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Avviso di accertamento con motivazione sostanziale

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Academic year: 2022

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14 Ottobre 2015

La sentenza della Cassazione

Avviso di accertamento con motivazione sostanziale

La motivazione dell’avviso di accertamento ha carattere sostanziale e non solo formale: non si tratta infatti di un elemento utile solo a provocare la difesa del contribuente, ma integra un elemento essenziale dell’atto, sulla cui base va circoscritto l’eventuale successivo giudizio. In altre parole, il giudice tributario deve controllare l’operato dell’amministrazione basandosi sul contenuto del provvedimento impugnato e sulle prove prodotte dal ricorrente.

A confermare questa importante interpretazione è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20251 depositata il 9 ottobre 2015.

di Laura Ambrosi - Ragioniera a Milano e Roma e pubblicista

L’Agenzia delle Entrate rettificava ad un avvocato il reddito dichiarato contestando sia compensi non contabilizzati e sia il difetto di idonee giustificazioni per le movimentazioni finanziarie. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla CTP, la quale respingeva il ricorso. Il collegio di appello, invece, cui si era rivolto il contribuente, riformava la decisione rilevando che l’atto impositivo era privo di sufficiente motivazione. In particolare, l’ufficio non aveva indicato né le ragioni per le quali era stata riscontrata un’asserita differenza di compensi contabilizzati, né , più in generale, i motivi della rettifica.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva allora per cassazione lamentando, in estrema sintesi, che la CTR aveva trascurato che, in realtà, il provvedimento era fondato sulla discrasia tra i compensi dichiarati ai fini delle imposte dirette e quelli IVA, oltre che in ogni caso sulla mancanza di documentazione giustificativa dei prelevamenti e versamenti sul conto corrente.

La decisione della Corte

Sebbene abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato dall’Ufficio, la Suprema Corte ha fornito un interessante chiarimento sull’obbligo di motivazione degli atti.

Innanzitutto dal testo della norma IVA (art. 54, D.P.R. n. 633/1972) non si evince che si assolva l’obbligo motivazionale semplicemente prospettando l’esistenza di corrispettivi in tutto o in parte non dichiarati, senza che sia indicata almeno in via generale la fonte del proprio convincimento.

Gli uffici, normalmente, contrastano tali doglianze, richiamando un passato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la motivazione dell’avviso di accertamento ha l’esclusiva funzione di affermare la pretesa tributaria e di provocare la difesa del contribuente (c.d. provocatio ad opponendum).

Secondo questa interpretazione, l’atto è sufficientemente motivato quando consenta al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur, bastando così a tal fine l’indicazione degli elementi soggettivi ed oggettivi della pretesa tributaria, con i fatti astrattamente giustificativi della stessa.

La Cassazione, tuttavia, discostandosi da tali principi, ha rilevato che nel rispetto dello Statuto del contribuente (art. 7, legge n. 212/2000) e delle norme in tema di accertamento (art. 42, D.P.R. n. 600/1973), l’Amministrazione è obbligata ad indicare i presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato il provvedimento. Ne consegue così che la

motivazione deve essere sostanziale e non solo formale, poiché non occorre solo per “provocare la difesa del

contribuente”, ma integra un elemento essenziale dell’atto, sulla cui base va circoscritto l’eventuale successivo giudizio.

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In altre parole, il giudice tributario deve controllare l’operato dell’amministrazione basandosi sul contenuto del

provvedimento impugnato e sulle prove prodotte dal ricorrente. I giudici di legittimità hanno altresì richiamato i principi della Corte Costituzionale (n. 244/2009 e n. 98/2014) secondo i quali non è modificabile in corso di causa la motivazione dell’avviso notificato.

Alcune considerazioni

La decisione è particolarmente interessante poiché sovente gli uffici dinanzi ad una contestazione del contribuente sul possibile vizio di motivazione, integrano i presupposti della pretesa nella costituzione in giudizio, giustificando il proprio operato sul pregresso orientamento.

Secondo tale tesi, l’accertamento ha natura di “atto provvedimentale” in quanto gli effetti si realizzano compiutamente solo con il decorso dei termini previsti per rettificare la dichiarazione ovvero per impugnare l’atto stesso e quindi ha la sola funzione di provare l’accertamento sul presupposto. Secondo l’Agenzia quindi, l’attività istruttoria e di accertamento è l’inizio di un’ulteriore attività di ricostruzione del rapporto tributario da svolgersi in sede contenziosa e gli effetti

sostanziale dell’atto si producono solo a seguito dell’accettazione del contribuente o con il provvedimento giurisdizionale (Cassazione n. 11305/1996).

L’orientamento, tuttavia, così come rilevato dalla Cassazione nella decisione n. 20251/2015, è cambiato.

Con la sentenza n. 22003/2014 ha affermato che la motivazione ha la funzione di rispondere al principio di buona amministrazione, secondo il quale l’azione amministrativa risulti esplicata in modo appropriato in vista del perseguimento dell’interesse presidiato dalla legge.

Secondo i giudici di legittimità, l’art. 7 dello Statuto ha chiaramente manifestato l’intento di costruire la motivazione, non come mera enunciazione di una pretesa soggetta a verifica processuale, ma come ratio di una decisione assunta all’esito di una istruttoria.

L’atto impositivo spiega così il nesso corrente tra la norma tributaria e l’obbligazione affermata esistente nella situazione concreta, onde circoscrivere la materia del contendere.

Con la sentenza n. 9810/2014 è stato ulteriormente precisato che la motivazione dell’atto tributario costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente e pertanto vanno indicate tutte le conoscenze dell’ufficio poste a base della pretesa. Questi elementi costituiscono i confini del processo tributario: l’ufficio, infatti, non può integrare le ragioni nel corso del giudizio ed il giudice deve decidere solo sugli elementi desumibili dall’atto

impugnato.

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 09/10/2015, n. 20251

Per quanto riguarda la superficie

TARSU campeggi: strutture fisse abitative equiparate a civili abitazioni

Le strutture fisse abitative dei campeggi, quali ad esempio bungalow e piazzole, devono essere tassate ai fini della TARSU con l’aliquota unica delle civili abitazioni. Nella sentenza n. 2199/2/15, la Commissione tributaria provinciale di Lecce ritiene che non vi siano dubbi che la capacità produttiva di un esercizio alberghiero e/o di un campeggio sia, almeno in parte, la medesima di quella di una civile abitazione. Appare irragionevole, infatti, che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli prodotti ordinariamente nella propria abitazione.

di Maurizio Villani, Iolanda Pansardi - Studio Legale Tributario Villani

Le strutture fisse abitative dei campeggi (per esempio bungalow, piazzole) devono essere tassate con l’aliquota unica delle civili abitazioni. È quanto ha affermato la Commissione tributaria provinciale di Lecce, sez. II, con sentenza n. 2199 del 25 giugno 2015, che in accoglimento parziale della questione riduce l’applicazione della tariffa TARSU.

La vicenda ha ad oggetto l’impugnazione da parte di una società, proprietaria di un campeggio, di una cartella di pagamento relativa a TARSU anno 2011.

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In particolar modo, la ricorrente eccepiva la nullità della cartella per vizi formali in relazione alla inesistenza della notifica, per difetto di motivazione e di sottoscrizione. Vieppiù, parte ricorrente eccepiva la illegittimità della tariffa per contrasto con l’art. 68 del D.Lgs. n. 507/1993 nonché la nullità della cartella per illegittimità del regolamento e della relativa delibera comunale, con conseguente disapplicazione degli stessi; in subordine, chiedeva che venisse disposta la riliquidazione della tassa dovuta in applicazione della tariffa prevista per le abitazioni private ai sensi dell’art. 68 citato.

