536 e 538 c.c., di cui al decreto delegato, abbiano ricompreso nel novero dei legittimari anche gli ascendenti “naturali”, che non erano considerati tali.

In un primo commento alla l. n. 219/2012, avevo concluso che, non avendo il legislatore – a quel momento, cioè prima della pubblicazione del decreto attuativo – dettato disposizioni transitorie, la nuova normativa – rinveniente dal combinato disposto dell'art. 74 c.c. e delle preesistenti regole in materia di successione necessaria e legittima – avrebbe trovato applicazione solo alle successioni apertesi dopo il primo gennaio 2013. Di guisa che, con riferimento alle successioni apertesi in precedenza, doveva intendersi precluso l'esercizio di ogni “nuovo” diritto dei parenti “naturali”, le cui pretese dovevano intendersi consumate sulla base delle previgenti disposizioni che avevano definitivamente regolato la chiamata legale all’eredità.

Notavo altresì come, analogamente, il legislatore del codice civile, il cui Libro secondo aveva innovato rispetto al codice unitario in materia di

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successione dei figli naturali riconosciuti, non avesse dettato disposizioni transitorie dirette a renderle applicabili anche alle successioni apertesi prima del 21 aprile del 1940. Nell’art. 122, comma 3, disp. att. c.c., era peraltro previsto che le nuove disposizioni in tema di riconoscimento dei figli naturali si applicassero anche ai figli nati o concepiti prima del 1 luglio 1939 e che tale riconoscimento valesse anche agli effetti delle successioni apertesi prima di tale data. Come bene è stato chiarito34, detta disposizione non configurava alcuna eccezione al principio della irretroattività delle norme successorie, in quanto conseguenza della normale retroattività del riconoscimento (e della dichiarazione giudiziale di genitorialità). Diversamente, aveva carattere retroattivo la disposizione dell’art. 136 disp. att. c.c., che aveva previsto che le nuove regole di cui agli artt. 580 e 594 c.c. in favore dei figli non riconoscibili trovassero applicazione anche alle successioni apertesi prima dell’entrata in vigore del codice35. Tuttavia, occorre considerare che i diritti attribuiti ai figli non riconoscibili si risolvono in quello ad un assegno vitalizio ed hanno quindi natura di legato ex lege, che non comporta l’attribuzione di un diritto sui beni del de cuius ma un mero diritto di credito nei confronti degli eredi, legatari e donatari (proporzionalmente come prevede l’art. 594 c.c.): i beneficiari non sono eredi, né i loro diritti si riverberano sugli acquisti effettuati dagli eredi, dai legatari e dai donatari, che restano fermi36. In questo contesto, la retroattività della disposizione non sembra contraddire il tendenziale principio di irretroattività delle norme successorie.

Allo stesso modo, in occasione della riforma del diritto di famiglia37, che pur aveva profondamente innovato i diritti successori dei figli naturali (art. 566 c.c.), non fu prevista alcuna retroattività delle relative disposizioni. In coerenza con la linea seguita dal codificatore, negli artt. 230 e 231, l. n. 151/1975 fu statuito che le disposizioni in materia di riconoscimento e di dichiarazione

34 Mengoni, Successioni per causa di morte, Successione legittima, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu Messineo, II ed., Milano, 1973, 138.

35 Mengoni, Successioni per causa di morte, cit., 138.

36 Cfr. Albanese, in Codice delle successioni e donazioni, a cura di Sesta, I, sub art. 580, Milano, 2011, 1089.

37 Mengoni, Successioni per causa di morte, Successione legittima, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu Messineo Mengoni, IV ed., Milano, 1990, 87; Gabrielli, in Comm. dir. it. fam., Cian, Oppo, Trabucchi, VI, I, sub art. 237, Padova, 1993, 679.

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giudiziale della genitorialità – a loro volta profondamente innovate – si applicassero anche a vantaggio dei figli nati prima della sua entrata in vigore e che i loro effetti valessero anche con riguardo alle successioni già apertesi.

Naturalmente, detta disposizione, pur non comportando eccezione alla irretroattività della legge successoria, consentì al figlio – una volta accertato il suo stato – di esercitare l’azione di petizione di eredità contro gli eredi del genitore deceduto prima dell’entrata in vigore della legge38. Sempre con riguardo agli artt. 580 e 594 c.c., all’epoca modificati, l’art. 237, l. n. 151/1975 ne dispose l’applicazione retroattiva alle successioni apertesi prima dell’entrata in vigore della legge stessa, il che, come già si è detto, non configurò tuttavia eccezione al principio dell’irretroattività della legge successoria.

Concludevo che, analogamente, il legislatore della l. n. 219/2012 si fosse attenuto al principio generale per cui la legge regolatrice della successione è quella vigente al tempo dell’apertura della stessa e che, dunque, le nuove norme che hanno creato vincoli di parentela in capo a soggetti che prima ne erano esclusi – e che quindi li hanno collocati nelle categorie dei successibili (art. 565 e ss., c.c.) ove non erano in precedenza ricompresi – non avessero carattere retroattivo e quindi non consentissero a quei soggetti di essere chiamati alle successioni apertesi prima del gennaio 2013.