Giova ricordare, a tal proposito, che l’art. 68 del D.Lgs. n. 507/1993 stabilisce che i Comuni, per l’applicazione della tassa, devono adottare apposito regolamento che deve contenere la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenee potenzialità di rifiuti tassabili con la stessa misura tariffaria. Con il comma 2 del suddetto articolo il legislatore ha voluto intendere che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto di alcuni gruppi di attività o di utilizzazione, specificando alla lettera c, che sono compresi in una unica categoria i locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri.

Di poi, l’art. 69 dispone che i Comuni devono deliberare in base alla classificazione e ai criteri di graduatorie contenuti nel regolamento, le tariffe per unità di superficie dei locali ed aree compresi nelle singole categorie o sottocategorie da applicarsi nell’anno successivo. La deliberazione, deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati

consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonché i dati e le circostanze che ne hanno determinato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo. In mancanza di una adeguata motivazione la tariffa dell’albergo deve essere ridotta ed equiparata a quella della civile abitazione.

Ed ancora, la stessa risoluzione ministeriale n. 55/E del 1997 con riferimento alla determinazione delle categorie ai fini dell’applicazione della TARSU precisava che - nel formulare la classificazione delle categorie e nello stabilire le tariffe per ciascuna di esse - i Comuni dovevano tener conto, in ossequio all’art. 68, D.Lgs. n. 507/1993, del criterio di

omogeneità e quindi comprendere in ciascuna di esse i locali e le aree che presentino analoga attitudine a produrre rifiuti con riferimento alle caratteristiche peculiari delle singole attività.

Ebbene specificano i giudici, nel caso di specie il Comune ha violato le disposizioni di cui all’art. 68 in commento poiché ha assoggettato locali con omogenea potenzialità di rifiuti a diverse tariffe.

Non vi sono dubbi, infatti, che la capacità produttiva di un esercizio alberghiero e/o di un campeggio sia, almeno in parte, la medesima di quella di una civile abitazione. Appare irragionevole, infatti, che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli prodotti ordinariamente nella propria abitazione, a differenza delle altre superfici aperte al pubblico alle quali hanno libero accesso numerose persone e quindi hanno una potenzialità di creare maggiori rifiuti.

Tale omogeneità, pertanto, la si riscontra senza dubbio alcuno nelle aree destinate a campeggio di proprietà della società ricorrente, le quali per la loro natura e finalità devono essere anch’esse assimilate alle civili abitazioni. Non si può negare, infatti, che il campeggio sia costituito da un’area ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze e perciò, in quanto tale, deve essere compreso nella stessa categoria delle civili abitazioni, con conseguente applicazione della medesima tariffa.

Nell’ambito di una struttura ricettiva e, soprattutto, in un area destinata a campeggio, è illogico pensare che vi possa essere produzione di rifiuti solidi urbani maggiore rispetto a quella di un esercizio alberghiero o di una civile abitazione.

Si può aggiungere che in un campeggio, il luogo di produzione di rifiuti non è la piazzola in se considerata bensì il mezzo mobile di soggiorno che ogni ospite porta con sé assimilabile in tutto e per tutto ad una stanza di albergo.

Peraltro, numerose sono le pronunce della giurisprudenza di merito (in particolare si fa riferimento alle sentenze n.

612-614/09/08 del 18 novembre 2008, n. 629/02/10 del 3 novembre 2010, n. 294-295/02/11 del 10 maggio 2011; n.

536/02/11 del 12 luglio 2011; n. 329/02/13 dell’8 ottobre 2013 e n. 353/02/13 del 25 ottobre 2013), nelle quali la CTP di Lecce ha ritenuto, nel caso di attività alberghiere e/o altre strutture ricettive, sussistere nel loro interno aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, sale da ballo e superfici comuni aperte al pubblico, minore per le aree destinate alle unità abitative.

Alla luce di tanto, il collegio giudicante ha quindi ritenuta legittima la tassazione delle aree non destinate ad uso abitativo, disponendo invece, la riliquidazione della TARSU per tutte quelle superfici del campeggio destinate all’effettiva occupazione di strutture abitative, assimilandole a quelle delle civili abitazioni

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Con tale pronuncia, in sostanza, è stato ribadito quanto già stabilito per gli alberghi che sono stati parimenti assimilati, dalla giurisprudenza di merito, a civili abitazioni.

Copyright © - Riproduzione riservata Commissione tributaria provinciale Lecce, sez. II, sentenza 25/06/2015, n. 2199

La somma ha natura previdenziale

Fondo esattoriali: “una tantum” senza cumulo interessi-rivalutazione

Sulla somma corrisposta "una tantum" a favore degli iscritti al Fondo esattoriali è dovuto il maggior importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, senza cumulo delle due voci. La somma "una tantum" dovuta dall’ente di previdenza agli impiegati delle esattorie e ricevitorie, pari al 75 per cento della contribuzione integrativa, ha natura previdenziale. La somma non costituisce un vero e proprio rimborso di contributi inutilizzabili, bensì un’erogazione

"una volta tanto" di una indennità sostitutiva e anticipatoria del trattamento pensionistico, commisurata ad una parte soltanto dei contributi versati.

Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra l’INPS e un dipendente di una società concessionaria per la riscossione tributi.

Con ricorso al Tribunale, A.P.L. evocava in giudizio l'INPS esponendo di essere stato dipendente del Concessionario del Servizio di Riscossione Tributi della Provincia di T. fino al 30.6.2006; di avere chiesto il 29.6.06 al Fondo speciale gestito dall'Inps il rimborso del 75% dei contributi versati al Fondo per il trattamento integrativo di pensione e di avere ottenuto il pagamento solo in data 20.2.2008, senza interessi legali e rivalutazione monetaria; chiedeva pertanto la condanna dell'INPS al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria per il ritardato versamento, oltre ulteriori interessi e rivalutazione dalla data di percezione del capitale.

Costituendosi in giudizio, l’INPS contestava la domanda, chiedendone il rigetto. Il Tribunale adito accoglieva la domanda.

Avverso detta sentenza interponeva appello l'INPS.

Resisteva l'assicurato.

La Corte d'appello respingeva il gravame, condannando l'INPS al pagamento delle spese.

Riteneva la Corte che il credito in questione non aveva natura previdenziale bensì natura mista, in parte restitutoria, non soggetta ad interessi quanto ai versamenti già posti ad esclusivo carico del lavoratore (2\5) ed in parte retributiva, per i versamenti già posti a carico del datore di lavoro (3\5).

Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’INPS, in particolare sostenendo che la legge stabilisce che l'iscritto che si trovi nelle condizioni previste può chiedere il pagamento, per una volta soltanto, di una somma pari al 75%

dell'importo dei contributi versati al Fondo "senza interessi", configurandosi così una prestazione previdenziale sostitutiva rispetto alla corresponsione della pensione, e non già di retribuzione differita.

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’INPS, affermando un importante principio di diritto in precedenza già presente nella giurisprudenza della Corte, ma che, per la sua importanza, merita qui di essere ribadito.

Prima di esaminare il decisum della Cassazione va qui ricordato che il “Fondo di previdenza per gli impiegati dipendenti dai concessionari del servizio di riscossione dei tributi e delle altre entrate dello Stato e degli enti pubblici” è un Fondo obbligatorio integrativo dell’Assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti.

Dal 1998, le prestazioni a carico del fondo, si conseguono esclusivamente in presenza dei requisiti (anagrafici e contributivi) e, con la decorrenza previsti dalla disciplina del fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria.

Sono iscritti al Fondo gli impiegati dipendenti dai concessionari del servizio di riscossione tributi e delle altre entrate dello Stato e degli Enti pubblici.

L’iscrivibilità è legata alla particolare attività svolta dal lavoratore (riscossione dei tributi nazionali e locali),

indipendentemente dalle modifiche normative che nel tempo hanno variato la figura del datore di lavoro (esattorie e

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ricevitorie delle imposte dirette, concessionari, Equitalia e altre società addette alla riscossione).

L’iscritto al Fondo che cessa dal servizio senza aver raggiunto il requisito minimo di contribuzione per la pensione di vecchiaia richiesto dal Fondo (15 anni), se non si avvale della facoltà di prosecuzione volontaria, può chiedere il rimborso del 75% dei contributi integrativi versati (senza maggiorazione di interessi e detratte le imposte).

Il rimborso deve essere richiesto non prima che sia decorso un anno dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro o dalla data cui si riferisce l’ultimo contributo volontario versato e, non oltre un quinquennio dalle date predette.

Anche l’iscritto al Fondo che al momento della cessazione dal servizio possa far valere il requisito minimo di contribuzione per il pensionamento di vecchiaia richiesto dal fondo (15 anni) può chiedere il rimborso dei contributi integrativi, semprechè non sia decorso il quinto anno precedente il compimento dell’età pensionabile secondo le norme del Fondo.

Al riguardo si ribadisce che dal 1° gennaio 1998, per gli iscritti al fondo esattoriali i trattamenti pensionistici si conseguono esclusivamente in presenza dei requisiti previsti dalla disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza.

Pertanto, per determinare il termine entro il quale il soggetto può legittimamente richiedere il rimborso si dovrà fare riferimento ai nuovi requisiti previsti nell’AGO.

Tornando al caso esaminato dalla Cassazione, rilevano i Supremi Giudici, la giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto modo più volte di pronunciarsi in argomento, affermando che il diritto al pagamento "una tantum" della somma pari al 75 per cento della contribuzione integrativa, riconosciuto agli iscritti al Fondo di previdenza per gli impiegati delle esattorie e ricevitorie, ha natura previdenziale, non trattandosi di un vero e proprio rimborso di contributi inutilizzabili, bensì dell'erogazione "una volta tanto" di una indennità sostitutiva e anticipatoria del trattamento pensionistico, commisurata ad una parte soltanto dei contributi versati; pertanto, sulla somma "una tantum" è dovuto unicamente il maggior importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, senza cumulo delle due voci.

Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.

Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.

Ed invero, secondo l’esegesi offerta dalla Cassazione, sulla somma "una tantum" pari al 75 per cento della contribuzione integrativa riconosciuta agli iscritti al Fondo di previdenza per gli impiegati delle esattorie e ricevitorie è dovuto

unicamente il maggior importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, senza cumulo delle due voci, attesa la sua natura previdenziale, non trattandosi di un vero e proprio rimborso di contributi inutilizzabili.

Precedenti giurisprudenziali:

Cass. civ., Sez. L, sentenza n. 3553 del 7/03/2012

Riferimenti normativi:

L. 2 aprile 1958, n.377;

L. 29 luglio 1971, n. 587;

L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, Sez. L, sentenza 12 ottobre 2015, n. 20447

Provvedimento n. 130200 del 2015

Credito d’imposta per la digitalizzazione delle strutture ricettive: F24 solo on line

E’ obbligatorio per gli esercenti del settore turistico l’invio telematico del modello F24 per ottenere le agevolazioni per la digitalizzazione delle proprie strutture.

Questo è quanto stabilito con il provvedimento emanato oggi, 14 ottobre 2015, dall’Agenzia delle Entrate.

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L’Agenzia delle Entrate pubblica, in data odierna, il provvedimento recante “Modalità e termini di fruizione del credito d’imposta di cui all’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, per la digitalizzazione degli esercizi ricettivi, delle agenzie di viaggi e dei tour operatore ai sensi del decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 12 febbraio 2015”.

Tale provvedimento stabilisce che il modello F24, utilizzato per compensare il credito d’imposta di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, concesso a favore degli esercizi ricettivi, delle agenzie di viaggi e dei tour operator individuati dal medesimo comma 1, dovrà essere presentato esclusivamente attraverso i canali telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate; in caso contrario sarà rifiutata l’operazione di versamento, ai sensi del decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 12 febbraio 2015.

Con una successiva risoluzione, l’Agenzia delle Entrate istituirà un apposito codice tributo da indicare nel modello F24 per poter usufruire del credito d’imposta previsto per la digitalizzazione delle strutture ricettive.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, comunicato stampa 14/10/2015

Agenzia delle Entrate, provvedimento 14/10/2015, n. 130200

Circolare n. 75445 del 2015

Nuove agevolazioni alle micro e piccole imprese

A partire dal 13 gennaio 2016 potranno essere inviate via web le domande per ottenere le nuove agevolazioni a favore delle micro e piccole imprese giovanili e femminili.

Tutte le indicazioni sono contenute nella circolare n. 75445 del 9 ottobre 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione generale per gli incentivi alle imprese.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione generale per gli incentivi alle imprese, con la circolare n. 75445 del 9 ottobre 2015, stabilisce i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione a favore delle imprese, ai sensi del D.Lgs. n. 185/2000, Titolo I, Capo 0I (agevolazioni volte a sostenere la nuova imprenditorialità, in tutto il territorio nazionale, attraverso la creazione di micro e piccole imprese competitive) e fornisce le necessarie indicazioni operative in merito alle procedure di concessione ed erogazione delle agevolazioni.

Possono beneficiare delle agevolazioni le micro imprese e quelle di piccole dimension, con la prevalente presenza di giovani tra i 18 e i 35 anni o di donne. Devono, inoltre, essere costituite in forma societaria da non più di dodici mesi dalla data di presentazione della domanda.

Hanno la possibilità di presentare la domanda di agevolazione anche le persone fisiche non ancora costituite in forma societaria, fermo restando l’onere per le stesse di costituzione entro 45 giorni dalla data di comunicazione dell’esito positivo delle opportune verifiche.

Le domande dovranno essere compilate e presentate via web a partire dal prossimo 13 gennaio 2016 attraverso il sito internet di Ivitalia.

Si ricorda che le domande presentate prima del predetto termine non saranno prese in considerazione.

Le richieste di finanziamento saranno esaminate in base all’ordine di presentazione e dopo una verifica formale, è prevista, inoltre, una valutazione di merito che comprende anche un colloquio con gli esperti di Invitalia.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Ministero dello Sviluppo Economico, circolare 09/10/2015, n. 75445

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Per la corretta compilazione

Jobs Act, libro unico del lavoro telematico: gestione “assenze” invariata

Tabella sinottica

Se la strada intrapresa dal legislatore con il Jobs Act è quella della telematizzazione, con la previsione di modalità esclusivamente telematiche per la tenuta del Libro unico del lavoro, la novità - pur rilevante - non dovrebbe comportare particolari modifiche al trattamento dei vari istituti retributivi nella gestione del LUL. Congedo matrimoniale e familiari, permessi, assenze dal lavoro derivanti da malattia, infortunio, maternità e, in via residuale, assenze ingiustificate come devono essere gestiti per una corretta compilazione del Libro Unico del lavoro?

di Debhorah Di Rosa - Consulente del lavoro e pubblicista

Tra le novità introdotte dal decreto semplificazioni del Jobs Act è previsto che la tenuta, l’aggiornamento e la

conservazione dei dati contenuti nel libro unico del lavoro avvengano in modalità telematica presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il provvedimento rinvia ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore, l’individuazione delle modalità tecniche e organizzative per l’interoperabilità della tenuta,

aggiornamento è conservazione dei dati.