Tali conclusioni in sé mi parrebbero degne di conferma, in quanto non si può dubitare che la nuova norma dell’art. 74 c.c., che crea il vincolo di parentela rispetto a soggetti che prima non erano considerati tali, abbia natura successoria. Infatti, detta norma si collega direttamente a quelle contenute nel Libro secondo del codice civile, che attribuiscono diritti successori ai parenti:

dal combinato disposto dell’art. 74 c.c. con le predette disposizioni consegue,

38 Con riguardo alla fattispecie di cui al testo, la giurisprudenza della Cassazione ha ripetutamente affermato che: “in relazione a successioni apertesi prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, a colui che, avendo visto accogliere la domanda di dichiarazione della paternità naturale nei confronti del de cuius, faccia valere i diritti successori riconosciutigli dalla riforma, l’erede non può opporre di aver usucapito i beni ereditari nel periodo precedente all’esperimento dell’azione anzidetta, in quanto, non comportando questa il venir meno del titolo di acquisto dei beni da parte dell’erede, ma determinando solo una riduzione quantitativa del suo acquisto, non è configurabile un possesso ad usucapionem di quei beni di cui l’erede è proprietario” (Cass. 5 settembre 2012, n. 14917, in Fam. dir., 2013, 682, con nota di De Pamphilis; Cass. 2 febbraio 2011, n. 2424, in Foro it., 2011, I, 3109 e già Cass. 18 ottobre 1991, n. 11024, in NGCC, 1992, I, 429, con nota di Regine).

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infatti, l’attribuzione di diritti successori a soggetti – i nuovi parenti – che prima ne erano sprovvisti, risultandone un ampliamento della categoria dei successibili che, in passato, aveva richiesto l’intervento della Corte Costituzionale39.

Ora, tale conclusione è nettamente contraddetta dall’art. 104 del decreto delegato che, come si è visto, testualmente prevede l'applicazione delle nuove regole disciplinanti la chiamata dei parenti alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge delega e il decorso della prescrizione a partire da tale data. L'unica eccezione è rappresentata dagli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della predetta legge.

Si impone, dunque, una disamina volta a verificare la legittimità di tale nuova disposizione, che rivede il “dogma” dell'irretroattività delle norme successorie.

Come si è detto, il legislatore delegante ha dettato il principio di delega di cui all’art. 2, comma 1, lett. l), l. n. 219/2012, per il quale il Governo è incaricato di assicurare “l’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in Relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l’estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 e seguenti del codice civile”.

Commentando tale disposizione, invero assai oscura e di difficoltosa interpretazione, rilevavo come l’effetto che la legge delegata sarebbe stata chiamata a conseguire dovesse essere, in primo luogo, quello di eliminare, sul piano sostanziale e terminologico, le residue differenze nel trattamento successorio dei figli. Inoltre, le norme delegate avrebbero dovuto espressamente stabilire che, in forza della retrocessione degli effetti di un tardivo riconoscimento (art. 255 c.c.) o della dichiarazione di genitorialità al

39 C. Cost. 4 luglio 1979, n. 55, in Giust. Civ., 1979, III, 114; C. Cost. 12 aprile 2004, n. 184, in Giust. Civ., 1990, I, 2240.

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momento della nascita, il figlio o i suoi “aventi causa” potessero agire in petizione di eredità anche con riguardo a successioni apertesi prima dell’entrata in vigore della novella, del resto conformemente a quanto avevano disposto il legislatore del codice all’art. 122 disp. att. e quello del 1975 agli artt.

230, comma 3, e 232, l. n. 151.

Non sembra invece che la formula, per quanto assai poco chiara, abbia inteso consentire al legislatore delegato – del tutto eccezionalmente – di prevedere la retroattività delle nuove disposizioni in materia di parentela e, quindi, di prevedere la chiamata dei parenti “naturali” alle successioni apertesi prima del gennaio 2013.

In maniera del tutto difforme dalle considerazioni che precedono, l’art.

104 del decreto legislativo ha dettate le disposizioni citate in precedenza.

Come si legge nella Relazione illustrativa del decreto40, detta disposizione, che inaugura una insolita retroattività di disposizioni successorie, costituirebbe attuazione del già richiamato principio di delega (art. 2, comma 1, lett. l), l. n.

219/2012), che viene interpretato dal legislatore delegato nel senso di consentire che i soggetti legittimati possano proporre azioni di petizione di eredità qualora, in forza dell’applicazione del nuovo art. 74 c.c., abbiano titolo a chiedere il riconoscimento della propria qualità di erede nei confronti del parente defunto: il che equivale a consentire loro di agire in forza del “nuovo”

acquisito vincolo di parentela contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di erede o senza tiolo alcuna.