Il ricorrere, nel mese da retribuire, di eventi che interrompono l’ordinaria prestazione lavorativa comporta la necessità di una accurata riflessione sulle cause dell’evento stesso al fine di gestire nel modo corretto il relativo la procedura di compilazione del Libro Unico del lavoro. Si tratta di eventi che influiscono:

· Sulla compilazione della sezione presenze, in quanto ogni assenza va indicata attraverso un codice che in legenda specifichi dettagliatamente quale si ala relativa causale;

· Sulla compilazione della sezione retributiva, nella quale andranno esposte separatamente le componenti della retribuzione eventualmente erogate da datore di lavoro in relazione al giorno di assenza o anticipate dallo stesso per conto dell’INPS;

· Sulla compilazione della denuncia contributiva UNIEMENS, laddove nella stessa il datore di lavoro esporrà l’importo dell’indennità erogata al lavoratore e procederà al recupero a conguaglio di quanto anticipato.

Congedo matrimoniale

Il R.D.L. n. 1334/1937 ha previsto, in primis per gli impiegati che abbiano contratto matrimonio, un periodo di quindici giorni di calendario a titolo di congedo retribuito in aggiunta alle ferie annuali. Tale diritto è stato successivamente esteso da norme contrattuali e dal Contratto Collettivo Interconfederale del 1941 a tutti gli operai dei settori industria e

artigianato e cooperative. Il trattamento retributivo, spettante al 100%, viene integrato parzialmente dall’INPS, per un totale di sette quote giornaliere della normale retribuzione, ma soltanto per i lavoratori aventi qualifica di operaio.

L’azienda anticipa al lavoratore anche il trattamento a carico INPS, salvo successivo conguaglio in UNIEMENS (codice L051). Il congedo spetta a tutti i lavoratori e le lavoratrici che contraggono matrimonio avente validità civile, quindi anche più volte nell’arco della vita lavorativa. La fruizione effettiva del congedo non deve necessariamente decorrere dalla data del matrimonio ma non deve neanche discostarsene eccessivamente: in sostanza il lavoratore deve richiedere il congedo con un congruo anticipo e per un periodo che sia ragionevolmente connesso, in senso temporale, con la data delle nozze. Il congedo non spetta ai lavoratori ancora in periodo di prova.

Assenze per motivi politici

L’art. 51 della Costituzione garantisce a “chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive” il diritto a disporre del tempo necessario al loro svolgimento e a conservare il posto di lavoro. Il legislatore ha regolamentato queste fattispecie cercando di mediare fra il diritto costituzionalmente garantito di permettere ad ogni cittadino che ne abbia interesse di esercitare tali funzioni senza essere economicamente penalizzato e l’interesse legittimo del datore di lavoro di non dover affrontare costi ulteriori dovuti alle assenze retribuite che all’esercizio di tali funzioni sono indispensabili. In ogni caso il datore di lavoro è obbligato a concedere l’assenza, mentre, per quel che riguarda la retribuzione, in alcuni casi essa è a

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carico dell’ente presso cui il lavoratore svolge il suo mandato con conseguente rimborso della stessa al datore che la anticipa. In particolare l’art. 31 della L. n. 300/1970 dispone che i lavoratori che siano stati eletti membri del Parlamento regionale, nazionale o europeo ovvero amministratori apicali di enti locali (quali sindaco, presidenti o assessori in enti locali, presidenti di consigli comunali con più di 50.000 abitanti e di consigli provinciali) possono a richiesta essere collocati in aspettativa per tutta la durata del mandato. In questo caso il periodo di aspettativa vale come servizio effettivamente prestato e le amministrazioni locali presso cui i soggetti prestano l’attività, sono tenuti al versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi che maturano. I lavoratori eletti a comporre i consigli comunali o provinciali hanno diritto ad assentarsi dal servizio per l’intera giornata nella quale sono convocati i rispettivi consigli e per l’intera giornata successiva se il lavoro consiliare si protrae oltre la mezzanotte. Spettano inoltre 24 ore al mese di permessi non retribuiti.

Assenze per motivi sindacali

Lo Statuto dei lavoratori prevede, all’art. 20, il diritto per i lavoratori di riunirsi, anche durante l’orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta l’intera retribuzione. I CCNL posso poi prevedere condizioni di tutela più favorevoli. Le riunioni sono indette dalle RSA e si svolgono presso unità produttiva in cui sono impiegati i lavoratori o, se pattuito in sede di contrattazione collettiva, presso sedi diverse.

Parimenti sono garantiti coloro che sono chiamati a ricoprire incarichi sindacali: in particolare, il lavoratore che intende esercitare il diritto al permesso retribuito per i dirigenti delle RSA, deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno 24 ore prima, senza che sia tuttavia necessario il consenso di quest’ultimo. Sono inoltre garantiti permessi non retribuiti per la partecipazione dei dirigenti delle RSA a trattative sindacali, congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a 8 giorni l’anno, previo preavviso al datore di lavoro di almeno tre giorni. Ulteriori previsioni sono regolamentate dai CCNL.

Permessi elettorali

In occasione di ogni consultazione elettorale, coloro che adempiono funzioni presso gli uffici elettorali, ivi compresi i rappresentanti di lista, dei partiti o dei promotori del referendum, hanno diritto di assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alla durata delle relative operazioni. I relativi giorni di assenza dal lavoro sono retribuiti e considerati, a tutti gli effetti, giorni di attività lavorativa. Per i giorni festivi o comunque non lavorativi ricompresi nel periodo di

svolgimento delle operazioni elettorali, i lavoratori in questione hanno diritto al pagamento di specifiche quote retributive, in aggiunta alla ordinaria retribuzione mensile, ovvero a riposi compensativi da godersi subito dopo la fine delle operazioni al seggio. Le assenze per permessi elettorali devono essere comunicate preventivamente al datore di lavoro mediante l’esibizione del certificato di chiamata e poi giustificate con la presentazione della documentazione giustificativa firmata dal presidente del seggio e riportante l’orario di inizio e fine delle operazioni.

Volontariato

A copertura del periodo di effettivo impiego nella Protezione civile, preventivamente autorizzato e opportunamente certificato dalle autorità preposte, i volontari hanno facoltà di chiedere al proprio datore di lavoro il permesso di assentarsi dal servizio per il tempo necessario all’espletamento delle attività di soccorso e assistenza in occasione di situazioni di emergenza ovvero per partecipare ad addestramenti ed esercitazioni. Il datore di lavoro è tenuto a concedere l’esonero dal servizio. Stessa disciplina è prevista per i volontari del Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico del CAI, nei giorni in cui svolgono le operazioni di soccorso e le relative esercitazioni, nonché nel giorno successivo qualora le operazioni si siano protratte per più di otto ore o oltre le ore 24. Tali permessi sono retribuiti per un periodo non superiore a 30 giorni continuativi, estesi a 90 per anno in caso di calamità naturali o catastrofi, a 60 giorni continuativi e fino a 180 giorni nell’anno per eventi di emergenza nazionale. Per il periodo di effettivo impiego il volontario conserva il diritto alla retribuzione e ad ogni altro trattamento economico e previdenziale; il datore di lavoro può richiedere entro due anni il rimborso all’Ente che ha gestito le operazioni di protezione civile ma limitatamente alla sola retribuzione, esclusi quindi gli oneri previdenziali ed assistenziali.

Sciopero

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Il diritto di sciopero è tutelato dall’art. 40 della Costituzione e regolato dalla legge n. 146/1990 limitatamente ai servizi pubblici essenziali. Per le assenze relative a questa fattispecie tuttavia non è prevista retribuzione diretta nè maturano retribuzioni indirette. Nel caso di scioperi articolati il datore di lavoro può rifiutare le prestazioni offerte negli intervalli tra le sospensioni di lavoro qualora non proficuamente utilizzabili.

Diritto allo studio

L’art. 10 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che i lavoratori studenti hanno diritto a turni di lavoro compatibili con la frequenza ai corsi e la preparazione degli esami e non sono obbligati a svolgere prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali. I permessi giornalieri necessari per sostenere prove di esame sono interamente retribuiti a carico del datore di lavoro e spettano per l’intera giornata a prescindere dalle ore effettive di impegno richieste

dall’esame. I permessi spettano anche per la eventuale ripetizione successiva dello stesso esame. Condizioni di maggior favore possono essere previste dai CCNL.

Congedi per la formazione

I lavoratori dipendenti che hanno almeno cinque anni di anzianità, possono chiedere una sospensione del rapporto di lavoro, in termini di aspettativa non retribuita, per congedi di formazione della durata massima di undici mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa. La fruizione può essere continuativa o frazionata. Il periodo non è computabile nell’anzianità di servizio e non è cumulabile con altri congedi. Il datore può non accogliere la richiesta nel caso di comprovate esigenze organizzative. Il preavviso minimo è di trenta giorni mentre i dettagli della fruizione sono disciplinati dai CCNL. Al fine di verificare l’unicità della fruizione di questa tipologia di congedo, è opportuno acquisire una dichiarazione di responsabilità del lavoratore riguardo eventuali precedenti fruizioni.

Lavoratori portatori di handicap e loro assistenti

I lavoratori portatori di handicap di grave entità possono usufruire a scelta, alternativamente, di due ore giornaliere o di tre giorni al mese di permessi retribuiti. Parimenti il lavoratore che assiste un parente o affine entro il secondo grado (il terzo in caso di mancanza di parenti più stretti) portatore di handicap in situazione di gravità ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, in maniera continuativa o frazionata. I permessi non spettano qualora il disabile sia ricoverato a tempo pieno presso strutture sanitarie che assicurano assistenza completa. I permessi vanno riproporzionati in caso di part-time. Inoltre il lavoratore che assiste a tempo pieno il familiare portatore di handicap può scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso. Sono esclusi dal diritto ai permessi i seguenti lavoratori a domicilio, domestici, agricoli a tempo determinato occupati a giornata, né per se stessi né in qualità di genitori o familiari, parasubordinati.

Donatori di sangue

Tutti i lavoratori subordinati che donano gratuitamente il sangue, presso Centri autorizzati dal Ministero della Sanità, hanno diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata lavorativa in cui effettuano il prelievo. Idonea certificazione va consegnata al datore di lavoro che anticipa la retribuzione spettante e procede poi al conguaglio dell’importo con l’INPS in UNIEMENS (S111). La giornata di riposo retribuito non spetta invece ai lavoratori parasubordinati.

Congedi per esigenze familiari

L’art. 4 della L. n. 53/2000 stabilisce che i lavoratori hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o grave infermità del coniuge, convivente o di un parente entro il secondo grado. In alternativa alla fruizione dei giorni di permesso, il lavoratore può concordare con il datore di lavoro diverse modalità di svolgimento dell’attività lavorativa che comportino comunque una pari riduzione dell’orario di lavoro complessivo. E’ inoltre possibile richiedere, a fronte di gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni di calendario, durante il quale si ha diritto alla conservazione del posto, ma non alla retribuzione, al computo nell’anzianità di servizio né alla copertura contributiva. Durante il congedo il lavoratore non può svolgere alcun altro tipo di attività lavorativa ma può rientrare al lavoro anticipatamente.

Assenze ingiustificate

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Al di fuori delle sopraelencate fattispecie, la mancata prestazione di servizio da parte del lavoratore non è ammessa ed è disciplinarmente sanzionabile. Ad ogni buon conto bisogna chiaramente distinguere la cd. assenza ingiustificata, che si verifica quando non sia stata consegnata, nei termini previsti, la prescritta comunicazione e/o documentazione

giustificativa al datore di lavoro, e l’assenza cd. arbitraria, che non ha in sé alcuna giustificazione. Le conseguenze che derivano da una tale condotta sono la perdita della retribuzione diretta, indiretta e differita e l’applicazione delle previste sanzioni disciplinari, salvo casi di forza maggiore o di necessità opportunamente oggettivamente dimostrabili.

In sintesi:

Cause Tutela Diritti Note

Matrimonio Permesso 15 giorni di calendario

Retribuzione 100% Integrazione INPS per operai

Funzioni pubbliche Aspettativa Permessi retribuiti

Conservazione posto

Retribuzione 100%

In alcuni casi rimborso retribuzione e oneri da Enti

Funzioni sindacali Permessi per assemblee Retribuzione 100%  

Permessi per RSA

Consultazioni elettorali Permessi retribuiti o riposo compensativo

+ retribuzione festivi

Retribuzione 100%  

Volontariato Permessi retribuiti da 30 a 180 giorni

Retribuzione 100% Rimborso retribuzione

Sciopero Permessi Nessuna retribuzione  

Studio Permessi per esami Retribuzione 100%  

Formazione Aspettativa non retribuita max 11 mesi

Conservazione posto di lavoro

 

Handicap Permessi per lavoratori Retribuzione 100% Retribuzione e oneri carico INPS

Permessi per assistenza

Donazione sangue Permesso retribuito Retribuzione 100% Retribuzione e oneri carico INPS

Esigenze familiari Aspettativa non retribuita Conservazione posto  

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Lavoro accessorio

Lavoro accessorio: compatibilità e cumulabilità con le prestazioni a sostegno del reddito

Per prestazioni di lavoro accessorio s’intendono tutte quelle attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. L’INPS con circolare n. 170 del 13 ottobre 2015 descrive, in maniera sintetica, l’istituto del lavoro accessorio e sulla sua compatibilità e cumulabilità con le prestazioni a sostegno del reddito.

Con la nuova normativa, si intendono per prestazioni di lavoro accessorio, tutte quelle attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati.

L’INPS con circolare n. 170 del 13 ottobre 2015 descrive, in maniera sintetica, l’istituto del lavoro accessorio e sulla compatibilità e cumulabilità dello stesso con le prestazioni a sostegno del reddito, in particolare:

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- sulla compatibilità e cumulabilità del lavoro accessorio con l’indennità di mobilità;

- sulla compatibilità e cumulabilità del lavoro accessorio con la disoccupazione agricola;

- sulla compatibilità e cumulabilità del lavoro accessorio con la Cassa Integrazione Guadagni.

La circolare chiarisce che, in tutti i casi, la normativa ha consentito ai percettori di ammortizzatori sociali di rendere prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3.000 euro di corrispettivo per anno civile rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. l’Istituto dovrà, con successivo messaggio, specificare le modalità operative relative alla determinazione della contribuzione figurativa nel caso di cumulabilità con le prestazioni a sostegno del reddito.