A parere di chi scrive, la precitata formula dell’art. 2, comma 1, lett. l), l.

n. 219/2012, non consentiva tuttavia al legislatore delegato di conseguire un siffatto risultato, in quanto il riferimento del legislatore delegante era circoscritto ai discendenti/parenti (così intendendosi gli “aventi causa”) del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento, cioè di quel figlio naturale che, all’epoca dell’apertura della successione, non era stato ancora accertato come tale.

40 Cfr. Commissione Bianca, Relazione conclusiva, cit., 182.

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La legge intendeva, dunque, ribadire il principio giurisprudenziale secondo il quale, in forza della retrocessione degli effetti del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale della genitorialità al momento della nascita del figlio, i suoi parenti possono agire in petizione di eredità anche con riguardo a successioni apertesi prima dell’accertamento dello status, come si è detto conformemente a quanto avevano disposto il legislatore del codice all’art. 122 disp. att. e quello del 1975 agli artt. 230, comma 3, e 232, l. n. 151.

Il dato qualificante dell’oscuro principio di delega sembra, infatti, da rinvenirsi nel riferimento al figlio naturale premorto o deceduto “nelle more del riconoscimento” – locuzione in sé priva di significato, atteso l’effetto immediato del riconoscimento e, piuttosto, da intendersi come indicante un riconoscimento post mortem o l’accertamento giudiziale delle genitorialità –;

come dire che un accertamento post mortem dello status di filiazione consente il ricorso alla petizione di eredità, questione che nulla ha a che vedere con la statuizione del decreto delegato, che apre un varco in favore di soggetti il cui status già era stato accertato prima dell’entrata in vigore della legge delega, che pretendano di esercitare diritti su successioni già aperte non in forza di un

“tardivo” accertamento del loro status, bensì quali “nuovi” parenti ex art. 74 c.c. e, quindi, indipendentemente da qualsivoglia problema di decorrenza dell'accertamento dello stato di filiazione.

Tale statuizione realizza, per effetto del già richiamato combinato disposto della norma dell’art. 74 c.c. con quelle attributive di diritti successori contenute nel Libro secondo del codice, una evidente applicazione retroattiva proprio di queste ultime, in favore di soggetti che solo a seguito della novella del 2012 si sono visti riconoscere la qualità di parenti – ai fini successori – e che si vorrebbero ora legittimati ad agire in petizione rispetto a eredità apertesi precedentemente al gennaio 2013.

In altri termini, mentre la previsione della l. n. 219/2012 riguarda esclusivamente gli “aventi causa” del figlio premorto o deceduto “nelle more del riconoscimento”, la disposizione dell’art. 104 del decreto delegato concede

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azione al figlio non matrimoniale divenuto parente del de cuius e ai suoi discendenti/parenti, con riferimento a successioni apertesi prima del primo gennaio 2013.

È vero che potrebbe, in prima lettura, sembrare paradossale che colui il cui status sia stato accertato prima dell’entrata in vigore della l. n. 219/2012 non possa considerarsi chiamato all’eredità del parente la cui successione si sia aperta prima del primo gennaio 2013, mentre colui il cui status venga accertato successivamente ne abbia facoltà: l’apparente paradosso si spiega, tuttavia, in virtù del più volte citato effetto retroattivo dell’accertamento dello stato di filiazione, accertamento che sussiste solo nel secondo caso e che, come si è visto, rende addirittura inopponibile al figlio l'eccezione di usucapione dei singoli beni41.

Una cosa è, infatti, affermare che gli effetti del riconoscimento e dell’accertamento giudiziale della filiazione retroagiscono al momento della nascita del figlio, cosicché al soggetto il cui rapporto di filiazione sia accertato successivamente all’entrata in vigore della l. n. 219/2012 (pur se premorto o deceduto nelle more dell’accertamento) sono riconosciuti i diritti successori connessi – ai sensi della disciplina novellata – allo status accertato; altra cosa è sostenere che, dal primo gennaio 2013, i soggetti il cui status sia stato già accertato nell’ambito del previgente sistema siano ammessi ex lege a esercitare i diritti successori connessi allo stato unificato di filiazione anche relativamente alle successioni apertesi prima di tale data.

A parere di chi scrive, dunque, la scelta del legislatore delegato, oltre che contraria al principio di tendenziale irretroattività delle norme successorie, non appare conforme alla delega ricevuta e potrà quindi essere oggetto di contestazione avanti alla Corte costituzionale, senza che a ciò sia di ostacolo il passaggio del decreto presso la Commissione Giustizia di entrambi i rami del Parlamento. Non solo: detta statuizione, sul piano pratico, sarà motivo di controversie giudiziarie quanto mai complesse, capaci di compromettere

41 Cfr. supra, nota n. 38.

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inoltre il principio della sicurezza nella circolazione dei beni, dovendosi considerare che l’azione di petizione dell’eredità è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni.

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