Inoltre specifica che, in caso di cumulabilità con l’indennità di mobilità è previsto che il beneficiario, sia tenuto a

comunicare all’INPS, entro cinque giorni dall’inizio dell’attività di lavoro accessorio o, se questa era preesistente, dalla data di presentazione della domanda di indennità di mobilità, il reddito presunto derivante dalla predetta attività nell’anno solare, a far data dall’inizio della prestazione di lavoro accessorio.

Per quanto riguarda la cumulabilità con la cassa integrazione guadagni, la circolare precisa che le remunerazioni da lavoro accessorio che superino il limite dei 3.000 euro non sono integralmente cumulabili: ad esse dovrà essere applicata la disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale della retribuzione. L’interessato sarà obbligato a presentare all’INPS la comunicazione preventiva prima che il compenso determini il superamento del predetto limite dei 3.000 euro, anche se derivante da più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno, pena la decadenza dalle integrazioni salariali.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata INPS, circolare, 13 ottobre 2015, n. 170

Scambio di informazioni

Lavoratori frontalieri: dal MEF un documento di supporto per il confronto con la Svizzera

Il Ministero dell’Economia ha reso disponibile un documento di supporto al team incaricato di portare avanti il confronto con i rappresentanti del governo svizzero per la revisione dell’accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri. L’iniziativa rientra nell’ambito dei contenuti dell’accordo siglato il 23 febbraio scorso tra Italia e Svizzera sullo scambio automatico di informazioni, contenente la roadmap con i principi di fondo per il nuovo regime tributario relativo ai cittadini italiani residenti nelle zone di confine e che lavorano in Svizzera.

Il Ministero dell’Economia ha realizzato un documento a supporto del team incaricato di portare avanti il confronto con i rappresentanti del governo svizzero per la revisione dell’accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri.

L’iniziativa rientra nell’ambito dei contenuti dell’accordo siglato il 23 febbraio 2015 tra Italia e Svizzera sullo scambio automatico di informazioni, contenente la roadmap con i principi di fondo per il nuovo regime fiscale relativo ai cittadini italiani residenti nelle zone di confine e che lavorano in Svizzera.

Il documento contiene dati e statistiche su molteplici aspetti del fenomeno tra cui i flussi dei frontalieri, il trattamento fiscale attuale e quello prospettico, il sistema di previdenza, le misure di welfare, il mercato del lavoro nel Canton Ticino, e offre utili spunti di riflessione a tutti coloro che sono interessati e all’opinione pubblica.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata MEF, documento di supporto lavoratori frontalieri in Svizzera

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XXXIII Congresso Nazionale ANTI

Congresso nazionale ANTI: etica fiscale e fisco etico

Si è svolto lo scorso 9 ottobre, in Ancona – alla Mole Vanvitelliana, il XXXIII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (A.N.T.I.), avente ad oggetto l’“etica fiscale e fisco etico”.

Scopo del Congresso è quello di porre attenzione sul contemperamento tra il dovere del contribuente di concorrere alle spese pubbliche ed il dovere di perseguire, allo stesso modo, l’“evasione” dell’Ente pubblico nei suoi rapporti istituzionali.

di Elisa Manoni

A distanza di venti anni Ancona ritorna ad essere il punto di incontro di accademici, avvocati, magistrati, dottori commercialisti, notai.

L’obiettivo è quello di fornire la corretta interpretazione dell’art. 53 della Costituzione alla luce dell’etica fiscale che deve improntare non solo il contegno del contribuente, ma anche quello dell’Ente impositore che impone il tributo.

L’occasione è stata data dal XXXIII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (A.N.T.I.), svoltosi il 9 ottobre presso la Mole Vanvitelliana (l’ultimo congresso nel capoluogo marchigiano si era svolto esattamente venti anni fa, nel 1995), organizzato dal vicepresidente nazionale dell’AN.T.I. Dott. Riccardo Albo ed ha visto la

partecipazione di esperti accademici, avvocati, notai, dottori commercialisti, magistrati tributari e di funzionari e dirigenti dell’Agenzia delle Entrate.

Presenti in sala, tra gli altri, il Prof. Avv. Victor Uckmar ed il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate Dott. Carmelo Rau.

Autorevoli Studiosi sono intervenuti in qualità di relatori.

La prima sessione “Doveri e Diritti del Contribuente”, è stata presieduta dal Prof. Avv. Lorenzo Del Federico ed ha visto gli interventi del Prof. Avv. Franco Gallo, del Prof. Avv. Gianni Marongiu, del Prof. Avv. Francesco Moschetti, Prof.

Avv. Salvatore Sammartino, Prof. Avv. Stelio Mangiameli, Prof. Avv. Giuseppe Zizzo.

La seconda sessione “Funzioni e Responsabilità della parte pubblica”, è stata presieduta dal Prof. Avv. Massimo Basilavecchia ed ha visto gli interventi del Prof. Avv. Gilberto Muraro, Prof. Avv. Gaetano Ragucci, Prof. Avv. Marco Versiglioni, Prof. Avv. Andrea Carinci e Prof. Avv. Ivo Caraccioli.

Il filo conduttore delle relazioni è stato quello di recuperare la “funzione fiscale, superando la logica di compromesso politico e puntando su una migliore efficienza amministrativa delle strutture delegate al contrasto all’evasione”, come sottolineato dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Prof. Avv. Franco Gallo.

Esigenza, tanto più avvertita, nel momento attuale, in cui il Parlamento sembra “tradire la propria missione, mutando quasi giornalmente la disciplina dei tributi”, ha ricordato il Presidente Nazionale dell’A.N.T.I. Prof. Avv. Gianni Marongiu, padre dello Statuto dei Diritti del Contribuente, Legge che proprio questo anno ha compiuto quindici anni e che, al momento della promulgazione, fu guardata con un certo scetticismo (“molti necrofori diedero per morto il bimbo appena nato” ha puntualizzato proprio il Prof. Marongiu), provocando un aumento esponenziale del contenzioso.

“Occorre dare certezza alle leggi che impongono le tasse: la certezza relativa al quanto, al come, al quando, al come e al dove è un bene inestimabile per i contribuenti e i loro consulenti”, ha sottolineato il Prof. Avv. Gianni Marongiu e, al fine di raggiungere tale obiettivo, l’Amministrazione Finanziaria non può disapplicare, in sede di accertamento, norme di legge per rispondere a pure esigenze di gettito, come evidenziato dal Prof. Avv. Massimo Basilavecchia.

Il tributo deve divenire lo strumento tramite il quale garantire il concorso attivo al processo di formazione e redistribuzione della ricchezza, nell’ottica di promuovere la creazione di beni e servizi.

È necessario dare concreta attuazione all’art. 53 della Costituzione, palese manifestazione della volontà dei Padri Costituenti di prendere le distanze dal precedente modello di Stato modellato su una logica del “tributo”, inteso come strumento di repressione, per dare origine ad un sistema di “trasparenza politica” (“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva”, ex art. 53, comma primo, della Costituzione), in cui l’imposizione non deve essere in funzione del finanziamento alla spesa pubblica.

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Secondo il pensiero di Ezio Vanoni, condiviso dagli Illustri Relatori, il tributo non è compenso dovuto allo Stato per la quantità dei servizi pubblici goduti, ma deve essere espressione di quella parte dello sforzo comune il quale deve essere sopportato dal singolo, secondo i canoni etici, politici, economici vigenti nello Stato.

Bisogna prendere le distanze dal concetto di tributo inteso come dovere kantiano (il dovere per il dovere: si deve pagare per il dovere di pagare), per ricercarne la causa impositionis (concorso alle spese pubbliche misurato in ragione del godimento delle prestazioni), così come teorizzata dalla Scuola di Pavia.

Quando difetta la causa impositionis il tributo non è più tale, ma diviene sopruso e rapina, in quanto viene meno sia l’aspetto redistributivo, da correlare ad una dimensione individuale e ad una collettiva (aspetto sul quale, nel merito, non può assolutamente entrare la Corte Costituzionale), sia quello meritorio.

In un momento, quale quello attuale, in cui si invoca a gran voce la lotta all’evasione ma, nel contempo, si censurano le modalità operative dell’Amministrazione (ritenute “invasive”; è il caso, ad esempio, delle indagini bancarie), compito dello Stato diviene, quello di dimostrare come i suoi poteri, a tutti i livelli (legislativo, amministrativo, giudiziario), siano improntati all’etica del comportamento ed alla finalità di giustizia, senza cadere nel pericolo di tramutare la rinuncia all’imposizione nella involuzione dello Stato sociale.

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Circolare n. 32/E del 2015

Problematiche emerse in sede di interpello sulle SIIQ

L’ampia circolare n. 32/E del 2015 è completata da una interessante rassegna delle problematiche di maggiore interesse sinora emerse in sede di interpello relative alla disciplina fiscale delle SIIQ.

Di seguito esaminiamo le questioni trattate nei loro aspetti di maggiore rilevanza.

di Stefano Baruzzi

1. Parametri per la valutazione della prevalenza dell'attività di locazione sulle altre attività

Gli elementi da includere nel test di verifica del soddisfacimento del parametro patrimoniale (“asset test”) sono i seguenti, da rapportare al valore complessivo dell'attivo patrimoniale:

valore degli immobili destinati all'attività di locazione immobiliare, compresi quelli oggetto di attività di sviluppo, ossia da destinare alla locazione ma ancora in corso di costruzione o oggetto di interventi di ristrutturazione diretta, inclusi nella gestione esente;

valore delle partecipazioni costituenti "immobilizzazioni finanziarie" detenute in altre SIIQ o nelle SIINQ, con la precisazione che per i soggetti IAS, quali sono anche le SIIQ, si considerano immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione, prescindendo dalla loro iscrizione in bilancio tra le medesime immobilizzazioni;

valore delle quote di partecipazione nei fondi comuni di investimento immobiliare che investono almeno l'80% del valore delle attività in immobili, diritti reali immobiliari, in partecipazioni in società immobiliari o in altri fondi immobiliari, ovvero in partecipazioni in SIIQ o SIINQ.

Sono, invece, da escludere, sia dal numeratore che dal denominatore del rapporto, i seguenti elementi onde evitare che essi, non essendo in relazione diretta né con la gestione esente né con quella imponibile, possano alterare il risultato della verifica dei criteri di prevalenza:

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valore degli immobili o dei diritti reali su immobili adibiti a sede della SIIQ o della SIINQ o direttamente utilizzati come uffici dalle stesse;

disponibilità liquide;

finanziamenti verso società del gruppo;

crediti per corrispettivi derivanti dalla gestione esente non ancora incassati;

crediti IVA ricollegabili alla medesima gestione esente.

Ai fini del rapporto, vanno dall'attivo patrimoniale alcuni elementi non espressivi dell'attività svolta:

attività relative a contratti derivati di copertura;

crediti per imposte differite attive;

crediti tributari, inclusi quelli chiesti a rimborso;

risconti attivi.

Per quanto, invece, concerne la verifica del parametro reddituale (“profit test”) assumono rilevanza i seguenti elementi, da rapportare al valore complessivo dei componenti positivi del conto economico:

ricavi provenienti dall'attività di locazione immobiliare;

dividendi relativi alle partecipazioni in SIIQ e SIINQ formati con utili derivanti dall'attività di locazione immobiliare svolta da tali società;

proventi derivanti dalla partecipazione nei fondi comuni di investimento immobiliare “eleggibili”;

plusvalenze realizzate in caso di alienazione degli immobili e dei diritti reali su immobili destinati alla locazione, anche nel caso di loro classificazione tra le attività correnti

plusvalenze realizzate su partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie in altre SIIQ o SIINQ.

Per la verifica del parametro di prevalenza reddituale sono, invece, da escludere, sia dal numeratore che dal denominatore del rapporto gli incrementi relativi agli immobili in costruzione destinati alla locazione giacché detti incrementi influenzano già il numeratore del rapporto patrimoniale.

Devono essere esclusi dal denominatore del rapporto per la verifica del parametro reddituale anche altri elementi che già influenzano il rapporto patrimoniale:

gli incrementi relativi agli immobili in costruzione diversi da quelli destinati alla locazione;

gli incrementi delle altre rimanenze.

Inoltre, vanno escluse sia dal numeratore che dal denominatore del rapporto, in quanto irrilevanti ai fini del rispetto del parametro reddituale, anche le plusvalenze iscritte sugli immobili destinati alla locazione, per effetto delle rivalutazioni

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contabili operate in conseguenza dell'applicazione del fair value di cui al principio contabile internazionale IAS 40, nonché tutti i componenti positivi derivanti dall'applicazione del fair value alle immobilizzazioni.

Nel calcolo del parametro reddituale, non vanno ricomprese nel totale dei componenti positivi le seguenti voci:

proventi che costituiscono rettifiche di costi derivanti da rettifiche contabili;

sopravvenienze attive e proventi conseguenti dal rilascio di fondi rischi ed oneri esuberanti, inclusi i fondi svalutazione crediti);

imposte differite attive, in quanto originati da eventi straordinari non espressivi dell'attività svolta;

proventi che costituiscono meri riaddebiti di costi, inclusi quelli effettuati nei confronti dei locatari, in quanto derivanti da pattuizioni contrattuali che prevedono il riaddebito di costi;

proventi costituti da rimborsi assicurativi, che non siano sostitutivi dei redditi da locazione o degli altri redditi, e derivanti da conguagli attivi da assicurazione, in quanto espressivi di risarcimenti di danni subiti, non significativi del volume di attività svolta e rettificativi dei costi assicurativi sostenuti.

I componenti positivi derivanti dall'emissione di "Prestiti Obbligazionari Convertibili" (POC), data la loro diretta riferibilità all'attività della gestione imponibile, devono essere inclusi nell'ammontare complessivo dei componenti positivi del conto economico, collocandoli al denominatore del rapporto.

Diversamente, le “Quote Inefficaci" (proventi netti rappresentativi dell'inefficacia di derivati di copertura del rischio di oscillazione dei tassi di interesse) non vanno ricomprese nell'attivo patrimoniale, né al numeratore né al denominatore del rapporto giacché le operazioni di copertura del rischio di oscillazione dei tassi di interesse non sono specificamente riferibili a nessuna delle due attività, esente o imponibile.

2. Rispetto dell'obbligo di distribuzione degli utili derivanti dalla gestione esente

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che nell'ipotesi in cui si accerti, a seguito di attività di controllo, un maggiore o un minore reddito attribuibile alla gestione esente, si produrranno effetti esclusivamente sulla determinazione del reddito imponibile e della quota di esenzione prevista dal regime speciale SIIQ/SIINQ, senza che si realizzi alcuna rettifica dell'importo dell'utile d'esercizio attribuibile alla gestione esente, come rilevabile dal bilancio d'esercizio, cui deve essere parametrato il limite minimo di distribuzione ai soci.

Applicazione del meccanismo del "Carry Forward"

Il meccanismo del "carry forward" trae origine dalla disposizione secondo la quale, nel caso l'utile complessivo dell'esercizio disponibile per la distribuzione risulti di importo inferiore a quello derivante dalla gestione esente, la percentuale di distribuzione imposta dalla norma si applica su tale minore importo.

In base a tale meccanismo, quindi, se l'utile della gestione esente è pari a 100, ma le ulteriori attività della gestione imponibile hanno prodotto un risultato negativo di 20, tale da ridurre l'utile complessivo di esercizio a 80, l'obbligo di distribuzione sarà calcolato su 80 anziché su 100.

Ciò posto, l’Agenzia delle Entrate ha preso in esame il quesito se la perdita della gestione esente, maturata in un determinato periodo d'imposta (ad es.. il primo), può avere effetti sull'applicazione del "carry forward" agli utili della Gestione Imponibile maturati nei periodi d'imposta successivi (ad es.: il secondo e il terzo), nonché sul connesso obbligo di distribuzione.

In altri termini, l'importo dell'utile della Gestione Esente, relativo agli esercizi secondo e terzo, assorbito dalla perdita della Gestione Imponibile e soggetto al meccanismo del "carry forward", può essere ridotto della perdita della Gestione Esente del primo esercizio ?

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La risposta dell’Agenzia é però negativa in quanto l’avallo comporterebbe l'estensione del "carry forward" a fattispecie diverse da quella prevista dalla legge, che riguarda, come già chiarito, soltanto le ipotesi di diminuzione dell'utile di una gestione causata da perdite dell'altra gestione e non già dalla compensazione dei risultati fatti registrare nel tempo dalla medesima gestione.

Modalità di utilizzo delle perdite fiscali generatesi anteriormente all'ingresso nel regime speciale.

Le perdite fiscali maturate dalle società nei periodi d'imposta precedenti a quello da cui decorre il regime speciale SIIQ possono essere utilizzate, secondo le ordinarie regole, in abbattimento della base imponibile dell'imposta sostitutiva d'ingresso e a compensazione dei redditi imponibili derivanti dalle eventuali attività diverse da quella esente.

In sostanza, le SIIQ possono utilizzare le perdite maturate anteriormente all'ingresso nel regime speciale:

per abbattere la base imponibile dell'imposta sostitutiva d'ingresso dovuta, per effetto dell'esercizio dell'opzione per il regime speciale, sull'ammontare delle plusvalenze, al netto delle minusvalenze, derivanti dal "realizzo" a valore normale degli immobili destinati alla locazione nonché di quelli destinati alla vendita;

per compensare i redditi derivanti dalla "gestione imponibile", durante il regime speciale, da assoggettare ad IRES secondo le regole ordinarie.

Le due modalità di utilizzo indicate non sono alternative, ma possono essere adottate entrambe.

In sostanza, nel caso in cui la perdita pregressa, per effetto dell'abbattimento della base imponibile dell'imposta

sostitutiva d'ingresso, risulti utilizzata solo parzialmente, può essere computata, per l'ammontare residuo, in diminuzione dell'eventuale reddito della "gestione imponibile" prodotto dalla società nei periodi d'imposta successivi.

Il riporto delle perdite pregresse da parte della SIIQ deve avvenire - sia in caso di loro utilizzo in abbattimento della base imponibile dell'imposta sostitutiva d'ingresso, sia in caso di utilizzo in compensazione degli eventuali redditi imponibili negli esercizi successivi - secondo le "ordinarie regole" del TUIR.

In base all'attuale formulazione dell'art. 84 del TUIR, la perdita di un periodo d'imposta può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi "in misura non superiore all'ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza in tale ammontare".

Di conseguenza, nel caso di utilizzo della perdita ai fini dell'imposta sostitutiva d'ingresso, la relativa base imponibile può essere ridotta in misura non superiore all'ottanta per cento del suo ammontare, e per l'intero importo della perdita che trovi in esso capienza.

La perdita pregressa che risulti utilizzata solo parzialmente per l'abbattimento della base imponibile dell'imposta sostitutiva d'ingresso può essere computata, per l'ammontare residuo, in diminuzione dell'eventuale reddito derivante dalla "gestione imponibile" prodotto dalla società nei periodi d'imposta successivi, nei limiti dell'ottanta per cento del reddito imponibile.

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Iscrizione ipotecaria

Contraddittorio endoprocedimentale prima di iscrivere ipoteca

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20352 del 9 ottobre 2015, ha ribadito, seguendo l'orientamento specifico delle Sezioni Unite, che se è vero che l'iscrizione ipotecaria ex art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, stante la natura cautelare e non espropriativa, non vede l'applicabilità dell'art. 50, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973, è parimenti innegabile che al contribuente occorra concedere previ spazi difensivi, così da dovere garantire, con una prodromica comunicazione, il contraddittorio endoprocedimentale. L'anzidetto è attualmente sancito dal comma

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2-bis del menzionato art. 77, come introdotto dal D.L. n. 70/2011 (conv. L. n. 106/2011).

di Camillo Beccalli

Il contraddittorio endoprocedimentale – e dunque l'obbligo di una previa comunicazione al contribuente – sembrerebbe godere di un allargamento smisurato del campo di operatività.

L'ultimo intervento della Corte di Cassazione, a ben vedere, non è una novità, essendo chiaro che trattasi di una continuazione della linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite con sentenze nn. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014, cui hanno fatto seguito numerose pronunce della stessa Corte (cfr. Cass. Civ., nn. 25561/2014, 9270/2015, 11505/2015, 11506/2015, 11507/2015, 15808/2015, 15809/2015, 15810/2015, 16960/2015, 16961/2015, 17584/2015).

Questo è l'orientamento attuale, in tema di iscrizione ipotecaria ai sensi dell'art. 77 del D.P.R. n. 602/1973: essa non ha natura espropriativa ma cautelare, sicché non è accostabile l'obbligo di intimazione stabilito dall'art. 50, comma 2, del medesimo decreto (cfr. anche Cass. Civ., n. 15412/2015); tuttavia, occorre sempre realizzare un previo contatto con l'interessato.

In verità, soltanto con l'art. 7 del D.L. n. 70/2011 (conv. L. n. 106/2011) è stato formalizzato il rapporto prodromico tra contribuente e Fisco, in virtù dell'introduzione del comma 2-bis nel citato art. 77; comma il quale prevede come l'agente della riscossione sia tenuto a notificare, al proprietario dell'immobile, una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l'ipoteca.

Per la Cassazione, però, tale obbligo, ancorché caratterizzato da positivizzazione precisamente datata, era insito nel sistema, nella logica della centralità del contraddittorio cara alla giurisprudenza europea, specie in una certa epoca storica (si pensi alla sentenza Sopropé, pur francamente oggetto di abusi sul piano interpretativo).

Indubbio che per le iscrizioni ipotecarie successive alla entrata in vigore della modifica del 2011 occorra adempiere all'obbligo di comunicazione, resta da chiedersi, mentre si tenta di cogliere quale sia la natura sostanzialmente assunta della riforma stessa, se le conclusioni dei giudici nomofilattici in ordine alle più antiche iscrizioni – quando nessuna norma fissava detta comunicazione – non risentano fin troppo del clima favorevole alla consacrazione di un imprescindibile e generalizzato contraddittorio, sulla cui necessità non sembrano più unanimi i consensi, tra interventi difformi della stessa Cassazione, ulteriori ipotesi di rimessioni alle Sezioni Unite e rimeditazioni a livello europeo.

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, Sez. VI civile, sentenza 09/10/2015, n. 20352

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